28 aprile, l’esecuzione di Benito Mussolini – Un particolare che molti ignorano: non furono i Partigiani ad appenderlo, ma i Vigili del Fuoco, per evitare che la gente (la stessa che l’aveva sostenuto) facesse scempio del corpo…!

 

28 aprile

 

 

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28 aprile, l’esecuzione di Benito Mussolini – Un particolare che molti ignorano: non furono i Partigiani ad appenderlo, ma i Vigili del Fuoco, per evitare che la gente (la stessa che l’aveva sostenuto) facesse scempio del corpo…!

 

L’esecuzione del Duce – La testimonianza di Walter Audisio (nome di battaglia “colonnello Valerio”), il partigiano che eseguì la sentenza

Il giorno prima Mussolini era stato arrestato a Dongo e la direzione del CLNAI aveva deciso senza indugio per la sua esecuzione immediata. Prelevato dai suoi giustizieri a Bonzanigo, l’ex duce, insieme alla Petacci, fu portato nel pomeriggio in auto in un un piccolo vialetto davanti a Villa Belmonte, un’elegante residenza di Giulino, dove fu fucilato. Questi gli ultimi minuti di vita di Mussolini secondo la testimonianza di Audisio: “Sull’auto lo feci sedere a destra, la Petacci si mise a sinistra. Io presi posto sul parafango in faccia a lui. Non volevo perderlo di vista un solo istante. La macchina iniziò la discesa lentamente. Io solo conoscevo il luogo prescelto e non appena arrivammo presso il cancello ordinai l’alt. Dissi di aver udito dei rumori sospetti e mi mossi a guardare lungo la strada per accertarmi che nessuno venisse verso di noi“. “Quando mi volsi la faccia di Mussolini era cambiata: portava i segni della paura. (…) Feci scendere Mussolini dalla macchina e gli dissi di portarsi tra il muro ed il pilastro del cancello. Obbedì docile come un canetto. Non credeva ancora di morire: non si rendeva conto della realtà. Gli uomini come lui temono sempre la realtà, preferiscono ignorarla (…). Improvvisamente cominciai a leggere il testo della sentenza di condanna a morte del criminale di guerra Mussolini Benito“. “Per ordine del Comando Generale del Corpo Volontario della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano”. “Credo che Mussolini non abbia nemmeno capito quelle parole: guardava con gli occhi sbarrati il mitra che puntavo su di lui. La Petacci gridò enfatica: “Mussolini non deve morire”. Dico alla Petacci che s’era appoggiata a Mussolini: “Togliti di lì se non vuoi morire anche tu“. La donna capisce subito il significato di quell’anche e si stacca dal condannato. Quanto a lui, non disse una sola parola: non il nome di un figlio, non quello della madre, della moglie, non un grido, nulla.

Tremava livido di terrore e balbettava con quelle grosse labbra in convulsione: “Ma…ma…ma…ma signor colonnello. Ma…ma…ma signor colonnello“. “Nemmeno a quella donna che gli saltellava vicino, che si muoveva di qua e di là, disse una sola parola. No: si raccomandava nel modo più vile, per quel suo grosso corpo tremante: solo a quello pensava: a quel grosso corpo appoggiato al muretto”. “(…) Faccio scattare il grilletto ma i colpi non partono. Il mitra si era inceppato. Manovro l’otturatore, ritento il tiro ma l’arma non spara. Passo il mitra a Guido (Aldo Lampredi, ndr.), impugno la pistola: anche la pistola si inceppa. Passo a Guido la rivoltella, afferro il mitra per la canna, aspettandomi, malgrado tutto, una qualunque reazione. Ogni uomo normale avrebbe pensato di difendersi ma Mussolini era al di sotto di ogni uomo normale e continuava a balbettare, a tremare, immobile con la bocca semiaperta e le braccia penzoloni. Chiamo a voce alta il Commissario della 52a che viene di corsa a portarmi il suo Mas. Adesso gli sono di fronte, come prima: egli non si è mosso, continua il suo balbettio di invocazione. Vuol salvare solo quel grosso corpo tremante. E su quel corpo scarico cinque colpi“. “Il criminale si afflosciò sulle ginocchia, appoggiato al muro, con la testa reclinata sul petto. Non era ancora morto, gli tirai una seconda raffica di quattro colpi. La Petacci, fuori di sé, stordita, si mosse confusamente, fu colpita e cadde di quarto a terra. Mussolini respirava ancora e gli diressi, sempre col Mas, un ultimo colpo al cuore. L’autopsia constatò più tardi che l’ultima pallottola gli aveva troncato netto l’aorta. Erano le 16.10 del 28 aprile 1945“.

Un’altra testimonianza

Libero Traversa (Partigiano, politico, giornalista, scrittore e poeta, militante delle formazioni di “giustizia e libertà”, è stato un protagonista della resistenza e ha partecipato alla liberazione di Milano) non ne può più di sentirsi chiedere di piazzale Loreto. Era un ragazzino. Faceva servizio di guardia al tribunale di Milano e l’hanno chiamato a fare servizio d’ordine a piazzale Loreto. Ricorda quei giorni… Alla Bovisa, Lambrate. I posti di blocco dei tedeschi ovunque. A piazzale Loreto gli operai prendevano i tram per andare a Sesto. Il distributore dove hanno appeso i cadaveri si trovava all’angolo I corpi di Mussolini Claretta Petacci e altri fascisti a piazzale Loreto la notte del 29 aprile 1945. Dopo vennero appesi a un distributore di benzina che oggi non c’è più all’angolo con corso Buenos Aires.

“Nei giorni della Liberazione avevo 15 anni e sorvegliavo con un moschetto l’ingresso del tribunale. Il 29 aprile si diffuse la voce che avevano fucilato Mussolini e portato a piazzale Loreto. Sono andato a fare il turno del pomeriggio nel servizio di sicurezza. Faceva freddo, ma a piazzale Loreto c’era più caldo. C’erano i cadaveri appesi. Li avevano appesi i vigili del fuoco di Milano, un corpo che ha lasciato molti morti nella Resistenza.

Li hanno appesi non per esporli ma perché non si poteva lasciarli per terra. La gente li voleva calpestare. Facevamo cordone. Quando vado nelle scuole a parlare, a volte mi chiedono particolari. Mussolini aveva il sangue che colava dalla bocca? Chissenefrega! Mi incazzo quando sento queste cose. Le cose più importanti di piazzale Loreto sono altre!”

Ricordando quei giorni da partigiano-ragazzino Libero pensa ai 15 partigiani fucilati sul piazzale dai militi della Muti e lasciati a terra nel ’44. Pensa alla perdita del consenso di Mussolini: “La gente che sputava era la stessa che l’aveva sostenuto. La piazza era piena. In tutte le famiglie c’erano stati lutti. Si volevano vendicare. Noi abbiamo perso mio fratello Salvatore sul fronte del Don. L’altro, Andrea, è scampato all’eccidio di Cefalonia. Si pativa da anni la fame, il freddo, i bombardamenti. Anche qui vicino è caduta una bomba. I bombardamenti a Milano sono stati terribili.

Certo, li facevano gli inglesi, ma la gente considerava Mussolini responsabile. È stato lui a volere la guerra. Perché ha mandato i giovani a morire in Russia e in Grecia? Dopo il 25 luglio del ’43 tutto il Paese l’ha mollato. Il popolo era stufo di una guerra non voluta e chiaramente persa. L’Italia è stata invasa dai tedeschi che hanno rimesso il Duce al potere come hanno fatto con altri governi-fantoccio. Non lo consideravamo legittimo. Se non si capisce questa cosa non si capisce piazzale Loreto”.

 

 

 

 

Verdini condannato a quasi 7 anni adesso rischia la pena in carcere… E pensare che se gli Italiani non li avessero stroncati col voto al Referendum, questo delinquente sarebbe un PADRE COSTITUENTE…!

Verdini

 

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Verdini condannato a quasi 7 anni adesso rischia la pena in carcere… E pensare che se gli Italiani non li avessero stroncati col voto al Referendum, questo delinquente sarebbe un PADRE COSTITUENTE…!

 

Parte Socialista fino a Berlusconiano di ferro, per poi approdare alla corte di Matteo Renzi che in lui vede, oltre al bastone per il suo governo, l’altissimo profilo di Padre Costituente. Infatti, il capitolo “Vicende giudiziarie” della sua pagina Wikipedia non ha nulla da invidiare a quella di Belusconi…

All’appello per il processo “Credito Fiorentino” Denis Verdini si becca 6 anni e 10 mesi…

All’ex senatore di i pg Fabio Origlio e Luciana Singlitico avevano contestato anche il reato di associazione a delinquere, per il quale era stato assolto in primo grado. Complessivamente tuttavia la pena è inferiore a quella di nove anni inflittagli in primo grado, poiché è stata riconosciuta una continuazione tra il reato di bancarotta e la parte del processo riguardante l’editoria

E questo delinquente doveva riscrivere la Costituzione della Repubblica italiana insieme alla Boschi…

Ma ora basta parlare di Verdini, in Italia accadono cose ben più gravi… Per esempio, lo sapete che Di Maio ha sbagliato un altro congiuntivo?

“Il Sud è la parte improduttiva d’Italia” – Lo ha detto Vittorio Sgarbi, uno che tra, le varie condanne, ne vanta una proprio per ASSENTEISMO…!

 

Vittorio Sgarbi

 

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“Il Sud è la parte improduttiva d’Italia” – Lo ha detto Vittorio Sgarbi, uno che tra, le varie condanne, ne vanta una proprio per ASSENTEISMO…!

Quanto disprezzo per il M5S ed il nostro SUD mostra Vittorio Sgarbi:

(QUI IL VIDEO DI VITTORIO SGARBI)

Ma ecco chi è Vottorio Sgarbi, quello che tra le altre vanta anche una condanna per assenteismo….

Sgarbi ha subito diverse condanne penali e civili, principalmente pene pecuniarie per i reati di diffamazione e ingiuria; ha subito anche una condanna a 6 mesi e 10 giorni di reclusione con la condizionale.

Condanna per assenteismo e produzione di documenti falsi
Nel 1996, con sentenza della Pretura di Venezia, è stato condannato a 6 mesi e 10 giorni di reclusione per il reato di falso e truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato, per produzione di documenti falsi[150] e assenteismo nel periodo 1989-1990, mentre era dipendente del Ministero dei Beni culturali, con la qualifica di funzionario ai Beni artistici e culturali del Veneto, e al tempo della sua partecipazione al Maurizio Costanzo Show. Condannato a pagare un indennizzo di 700.000 lire, il critico d’arte si giustificò affermando che la sua assenza dall’ufficio dipendeva dall’impegno per la redazione d’un catalogo d’arte, e parlando di “arbitrio, discrezionalità e follia” a proposito della sentenza.[151][152][153][154][155] All’inizio del 2016 Vittorio Sgarbi è stato riammesso in servizio nei ruoli della Soprintendenza di Venezia grazie al pronunciamento della sezione lavoro del Tribunale di Venezia (Presidente dottor Luigi Perina)[156].
Condanna per diffamazione aggravata contro Caselli e il pool di Milano
Il 14 agosto 1998, dopo il suicidio del magistrato Luigi Lombardini, in un’intervista a Il Giornale ne attribuisce la responsabilità alle “inchieste politiche di Caselli […] uomo di Violante”, in quanto “il suicidio di Lombardini ha evidenziato la natura esclusivamente politica dell’azione di Caselli e i suoi” che “impudentemente frugano nella sua tomba […] sul suo cadavere”; il 17 agosto 1998, ignorando i ringraziamenti dell’avvocato di Lombardini per la correttezza tenuta da Caselli nella conduzione dell’interrogatorio nonché il positivo pronunciamento del CSM in merito, ne chiede “l’immediato arresto” nonché la “sospensione dal servizio e dallo stipendio”. Alla successiva querela, l’intervistatore Renato Farina e il direttore Mario Cervi scelgono il patteggiamento, mentre Sgarbi la via del processo; a una delle udienze, tenute a Desio, «non si presenta in Tribunale, dicendo di essere a Bologna per un altro processo; il giudice telefona a Bologna e scopre che lì Sgarbi ha fatto lo stesso sostenendo di essere a Desio».[157] Per queste affermazioni nel 1998 verrà condannato dalla Cassazione per diffamazione aggravata sulle indagini del pool antimafia di Palermo, guidato da Gian Carlo Caselli, oltre a 1.000 € di multa.
Vi è chi, di fronte a questo pronunciamento, ha sostenuto che la condanna sarebbe occorsa per aver Sgarbi definito le indagini “politiche”,[158] esercitando il proprio diritto di critica[159] Questa ricostruzione è stata contestata da Marco Travaglio, per il quale “criticare significa affermare che un’inchiesta è infondata, una sentenza è sbagliata. Ma sostenere che un PM e l’intera sua Procura sono al servizio di un partito, agiscono per finalità politiche, usano la mafia contro lo stato, non è criticare: è attribuire una serie di reati gravissimi, i più gravi che possa commettere un magistrato”.[160]
Condanne civili per ingiurie contro Marco Travaglio
Il 1º maggio 2008, durante la puntata televisiva di AnnoZero,[161] Vittorio Sgarbi si rivolse al giornalista Marco Travaglio con insulti molto pesanti: “Siamo un grande paese con un pezzo di merda come te”. Il 10 dicembre 2009 il Tribunale Civile di Torino condanna Sgarbi a 30.000 € di risarcimento per ingiurie e al pagamento delle spese legali.[162] Il giudice ha anche stabilito la pubblicazione della sentenza su la Repubblica e La Stampa.[163]
Il 6 ottobre 2010 è stato nuovamente condannato al pagamento di 35.000 €, avendo rimarcato “Mi correggo. Travaglio non è un pezzo di merda. È una merda tutta intera”, sulle colonne del quotidiano online “La voce d’Italia” e due giorni dopo dagli studi di Domenica Cinque, il programma televisivo condotto da Barbara D’Urso.[164][165]
Condanna per diffamazione contro Roberto Reggi
Nel luglio 2009 Sgarbi è stato condannato per diffamazione: la sentenza è stata emessa dal tribunale di Monza.
Il critico d’arte infatti insultò Roberto Reggi, il sindaco di Piacenza, dai microfoni di Rtl 102.5; il pubblico ministero aveva chiesto 4 mesi, ma la pena è stata poi inasprita a 6 mesi. Tuttavia grazie all’indulto la pena è stata sostituita da un risarcimento, da versare nelle casse del comune piacentino.[166]
Condanna per diffamazione contro Raffaele Tito
Nonostante la sopraggiunta prescrizione che ha “cancellato” il reato di diffamazione, il 26 maggio 2010 Sgarbi è stato condannato dalla Corte d’Appello di Venezia al pagamento di 110.000 € come risarcimento al procuratore aggiunto di Udine ed ex pm di Pordenone, Raffaele Tito per averlo pesantemente diffamato, nel 1997, nel corso di alcune puntate di Sgarbi quotidiani andate in onda su Canale 5. L’ammontare del risarcimento è stato ridotto di un quarto rispetto a quello stabilito in primo grado, in quanto per una delle trasmissioni incriminate Sgarbi è stato dichiarato non punibile. L’intero iter giudiziario è durato ben 13 anni in quanto i legali di Sgarbi, dopo la condanna di primo grado a un anno e un mese di reclusione intervenuta nel 2001, avevano fatto ricorso alla Corte costituzionale rilevando l’insindacabilità delle sue affermazioni in quanto all’epoca il critico era parlamentare, ma la Consulta rispedì gli atti al Tribunale rigettando l’istanza e dando il via libera al processo.[167]
Condanna per ingiuria contro Gianfranco Amendola
Con sentenza del 15 settembre 2003 del Tribunale Civile di Roma, Sgarbi è stato condannato al pagamento a favore del magistrato Gianfranco Amendola di 30.000 euro più spese legali per le frasi ingiuriose pronunciate nel corso di una serata del Maurizio Costanzo Show nel 1993, quali, come da sentenza, “incapace, ignorante, bugiardo, maiale”. Dieci anni di causa di primo grado scandite da intervenute modifiche di legge e da una sentenza della Corte Costituzionale che annullò[168] la delibera di insindacabilità a favore di Sgarbi adottata dalla Camera dei Deputati. Sentenza confermata nel 2009 dalla Corte d’Appello di Roma con condanna a ulteriori spese legali, passata successivamente in giudicato. A oggi Sgarbi non risulta aver onorato la sentenza.
Condanna per diffamazione contro Ilda Boccassini (confermata in Cassazione)
Nel maggio 2011 la Corte di Cassazione con sentenza n. 10214, conferma la condanna al risarcimento per danni da diffamazione, a favore del pm milanese Ilda Boccassini, a carico di Sgarbi e del circuito televisivo di Mediaset. La Suprema Corte respinge il ricorso con il quale Sgarbi e Reti Televisive Italiane sostenevano la liceità di alcune espressioni usate nella trasmissione “Sgarbi quotidiani”, andata in onda il 16 febbraio 1999, durante la quale la Boccassini veniva criticata in relazione all’inchiesta sul capo dei gip della Capitale, Renato Squillante. Sgarbi e RTI sono stati condannati a rifondere in solido il pm Boccassini con 25.822 euro.[169][170]
Condanna civile per diffamazione contro il pool di Mani pulite (confermata in Cassazione)
Nel 2011, a seguito di una vertenza che durava dal 1994, Sgarbi si accordò a versare 60.000 euro a tre ex pm del pool di Mani pulite di Milano, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo e Francesco Greco, per poi rifarsi sui giornali che avevano pubblicato le dichiarazioni (Avvenire e il Giornale), peraltro pronunciate e ripetute nel programma tv “Sgarbi quotidiani”; la Cassazione ha invece addebitato nel 2015 al solo Sgarbi il risarcimento, obbligandolo a pagare tale somma ai tre diffamati. Sgarbi li aveva definiti “assassini”, in riferimento al suicidio in carcere di Gabriele Cagliari e quelli di altri indagati a piede libero, come Raul Gardini e Sergio Moroni.[171] Sgarbi disse in particolare:[172][173][174]
« Di Pietro, Colombo, Davigo e gli altri sono degli assassini che hanno fatto morire della gente. Vanno processati e arrestati. È giusto che se ne vadano, nessuno li rimpiangerà. Vadano in chiesa a pregare per tutta quella gente che hanno fatto morire: Moroni, Gardini, Cicogna, Cagliari. Hanno tutte queste croci sulla coscienza. Ringrazio Iddio che, con questo decreto [Decreto Biondi], eviteranno essi stessi l’arresto per tutti gli assassinii che hanno commesso. »

Non sono invece rientrati nel procedimento gli altri giudici: Borrelli, Di Pietro e il defunto D’Ambrosio.
Condanna per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale
In seguito a un episodio in cui Vittorio Sgarbi avrebbe insultato quattro Carabinieri e intimato al suo autista a non fermarsi di fronte al loro stop, presso Expo 2015 a Milano, il soggetto è stato condannato nel luglio 2016 a versare 11.000 euro di risarcimento, 1.000 all’Arma dei Carabinieri e 10.000 ai quattro carabinieri.[175]
Prescrizioni
Condanna per diffamazione contro Caselli e Orlando (prescritta in Cassazione)
Il 7 aprile 1995 ha letto a Sgarbi quotidiani una lettera sui “veri colpevoli” dell’assassinio di Don Pino Puglisi, non rilevandone le generalità essendo priva di firma, ma da lui attribuita a un sedicente amico del sacerdote assassinato; la missiva accusava come mandante il procuratore Caselli e, secondo quanto riportato da Marco Travaglio, come «killer Leoluca Orlando e Michele Santoro», intendendo quindi che tutti e tre erano i responsabili morali, avendone fatto “un sicuro bersaglio”;[176] la lettera riporta anche delle parole attribuite da essa a don Puglisi stesso:
« Fui più volte contattato da Caselli e dai suoi uomini […] pretendevano accuse, nomi, circostanze… volevano che denunciassi la mia gente e miei ragazzi… che rivelassi cose apprese in confessione […]. Caselli disprezza i siciliani, mi vuole obbligare a rinnegare i miei voti e la mia veste, pretende che mi prostituisca a lui. Più che nemico della mafia, è un nemico della Sicilia. Orlando è un mafioso vestito da gesuita […]. Caselli ha fatto di me consapevolmente un sicuro bersaglio. Avrà raggiunto il suo scopo quando un prete impegnato nel sociale verrà ucciso […]. Caselli, per aumentare il suo potere, ha avuto la sua vittima illustre. »

Caselli in vita sua non conobbe mai don Puglisi.[176]
Per queste dichiarazioni Sgarbi è stato condannato per diffamazione in primo e secondo grado.[131] Nel suo libro Un magistrato fuorilegge, Caselli ha affermato che la Cassazione ha in seguito dichiarato la prescrizione del reato,[131] ma Sgarbi, tramite il suo avvocato, ha contestato questa ricostruzione sostenendo che la Cassazione aveva invece annullato le precedenti sentenze rimandando quindi il tutto a un nuovo giudizio che non c’è mai stato per l’intervenuta prescrizione.[177]
Assoluzioni
Processo per diffamazione dei giudici Franco Battaglino e Paolo Gengarelli di Rimini
Commentando la richiesta, da parte dei due magistrati, di acquisire le cartelle cliniche del fondatore di San Patrignano Vincenzo Muccioli, Sgarbi aveva detto: “Nessuna pietà per questi giudici. Per salvaguardare la dignità di piccoli uomini dovevano insultare un uomo che sta morendo. Mentalità di uomini di paese che si comportano come vigili urbani…”.[178]
Procedimenti in corso
Procedimento per diffamazione contro Daniele Benati
Nel 2015 gli viene recapitato l’avviso di fine indagine per diffamazione nei confronti dello storico dell’arte Daniele Benati, presidente della sezione bolognese di Italia Nostra, nell’ambito della lite sulla mostra, Da Cimabue a Morandì, curata dal critico ferrarese.[179]
Condanna in sede civile per diffamazione contro Italo Tomassoni (primo grado)
Condannato a una multa di 20.000 euro e al risarcimento di 20.000 euro per aver accusato di incompetenza e plagio il critico d’arte Italo Tomassoni.[180]

Procedimento per resistenza a pubblico ufficiale
Nel 2015 Sgarbi ha avuto un diverbio con alcuni vigili per una contravvenzione stradale compiuta nell’area Expo a Milano. A seguito di questa lite, nella quale è stato riconosciuto colpevole di oltraggio a pubblico ufficiale, ha tentato di forzare col proprio autista il posto di blocco, costringendo un agente a indietreggiare. La richiesta di condanna del PM in primo grado è stata di 1 anno e 6 mesi.

 

Vedi:

 

Shhh…, non lo dite in giro… Chiesti 5 anni di carcere per l’ex capogruppo Pd in Emilia Romagna, ma i Media hanno deciso che è meglio che non lo sapete…

capogruppo Pd

 

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Shhh…, non lo dite in giro… Chiesti 5 anni di carcere per l’ex capogruppo Pd in Emilia Romagna, ma i Media hanno deciso che è meglio che non lo sapete…

Chiesti 5 anni di carcere per l’ex capogruppo Pd in Emilia Romagna, nel Silenzio dei Media

Il pm di Bologna Morena Plazzi chiede 5 ANNI DI CARCERE per l’ex capogruppo del PD in Regione Emilia-Romagna, Marco Monari, per il reato di Peculato. Ma non finisce qui per i cari PIDDINI dell’Emilia-Romagna, perché vengono richieste condanne anche per altri consiglieri regionali della terra rossa: due anni e sei mesi per Luciano Vecchi, due anni e tre mesi per Rita Moriconi, un anno e sei mesi per Thomas Casadei, Valdimiro Fiammenghi e Roberto Piva. Tombola!!!!

Vi ricordo che fra le spese folli fatte da questi signori con i soldi dei cittadini emiliano-romagnoli c’era pure un VIBRATORE e la PIPÌ di un consigliere del PD.

La notizia ovviamente è una bomba e meriterebbe le prime pagine dei giornali nazionali e le aperture dei tg, ma invece…NIENTE!

A livello nazionale è evidentemente molto più interessante sapere le altre cazzatine per far scagliare il popolo contro un falso nemico. A livello locale invece la notizia viene data, ma ovviamente in modo che non si disturbi il manovratore e che si faccia il minimo danno al partito di famiglia.

La notizia su Repubblica Bologna infatti merita solo il sesto titolo online. Buttata laggiù con un titolino innocuo e quasi invisibile. Ricordatevi invece il trattamento riservato da questo quotidiano a Marco Piazza per un’indagine su 4 firme VERE forse prese erroneamente a Roma (su 1431 firme prese in perfetta regola.)
Benvenuti a Bologna. Benvenuti in Emilia-Romagna.

tratto da: http://www.stopeuro.org/chiesti-5-anni-di-carcere-per-lex-capogruppo-pd-in-emilia-romagna-nel-silenzio-dei-media/

Chiesti 4 anni e 9 mesi per Emilio Fede. Ricattò Mediaset con falsi fotomontaggi – Ma che Vi aspettavate da uno che sulla sua pensione da 8200 euro al mese andava dicendo “trovo che sia UNA MISERIA” !!

Emilio Fede

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Chiesti 4 anni e 9 mesi per Emilio Fede. Ricattò Mediaset con falsi fotomontaggi – Ma che Vi aspettavate da uno che sulla sua pensione da 8200 euro al mese andava dicendo “trovo che sia UNA MISERIA” !!

 

Chiesti 4 anni e 9 mesi per Fede. Ricattò Mediaset con falsi fotomontaggi “hot”

La richiesta arriva nell’ambito del processo sui falsi fotomontaggi “hot” per ricattare i vertici di Mediaset e Silvio Berlusconi

Sono 4 anni e 9 mesi di carcere quelli richiesti dal pm Silvia Perucci per Emilio Fede, l’ex direttore del Tg4 sotto processo con l’accusa di estorsione e tentata estorsione. Secondo il pubblico ministero, infatti, l’ex giornalista Mediaset avrebbe fabbricato nel marzo del 2012 dei falsi fotomontaggi a luci rosse per ricattare i vertici di Mediaset che lo stavano licenziando.

In particolare, Fede avrebbe dato mandato a Gaetano Ferri (suo ex personal trainer) e ad altre due persone di assemblare i fotomontaggi che ritraevano il direttore dell’informazione di Mediaset, Mauro Crippa, così come il presidente dell’azienda, Fedele Confalonieri, in atteggiamenti equivoci.

Attraverso una serie di “pressioni e minacce”, il giornalista avrebbe indotto “Crippa, Confalonieri ma anche lo stesso Silvio Berlusconi” a fargli avere “un accordo più vantaggioso con una buonuscita di 820mila euro e un contratto di collaborazione di 3 anni” con l’azienda: queste, infatti, le accuse del pm durante la requisitoria davanti al giudice della sesta sezione penale Alberto Carboni.

A Crippa, nel dettaglio, Fede avrebbe inviato “messaggi intimidatori” che facevano riferimento a quei fotomontaggi. Uno degli sms, come ha spiegato il pm, recitava così: “Quella foto era pronta per essere consegnata e quindi ricattarti”. Il pm ha anche ricordato come Ferri, che ha scelto il rito abbreviato, sia stato già condannato anche in appello per il concorso nel ricatto portato avanti dal giornalista con una motivazione da parte della Corte che ha evidenziato il “perdurare di minacce e illecite pressioni sui vertici di Mediaset” per ottenere “l’accordo transattivo” più favorevole, poi firmato nel luglio del 2012.

Fede, oltre a “millantare di avere del materiale anche su Confalonieri”, avrebbe consegnato a Berlusconi una delle false foto che ritraevano Crippa. In quei mesi, tra il marzo e il luglio del 2012, l’ex Tg4 sarebbe riuscito a “inquinare le trattative” con “pressioni anche su Berlusconi”, testimoniate da alcune telefonate di Ferri al legale del cavaliere Niccolò Ghedini.

Lo stesso Fede, tra l’altro, ha spiegato il pm, “ci ha detto di aver portato quelle foto a Berlusconi e poi ha collegato il contratto di consulenza ottenuto con l’intervento diretto” dell’ex premier.

Non si tratta dell’unico procedimento giudiziario nel quale è imputato Fede, che infatti è a processo anche per concorso in bancarotta per un prestito ricevuto da Lele Mora e per il caso “Ruby bis”. Nell’ambito del medesimo processo collegato ai vertici Mediaset, invece, l’ex direttore è accusato pure di violenza privata, a causa di alcuni presunti sms minatori nei confronti di Ferri, il quale si sarebbe dissociato dal progetto di “estorcere a Berlusconi due milioni di euro per evitare la diffusione di foto compromettenti di Crippa”.

Oggi parlerà anche la difesa di Fede e potrebbe arrivare la sentenza.

tratto da: http://www.huffingtonpost.it/2017/05/09/chiesti-4-anni-e-9-mesi-per-fede-ricatto-mediaset-con-falsi-fo_a_22077240/

 

Ma che Vi aspettavate da uno che sulla sua pensione da 8200 euro al mese andava dicendo “trovo che sia UNA MISERIA” !!

Vi riproponiamo questo nostro articolo di due anni fa:

Vi avanza un Vaffanculo? Emilio Fede si lamenta della sua pensione da 8200 euro al mese “UNA MISERIA” !!

Nell’intervista rilasciata a  Radio Club 91, oltre a sbavare d’invidia per il successo dell’altro leccaculo, Bruno Vespa, Emilio Fede si lamenta per la sua pensione da 8200 euro al mese “UNA MISERIA”

Ma grandissimo idiota, la miseria è della gente che non arriva a fine mese, dei padri di famiglia che hanno perso il lavoro, dei pensionati che devono sopravvivere con 800 Euro al mese, non la tua !!

E allora ecco il nostro più sentito VAFFANCULO !!

 

Da “Radio Club 91”

 Emilio Fede attacca Vespa: “può fare solo il conduttore ma come giornalista non mi porta neppure le scarpe. Io sono stato il suo direttore. Oggi Vespa fa tutto: balla, suona, canta, cucina ma chi troppo in alto sale, cade sovente precipitevolissimevolmente. E’ il padrone della televisione e ambisce ad essere direttore generale o presidente della Rai e glielo daranno, ha tutto il mondo politico in mano. Pensate che a volte ci scambiavano ma Vespa ha trovato il modo, in tutti questi anni, di non invitarmi mai”.

Così Emilio Fede ai microfoni di Ettore Petraroli e Rosario Verde su Radio Club 91 nel programma “I Radioattivi”. Rivela inoltre che ha una pensione di 8200 euro al mese dopo 60 anni di attività e “trovo che sia una miseria. Sono giornalista professionista dal 1 gennaio 1955, sfido chiunque ad aver percorso una storia come la mia che va De Gasperi a Berlusconi e dopo aver scalato i monti africani“.

Su Napoli: “Mai ho amato una città più di Napoli e sono ricambiato. Se penso a Napoli, anche quando sono nella residenza storica di mia moglie dove vissero i De Deo, Croce e Togliatti (ma – precisa – non ci sono fantasmi), penso: “avvoltoio vola via che questa è la terra mia” come scrisse anche Calvino in un Canta Cronache con cui, tra l’altro chiudo il mio libro. Vado nei quartieri che mi ricordano la dignità”. E su De Luca? L’ho incrociato, mi ha guardato con sufficienza e in tutta onestà mai sono detto: chi se ne frega?”.

 Emilio Fede è in uscita con “L’Emilio” in libreria in contemporanea (ma “solo per caso” dice) ad ottobre con il racconto autobiografico di Silvio Berlusconi. Inoltre anticipa che in autunno torna con un programma ma non sa ancora su quale rete, “Ho avuto delle offerte ma c’è molta invidia”. Niente più Tg, quindi, per Fede che anzi dice: “arriva anche il momento in cui, come mi ha insegnato Baggio, occorre appendere le scarpe al chiodo. Potrei fare un buon settimanale”.

E parla anche di Berlusconi che “si è fidato troppo e qualcuno lo ha tradito come spesso succede”. Renzi invece: “ha qualcosa di Vespa, i nei, e dovrebbe darsi una regolata quando promette le cose”. mentre secondo il giornalista “Il problema eterno, il dramma vero è chi dopo Berlusconi? Perché nessuno può essere un quasi Berlusconi. Brosio?  “E’ cresciuto con me, l’ho inventato io”

Per non dimenticare – Lucia Aleotti, pupilla di Renzi, condannata a 10 anni e mezzo per frode fiscale. Ma i Tg hanno un ordine perentorio: parlare della Raggi, solo della Raggi, nient’altro che della Raggi !!

Lucia Aleotti

 

 

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Per non dimenticare – Lucia Aleotti, pupilla di Renzi, condannata a 10 anni e mezzo per frode fiscale. Ma i Tg hanno un ordine perentorio: parlare della Raggi, solo della Raggi, nient’altro che della Raggi !!

 

LUCIA ALEOTTI, CONDANNATA A 10 ANNI E MEZZO PER FRODE FISCALE

Godeva di tale e tanta considerazione da parte di Renzi, Lucia Aleotti, presidente della Menarini, da essere portata al capezzale della Merkel come esempio della migliore imprenditoria italiana!

Tra i prescelti della Leopolda, la Aleotti, oltre che della farmaceutica Menarini è titolare dell’1% del Monte dei Paschi.

Dieci anni e sei mesi per Lucia Aleotti per corruzione e riciclaggio, sette anni e sei mesi per il fratello Giovanni per riciclaggio, assolti gli altri imputati. Confiscati beni per un miliardo e 200 milioni.

FIRENZE – Condanne pesanti per i vertici della casa farmaceutica Menarini, guidata dai fratelli Aleotti. Dieci anni e sei mesi per la presidente Lucia Aleotti per i reati di riciclaggio e corruzione, sette anni e sei mesi per il fratello Giovanni, vicepresidente, accusato di riciclaggio. Cade invece l’accusa di evasione fiscale, tutti gli altri imputati assolti. Confiscati beni per un miliardo e 200 milioni. Si conclude così, con una pena più alta di quella richiesta dai pm Luca Turco ed Ettore Squillace Greco , il processo ai vertici della casa farmaceutica Menarini, dopo oltre due anni. Lucia e Alberto Giovanni sono i figli di Alberto Aleotti, patron della azienda farmaceutica, morto nel 2014. I fratelli Aleotti sono stati interdetti per sempre dai pubblici uffici e la sola Lucia Aleotti dall’intrattenere rapporti con la pubblica amministrazione per tre anni. Lucia Aleotti dovrà risarcire la presidenza del Consiglio dei ministri che si era costituita parte civile nei suoi confronti con 100.000 euro. Lo ha stabilito il tribunale di Firenze. Nessun risarcimento, invece, per tutte le altre parti civili tra cui varie Asl italiane e la Regione Toscana.

«Faremo ricorso»

«C’erano elementi seri per ritenere che i reati contestati non fossero sostenibili». Lo ha detto Sandro Traversi, difensore di Lucia e Giovanni Aleotti che ha annunciato ricorso in appello dopo la sentenza di condanna pronunciata dal tribunale di Firenze nei confronti dei vertici della Menarini.

Le accuse

Secondo gli inquirenti dal 1984 al 2010 Alberto Aleotti avrebbe usato società estere fittizie per l’acquisto dei principi attivi, con lo scopo di far aumentare il prezzo finale dei farmaci, grazie ad una serie di false fatturazioni truffando così il Sistema sanitario nazionale, che ha rimborsato medicinali con prezzi gonfiati. Il danno per lo Stato sarebbe stato di 860 milioni di euro.

Matteo Renzi ha visitato ieri la sede della Berlin Chemie, controllata del gruppo italiano Menarini, subito prima del bilaterale con la cancelliera tedesca Angela Merkel.

“Il presidente Renzi è venuto a trovarci in una giornata tra l’altro molto densa di impegni, e questo ci onora doppiamente. Ci è piaciuto soprattutto il messaggio lanciato, e cioè che l’industria italiana può essere un’industria di successo anche all’estero, nonostante il male che noi italiani tendiamo a volerci, denigrando le nostre capacità”, commenta all’Adnkronos Salute Lucia Aleotti, presidente del gruppo farmaceutico italiano Menarini, oggi a Roma a margine dell’assemblea Farmindustria 2015.

“Al di là della singola azienda – ha aggiunto Aleotti – è il settore farmaceutico che è trainante per l’economia italiana. La nostra industria sta facendo uscire l’Italia dalla crisi, è un’industria dall’alto valore aggiunto, che sta investendo moltissimo e che sta tornando ad assumere. E’ importante che questa spinta non sia modificata e il Governo ha capito questo valore. E’ importante che si remi in una direzione comune”. A Berlino, ha concluso, “produciamo soprattutto compresse, con 5 miliardi di pezzi usciti solo l’anno scorso dallo stabilimento verso tutto il mondo”.
fonte: http://www.adnkronos.com/salute/farmaceutica/2015/07/02/aleotti-renzi-visita-menarini-berlino-industria-italiana-successo-all-estero_SJFksmEJmsZwELVhIbyQgI.html?refresh_ce
TRATTO DA: INDIGNADOS ITALIA
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