Il Ministro dell’Istruzione leghista Bussetti offende il Sud: “Non servono soldi, ma devono lavorare di più” …In campagna elettorale avrebbero promesso valanghe di denaro, ora solo offese… FIRMA ANCHE TU PETIZIONE PER MANDARE A CASA QUESTO AVVOLTOIO…!

 

Bussetti

 

.

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

Il Ministro dell’Istruzione leghista Bussetti offende il Sud: “Non servono soldi, ma devono lavorare di più” …In campagna elettorale avrebbero promesso valanghe di denaro, ora solo offese… FIRMA ANCHE TU PETIZIONE PER MANDARE A CASA QUESTO AVVOLTOIO…!

Da I Nuovi Vespri:

Firmiamo la petizione per mandare a casa il Ministro dell’Istruzione leghista che offende il Sud

La petizione è stata lanciata su Change. org dallo scrittore e giornalista, Pino Aprile. Obiettivo: mandare a casa il Ministro leghista della Pubblica Istruzione che offende non soltanto la verità, non soltanto il mondo della scuola del Sud, ma soprattutto l’intelligenza. In questo articolo troverete i ‘numeri’ che illustrano come il Nord ruba al Sud anche i soldi della scuola.

Può un Ministro della Pubblica Istruzione offendere il mondo della scuola del Sud? Purtroppo al tempo di Matteo Salvini succede anche questo: succede che Marco Bussetti, allenatore di Basket e Ministro dell’Istruzione, per giustificare gli scippi alle scuole del Mezzogiorno d’Italia, tiri fuori una teoria, ovviamente a favore delle scuole del Centro Nord, in base alla quale le scuole del Meridione non avrebbero bisogno di fondi, ma di “impegno”:

“No, ci vuole l’impegno del Sud, vi dovete impegnare forte, questo ci vuole”.

La cosa non è piaciuta a Pino Aprile, lo scrittore e giornalista autore del libro Terroni, che ha lanciato subito una petizione on line su Change.org per mandare a casa il Ministrro leghista antimeridionale.

“Cacciamo immediatamente Marco Busetti, un Ministro indegno, firma per le dimissioni”: questo il titolo della petizione. Che vale la pena di leggere:

“Il Ministro Marco Bussetti must go, se ne deve andare. La serie degli ultimi governi ha messo il Dicastero dell’Istruzione nelle mani dei peggiori ministri di sempre, sino all’attuale, leghista e allenatore di basket. Per lui, non servono più fondi per le scuole disastrate del Mezzogiorno a cui il Nord ha rubato il soldi per le scuole terremotate (che sono nella stragrande maggioranza a Sud, mentre i soldi per restaurarle finirono per il 97 per cento al Centro-Nord) o per ristrutturare quelle malmesse (quasi mezzo miliardo che fu sottratto e speso diversamente); o per la ricerca collegata alle start up (un miliardo che venne destinato all’illuminazione del Veneto, alle compagnie di navigazione sul lago di Garda, all’industria bresciana delle armi); o per combattere l’evasione scolastica altissima a Scampia e in alcuni quartieri di Palermo (ma i soldi andarono soprattutto al Nord, specie Lombardia)…”.

Numero alla mano, il Centro Nord scippa al Sud anche i soldi per le scuole. Poi arriva il Ministro leghista, Busetti, e ci viene anche a dire che no, le scuole del Sud non hanno bisogno di soldi: le scuole meridionali si devono organizzare (mentre le scuole del Centro Nord di ‘organizzano’ con i nostri soldi) e, soprattutto, si debbono impegnare di più…

“Eppure, per un Ministro di adamantina anima leghista – si legge ancora nella petizione – contro il divario cui la scuola del Mezzogiorno è stata condannata da un Paese razzista, non servono più fondi per attrezzare gli istituti, aiutare i ragazzi in difficoltà ambientali e familiari, no: ‘Ci vuole più impegno, più lavoro e sacrificio al Sud per recuperare il gap con il Nord. Vi dovete impegnare forte, è questo che ci vuole’”.

“Capito? Non è colpa di chi riduce la scuola del Sud in condizioni disastrate, senza mense, in edifici precari; no, è colpa dei meridionali. E ora, con la legge sul regionalismo differenziato, vogliono sottrarre ancora un miliardo e mezzo alle scuole del Sud, e trattenere i 9/10 delle tasse nelle Regioni più ricche, in modo da poter pagare meglio i loro docenti, offrire agli studenti scuole sempre più fornite e una formazione più completa; in tal modo, i migliori professori finirebbero al Nord, e verso quelle scuole si creerebbe, dalle Regioni più povere, come già avviene per le università, una migrazione di studenti con maggiori disponibilità, ufficializzando la creazione di scuole per ricchi al Nord e di serie B nel Meridione”.

A questo punto Pino Aprile fa un’analisi cruda di come, negli ultimi anni, lo Stato italiano, attraverso Governi nazionali ‘colonialisti’, ha trattato le scuole e le università del Sud, sottolineando che le dichiarazioni dell’allenatore di Basket diventato Ministro leghista dell’Istruzione sono l’inevitabile punto di arrivo di un Paese sbagliato che considera il Sud un luogo da sfruttare:

“È la naturale conclusione di un percorso – scrive Pino Aprile -: da Maria Stella Gelmini, del centrodestra con uso di Lega, che escluse dai programmi di letteratura del Novecento tutti i poeti e gli scrittori meridionali; a Francesco Profumo, del governo ‘tecnico’ Monti, con il suo progetto di dividere l’Italia in tre, per borse di studio differenziate Nord-Sud; a Maria Chiara Carrozza del PD, che emanò il decreto per uccidere le università del Sud, stabilendo che quelle che sorgono in territori più ricchi sono migliori; a Stefania Giannini, della Margherita, che riuscì a non fare niente o quasi; a Valeria Fedeli, PD, ‘la più migliore’, con la sua terza media. Ora Marco Bussetti, che addossa al Sud le conseguenze della gestione differenziata e antimeridionale del diritto allo studio. Questo Ministro non deve restare un giorno di più al suo posto. Firmate per cacciarlo!”.

QUI BUSSETTI CHE OFFENDE I MERIDIONALI

QUI L’APPELLO CHE POTETE FIRMARE

 

Articolo di I Nuovi Vespri

 

Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti – “un paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere”

Italo Calvino

 

 

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti –  “un paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere”

Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti

di Gabriella Giudici

Nell’ottobre scorso (2012), riflettendo sul declino della scuola pubblica e sul particolare accanimento mostrato dai governi degli ultimi vent’anni nel portare a compimento l’opera di decostituzionalizzazione della pubblica istruzione, mi era tornato in mente L’apologo sull’onestà, uno degli ultimi interventi di Calvino sulla stampa, nel quale lo scrittore tratteggiava la singolare antropologia di un paese nel quale i “responsabili” od “onesti” non siedono nell’assemblea dei “rappresentanti del popolo”, ma tra le macerie delle istituzioni da questa bombardate.

Avevo osservato, allora, che “un paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere”, concludendo che il senso di questa constatazione era meglio spiegato proprio dal testo calviniano che riproponevo in lettura.

Da quell’ottobre, questo post è stato rilanciato su facebook e visionato centinaia di volte, fino a smarrire la distinzione tra la mia introduzione e il testo calviniano.

Dopo l’affermazione erroneamente attribuita a Calvino, proseguivo: “mi pare che lo spieghi perfettamente Calvino in questo testo, tragicamente attuale, uscito su La Repubblica [ora in Romanzi e raccontivol. 3, Arnoldo Mondadori Editore] del 15 marzo 1980, agli albori di un’era che oggi sta finendo insieme con il bene pubblico ancora difeso dai molti che

«non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese [in cui] loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare».

La scuola è per definizione il luogo in cui gli insegnanti si chiedono di tutto, salvo quanto vale in denaro l’intelligenza che sto formando quanta ne ho prodotta oggi, come test sempre più insulsi e dannosi chiedono di fare. Questo è lo spirito con cui ho riletto l’Apologo, in una delle molte interpretazioni possibili [qui, ad esempio, quella di Rodotà].

Sperando di aver reso un contributo alla leggibilità dell’insieme, vi lascio alla lettura di Calvino.

 

QUI il video

C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia.

Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito; anzi, benemerito: in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalità formale quindi non escludeva una superiore legalità sostanziale. Vero è che in ogni transizione illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l’illecito che per la morale interna del gruppo era lecito, portava con se una frangia di illecito anche per quella morale. Ma a guardar bene il privato che si trovava a intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro d’aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva senza ipocrisia convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita.

Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale alimentato dalle imposte su ogni attività lecita, e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare. Perché in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta ma neppure a rimetterci di suo ( e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse) la finanza pubblica serviva a integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune s’erano distinte per via illecita. La riscossione delle tasse che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza d’atto di forza (così come in certe località all’esazione da parte dello stato s’aggiungeva quella d’organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori pur provando anziché il sollievo della coscienza a posto la sensazione sgradevole d’una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta.

Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino a allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi il sentimento dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere. Cosicché era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle battaglie intestine tra interessi illeciti, oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e d’interessi illeciti come tutti gli altri. Naturalmente una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche (e tante altre attività più modeste fino allo scippo in motoretta) s’inserivano come un elemento d’imprevedibilità nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita.

In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che, usando quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge, e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini, illustri e oscuri, si proponevano come l’unica alternativa globale al sistema. Ma il loro vero effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile, confermandone la convinzione d’essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla. Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi  unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti.

Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile.

Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, di tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé ( almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità , di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è.

fonte: http://gabriellagiudici.it/italo-calvino-apologo-sullonesta-nel-paese-dei-corrotti/

 

 

 

Come distruggere la scuola pubblica? Un esempio (che nessun Tg vi farà mai): Liguria, su 850.000 Euro destinati alle scuole, 690.000 sono per quelle private!

scuola pubblica

 

.

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Come distruggere la scuola pubblica? Un esempio (che nessun Tg vi farà mai): Liguria, su 850.000 Euro destinati alle scuole, 690.000 sono per quelle private!

 

“Su 850mila euro per le scuole ben 690mila alle private. Sinistra dove sei?”

Con un post su Facebook l’ex assessore Fiorini attacca la Regione Liguria e invoca l’intervento dell’opposizione

Soldi alle scuole private. Con un post su Facebook l’ex assessore comunale della giunta Doria, l’avvocato Elena Fiorini, critica la Regione Liguria per la disparità di trattamento fra scuola pubblica e privata e si augura che questa diventi una battaglia della sinistra.
“Nella variazione di bilancio di ieri scrive Fiorini – la Regione destina 850.000 euro per “formazione e studio in particolare delle fasce più deboli”. Di questi 690mila sono a sostegno delle scuole paritarie. Insomma, nella regione del nord con uno dei più alti tassi di dispersione scolastica, dove si manifestano diseguaglianze crescenti e mentre nella scuola pubblica viene chiesto ai genitori di portare carta igienica, sapone e scottex (senza parlare degli edifici scolastici, spesso ridipinti dalle famiglie degli alunni, delle dotazioni e tanto altro), la scelta, senza nulla avere contro le scuole paritarie, è piuttosto chiara. Sinistra, dove sei?”
E più avanti spiega:” Il senso della domanda era proprio questo: temi come welfare e scuola, in passato, sono stati un cavallo di battaglia della sinistra e oggetto di una progettualità che andava a promuovere la qualità dell’istruzione dei ragazzi e della vita quotidiana delle famiglie: basti pensare all’Emilia Romagna, che ha esportato modelli gestionali ed educativi studiati e copiati in giro per il mondo e, per rimanere sul nostro, alle nostre scuole dell’infanzia (le uniche che dipendono dai comuni) che offrivano un servizio di eccellenza. Lo scadimento è evidente e mi rammarico per una sinistra che non riesce a svolgere un’azione di governo su questi temi -vedasi anche la voce alternanza scuola lavoro, tra l’altro- (o a promuovere un’opposizione con proposte alternative credibili ad una destra che alla scuola pubblica non è interessata, come rende evidente anche la variazione di bilancio regionale che alla scuola pubblica ci pensa pochino direi). Credo che su progetti reali ed efficaci su questi temi la sinistra recupererebbe senso e guadagnerebbe consensi”.
Il dibattito è aperto e naturalmente va al cuore di un tema centrale di una comunità, tema in cui le differenze tra scelte di destra e sinistra emergono, o dovrebbero emergere assai più chiaramente, rispetto ad altri argomenti.

fonte: http://genova.repubblica.it/cronaca/2017/11/02/news/_su_850mila_euro_per_le_scuole_ben_690mila_alle_private_sinistra_dove_sei_-180010577/

Susanna Tamaro: “Istruire non basta. Bisogna tornare a pretendere. Bisogna tornare a educare”

.

Susanna Tamaro

 

.

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

Susanna Tamaro: “Istruire non basta. Bisogna tornare a pretendere. Bisogna tornare a educare”

 

«Questa scuola sommamente democratica è sempre più classista», scrive Susanna Tamaro in un editoriale sul Corriere della Sera. La scrittrice definisce la scuola italiana un disastro, «partorito da un sistema che, in nome del lassismo, della demagogia, del vivi e lascia vivere “tanto l’importante è il pezzo di carta”, ha costantemente abbassato il livello delle pretese».

COLPE POLITICHE. Le colpe sono in parte del sistema politico, «che ha sempre considerato il Ministero dell’Istruzione come un jolly da tirar fuori dal cappello nei momenti di bisogno, una botta ai sindacati, una botta ai concorsi, un po’ di fumo soffiato in faccia alle famiglie per mascherare che sotto il fumo non c’era nessun arrosto e avanti così, inventando pompose rivoluzioni che, alla prova dei fatti, si sono mostrate, per lo più, drastiche involuzioni».

LA VERA EMERGENZA. «Diciamolo una volta per tutte», continua Tamaro: «Questa scuola sommamente democratica, che da troppo tempo ha smesso di pretendere dai suoi studenti — e dunque di educare — è una scuola sempre più classista. Chi può, infatti, già da tempo manda i figli negli istituti privati, se non all’estero; chi ha meno possibilità ma è consapevole della catastrofe, supplisce con l’impegno personale. Per tutti gli altri non c’è che la deriva del ribasso». La vera emergenza nazionale è «l’educazione. Non essere gravemente allarmati e non fare nulla per risolverla vuol dire condannare il nostro Paese ad una sempre maggior involuzione economica e sociale. Che adulti, che cittadini, che lavoratori saranno infatti i ragazzi di queste generazioni abbandonate alla complessità dei tempi senza che sia stato loro fornito il sostegno dei fondamenti? Sono stati cresciuti con il mito della facilità, del tirare a campare, ma la vita, ad un certo punto, per la sua stessa natura pretenderà qualcosa da loro e gli eventi stessi inevitabilmente li porranno davanti a delle realtà che di facile non avranno nulla. Allora, forse, rimpiangeranno di non vere avuto insegnanti capaci di prepararli, di educarli».

RESTANO LE FAMIGLIE. Istruire per la scrittrice non basta, bisogna «educare», afferma, usando un «termine reietto, spauracchio dell’abuso e della diseguaglianza». Educare però «richiede l’esistenza di un principio di autorità, principio ormai scomparso da ogni ambito della vita civile. Chi educa oggi? Le poche famiglie che caparbiamente si intestardiscono a farlo si trovano a vivere come salmoni controcorrente. Il “vietato vietare”, con la rapidità osmotica dei principi peggiori, ormai è penetrato ovunque, distruggendo in modo sistematico tutto ciò che, per secoli, ha costituito il collante della società umana. Dalle maestre chiamate per nome, ai professori ai quali si risponde con sboccata arroganza, al rifiuto di compiere qualsiasi sforzo, all’incapacità emotiva di reggere anche una minima sconfitta: tutto il nostro sistema educativo non è altro che una grande Caporetto. Agli insegnanti validi — e ce ne sono tanti — viene pressoché impedito di fare il loro lavoro, anche per l’aureo principio, tipicamente italiano, per cui un eccellente ombreggia i mediocri che non vogliono essere messi in discussione nella loro quieta sopravvivenza».

«LASSISMO DEMAGOGICO». Oggi che il gran «caos demagogico ha paralizzato il naturale ricambio generazionale e la miserabile retribuzione della categoria ha trasformato l’insegnamento in una sorta di sine cura per molti», c’è bisogna di destinare più risorse alla scuola «per educare veramente le giovani generazioni. Solo così la scuola tornerà ad essere una possibilità di crescita offerta a tutti, e non solo ai pochi privilegiati che si possono permettere la fuga dal demagogico lassismo dello Stato».