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Corso rapido di Management: hai un’azienda con 30 milioni di perdite? Non c’è problema: vai alla Leopolda, diventi amica di Renzi ed il Pd ti approva una legge che fa diventare a pagamento i sacchetti che produci…
È il 25 gennaio del 2012 quando il governo Monti approva una serie di misure urgenti in materia ambientale. Dentro il decreto inserisce un articoletto che recita così: «Disposizioni in materia di commercializzazione di sacchi per asporto merci». In un colpo si impone lo stop alla commercializzazione degli shopper in plastica resi biodegradabili con l’intervento di additivi verdi e si apre l’ era della cosiddetta bioplastica compostabile di derivazione amidacea.
La sola azienda italiana che all’ epoca produceva quei sacchetti si chiama Novamont e ha sede a Novara. Inizialmente controllata da banca Intesa e Investitori Associati, oggi in joint venture con Eni, è di proprietà dei manager. Chiudeva il 2008 con un fatturato di circa 62 milioni di euro, invece nel 2012 segna un importante momento di svolta. Il fatturato sale infatti a circa 135 milioni di euro. Tanto per una realtà come l’ Italia, ma ancora poco se si considera la concorrenza. La tedesca Basf e l’ americana Cargill, che operano nello stesso settore di Novamont, hanno fatturati a dieci zeri.
Nel 2012 l’ azienda guidata da Catia Bastioli segna però ancora risultati negativi. La perdita si aggira intorno ai 5 milioni di euro. Ma è chiaro che il trend, grazie alle norme restrittive sui sacchetti di vecchia generazione, si è definitivamente invertito. Non a caso la proprietà decide fare un aumento di capitale da 20 milioni con l’ obiettivo di rilanciare le attività considerate promettenti. Negli anni successivi, infatti, crescono sia il fatturato che i guadagni. Nel 2013 si passa a 145 milioni di turnover e a più o meno 100.000 euro di utili. Nel 2014 l’ impennata porta la medesima voce di bilancio a circa 2 milioni. Nel 2015 il fatturato è di 169 milioni e l’ utile schizza a 7,4 milioni di euro. Destinato, eccezion fatta per 400.000 euro, tutto a riserva. Il 2016 è un anno in controtendenza per Novamont. Il risultato di bilancio è lì a testimoniarlo.
Le perdite si aggirano improvvisamente sui 30 milioni di euro. Se si entra nel dettaglio, la voce negativa è però tutta da collegare a una controllata del gruppo. Si chiama Matrica spa ed è una joint venture tra Novamont e Versalis, a sua volta controllata da Eni. L’ azienda si propone il rilancio della chimica verde anche tramite una centrale a biomasse. Il progetto però non segue i tempi sperati e Novamont deve svalutare a bilancio una bella somma, che porta così i conti in rosso. Senza Matrica, però, l’ utile sarebbe stato in linea con quello del 2015. Segno che il vero core business dell’ azienda figlia della Fertec (gruppo Ferruzzi) sta nei sacchetti bio.
Ci punta talmente tanto da metterlo nero su bianco. Nella relazione di bilancio, infatti, si legge che «l’ anno appena trascorso è stato di grande complessità per il gruppo da un lato mettendo alla prova per fatti contingenti la resilienza della società, dall’ altro facendo registrare passi in avanti fondamentali nel recepimento del modello Novamont e dei suoi casi studio nell’ agenda italiana ed europea con opportunità in varie parti del mondo, rafforzando così pesantemente le prospettive a medio termine con una accelerazione nel breve». In sostanza, si rivendica la scelta lungimirante di strategia e diversificazione.
La stessa che «oggi è al centro dell’ agenda italiana». Certo, molto è ancora da fare secondo i vertici. Le flessioni del trend di vendita durante la fine del 2015 e l’ inizio del 2016 sono da «collegare ad alcune decine di migliaia di tonnellate occupate da prodotti considerati fuori legge».
Colpa degli scarsi controlli da parte delle autorità e delle forze dell’ ordine. A giugno 2017 però, data di deposito del bilancio 2016, l’ azienda è già in grado di scrivere che i controlli sono aumentati e che «con ogni probabilità il governo è intenzionato a introdurre l’ obbligo dei sacchetti bio per frutta e verdura a partire da gennaio 2018». Cosa che puntualmente avviene all’ interno del decreto Sud, grazie al senatore pd Massimo Caleo, l’ agosto successivo. Ne deriverà – si legge nella relazione – il rafforzamento della posizione competitiva. Insomma, quello che si suol dire giocare facile. Ci sono voluti tanti investimenti in ricerca e sviluppo, tanto impegno e anche un’ iniezione di potente lobby.
Già nel 2012 molti senatori lavoravano per inserire norma bio e creare – a detta della concorrenza- un monopolio intorno ai sacchetti della Novamont. Il supporto sarebbe arrivato anche da Legambiente, che sfruttava all’ epoca la presenza in Commissione di Francesco Ferrante e Roberto Della Seta, per non parlare di Ermete Realacci. Ex Legambiente anche lui e presidente del comitato scientifico della sua Fondazione Symbola, dove per diversi mesi si è seduta stranamente Catia Bastioli, la stessa presidente di Novamont.
All’ epoca, a nulla è servito il ricorso di Assoecoplast all’ Antitrust contro il decreto Ambiente denunciando la distorsione di mercato. Con l’ entrata in vigore della seconda parte della legge, a mettere benzina sul fuoco ci ha pensato pensato l’ ex premier Matteo Renzi. Durante la recentissima visita a Novara, si è recato solo all’ azienda della Bastioli che conosce bene dai tempi della Leopolda. Per gli iscritti pd non c’ è stato tempo. Nemmeno per i dipendenti della Dea, le ex officine grafiche, rimasti senza lavoro.
tratto da: https://infosannio.wordpress.com/2018/01/05/la-lobby-dei-sacchetti-di-plastica/