Oggi, il 19 gennaio di 80 anni fa, nasceva Paolo Borsellino – Lo ricordiamo con la sua ultima, toccante, intervista rilasciata poco dopo la strage di Capaci e poco prima dell’autobomba di via D’ Amelio: “Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano…”

 

Paolo Borsellino

 

 

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Oggi, il 19 gennaio di 80 anni fa, nasceva Paolo Borsellino – Lo ricordiamo con la sua ultima, toccante, intervista rilasciata poco dopo la strage di Capaci e poco prima dell’autobomba di via D’ Amelio:  “Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano…”

Paolo Borsellino nasceva a Palermo il 19 gennaio 1940

Il 20 giugno 1992, trenta giorni dopo la strage di Capaci, e circa un mese prima dell’ autobomba di via D’ Amelio, Lamberto Sposini realizzò quella che sarebbe rimasta l’ ultima intervista televisiva al giudice Paolo Borsellino.

Dalla loro storica amicizia iniziata da bambini quando vivevano a pochi metri di distanza a Palermo con Giovanni Falcone, ai primi anni di scuola, la stessa ma in classi differenti poiché Falcone era più grande di un anno.

Sicuramente singolare il passaggio dove ricorda il periodo nell’estate 1985 dove, per ragioni di sicurezza,  furono trasferiti nella foresteria del carcere dell’Asinara per scrivere l’ordinanza-sentenza di 8000 pagine che rinviava a giudizio 476 indagati in base alle indagini del pool.
Per tale periodo, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria italiana richiese poi ai due magistrati un rimborso spese e il pagamento del vitto e alloggio per il soggiorno trascorso.

Si percepisce in più punti il dispiace che provava per le conseguenze indirette che il suo lavoro porta alla sua famiglia.

Alla fine condivide una storica frase: “Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano”

Trattativa Stato-mafia, le agghiaccianti dichiarazioni del Pm Di Matteo: “Berlusconi anche da premier continuò a pagare Cosa Nostra”

 

Di Matteo

 

 

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Trattativa Stato-mafia, le agghiaccianti dichiarazioni del Pm Di Matteo: “Berlusconi anche da premier continuò a pagare Cosa Nostra”

 

“Si ritiene da parte dei giudici che Silvio Berlusconi continuò a pagare ingenti somme di denaro a Cosa Nostra palermitana anche dopo essere diventato Presidente del Consiglio”.

A dichiararlo è stato il sostituto procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo, che ha istruito il processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, presentando il suo libro ‘Il patto sporco’ scritto con il giornalista Saverio Lodato, in un’intervista realizzata da Paolo Borrometi per il Tg2000, il telegiornale di Tv2000.

“Risultano annotati in un libro mastro della mafia palermitana – ha raccontato – movimenti di denaro e ricezione di una somma montante a centinaia di milioni da parte del gruppo imprenditoriale legato a Berlusconi anche dopo che Silvio Berlusconi aveva assunto la carica di Presidente del Consiglio. Un Presidente del Consiglio, se questo è vero, il capo di un governo della nostra Repubblica pagava Cosa Nostra”.

“Nonostante un gravissimo silenzio e una gravissima ignoranza indotta nell’opinione pubblica, sull’argomento – ha spiegato lo storico magistrato del pool – noi magistrati avevamo già una sentenza che aveva condannato definitivamente il senatore Dell’ Utri per concorso in associazione mafiosa. Questa stabiliva e statuiva che l’allora imprenditore Silvio Berlusconi nel 1974 con l’intermediazione di Marcello Dell’ Utri avesse stipulato un patto con esponenti apicali, esponenti di vertice della Cosa Nostra palermitana. Patto di reciproca protezione e sostegno. E che quel patto era stato rispettato dal 1974 almeno fino al 1992”.

“Ma questa sentenza di primo grado sulla trattativa Stato-mafia – ha sottolineato Di Matteo – va oltre. È stato dimostrato che l’intermediazione di Dell’Utri è proseguita attraverso la trasmissione di messaggi e richieste di Cosa Nostra a Silvio Berlusconi anche dopo il 1992. Soprattutto dopo che Silvio Berlusconi a seguito delle elezioni del marzo 1994 divenne Presidente del Consiglio. Quindi per la prima volta questa sentenza chiama in ballo Silvio Berlusconi non più come semplice imprenditore ma come uomo politico addirittura come Presidente del Consiglio. Questo è un passaggio che pochi hanno sottolineato che può essere incidentale ma è assolutamente indicativo della gravità del comportamento di Silvio Berlusconi che i giudici ritengono accertato, è un passaggio apparentemente slegato all’ imputazione mossa a Dell’Utri in questo processo ma molto significativo”.

 

 

fonte: https://www.silenziefalsita.it/2018/09/28/stato-mafia-di-matteo-berlusconi-anche-da-premier-continuo-a-pagare-cosa-nostra/

Trattativa Stato-mafia, condanne pesanti. Altri 12 anni al co-fondatore di Forza Italia Dell’Utri- Ma ora i Pm puntano a Berlusconi (Sì, proprio quello che Mattarella ha ricevuto al Quirinale per parlare del futuro del Paese)…!

 

Trattativa

 

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Trattativa Stato-mafia, condanne pesanti. Altri 12 anni al co-fondatore di Forza Italia Dell’Utri- Ma ora i Pm puntano a Berlusconi (Sì, proprio quello che Mattarella ha ricevuto al Quirinale per parlare del futuro del Paese)…!

 

Trattativa Stato-mafia, condanne pesanti. E ora i pm puntano a Berlusconi.

Assolto l’ex-ministro dc dell’Interno, Mancino “perché il fatto non sussiste”, condannati tutti gli altri imputati nel processo per la trattativa Stato-mafia: mafiosi, come Leoluca Bagarella, il cognato di Totò Riina e Antonino Cinà, politici come l’ex-senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, e uomini dei carabinieri come i generali del Ros, Antonio Subranni e Mario Mori e l’ex-colonnello Giuseppe De Donno. Ma condanna, pesante, anche per il supertestimone del processo, Massimo Ciancimino, figlio dell’ex-sindaco mafioso di Palermo, Vito. Prescritte le accuse nei confronti del pentito Giovanni Brusca. E’ clamorosa e inattesa la sentenza con la quale, al termine di un procedimento durato 5 anni e 6 mesi, la Corte d’Assise di Palermo ha condannato in primo grado nell’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo 8 dei 9 imputati a pene variabili fra gli 8 e i 28 anni di carcere. Ma non è finita qui. Perché i pm ora puntano direttamente a Silvio Berlusconi. Non il Berlusconi imprenditore che hanno già cercato di processare, ma il Berlusconi politico. Lo dice a chiare lettere il pm Nino Di Matteo, candidato come ministro della Giustizia dall’M5S.

«E’ una sentenza inaspettata sicuramente e peraltro in controtendenza con le assoluzioni che ci sono state per il senatore Mannino e il generale Mori  – annota il legale di Marcello Dell’Utri, Giuseppe Di Peri – C’è un periodo nel quale Dell’Utri è stato assolto, che sembrerebbe quello precedente al governo Berlusconi, e un altro in cui ha riportato una condanna estremamente pesante a 12 anni. Sono state accolte le richieste della Procura. E’ una sentenza che porremo nel nulla nel momento in cui formuleremo l’impugnazione».

La pena più pesante è toccata al boss Leoluca Bagarellacognato di Totò Riina: 28 anni di carcere con l’accusa di minaccia a corpo politico dello Stato. Lo stesso reato contestato a tutti gli altri, escluso l’ex-democristiano Nicola Mancino che è andato assolto dall’accusa di falsa testimonianza e schiva, così, la condanna a 6 anni di carcere richiesta, invece, a gran voce dalla pubblica accusa.

Una condanna a 12 anni unisce i generali ed ex-capi del Ros, Mario Mori e Antonio Subranni, l’ex-senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, e il boss Antonino Cinà. L’ex-ufficiale dei Ros, Giuseppe De Donno, viene riconosciuto colpevole per le stesse imputazioni di minaccia a corpo politico dello Stato, e condannato ad 8 anni. Una pena identica a quella che la Corte d’Assise del processo trattativa Stato-mafia ha ritenuto di irrogare a Massimo Ciancimino, assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e condannato per calunnia dell’ex capo-della polizia Gianni De Gennaro ma, soprattutto, supertestimonedell’accusa nel processo trattativa Stato-mafia. Ed è qui che ben si comprende il cortocircuito e l’impianto ideologico di una vicenda che ha dell’irreale e che basa perlopiù proprio sulle dichiarazioni di uno, come Ciancimino, condannato, due volte, per calunnia, una volta per porto e detenzione di esplosivi e un’altra volta per riciclaggio dei soldi della mafia.

I giudici del processo trattativa Stato-mafia erano entrati in Camera di consiglio alle 10.30 di lunedì scorso per decidere la sorte dei nove imputati, in realtà dieci con il boss Totò Riina, morto lo scorso novembre.
Al termine della requisitoria i pm Nino Di MatteoFrancesco Del BeneRoberto Tartaglia e Vittorio Teresi avevano chiesto condanne alte ma, in qualche caso, come per Ciancimino, avevano cercato di “preservare” la “verginità” del supertestimone: per lui erano stati costretti dagli eventi a chiedere una condanna ma, comunque, a 5 anni. Tre di meno, come si è visto, di quelli che gli ha rifilato, invece, la Corte d’Assise. E non ci si può non chiedere, ora, come possa reggersi in piedi una vicenda come questa dove il principale supertestimone è considerato un calunniatore seriale e i suoi fantasiosi racconti sono alla base del castello accusatorio. Sarà interessante, da questo punto di vista, leggere le motivazioni.

I pm del processo trattativa Stato-mafia avevano sollecitato 15 anni per l’ex-generale Mario Mori, 12 anni per l’ex-generale Antonio Subranni e l’ex-colonnello Giuseppe De Donno, e altrettanti anche per Marcello Dell’Utri tutti accusati di minaccia a corpo politico dello Stato.
Per l’ex-ministro dell’Interno Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza dopo la sua deposizione al precedente processo Mori, la Procura ha chiesto una condanna a 6 anni. E ora, inevitabilmente, con la sua assoluzione di oggi, si pone non solo il problema dell’attendibilità di Ciancimino, che accusava apertamente Mancino, ma, anche, la ricostruzione di una serie di episodi, fra cui un colloquio con l’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli sui Ros, i retroscena dell’avvicendamento al ministero fra lo stesso Mancino e il suo compagno di partito Vincenzo Scotti e anche un colloquio fra l’ex-titolare del Viminale e Paolo Borsellino.
Con l’assoluzione di oggi di Mancino nel processo trattativa Stato-mafia diventa ancor più difficile far incastrare perfettamente tutte le tessere di un puzzle che non è mai andato veramente a posto ad iniziare, proprio, dalle presunte rivelazioni di Ciancimino considerato, da moltissime Procure italiane, totalmente inattendibile. E posto dai magistrati palermitani alla base del castello accusatorio.

«Aspettiamo di leggere le motivazioni però è chiaro che 12 anni di condanna la dicono lunga sulla decisione della Corte – reagisce alla sentenza l’avvocato Basilio Milio, legale dell’ex-generale dei carabinieri Mario Mori – C’è però in me un barlume di contentezza, in un mare di sconforto. Sono contento perché so che la verità è dalla nostra parte. E’ un giorno di speranza. Possiamo sperare che in appello ci sarà un giudizio perché questo è stato un pregiudizio».
«Questo processo è stato caratterizzato dalla mancata ammissione di tante prove da noi presentate. La prova del nove? Non sono stati ammessi – fa notare l’avvocato Milio – oltre 200 documenti alla difesa e venti testimoni, tra i quali magistrati come la dottoressa Boccassini, il dottor Di Pietro e il dottor Ayala. E’ stata una sentenza dura che non sta né in cielo né in terra perché questi sono stati già smentiti da quattro sentenze definitive».

Cosa succederà ora? Cosa sta preparando la Procura di Palermo? Lo fa capire in maniera piuttosto esplicita il pm Nino Di Matteo che si lamenta di essere stato accusato di essere politicizzato e di seguire finalità eversive: «Prima si era messa in correlazione Cosa nostra con il Silvio Berlusconi imprenditore, adesso questa sentenza per la prima volta la mette in correlazione col Berlusconi politico. Le minacce subite attraverso Dell’Utri non risulta che il governo Berlusconi le abbia mai denunciate e Dell’Utri ha veicolato tutto. I rapporti di Cosa nostra con Berlusconi vanno dunque oltre il ’92. Ci sono spunti per proseguire le indagini su quella stagione…».

tratto da: http://www.secoloditalia.it/2018/04/trattativa-stato-mafia-assolto-mancino-condannati-tutti-gli-altri-imputati/

Dell’Utri resta in carcere e la moglie urla: bisogna vergognarsi di essere italiani… Ma vergognarsi di essere mafiosi proprio NO, vero?

 

Dell'Utri

 

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Dell’Utri resta in carcere e la moglie urla: bisogna vergognarsi di essere italiani… Ma vergognarsi di essere mafiosi proprio NO, vero?

Sono proprio senza vergogna…

Leggiamo su Il Giornale:

Il dolore della moglie di Dell’Utri: “Vergognarsi di essere italiani”

Lo sfogo di Miranda Ratti: “Quando c’è un accanimento nel negare il diritto alla salute non c’è niente da fare ma è una vergogna”

“C’è da vergognarsi ad essere italiani”: sono parole pesanti come macigni quelle pronunciate da Miranda Ratti, moglie di Marcello Dell’Utri, all’indomani della sentenza che nega la scarcerazione del marito, da tempo malato.

Parlando ai microfoni di TgCom 24, la moglie dell’ex senatore di Forza Italia confessa tutta la propria amarezza per una decisione che la lascia a un tempo stupita e addolorata: “Se viene negato il diritto alla salute bisogna vergognarsi di essere italiani. Ci stupiamo di Turchia e Venezuela, ma evidentemente non sappiano guardare in casa nostra”.

Una staffilata ai giudici che hanno ritenuto che Dell’Utri non potesse lasciare il carcere nonostante un tumore e una cardiopatia. La signora Ratti parla di un “accanimento contro cui non c’è nulla da fare”, senza riuscire a capacitarsi di come sia stata la respinta di trasferire il marito “in una struttura adeguata, polifunzionale e ben strutturata” per curarlo.

“Sembra inutile dire – aggiunge la moglie di Dell’Utri – che nella magistratura non ho nessuna fiducia perché anche quest’ultima istanza dimostra un accanimento, e contro l’accanimento, se uno è prevenuto, non c’è nulla da fare. È una sentenza assurda che va a nuocere non solo alla salute di mio marito e alla nostra famiglia, ma allo Stato di diritto, perché i principi della Costituzione non vengono assolutamente rispettati”.

Il Giornale

Io, fossi in loro, mi vergognerei più ad essere mafiosi!

Vi consigliamo di leggere:

Trattativa, i Pm: “Nel ’94 Cosa Nostra appoggiò Forza Italia. Tra la mafia, Dell’Utri e Berlusconi rapporto paritario” …Ma ora non fatevi distrarre: Di Maio ha sbagliato un altro congiuntivo!

 Per non dimenticare – Il pentito di mafia Spatuzza: “Incontrai il boss Graviano, era felice come se avesse vinto al Superenalotto, mi fece il nome di Berlusconi. Aggiunse che in mezzo c’era anche il compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani”…!

Berlusconi contro i Cinquestelle: “Noi abbiamo un passato di cui essere fieri” – Sì, è vero, e si chiama MAFIA…!

Trattativa, i Pm: “Nel ’94 Cosa Nostra appoggiò Forza Italia. Tra la mafia, Dell’Utri e Berlusconi rapporto paritario” …Ma ora non fatevi distrarre: Di Maio ha sbagliato un altro congiuntivo!

 

Berlusconi

 

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Trattativa, i Pm: “Nel ’94 Cosa Nostra appoggiò Forza Italia. Tra la mafia, Dell’Utri e Berlusconi rapporto paritario” …Ma ora non fatevi distrarre: Di Maio ha sbagliato un altro congiuntivo!

 

Trattativa, i pm: “Nel ’94 Cosa nostra appoggiò Forza Italia. Tra la mafia, Dell’Utri e Berlusconi rapporto paritario”

All’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, la pubblica accusa è arrivata al punto clou della requisitoria del processo sul patto segreto tra pezzi delle Istituzioni e boss mafiosi: la fine dell’escalation di terrore che ha sconvolto l’Italia tra il 1992 e il 1993. E quindi la nascita della Seconda Repubblica. “Nel 1993 l’ex senatore è reso disponibile a veicolare il messaggio intimidatorio dei mafiosi, cioè fermare le bombe in cambio di norme per l’attenuazione del regime carcerario. Ciò è avvenuto quando si è insediato il primo governo di centrodestra”

Il rapporto tra Marcello Dell’UtriSilvio Berlusconi e Cosa nostra, definito dalla corte di cassazione come “paritario“. La nascita di Sicilia Libera e l’intenzione dei boss di entrare direttamente in politica. Il cambio di cavallo dei padrini che puntano tutto sulla neonata Forza Italia. E quindi il patto siglato dai boss alla fine del 1993 con l’ex senatore: le stragi si interrompono, tra Stato mafia torna la pace. È un punto di svolta quello ripercorso nell’udienza numero 209 del processo sulla Trattativa tra pezzi delle Istituzioni e Cosa nostra. All’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, la pubblica accusa è arrivata al punto clou della requisitoria: la fine dell’escalation di terrore che ha sconvolto l’Italia tra il 1992 e il 1993. E quindi la nascita della Seconda Repubblica.

Un passaggio avvenuto per un motivo particolare. Quale? “Alla fine del 1993 Marcello Dell’Utri si è reso disponibile a veicolare il messaggio intimidatorio per conto di Cosa nostra, cioè fermare le bombe in cambio di norme per l’attenuazione del regime carcerario. Ciò è avvenuto quando un nuovo governo si era appena formato, nel marzo del 1994, con la nomina di Silvio Berlusconialla carica di presidente del consiglio”, ha detto il pm Francesco Del Bene, che rappresenta la pubblica accusa insieme a Nino Di MatteoRoberto Tartaglia e Vittorio Teresi.  Per i pm Dell’Utri – imputato per minaccia a corpo politico dello Stato insieme agli altre sei persone (per Nicola Mancino l’accusa è di falsa testimonianza, per Massimo Ciancimino concorso esterno a Cosa nostra) “aveva un potere ricattatorio su Berlusconi per effetto dei rapporti pregressi“.

Gli anni ’70 e lo stalliere, i soldi della droga – Quali rapporti? Per delinearli i pm partono da lontano. E citano la sentenza definitiva che ha condannato Dell’Utri a sette anni di carcere per concorso esterno. “I giudici hanno scritto – ha detto Del Bene citando le motivazioni del verdetto – che fin dagli anni Settanta Marcello Dell’Utri intratteneva un rapporto paritariocon esponenti di Cosa nostra”. Contatti che per i pm “sono proseguiti anche dopo la scomparsa dei boss Mimmo Teresi e Stefano Bontate, suoi iniziali interlocutori, uccisi dai corleonesi di Totò Riina”. Nella requisitoria ha dunque fatto la sua comparsa Vittorio Mangano, il boss di Porta Nuova assunto da Berlusconi e Dell’Utri come stalliere nella villa di Arcore nel 1974. “La presenza di Vittorio Mangano ad Arcore, mafioso del mandamento di Porta Nuova, per il tramite di Dell’Utri, rappresenta la convergenza di interessi tra Berlusconi e Cosa nostra”, dicono i pm, che durante una delle udienze del processo hanno ascoltato anche la deposizione del pentito Gaetano Grado. “Negli anni Settanta – aveva detto il collaboratore di giustizia l’11 giugno del 2015 – portava fiumi di miliardi da Palermo a Milano. Erano soldi del traffico di droga di Cosa nostra che Mangano consegnava a Dell’Utri, poi Dell’Utri li consegnava a Berlusconi che li investiva nelle sue società, mi pare anche per Milano due. La mafia ha bisogno di investire. Siccome i soldi della droga erano talmente tanti che non si sapeva più quanti fossero, Mangano esportava fiumi di denaro su a Milano”.

L’intimidazione: gli attentati alla Standa- Il sostituto procuratore ha poi ricordato gli attentati alla Standa di Catania, che all’epoca era di proprietà di Silvio Berlusconi. Secondo l’accusa gli attentati intimidatori sarebbero cessati solo dopo un accordo tra Cosa nostra e Berlusconi, “attraverso l’intermediazione di Dell’Utri”. Già in una delle scorse udienze, il pm Roberto Tartaglia aveva spiegato. “I boss puntarono all’intimidazione, per poi raggiungere il patto”, disse il magistrato riferendosi proprio gli attentati alla Standa: “Il pentito Malvagna ci ha raccontato che scese un alto dirigente Fininvest per risolvere la questione”. Chi era quell’alto dirigente? “Era Dell’Utri”, ha detto un altro pentito, Maurizio Avola, riferendo di un incontro tra l’ex senatore e il capomafia Nitto Santapaola.

Il rapporto paritario e i Graviano- “La Cassazione  ci dice che tra Cosa nostra e Berlusconi e Dell’Utri il rapporto era paritario. Dell’Utri era un nuovo autorevole interlocutore del dialogo con Cosa nostra”,  ha continuato il magistrato che poi ha citato le dichiarazioni del pentito Tullio Cannella. “Gli agganci potenti con esponenti politici – aveva detto il collaboratore di giustizia – li avevano i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss del mandamento di Brancaccio a Palermo. Erano loro che si occupavano di politica per risolvere e i problemi di Cosa nostra, come la legislazione sui collaboratori di giustizia”. Dichiarazioni che i pm collegano a quelle di Gaspare Spatuzza sulle confidenze ricevute nell’autunno del 1993 da Giuseppe Graviano: “C’è in piedi una situazione che, se andrà a buon fine, ci permetterà di avere tutti i benefici, anche per il carcere”. “Il collaboratore Cannella ha riferito anche che 15 giorni prima della scadenza per la presentazione delle liste elettorali per le politiche del 1994 – ha aggiuntoDel Bene – si rivolse a Leoluca Bagarella per avere la possibilità di inserire un candidato del suo movimento Sicilia Libera nel Polo delle Libertà. Bagarella gli disse che lo avrebbe messo in grado contattare un soggetto per l’inserimento di un candidato per il Pdl. La persona che avrebbe incontrato era Vittorio Mangano“.

Così la mafia votò Forza Italia – Sicilia Libera è il movimento creato su input dello stesso Bagarella, al vertice dei corleonesi nel 1993 dopo l’arresto del cognato Totò Riina.  “Il movimento Sicilia Libera ha in sé tutti i protagonisti del reato di attentato a corpo politico dello Stato che contestiamo agli imputati di questo processo. Cosa nostra ha l’esigenza di interloquire direttamente con le istituzioni e Bagarella tenta di farlo con questo movimento politico nel cui statuto vengono inseriti i punti che tanto stanno a cuore alla mafia, tra cui la giustizia e provvedimenti sul mondo carcerario“. Poi, però, succede qualcosa. Succede che alla fine del 1993 lo stesso Bagarella “sa della discesa in campo di Silvio Berlusconi per le politiche del 1994 e decide dirottare il suo sostegno a Forza Italia, e di fatto decide di dare sostegno a Marcello Dell’Utri attraverso i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Così, lascia perdere il Sicilia Libera che aveva fondato e di fatto confluisce in Forza Italia”.

Quello che disse Cancemi – Per la verità, però, a parlare di Berlusconi e Dell’Utri come possibile soluzione ai problemi di Cosa nostra era stato lo stesso Riina già nel giugno del 1992, quando la nascita di Forza Italia era ancora alle primissime battute. A sostenerlo – lo ha ricordato nelle scorse udienze il pm Di Matteo – era stato il pentito Salvatore Cancemi. Nel corso della riunione del giugno ’92, “Riina si prese la responsabilità di eliminare Paolo Borsellino“. Nella stessa circostanza aggiunse che “andava coltivato il rapporto con Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri“.  “Non è un racconto del relato ma proviene dalla voce di un autorevole capomafia”, aveva detto Di Matteo. Le dichiarazioni di Cancemi, secondo l’accusa, riscontrano quanto detto in carcere da Giuseppe Graviano. Intercettazioni che hanno fatto riaprire le indagini su Berlusconi e Dell’Utri come mandanti delle stragi e che sono state al centro di un acceso dibattito processuale tra accusa e difesa.

L’opinione di Riina – Anche Riina era stato intercettato in carcere dalla procura di Palermo. E quelle registrazioni sono state lette in aula dal pm Del Bene.  “Berlusconi era una persona inaffidabile mentre Marcello dell’Utri era una persona seria che ha mantenuto la sua parola”, ha detto il magistrato riferendosi alle confidenze fatte dal copo dei capi al codetenuto Alberto Lo Russo. “Riina considerava Dell’Utri una persona seria, dalla sua parte, che ha mantenuto la parola data. Oppure Riina è ritenuto un boss solo per tenerlo al 41bis mentre poi, quando parla, viene considerato rincoglionito?”, ha aggiunto ancora il pm alla fine della settima udienza dedicata all’esposizione della requisitoria. La cui fine è prevista per domani quando i quattro magistrati esporranno davanti alla corte d’Assise le richieste di pena. Sarà anche l’ultima udienza per Di Matteo eDel Bene: promossi allaprocura nazionale antimafia sono stati applicati al processo sulla Trattativa solo fino alla fine della requisitoria. Sono anche gli unici due magistrati che seguono l’inchiesta dall’inizio: dal 2008 con le prime iscrizioni del registro degli indagati. Dieci anni dopo il processo sul patto segreto che avrebbe portato uomini delle istituzioni a sedere allo stesso tavolo della piovra è alle battute finali.

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/01/25/trattativa-pm-nel-94-cosa-nostra-appoggio-forza-italia-tra-la-mafia-dellutri-e-berlusconi-rapporto-paritario/4115952/