Caos in Sicilia: neo-assessore si dimette per protestare contro il ritorno degli stipendi d’oro voluto dal centrodestra – PERCHÉ I TG NON NE PARLANO?

 

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Caos in Sicilia: neo-assessore si dimette per protestare contro il ritorno degli stipendi d’oro voluto dal centrodestra – PERCHÉ I TG NON NE PARLANO?

 

Caos in Sicilia: il neo-assessore si dimette per protestare contro il ritorno degli stipendi d’oro

In segno di protesta contro la decisione del presidente dell’Ars, Gianfranco Micciché, di cancellare il tetto agli stipendi dei dipendenti di Palazzo dei Normanni posto a 240mila euro, il neo-assessore Figuccia ha deciso di dimettersi: “Gli accadimenti politici, consumatisi nelle ultime ventiquattro ore, che ledono la dignità dei cittadini siciliani”.

Appena nominato assessore regionale della giunta Musumeci, Vincenzo Figuccia ha deciso di dimettersi, in polemica con il presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gianfranco Micciché. A provocare la polemica che ha portato alle dimissioni di Figuccia è stato l’annunciato ripristino degli stipendi d’oro voluto proprio da Micciché. “Oggi più che mai sento di essere un uomo libero e da tale condizione continuo a portare avanti le mie idee, rimanendo fedele al mandato degli elettori che mi hanno votato per tutelare la posizione dei cittadini, di chi soffre, di chi vive una condizione di difficoltà economica e di chi è lontano dai palazzi dorati”, ha dichiarato Figuccia spiegando le motivazioni che l’hanno portato a dare le dimissioni.

“La mia maggioranza è la gente che ha creduto in un’azione di cambiamento e di discontinuità. Ci sono tante aspettative verso questo governo, che sono certo non verranno disattese, ma non posso non tenere conto degli accadimenti politici, consumatisi nelle ultime ventiquattro ore, che ledono la dignità dei cittadini siciliani, consegnano un’immagine inopportuna e distorta e che rendono impossibile la prosecuzione del mandato di assessore all’energia e ai servizi di pubblica utilità, conferitomi dal presidente Musumeci”, ha concluso Figuccia.

L’elezione di Micciché a presidente dell’Ars ha provocato non poche polemiche, soprattutto a causa del sostegno di alcuni deputati regionali del Partito Democratico. Subito dopo l’elezione, a far detonare lo scontro in regione è stato poi l’annuncio relativo alla cancellazione dell’attuale tetto agli stipendi, posto a 240mila euro annui: “Il primo gennaio sarà tolto il tetto a 240 mila euro per i dipendenti di Palazzo dei Normanni, lo dice la legge e anche la Corte costituzionale ha detto che non si possono tenere questi tetti per sempre. Se il Senato li rimetterà, allora vedremo anche noi di adeguarci. Ma in caso contrario no. E poi il marxismo è finito da tempo, non possono guadagnare tutti allo stesso modo e con il tetto a 240 mila euro sta andando a finire che qualche commesso arriva a guadagnare poco di meno del segretario generale ma questo è impensabile”.

tratto da: https://www.fanpage.it/caos-in-sicilia-il-neo-assessore-si-dimette-per-protestare-contro-il-ritorno-degli-stipendi-d-oro/

 

 

I primi fantastici risultati della vittoria del centrodestra in Sicilia: Stop al tetto da 240mila euro per i dirigenti, tornano gli stipendi d’oro…

 

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I primi fantastici risultati della vittoria del centrodestra in Sicilia: Stop al tetto da 240mila euro per i dirigenti, tornano gli stipendi d’oro…

 

Sicilia, la restaurazione di Miccichè: “Stop al tetto da 240mila euro per i dirigenti”. E all’Ars tornano gli stipendi d’oro

Il politico di Forza Italia è stato chiaro: dall’uno gennaio assegni da 400mila euro all’anno per segretari generali, dirigenti e grand commis torneranno a gonfiare il bilancio annuale (con incremento di oltre il 30 percento della spesa per il personale). Ma non solo: “C’è bisogno di nuovi innesti”, dice sempre il presidente del consiglio regionale dell’isola. E si giustifica così: “Secondo voi un giocatore come Dybala, potrebbe mai giocare come gioca se avesse un tetto e guadagnasse quanto un giocatore di serie B?”

Dieci milioni di euro, forse qualcosa di più. Praticamente il trenta percento della spesa del personale: un regalo di Natale non indifferente. Anzi, di capodanno. C’è una data segnata in rosso sulle agende dei dipendenti dell’Assemblea regionale siciliana: 1 gennaio 2018. Quel giorno scadrà uno dei pochi accordi di buon senso siglati dentro Palazzo dei Normanni: potevano i dipendenti del Parlamento più antico d’Europa avere stipendi da calciatori di serie A? Potevano i lavoratori del consiglio regionale più a statuto speciale d’Italia incassare paghe che neanche i colleghi del Senato? Potevano i gran commis di stanza nel palazzo di Federico II vivere di agi che neanche ai tempi dello stesso Stupor Mundi? No, non potevano. O almeno: non potevano farlo più.

L’allora presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, fedele appassionato di spending review, aveva dunque varato lo storico accordo per inserire un tetto agli stipendi dei dirigenti. Non certo livelli da fame, ma un sobrio salary cup da 240mila euro l’anno, pari a ventimila euro lordi al mese: cifra abbastanza lontana dall’indigenza. Quanto poteva durare, però, un’idea di buon senso dentro le dorate mura del Palazzo reale? Il minimo sindacale: tre anni. E infatti ecco che Gianfranco Micciché, da una settimana eletto sulla poltrona più alta di Palazzo dei Normanni, ha dato l’annuncio: quel tetto agli stipendi va stracciato. “L’accordo sui tettida 240mila euro ai dirigenti scade a fine mese, per cui dal primo gennaio si applicano le vecchie tabelle. Anche perché si trattava di una solidarietà una tantum e in base a un pronunciamento della Consulta non si poteva neppure fare. Comunque, se il Senato dovesse intervenire poi si vedrà…”, ha rilanciato nel giorno in cui Palazzo dei Normanni ha eletto tutti i deputati del consiglio di presidenza.

Il riferimento al Senato è d’obbligo visto che il trattamento economico di consiglieri regionali – pardon onorevoli – e dipendenti della specialissima Sicilia è uniformato a quello di Palazzo Madama. Ecco, il concetto della specialità è molto caro a Micciché. Che per giustificare la sua posizione lancia l’immancabile paragone calcistico: “Secondo voi un giocatore come Dybala, potrebbe mai giocare come gioca se avesse un tetto al suo stipendio e guadagnasse quanto un giocatore di serie B? Non credo affatto. Pensare di essere tornati al sistema marxista dove tutti sono uguali, credo che la storia abbia già bocciato questo sistema”.

Traduzione: dall’uno gennaio l’Ars tornerà ad essere l’Eldoradodegli stipendi d’oro.  Assegni da 400mila euro all’anno per segretari generali, dirigenti e grand commis che torneranno a gonfiare il bilancio annuale di Palazzo dei Normanni. Il ritorno alle vecchie tabelle, infatti, porterebbe un incremento di oltre il 30 percento della spesa per il personale: sono circa 10 milioni di euro, pari appunto ai soldi risparmiati del 2014. Tutto questo mentre nel frattempo sono esplose le spese per le pensioni. Il motivo? Una  leggina piccola piccola, che l’Ars varò nel 2005, quando il governatore era Salvatore Cuffaro. All’epoca, nessuno sospettava che l’allora presidente, poi condannato per favoreggiamento alla mafia, avesse una naturale pulsione per accudire i poveri del Burundi, come poi farà dopo la scarcerazione. Sarà per questo che quella norma minuscola approvata dal Parlamento siciliano individuava nell’ultimo stipendio percepito la base pensionabile dei dipendenti di Palazzo dei Normanni. Cosa hanno fatto i dirigenti con stipendio superiore a 240mila euro alla vigilia dell’accordo sul salary cup del 2014? Ma ovviamente sono fuggiti in pensione strappando il più alto assegno di quiescenzapossibile. Gli effetti sui bilanci dell’Ars? Otto milioni all’anno, pari al 119,16% di aumento della spesa per le pensioni.

Il bello è che anche su questo passaggio il nuovo presidente dell’Ars – che ha già ricoperto il medesimo incarico tra il 2006 e il 2008 – intende intervenire. Secondo lui, infatti, il pensionamento di una serie di dirigenti per sfuggire al salary cup ha “impoverito” l’Ars. “Pur avendo professionalità importanti, l’attuale gruppo dirigente dell’Assemblea siciliana non ha l’esperienza giusta: con l’introduzione dei tetti agli stipendi il Palazzo ha perso molto. C’è bisogno di nuovi innesti“, dice l’esponente di Forza Italia. E dunque quale è la soluzione: fare nuove assunzioni? Forse. Per il momento, infatti, il vicerè vuole provare a puntare su chi c’è già. “Sono andati via 15 dirigenti , ne sono rimasti due o tre: ripartiremo da loro che sono rimasti sopportando i tagli. Hanno dato una dimostrazione di amore“. Un amore che dal primo gennaio sarà lautamente ricompensato.

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/12/21/sicilia-la-restaurazione-di-micciche-stop-al-tetto-da-240mila-euro-per-i-dirigenti-e-allars-tornano-gli-stipendi-doro/4051787/

Ecco il “Tetto agli stipendi” della casta – Così quel povero Cristo del barbiere della Camera prenderà “solo” 99 mila euro… Ma sono idioti loro o pensano che lo siamo noi…?

 

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Ecco il “Tetto agli stipendi” della casta – Così quel povero Cristo del barbiere della Camera prenderà “solo” 99 mila euro… Ma sono idioti loro o pensano che lo siamo noi…?

 

Tetti agli stipendi, così il barbiere della Camera prenderà “solo” 99 mila euro

 

ROMA – E alla fine arriva il giorno dei tetti ai maxi-stipendi dei dipendenti della Camera e del Senato.

Tutti gli altri dipendenti statali sono già sottoposti al vincolo dei 240 mila euro lordi annui massimi dal primo di aprile. Oggi, alle 11, a distanza di quasi sei mesi dal decreto in vigore per gli statali ”normali” e dopo una lunga fase di tira e molla, coordinamenti faticosi, mezze trattative e qualche contestazione di cattivo gusto nei corridoi della Camera, anche Montecitorio e Palazzo Madama si adegueranno sia pure con molte cautele e tanta, tanta gradualità.

I presidenti delle due Camere Pietro Grasso (Senato) e Laura Boldrini (Camera) hanno deciso di porre fine alla fase di confronto con i 21 sindacati dei circa 2.200 dipendenti delle Camere e hanno dato mandato alle vicepresidenti Valeria Fedeli (Senato) e Marina Sereni (Camera), che presiedono gli organismi di governo del personale, e che in tutti questi mesi hanno superato mille ostacoli, di procedere senza indugio.

LA MANOVRA

Oddio, senza indugio è una parola grossa. Si perché se da una parte la manovra che partirà domani è una roba obiettivamente epocale per strutture un po’ arrugginite come le due Camere, dall’altra balza subito agli occhi una prima enorme ingiustizia: mentre il capo della Polizia oppure il direttore delle Entrate (che fino al 2011 guadagnavano oltre 600 mila euro annui) si sono visti ridurre di punto in bianco le loro buste paghe, per i dipendenti delle camere si procederà con i guanti gialli: gli stipendi diminuiranno gradualmente per toccare il tetto solo nel 2018.

QUATTRO ANNI

Inoltre lo stesso tetto – per gli stipendi più alti delle Camere – di fatto sarà superiore ai 240 mila euro poiché nel calcolo non sono compresi i contributi e alcune indennità. Traduzione: lo stipendio del Segretario Generale della Camera scenderà, si, dagli stratosferici 480 mila euro circa attuali, ma non abbatterà il muro della rispettabilissima somma di 360 mila euro lordi. E non prima del 2018. Si tratta di 120 mila euro in più di quanto lo Stato italiano riconosce al Presidente della Repubblica.

Se la gradualità e l’entità stessa dei tagli suscitano perplessità, sarebbe tuttavia ingeneroso non riconoscere al Senato e alla Camera il tentativo di intervenire a fondo e sul serio sulla massa dei maxi-stipendi ormai fuori da ogni parametro. Ma soprattutto va riconosciuto che l’intera operazione si svolge in uno scenario che vede, per la prima volta, le due Camere lavorare all’unificazione delle due strutture burocratiche. Un’operazione complessa che – se dovesse diventare realtà assieme alla riforma del Senato – porterebbe a notevoli risparmi.

LA CASCATA

La forza della manovra sta nel fatto che non saranno tagliati solo gli stipendi più alti ma, a cascata, circa un migliaio complessivamente (565 solo alla Camera). La proposta di Camera e Senato infatti propone ben sei tetti per ognuna della principali ”categorie” dei dipendenti delle due strutture. I lavoratori che già superano queste soglie scenderanno gradualmente al loro livello. Chi oggi guadagna di meno non potrà superarli in futuro.

Quali sono questi tetti? Questo è il bello: le cifre restano da sogno per la stragrande maggioranza degli italiani. Per gli assistenti e gli operatori tecnici (cioè i lavoratori che hanno compiti importanti ma relativamente semplici) il tetto massimo sarà di 99 mila euro lordi rispetto ai 136.000 previsti oggi dopo 40 anni di contribuzione. A questa ”categoria” appartengono anche i barbieri della Camera che, dunque, vanno a rimetterci ben 37 mila euro.

I CONTI

Per i collaboratori tecnici si prevede un tetto di 106.000 euro contro gli attuali 152.000. I segretari scendono da quota 156.000 a 115.000 euro. Le retribuzione dei documentaristi (in sostanza dei quadri) non potrà superare i 166.000 euro mentre oggi possono arrivare a 238.000 euro. Infine i consiglieri parlamentari, la professionalità a più alto valore aggiunto, non potranno sforare quota 240.000 contro gli attuali 358.000.

Va sottolineato che la sforbiciata è studiata con accuratezza e non sarà uguale per tutti i super-stipendi. Per quanto possa suscitare ironia ed amarezza, viste le stellari cifre in gioco, il complesso meccanismo dei tagli in sostanza prevede che chi guadagna di più, sia pure gradualmente, perderà soldi più velocemente di chi guadagna di meno.

Complessivamente, sommando i risparmi di ognuno dei quattro anni della manovra, Camera e Senato dovrebbero andare a risparmiare un centinaio di milioni. Una somma notevole perché per la prima volta entrambe le strutture hanno ridotto le loro richieste al Tesoro per alcune decine di milioni e ogni euro risparmiato è benvenuto.

E i 21 sindacati? Si rivolgeranno alla magistratura. Per loro l’attacco alle retribuzioni in atto è semplicemente illegittimo e pensano che il giudice del lavoro porrà fine ad ogni gioco. Sarà. Ma con un Pil negativo per il terzo anno consecutivo è proprio così assurdo chiedere qualche sacrificio ai superpagati barbieri di Montecitorio?

 

fonte: http://www.ilmessaggero.it/pay/edicola/tetti_stipendi_camera_tagli_barbiere-614605.html

89 anni, 534 euro di pensione, gli pignorano casa perchè non ha salda rette del fratello morto di cancro… In casa gli trovano solo un pezzo di pane e due pomodori… Ora spiegatemi perché cazzo dovrei aver pietà per il sig. Giorgio Napolitano (professione: ex Presidente della Repubblica) che i suoi privilegi, tipo 880.000 Euro l’anno solo di pensione, non li molla!!

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89 anni, 534 euro di pensione, gli pignorano casa perchè non ha salda rette del fratello morto di cancro… In casa gli trovano solo un pezzo di pane e due pomodori… Ora spiegatemi perché cazzo dovrei aver pietà per il sig. Giorgio Napolitano (professione: ex Presidente della Repubblica) che i suoi privilegi, tipo 880.000 Euro l’anno solo di pensione, non li molla!!

A 89 anni gli pignorano la casa ma trovano solo pane e due pomodori

Leggiamo (e ci incazziamo) da Il Mattino di Padova del 07.03.2017: Ottantanove anni, 534 euro di pensione, un capolavoro di dignità, eppure la casa di cura gli chiede di pagare le rette (circa 8 mila euro) per la lunga degenza del fratello morto di cancro. Sembra un incubo, invece per un nonno dell’Arcella è l’amara realtà. Qualche giorno fa all’uscio dell’anziano hanno bussato l’ufficiale giudiziario e la polizia per un pignoramento. Dentro hanno trovato un uomo al limite della povertà che, in cucina, aveva un tozzo di pane e due pomodori e, nell’angolo soggiorno, nemmeno la tv perché costa canone ed elettricità che non può permettersi. Tutto comincia alcuni anni fa quando l’anziano acconsente a fare da garante al fratello, titolare di una piccola ditta: il ricco di casa, quello che “ha fatto i soldi”. Invece la sventura è sempre dietro l’angolo, tanto che il fratello “fortunato” si ammala di tumore, il male raggiunge uno stadio irreversibile e, nel frattempo, l’azienda, quel piccolo gioiello d’affari, accumula difficoltà su difficoltà. È a questo punto che l’imprenditore pensa di chiedere aiuto a suo fratello: «le cose vanno proprio male», gli dice, «fammi da garante per la casa di cura, vedrai che poi tutto si sistema». Invece non si sistema proprio nulla. Anzi. Avanza uno strapiombo fatto di sofferenza – per la malattia – e di sconfitte – la chemio non funziona, la ditta finisce in rovina con lo spettro del fallimento che diventa realtà – e un epilogo ancora più doloroso: la morte. È così che questo nonno alla sogna dei 90 anni archivia il funerale di suo fratello e torna alla sua vita di ristrettezze e privazioni. E, pur consapevole delle condizioni economiche di quel “garante”, continua con i suoi legali una battaglia tra aule di tribunale che si conclude con questo assurdo (e del tutto vano) pignoramento di un povero, che ha scandalizzato perfino gli agenti della polizia. (e.sci.)

…Non so a Voi, ma a me tutta questa pietà per il sig. Napolitano proprio non viene… Non gli auguto la morte… Ma proprio non riesco a biasimare chi lo fa, magari proprio il vecchietto dei due pomodori…

by Eles

Da Il Fatto Quotidiano:

Napolitano, pensione dorata: chauffeur, maggiordomo. E ufficio da 100 mq

Nonostante i tagli annunciati nel 2007, per i presidenti emeriti della Repubblica rimane una lunga lista di benefit: una segreteria di almeno una decina di persone, un assistente “alla persona”, una serie di linee telefoniche dedicate. Ridurre i privilegi? Il suo ufficio stampa: “Ha avuto impegni tali da non consentirgli di deliberare sulla materia”

Avrà di che consolarsi con il trattamento straordinario che lo aspetta: segreteria, guardarobiere, scorta. Con le dimissioni e l’uscita anticipata dal Quirinale, Giorgio Napolitano perderà la suprema carica, con un annuncio in arrivo probabilmente il 14 gennaio, ma non certo i servizi e i confort che hanno scandito la sua vita quirinalizia. Per lui, come da regolamenti in vigore, non si lesineranno mezzi e benefit, a cominciare dai telefoni satellitari, i collegamenti televisivi e telematici, lo staff nutritissimo e persino l’«addetto alla persona», sì, avete capito bene, proprio l’assistente-inserviente che alla corte inglese di Buckingam Palace più prosaicamente definirebbero “maggiordomo”. Insomma, un trattamento da vero monarca repubblicano al quale è riservato pure il diritto ad utilizzare un’auto con autista, privilegio che spetta anche alle vedove o ai primogeniti degli ex presidenti. Davvero niente male. E se ne era accorto lo stesso Napolitano che, nel 2007, tra le polemiche per le spese quirinalizie e le rivelazioni dei giornali sul trattamento degli ex annunciò tagli solenni. Ma, come Ilfattoquotidiano.it ha potuto verificare, quelle sforbiciate non sono mai arrivate e anche lui potrà dunque tranquillamente continuare a godere di sorprendenti agi e privilegi tra le compassate stanze di Palazzo Madama.

BENTORNATO, PRESIDENTE – Lasciato il Quirinale, Napolitano assumerà infatti le vesti di senatore a vita, carica che ha già ricoperto per pochi mesi dal 23 settembre 2005, quando fu nominato dal suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi, fino alla sua elezione al Colle il 15 maggio 2006. Al Senato, dove insieme allo stesso Ciampi formerà la gloriosa coppia degli ex capi di Stato, Napolitano si sistemerà in una location diversa da quella che lo aveva ospitato per poco più di sette mesi prima di trasferirsi al Quirinale. Il suo vecchio ufficio, infatti, è stato nel frattempo assegnato ad un altro senatore a vita: quel Mario Monti da lui stesso nominato poco tempo prima di diventare presidente del Consiglio. Così, per Napolitano si sono dovuti tirare a lucido gli oltre cento metri quadrati degli uffici di Palazzo Giustiniani con vista su San Ivo a suo tempo occupati da un altro ex illustre inquilino del Colle, il defunto Oscar Luigi Scalfaro.

BENEFIT A VITA – Un “buen retiro” dorato che, allo stipendio dovuto ai comuni senatori eletti, circa 15mila euro mensili netti, tra indennità, rimborsi e ammennicoli vari, sommerà anche una lunga serie di benefit a carico del bilancio della presidenza della Repubblica. Documenti alla mano, si scopre infatti che in forza di un vecchio decreto del 1998 a ciascun presidente emerito spetta innanzitutto il diritto ad utilizzare un dipendente della carriera di concetto o esecutiva del segretariato generale del Quirinale con funzioni di segretario distaccato nel suo nuovo staff. Altri due dipendenti del Colle possono invece essere trasferiti presso la sua abitazione privata romana di via dei Serpenti, con mansioni l’uno di guardarobiere e l’altro di addetto alla persona. Poi ci sono le cosidette “risorse strumentali”: un telefono cellulare o satellitare, un fax e un’altra connessione urbana ultraprotetta, una linea dedicata per il collegamento con il centralino del Quirinale, un’altra per quello con la batteria del Viminale e un allacciamento diretto con gli uffici dei servizi di sicurezza del ministero degli Interni, predisposti in duplicato presso lo studio e l’appartamento privato dell’ex presidente; quindi, collegamenti telematici (anche in questo caso doppi), consultazione delle agenzie di stampa e banche dati, oltre a connessioni televisive a bassa frequenza per la trasmissione dei lavori di Camera e Senato; per ultima, non poteva mancare, ecco l’auto con telefono e chauffeur riservata, vai a capire perché, pure alla vedova o al primogenito dell’ex capo di Stato. E non è finita.

PAGA IL SENATO – Una volta traslocato dal colle del Quirinale agli uffici del Senato, a Napolitano, come a tutti i presidenti emeriti della Repubblica, spettano altre cospicue dotazioni. Ci sono quelle della presidenza del Consiglio, mobilitata per l’utilizzo di treni, navi e aerei; ma ci sono soprattutto le altre poste a carico di Palazzo Madama. Si tratta di una munitissima segreteria composta da una decina di unità: un capo ufficio, tre funzionari, due addetti ai lavori esecutivi, altri due a quelle ausiliari e, a scelta, addirittura un consigliere diplomatico o militare. Una pletora di persone alla quale obbligatoriamente si aggiungono gli agenti di pubblica sicurezza e i carabinieri addetti alla scorta e alle postazioni previste presso le abitazioni private del presidente. A conti fatti, una trentina di persone che forniranno i loro servizi nell’arco delle 24 ore. Non spetta, invece, agli ex inquilini del Colle alcuna liquidazione, assimilabile al Tfr dei comuni lavoratori o all’assegno previsto per i parlamentari non rieletti. Interpellato dal ilFattoquotidiano.it, l’ufficio stampa del Quirinale spiega che «al momento della cessazione dell’incarico di presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano non riceverà alcuna indennità di fine mandato». L’attuale capo dello Stato, aggiungono dal Colle, «ha maturato 38 anni di contributi ma non ha mai beneficiato né beneficerà del vitalizio previsto per gli ex parlamentari in quanto incompatibile dapprima con l’assegno percepito in qualità di eurodeputato (Napolitano lo è stato dal 1999 al 2004, ndr), poi con quello di presidente della Repubblica e, infine, anche con quello di senatore a vita, carica che tornerà a rivestire una volta lasciato il Quirinale».

CHI SPENDING DI PIU’ – Quanto ai tagli ai privilegi degli ex capi di Stato annunciati qualche anno fa, i comunicatori del Colle spiegano a ilfattoquotidiano.it che «il mandato di Napolitano è stato finora caratterizzato da impegni tali da non consentirgli di deliberare sulla materia, ma qualora dovesse decidere di farlo prima della cessazione del suo incarico non intende fare della sua determinazione oggetto di campagna promozionale». Anche per ragioni di opportunità rispetto all’operato dei suoi predecessori. E, in ogni caso, «non è detto che, una volta esaurito il mandato, Napolitano si avvarrà indiscriminatamente delle prerogative previste per gli ex presidenti della Repubblica».
Insomma, prerogative rinunciabili ma solo se l’avente diritto vorrà.

fonte: http://blogdieles2.altervista.org/il-sig-giorgio-napolitano-professione-ex-presidente-della-repubblica-non-molla-i-suoi-privilegi-880-000-euro-lanno-solo-di-pensione/