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Su tutti i giornali – Gentiloni: “Migranti, in sei mesi arrivi diminuiti del 69%, Italia a testa alta”. Ma nessuno parla dell’accusa di Amnesty International: “Tortura in Libia, l’Italia è complice”…! E questa sarebbe la “testa alta”?
Un rapporto di Amnesty International riferisce che i governi europei continuano a sostenere attivamente un “sofisticato sistema di abuso e sfruttamento di rifugiati e migranti” da parte delle autorità libiche. Amnesty sostiene che i paesi dell’Unione, in particolare l’Italia, siano “consapevolmente complici della #tortura e degli abusi su decine di migliaia di rifugiati e migranti detenuti in Libia”, poiché essi forniscono supporto tecnico al Dipartimento libico per la lotta alla migrazione illegale (DCIM), responsabile della gestione dei centri di detenzione: in tali centri rifugiati e migranti sono, nella maggior parte dei casi, arbitrariamente e indefinitamente detenuti ed esposti a torture e altre gravi violazioni dei diritti umani.
Come riportato dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad al-Hussein, l’11 settembre di quest’anno, si parla di “uccisioni extra-giudiziarie, schiavitù, tortura, stupro, tratta di esseri umani e fame”.
La tortura nel mondo e in Libia
A partire dalla “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani“, il sistema giuridico internazionale proibisce la tortura. Ciò nonostante essa persiste e si è anzi perfezionata fino ad avvalersi di tecniche sempre più sofisticate. E dopo l’11 settembre 2001, nel nome della cosiddetta “guerra al terrorismo“, la tortura è stata praticata anche in molte democrazie occidentali: un esempio è il tentativo dell’esecutivo statunitense di erodere, tramite una lettura restrittiva, la portata del divieto di tortura al fine di legittimare almeno forme di tortura lite o di interrogatorio coercitivo a carico dei sospetti terroristi.
La critica si rivolge soprattutto ad alcuni giuristi ai quali Jeremy Waldron, docente universitario neozelandese di giurisprudenza e filosofia, addebita di aver alimentato un clima favorevole a quelle pratiche brutali sui prigionieri in Afghanistan, Iraq e a Guantanamo Bay che hanno destato scandalo nel mondo occidentale. Il movente della tortura è il più delle volte il desiderio, da parte dell’autorità-torturatore, di carpire informazioni dal prigioniero-torturato: in tale scenario rientrano ovviamente i sospetti terroristi citati precedentemente. Di tutt’altro genere però sembra essere la tortura che si protrae in Libia a discapito di chi non riesce a partire o viene intercettato dal DCIM prima dello sbarco: in questo caso non si tratta di scoprire le strategie di un nemico, ma semplicemente di annichilire e deumanizzare ulteriormente chi viene avvertito dai più non come un essere umano (e pertanto portatore di una dignità intoccabile), ma come un mero oggetto, inutile e fastidioso.
Da ciò avviene in automatico la reiterazione delle stesse pratiche, condannate dall’umanità da anni, di deumanizzazione delineate dalla Arendt in “Le origini del totalitarismo” nel 1948: distruzione della personalità giuridica(ovvero ledere i diritti civili della persona), annientamento della personalità morale (distruggendo ogni convinzione e ogni distinzione tra bene e male nella vittima) e infine la distruzione della personalità individuale (animalizzando i prigionieri, trasformandoli in numeri, rendendoli massa anonima).