Luigi Manconi: “Il rapporto di Medici Senza Frontiere su stupri e torture in Libia è la brutale risposta alle domande che avevamo posto al Governo” – “Non ha risolto il problema sbarchi, lo ha solo tolto dalla nostra vista”

Medici Senza Frontiere

 

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Luigi Manconi: “Il rapporto di Medici Senza Frontiere su stupri e torture in Libia è la brutale risposta alle domande che avevamo posto al Governo” – “Non ha risolto il problema sbarchi, lo ha solo tolto dalla nostra vista”

“Se gli sbarchi si sono dimezzati nel mese di agosto, dove sono finiti quei tanti che non si sono affidati agli scafisti per attraversare il Mediterraneo?”. La domanda di Luigi Manconi pesa come un macigno sulle spalle del governo. Il senatore del Partito Democratico e Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, fa seguito alla denuncia di Medici senza frontiere, secondo la quale le condizioni di chi non riesce a imbarcarsi dalle coste della Libia sono disumane, con migliaia di persone trattenute in vere e proprie carceri a cielo aperto.

Senatore, la responsabilità di quello che succede sulle coste meridionali del Mediterraneo è anche nostra?
Fino a questo momento nessuno, proprio nessuno, ha smentito una sola delle informazioni contenute nel rapporto di Medici senza frontiere sui campi di detenzione in Libia. Quel rapporto che definisce “orrende” le condizioni dei profughi là reclusi, e che parla di un vero e proprio sistema criminale, fatto di stupri e torture, è la risposta brutale all’interrogativo che qualcuno di noi poneva nelle scorse settimane. Mentre trionfava uno stolido ottimismo sulla riduzione del numero degli sbarchi sulle coste italiane, abbiamo provato a domandare: se gli sbarchi si sono dimezzati nel mese di agosto, dove sono finiti quei tanti che non si sono affidati agli scafisti per attraversare il Mediterraneo? E dove si trovano ora coloro che non hanno raggiunto le coste italiane?

Sono domande che si pongono in tanti…
Gran parte dei non partiti e dei non sbarcati affolla quei campi di detenzione così drammaticamente descritti da Andrea Segre nel suo bel film, L’ordine delle cose, presentato alla Mostra del cinema di Venezia. In altre parole, e il calcolo non è affatto rozzo, il dimezzamento degli sbarchi si deve alla crescita dei prigionieri nei campi in Libia (secondo fonti autorevoli, circa 400 mila).

Stringendo, il nostro esecutivo deve sentirsi corresponsabile?
Dunque, l’esito – almeno quello rilevabile oggi – di tanto recente attivismo del nostro governo sembra essere questo: l’applicazione di un gigantesco tappo, una barriera fisica, e un blocco materiale che ostruisce il canale d’accesso dal Nord Africa al Mediterraneo e alle coste italiane. È come se, alla fine di un concerto o di una partita, mentre la folla defluisce, venissero chiusi i cancelli e serrate le porte. Chi si trova nelle vie adiacenti non si accorge di nulla perché il massacro si consuma all’interno di quello stadio. Tappo è la definizione che, nelle stesse ore, usavamo Emma Bonino ed io e che non è piaciuta a tanti, ma sembra corrispondere esattamente alla realtà. Il risultato è che quella dolente schiera di fuggiaschi che attraversava il mare, quelle barche precarie e quegli esuli spossessati di tutto ora sono sottratti, in gran parte, al nostro sguardo. È esattamente ciò che si chiama rimozione: spostarli dalla nostra vista e, di conseguenza, dalla nostra mente.

Il ministro dell’Interno Marco Minniti ha recentemente garantito, “mettendoci la faccia”, che i diritti umani dei migranti in Libia saranno tutelati. Può bastare?
Il governo italiano attraverso il presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno, annuncia che “ora si penserà alla tutela dei diritti umani dei profughi” in Libia. Ma questo compito è spostato avanti nel tempo. E prevede, comunque, una serie di condizioni che devono essere ancora tutte realizzate. Innanzitutto una presenza adeguata delle strutture e degli uomini delle Nazioni unite in Libia (e non solo di personale libico) e, a loro difesa, un numero consistente di caschi blu. E poi accordi con i soggetti del sistema statuale e politico libico, la cui profonda instabilità rende quegli stessi accordi così difficili e così poco vincolanti: col rischio molto serio di assumere impegni con interlocutori la cui attività non è sempre agevolmente distinguibile da quella delle organizzazioni dei trafficanti di esseri umani.

L’Italia ha sbagliato a fidarsi dei leader libici?
Perché un progetto così arduo abbia una qualche possibilità di successo, condizione preliminare sarebbe quella di non adottare in alcun modo una strategia dei due tempi: prima bloccare i flussi e ridurre gli sbarchi e poi controllare gli standard di tutela dei diritti nei campi di detenzione. Rinviando a chissà quando questa ultima attività, il pericolo è che si ottenga il solo risultato di affidare tante vite umane alle milizie che controllano i campi di detenzione anziché agli scafisti che controllano i viaggi in mare. Ne sarà migliorata l’estetica del nostro paesaggio nazionale e quella dei nostri confini marittimi, non certo la gestione dei flussi migratori.

C’è stato un passaggio da politiche di accoglienza e integrazione alla difesa dei confini tout court, dice lei. Eppure l’integrazione appare quanto mai necessaria visti i recenti drammatici casi degli sgomberi in particolare a Roma… 
Siamo alle solite: la missione italiana in Libia evidenzia un modello di politica dell’immigrazione che già è stato applicato nei mesi scorsi all’interno del contesto nazionale. Il governo dice: mettiamo ordine e controlliamo il territorio, garantiamo la sicurezza e il decoro delle città, combattiamo l’occupazione delle case e la micro-criminalità, poi applicheremo strategie di integrazione. E nel frattempo? Nel frattempo, temo, si saranno fatti tanti di quei guai che sarà difficile porvi rimedio. E, in realtà, è stato proprio il ministro dell’Interno Marco Minniti a rivelare – inavvertitamente o forse no – questo pericolo, quando mi ha detto che, d’ora in poi, non avrebbe autorizzato alcuno sgombero senza che – prima – venissero trovate adeguate soluzioni abitative. Ma, nei fatti, si agisce in maniera esattamente opposta.

fonte: http://www.huffingtonpost.it/2017/09/08/luigi-manconi-allhuffpost-il-rapporto-di-msf-su-stupri-e-torture-in-libia-e-la-brutale-risposta-alle-domande-che-avevamo-posto-al-governo_a_23201736/?utm_hp_ref=it-homepage