Il giudice Di Matteo: “Le rivelazioni di Graviano su Berlusconi (da latitante lo vedevo spesso, cenavamo insieme, mi chiese una mano per scendere in campo)? Quando lo dicevo io mi diedero del fanatico”…!

 

 

 

 

Di Matteo.

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Il giudice Di Matteo: “Le rivelazioni di Graviano su Berlusconi (da latitante lo vedevo spesso, cenavamo insieme, mi chiese una mano per scendere in campo)? Quando lo dicevo io mi diedero del fanatico”…!

Parla l’ex pm del processo trattativa Stato-Mafia: “Ricostruiti rapporti stabili e duraturi tra Berlusconi e Cosa nostra. Sembra che in questo Paese certe cose non possano nemmeno essere ricordate”.

In merito alle nuove dichiarazioni di Giuseppe Graviano, il boss mafioso che ha deciso di parlare oggi dopo tanti anni di silenzio su Berlusconi, sono state così commentate dal consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura Antonino Di Matteo, ex pm del processo trattativa Stato-Mafia: “Non entro nel merito delle nuove dichiarazioni di Giuseppe Graviano. È certo, però, che anche nella sentenza definitiva di condanna del senatore Marcello Dell’Utri sono stati ricostruiti rapporti stabili e duraturi tra Berlusconi e Cosa nostra. Sembra che in questo Paese certe cose non possano nemmeno essere ricordate e che chi si ostina a farlo sia destinato, come è capitato a me ed ai miei colleghi, per queste indagini, ad essere additato come un visionario fanatico”.
Le intercettazioni tra Graviano e il boss Umberto Adinolfi furono depositate al processo sulla trattativa Stato-mafia. Secondo i pm che rappresentavano l’accusa del dibattimento ”le parole del boss di Brancaccio evocano un rapporto di natura paritaria con Berlusconi”. ”In quelle intercettazioni tutti i riferimenti portano a Berlusconi, una persona che aveva deciso di entrare in politica – avevano ribadito i pm in aula – Graviano dice che Berlusconi nel 1992 voleva scendere in politica tramite Dell’Utri, e poi ancora dice ‘ci vorrebbe una bella cosa’ e ‘mi ha chiesto sta cortesia’. Nel proseguo Graviano dice che a causa del suo arresto non hanno potuto definire gli accordi”.

tratto da: https://www.globalist.it/news/2020/02/07/il-giudice-di-matteo-le-rivelazioni-di-graviano-su-berlusconi-quando-lo-dicevo-io-mi-diedero-del-fanatico-2052685.html

Il boss mafioso Graviano su Berlusconi: “da latitante lo vedevo spesso, cenavamo insieme. Quando scese in campo mi chiese una mano”

 

Berlusconi

 

 

.

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Il boss mafioso Graviano su Berlusconi: “da latitante lo vedevo spesso, cenavamo insieme. Quando scese in campo mi chiese una mano”

Il boss Giuseppe Graviano, dopo un silenzio lungo vent’anni, ha raccontato i rapporti della sua famiglia con Silvio Berlusconi. Rapporti d’affari e di investimenti nel settore immobiliare: “Ci incontrammo più volte. Berlusconi sapeva che ero latitante. Regalò anche un appartamento a mio cugino, poi gli raccontò di voler scendere in campo in politica. Chiese una mano in Sicilia”.

Il boss Giuseppe Graviano, dopo un silenzio durato vent’anni, ha deciso di raccontare i rapporti della sua famiglia con Silvio Berlusconi nel processo “Ndrangheta stragista”: non solo avrebbe incontrato più volte il Cavaliere, ma la sua famiglia sarebbe stata in società con lui, frequentandolo da ben prima dell’entrata di Forza Italia nell’universi politico. “Mio nonno materno, Quartanaro Filippo, era una persona abbastanza ricca. Era un grande commerciante di ortofrutta. Venne invitato a investire soldi al nord, perché era in contatto con Silvio Berlusconi”, ha detto Graviano, come riporta Repubblica. “Mio nonno mi disse che era in società con queste persone, mi propose di partecipare pur specificando che mio padre non voleva. Io e mio cugino Salvo abbiamo chiesto un consiglio a Giuseppe e Michele Greco, che mi dissero che qualcuno doveva portare avanti questa situazione e abbiamo deciso di sì. E siamo partiti per Milano. Siamo andati dal signor Berlusconi, mio nonno era seguito da un avvocato di Palermo che era il signor Canzonieri”.

Il primo incontro, spiega Graviano, è avvenuto nel 1983. Si sono incontrati all’Hotel Quark: “C’erano Berlusconi, mio nonno e mio cugino Salvatore. Noi affiancavamo mio nonno perché era anziano e dovevamo essere pronti a prendere il suo posto. Siamo andati con questa situazione, di tanto arrivavano un po’ di soldi e mio cugino non li divideva, ma li reinvestiva”. Dall’anno seguente Graviano è latitante. Nel 1993 un nuovo incontro: ” Si era arrivati alla conclusione che si dovesse regolarizzare la situazione e far emergere il nome dei finanziatori. Ci siamo incontrati con Berlusconi, con lui c’erano altre persone che non mi sono state presentate. Berlusconi sapeva che ero latitante. Stavo ad Omegna, ma Milano mi serviva per gli incontri e la frequentavo, senza usare particolari precauzioni. Andavo a fare shopping in via Montenapoleone, andavo al cinema e a teatro”.

Lo scopo dell’incontro era quello di far emergere i finanziatori nella società immobiliare di Berlusconi a cui partecipava il nonno di Graviano: “I loro nomi apparivano solo su una scrittura privata che ha in mano mio cugino”. Al quale Berlusconi avrebbe anche regalato un appartamento, continua a raccontare Graviano. Proprio in quell’occasione, nell’incontro del 1993, Berlusconi avrebbe informato i suoi soci in affari delle sue ambizioni politiche: “Lo dice a mio cugino Salvo, a cui chiede una mano in Sicilia”. Poi Graviano accusa il Cavaliere: “Berlusconi fu un traditore, perché quando si parlò della riforma del Codice penale e si parlava di abolizione dell’ergastolo mi hanno detto che lui chiese di non inserire gli imputati coinvolti nelle stragi mafiose”. E ancora: “Un avvocato di Forza Italia mi disse che stavano cambiando il Codice penale e che doveva darmi brutte notizie. Perché in Parlamento avevano avuto indicazioni da Berlusconi di non inserire quelli coinvolti nelle stragi. Lì ho avuto la conferma che era finito tutto. Mio cugino Salvo era morto nel frattempo per un tumore al cervello. E nella riforma del Codice penale non saremmo stati inseriti tra i destinatari dell’abolizione dell’ergastolo”.

Ghedini smentisce la ricostruzione: “Priva di fondamento”
“Le dichiarazioni rese quest’oggi da Giuseppe Graviano sono totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonchè palesemente diffamatorie”. A dirlo è Niccolò Ghedini, legale di Silvio Berlusconi, replicando a quanto dichiarato dal boss Graviano.

“Si osservi – sottolinea Ghedini – che Graviano nega ogni sua responsabilità pur a fronte di molteplici sentenze passate in giudicato che lo hanno condannato a plurimi ergastoli per gravissimi delitti. Dopo 26 anni ininterrotti di carcerazione, improvvisamente il signor Graviano rende dichiarazioni chiaramente finalizzate ad ottenere benefici processuali o carcerari inventando incontri, cifre ed episodi inverosimili ed inveritieri. Si comprende, fra l’altro, perfettamente l’astio profondo nei confronti del presidente Berlusconi per tutte le leggi promulgate dai suoi governi proprio contro la mafia.Ovviamente saranno esperite tutte le azioni del caso avanti l’autorità giudiziaria”.

tratto da: https://www.fanpage.it/politica/il-boss-graviano-sui-rapporti-con-berlusconi-lo-vidi-piu-volte-da-latitante-cenavamo-insieme/
https://www.fanpage.it/

Claudio Scajola condannato non si dimette anzi, pensa alle regionali – Piercamillo Davigo ha proprio ragione: “I politici non hanno smesso di delinquere, hanno solo smesso di vergognarsi”

 

Claudio Scajola

 

.

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Claudio Scajola condannato non si dimette anzi, pensa alle regionali – Piercamillo Davigo ha proprio ragione: “I politici non hanno smesso di delinquere, hanno solo smesso di vergognarsi”

Fresco di condanna a due anni di reclusione per aver favorito la latitanza di Amedeo Matacena, ex deputato di Forza Italia condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, Claudio Scajola potrebbe dare un segnale di buon senso, lasciando la pubblica amministrazione che presiede nel comune di Imperia dove è stato eletto sindaco nel 2018 nella totale noncuranza – da parte degli elettori – del carico giudiziario pendente su di lui; una serie di prescrizioni accumulate ed il processo in corso che oggi, lo vede condannato in primo grado. Processo a cui si recava, stando all’indagine della Guardia di Finanza – nucleo mobile di Imperia – a spese dei cittadini e per questo, il tre volte sindaco, eletto con oltre il 52% dei voti, è accusato anche di peculato d’uso. A pochi giorni dal suo insediamento, si è distinto per una operazione che ha motivato con la salvaguardia del bilancio; ha messo in vendita le azioni dell’Autostrada dei Fiori S.p.A. Operazione che ha fruttato molto più di quanto si stimasse – quasi 4 milioni di euro – e che è stata definita dall’allora neo sindaco, una scelta nata da ”un patto di onore”, un accordo di tipo verbale.

Alla domanda di una consigliera del M5S, posta nel Question time “Quale forma giuridica abbia assunto tale accordo verbale” il sindaco risponde “Un patto d’onore per me è più valido di qualsiasi scritto notarile, così è sempre stato nella mia vita e lo è stato anche in questo caso…

Ci sono in ballo quasi 4 milioni di euro, da una parte una amministrazione comunale e dall’altra, uno dei più grossi gruppi nel panorama delle autostrade italiane ma, ci si accorda verbalmente. Il successo dell’operazione, sarebbe ascrivibile in buona parte agli appuntamenti con le prime due aste di vendita indette; andate praticamente deserte. Alla terza poi, il comune era autorizzato per legge, a procedere verso una trattativa privata. Una operazione che non si presenta in acque limpide; a parte le aste deserte, il comune da l’incarico di verificare la congruità dell’operazione finanziaria al commercialista designato da Scajola stesso, proprio in quei giorni, al ruolo di assessore al bilancio. Imperia, città governata da Scajola, viene indicata come la “sesta provincia calabrese”, “in considerazione della capillare presenza di esponenti di spicco della ‘ndrangheta, ampiamente documentata dalle diverse attività d’indagine concluse negli ultimi anni”.
Peculiarità riportata, “infiltrazione del tessuto politico-amministrativo locale e dell’economia”. Avviare pratiche dove la trasparenza lascia a desiderare, non è il miglior modo per inaugurare la propria governance. I cittadini non ravvisano nulla di male in tutto questo?

Torniamo alla condanna in primo grado; Scajola, contrariamente a quanto auspicato, non dimostra alcuna intenzione di dimettersi anzi, dice che è certo di ribaltare la sentenza in appello – altra garanzia verbale by Scajola – e si dice pronto a correre per le regionali. Una lancia in suo favore però va spezzata; abbiamo forse visto le piazze di Imperia occupate da cittadini indignati che invocano dimissioni? Per queste persone, concorrere alla latitanza di un condannato per mafia, non è grave con ogni evidenza. Anzi, di due condannati visto che il pm Giuseppe Lombardo, ha parlato chiaramente di come alla vicenda Matacena, si sia sovrapposta anche la vicenda di Marcello Dell’Utri. Anche l’ex fondatore di Forza Italia infatti, nel periodo della latitanza in Libano, avrebbe goduto del soccorso di Scajola e sarà proprio questo forse, il punto di partenza per un nuovo filone di inchiesta che dalla Calabria, giungerà nel centro del potere romano dove tutti gli imputati in questione, hanno intrecciato reti solidissime. E’ bene sottolineare che la fiducia di Scajola nel processo d’appello potrebbe avere solide e fondate speranze; la posizione di una parte di magistratura continua ad apparire ambigua, e non solo perché pochi giorni fa, proprio in Calabria, 5 condannati per mafia sono tornati in libertà grazie alla “dimenticanza” di un giudice che non ha depositato le motivazioni della sentenza di condanna in un importante processo alla ‘ndrangheta. La rete di Matacena e degli altri imputati nel processo Breakfast, affonda le radici proprio in rapporti di dare avere con alcuni magistrati e questo continua ad essere un argomento spinoso. Confidiamo che il CSM fresco di innovative nomine, vigili in modo diverso rispetto al passato.

Due chicche tratte da queste questa vicenda; per quanto riguarda il deputato Matacena, Forza Italia dichiara di non averlo più ricandidato in seguito alla condanna riportata in primo grado – concorso esterno – voi capite che nonostante la drammaticità, le risate sorgono spontanee. Berlusconi altro che condanne in primo grado ha riportato fino ad oggi eppure, lo hanno accomodato – complice gli elettori italiani – al Parlamento Europeo. Sempre restando sul Duce di Forza Italia, reduce da una sconcertante vittoria in Calabria che non prelude nulla di buono, ha già dato il via alla manipolazione della sentenza: “Scajola ha solo aiutato un amico latitante in difficoltà come chiesto dalla moglie”. Chi di noi non ne aiuta uno quando capita?

Nel frattempo, si incontrano per stabilire le prossime alleanze in vista delle regionali del 2020. Un ricordo molto amaro delle parole di Francesco Saverio Borrelli “la giustizia vive in buona parte dell’ossigeno che proviene dalla collaborazione dei cittadini”. Attenderemo invano questo ossigeno?

Tratto dathemisemetis.com

Vedi:

Ricordiamo le parole di Piercamillo Davigo: “I politici non hanno smesso di rubare, hanno solo smesso di vergognarsi”

 

Ottobre 2019 – Report: “I follower della Meloni sono anomali e spammano fake news” – Sigfrido Ranucci poi sfida la Meloni: se abbiamo detto il falso ci quereli – Per la cronaca: stiamo ancora aspettando la querela …Forse Report ha detto il vero?

 

Report

 

.

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Ottobre 2019 – Report: “I follower della Meloni sono anomali e spammano fake news” – Sigfrido Ranucci poi sfida la Meloni: se abbiamo detto il falso ci quereli – Per la cronaca: stiamo ancora aspettando la querela …Forse Report ha detto il vero?

Nella puntata del 28 ottobre Report aveva dedicato un servizio all’uso dei social fatto dai politici.

Nel caso di Fratelli d’Italia, emergevano oltre 237 mila account che seguono la leader romana, gli stessi che seguivano l’account di Trash italiano (blog che crea e condivide gif e meme dedicati al mondo dello spettacolo). Molti di questi seguivano la musicista Francesca Michelin che, a sua volta, aveva il 34% degli utenti in comune con la Meloni. La maggior parte di questi account, secondo gli autori del servizio, erano da considerare come “anomali”, se si prende per buona la definizione della comunità degli analisti per profili senza foto e con meno di 10 follower su Twitter.

E ancora, la maggior parte follower della Meloni usa applicazioni come Twitter per Android o per web, ma molti usano programmi tipici dei Bot.

Si evidenziava inoltre come molti account che seguono la leader politica sarebbero soliti condividere informazioni da siti famosi per la loro predisposizione verso le fake news.

Giorgia Meloni non l’ha presa bene e si è scagliata ferocemente contro il programma, definendolo senza troppi giri di parole “non degno del servizio pubblico”.

Sigfrido Ranucci non si è scoraggiato ed  ha invitato la Meloni a denunciare in tribunale quello che lei ritiene essere falso in modo da fare chiarezza sulla vicenda.

“Se Meloni continua a pensare che abbiamo detto il falso ci denunci in un tribunale”, scrive in un tweet l’account Report verso la fine del servizio, concludendo così: “Perché un’inchiesta giornalistica deve essere valutata per la verità, non se è ruvida al potere politico”.

La Meloni, in verità, ha tentato di driblare la sfida di Ranuccci con un Twitter memorabile:

Caro Ranucci, se denuncio e Report perde, i danni li pagate tu e Report, o li paga mamma RAI coi soldi dei contribuenti? Raccontalo agli italiani.

Incassando così l’ennesima figura di merda, come sottolineato dalla risposta su Twitter di Report:

Gentile on. Meloni, la Rai copre le spese legali del dipendente querelato, ma in caso di sentenza di condanna definitiva con risarcimento danni ha l’obbligo di rivalersi sul dipendente. Inoltre c’è la responsabilità penale che è individuale.

Quindi, ricapitoliamo: doppia figura di merda con implicita ammissione (per la mancata querela) che i propri follower sono anomali e spammano fake news…

E vai…

By Eles

La versione di Sankara

 

Sankara

 

 

.

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

La versione di Sankara

È stato un pioniere nella lotta per i diritti delle donne, per l’ambiente e contro la povertà e le ingiustizie sociali. Presidente rivoluzionario del Burkina Faso dal 1983 al 1987, in prima linea contro il neocolonialismo, Thomas Sankara ci offre insegnamenti ancora attualissimi per «inventare il futuro» della sinistra

Non si può effettuare un cambiamento fondamentale senza una certa dose di follia. In questo caso si tratta di non conformità: il coraggio di voltare le spalle alle vecchie formule, il coraggio di inventare il futuro. Ci sono voluti i folli di ieri per permetterci di agire con estrema lucidità oggi. Voglio essere uno di quei folli. Dobbiamo avere il coraggio di inventare il futuro». In questo brano di un’intervista realizzata nel 1985 che potremmo considerare la sua epigrafe, Thomas Sankara, leader rivoluzionario di sinistra che rinominò l’Alto Volta in Burkina Faso, ben sintetizzò il cuore della propria eredità storica e intellettuale. Presidente del Paese africano dall’83 all’87, politico in prima linea contro la povertà, militare difensore della pace e dei diritti umani, chitarrista in gioventù, la «follia» di cui parlò nell’intervista, naturalmente, non è da intendersi nell’accezione patologica del termine. Indica piuttosto il rifiuto di una certa razionalità. Quella, spietata, del pensiero neocolonialista (e neoliberista) che nega l’uguaglianza degli esseri umani ma subordina coloro i quali vivono nel Terzo mondo, legittimando il furto dei loro beni materiali e, in definitiva, della loro possibilità di realizzarsi. In questo senso, il termine “follia” indica un ostinato ed appassionato impegno nel pensare fuori dagli schemi imperialisti e violenti, le «vecchie formule», per rimettere le persone e la loro uguaglianza al centro della politica. Un insegnamento straordinariamente attuale. Al pari – come vedremo – di molti altri che hanno costellato la sua particolare esperienza rivoluzionaria. Uno dei gesti più significativi di capitan Sankara nel modificare l’immaginario dei cittadini, per tagliare definitivamente i ponti col passato coloniale, fu il cambiare nome al Paese in «Burkina Faso», ossia «Terra degli uomini integri». Modificò pure bandiera ed inno nazionale. Volle ricreare un Stato autonomo e libero dalle ingerenze predatorie straniere.

Nelle sue celebri orazioni alle Nazioni unite sono sferzanti le critiche alle forze dominatrici occidentali, e non solo. Memorabile è il suo faccia a faccia col presidente Mitterrand, accolto in modo ben poco “diplomatico” nella ex colonia francese nel 1986, con un discorso che denunciava la compiacenza di Parigi verso il regime dell’apartheid in Sudafrica. Ma Sankara ebbe a condannare anche l’invasione sovietica in Afghanistan. Perché il suo era un socialismo non dogmatico e non allineato. Quando prese il potere con un colpo di Stato, subito si impegnò a migliorare le condizioni di vita del popolo burkinabé. Per lui quella era la vera rivoluzione. Diede il via ad un avveniristico programma di riforme puntando su diritti delle donne, istruzione, sanità, lotta alla povertà, ambiente, taglio degli enormi privilegi della classe dirigente. Priorità che dovrebbero segnare la rotta pure per la sinistra di oggi, e non solo quella africana. Certo, la sua sfida era titanica. Per descrivere le condizioni in cui versava l’Alto Volta basta citare alcuni dati, come fece Sankara stesso all’Onu nel 1984: «Un Paese di sette milioni di abitanti, più di sei milioni dei quali sono contadini; un tasso di mortalità infantile stimato al 180 per mille; un’aspettativa di vita media di soli 40 anni; un tasso di analfabetismo del 98%, se definiamo alfabetizzato colui che sa leggere, scrivere e parlare una lingua; un medico ogni 50mila abitanti; un tasso di frequenza scolastica del 16%». E poi, l’enorme zavorra del debito internazionale, che egli voleva cancellare con una..

fonte: https://left.it/2020/01/02/la-versione-di-sankara/