Confermato il licenziamento della dipendente dell’Ikea: si assentava troppo per assistere il figlio disabile a casa – E qualcuno la chiama ancora civiltà…!

 

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Confermato il licenziamento della dipendente dell’Ikea: si assentava troppo per assistere il figlio disabile a casa – E qualcuno la chiama ancora civiltà…!

 

Milano, confermato il licenziamento della mamma dipendente dell’Ikea con un figlio disabile a casa

Marica Ricutti, separata con due figli, di cui uno disabile, fu licenziata dal negozio di Corsico del colosso svedese per il mancato rispetto dei turni di lavoro. Il giudice del lavoro: «I fatti consentono il provvedimento disciplinare espulsivo»

Il giudice del lavoro di Milano ha confermato il licenziamento di Marica Ricutti, la mamma separata con due figli, di cui uno disabile, licenziata dal negozio Ikea di Corsico per il mancato rispetto dei turni di lavoro. La mamma lavoratrice riteneva che il licenziamento fosse «discriminatorio» e chiedeva il reintegro e il risarcimento del danno. Il giudice, invece, ha confermato la decisione dello scorso aprile, sottolineando che «i fatti disciplinarmente rilevanti contestati dalla datrice di lavoro sono pienamente confermati».

Le motivazioni

Il giudice si rifà integralmente all’ordinanza con cui, in fase istruttoria, aveva già respinto la richiesta di reintegro, scrivendo che i suoi comportamenti erano stati «di gravità tale da ledere il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore». In particolare, secondo il magistrato, visto che il Contratto nazionale di lavoro della categoria prevede quale motivo per il licenziamento disciplinare «l’insubordinazione verso i superiori accompagnata da comportamento oltraggioso», nel caso di Marica Ricutti «l’accertata frase pronunciata ad alta voce nei confronti di una superiore, “mi avete rotto i c…”, integra gli estremi del comportamento oltraggioso e la difesa della ricorrente non ha introdotto ulteriori elementi per modificare il giudizio quanto alla proporzionalità del provvedimento espulsivo».

Cgil: «Faremo ricorso»

La reazione del segretario generale della Filcams Cgil, Maco Beretta, che ha seguito il caso: «Il medesimo giudice del Tribunale di Milano ha confermato il giudizio espresso in fase di rito d’urgenza. Siamo al primo grado di giudizio. Ricorreremo in appello perché rimaniamo convinti che il licenziamento sia un atto sproporzionato ed ingiusto».

tratto da: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/18_novembre_12/milano-confermato-licenziamento-mamma-dipendente-dell-ikea-3a149a4a-e692-11e8-b579-7cd18decd794.shtml?refresh_ce-cp

Fiat, la storia incredibile dei 5 operai pagati per stare a casa: tanta è la paura di Marchionne di trovarseli di nuovo tra i piedi, dopo aver provato a cacciarli per la loro attività sindacale in difesa dei diritti degli operai.

 

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Fiat, la storia incredibile dei 5 operai pagati per stare a casa: tanta è la paura di Marchionne di trovarseli di nuovo tra i piedi, dopo aver provato a cacciarli per la loro attività sindacale in difesa dei diritti degli operai.

Fiat, la storia incredibile dei 5 operai pagati per stare a casa
Appello – Reintegrati dal giudice (non dall’azienda), consegneranno una lettera a Mattarella.

Questa è l’incredibile storia di cinque metalmeccanici retribuiti a stipendio pieno, senza l’obbligo di avvitare un bullone. Pagati per starsene a casa dalla Fiat, oggi Fca, tanta è la paura che ha l’azienda di trovarseli di nuovo tra i piedi. Incredibile perché i cinque non accettano di esser pagati per far niente: «Siamo operai, vogliamo tornare in fabbrica».

Lo scrivono a Marchionne da mesi, ogni mese. Da quando il Tribunale, a settembre 2016, ha dichiarato illegittimo il loro licenziamento. Marchionne non risponde e continua a pagare, ma i soldi non bastano a comprare il silenzio e l’obbedienza di Domenico MignanoMarco CusanoAntonio MontellaMassimo Napolitano e Roberto Fabbricatore.

Per questo il 6 gennaio andranno al Quirinale e consegneranno una lettera a Sergio Mattarella: “Caro Presidente, siamo cinque operai della Fca di Pomigliano. Abbiamo subito licenziamenti per la nostra attività sindacale sempre in difesa dei diritti degli operai. Siamo stati ufficialmente reintegrati nel posto di lavoro con la sentenza del tribunale d’Appello di Napoli del 20/09/2016. La Fca ha continuato, però, a tenerci fuori. Noi, caro Presidente, ci rivolgiamo a Voi per denunciare l’ennesimo sopruso che la Fca sta compiendo nei nostri confronti, ma anche nei confronti di tutti i nostri compagni che, per paura delle conseguenze che noi abbiamo patito, hanno timore di far valere le loro ragioni”.

Cosa hanno fatto di così imperdonabile le cinque tute blu da meritare l’allontanamento coatto? Due cose. La prima, è che si sono ribellati con ironia, invece che con la violenza, che avrebbe fornito all’azienda il pretesto per licenziarli. La seconda è che hanno vinto, perché in Italia vige la libertà di pensiero, di critica e di satira.

Alla satira da impugnare come arma per la lotta sindacale hanno pensato dopo che tre di loro si sono tolti la vita, piegati dalle condizioni di lavoro in quello che chiamano “Il reparto-confino” di Nola. L’ultima è stata Maria Barbato, cassintegrata a zero ore. Si è uccisa piantandosi tre volte il coltello nel petto. E lasciando scritto: “Non si può vivere sul ciglio del burrone dei licenziamenti”. Per denunciare quel vivere sul ciglio del baratro non bastavano gli scioperi che nessun telegiornale racconta più, o “i cortei dove le prendiamo e basta”, o i picchetti che l’azienda aggira con gli elicotteri. Serviva una cosa che spaccava, serviva la satira. Hanno inscenato il suicidio di un quarto lavoratore Fiat: l’Ad Sergio Marchionne, sventolando un manichino penzolante davanti alla sede della Rai. Hanno letto la lettera d’addio che il fantoccio-Marchionne, in preda al rimorso, lasciava ai suoi operai, chiedendo che i 316 deportati a Nola tornassero a Pomigliano, dove c’erano interi reparti vuoti. “È un’istigazione al suicidio!”, ha tuonato l’azienda.

I cinque sono stati licenziati, trascinati in tribunale, condannati dal giudice unico. Hanno fatto appello, chiedendo a tanti autori satirici di schierarsi al loro fianco: Moni Ovadia, Ascanio Celestini. Hanno srotolato uno striscione con scritto “Libera Satira” davanti alla Rai di Viale Mazzini, quando avevo scelto di abbandonare Radio2, dopo che la rete mi aveva chiesto di non fare più battute su Renzi e non far più satira politica a “Mamma Non mamma”, il programma che conducevo: “A noi operai ci avete tolto la vita, non toglieteci pure la satira”.

Il giudice gli ha dato ragione: “Il monito rivolto ai successori dell’attuale amministratore delegato Sergio Marchionne, di non pensare solo al profitto ma anche al benessere dei lavoratori rappresenta a parere della corte una legittima manifestazione del diritto di critica”, è scritto nella sentenza d’appello: “La rappresentazione scenica realizzata, per quanto macabra, forte aspra e sarcastica, non ha travalicato i limiti di continenza del diritto di svolgere valutazioni critiche dell’operato altrui, quindi anche del datore di lavoro”. Il diritto di critica e di satira, a partire da quella sentenza, è garantito allo scrittore come all’operaio.

Una vita che faccio satira e a cosa serve non l’ho mai saputo spiegare meglio di Domenico Mignano detto Mimmo. A fare in modo che tutti si accorgano di quello che ci sta succedendo. “Se ne accorgerà anche Mattarella, quando andremo da lui vestiti da Befana”. Da befana, perché i lavoratori sono diventati invisibili, ma di befane saranno pieni i Tg: “Caro Presidente, noi vi chiediamo di far sentire la Vostra autorevole parola affinché finalmente noi cinque si possa rientrare in fabbrica accanto ai nostri compagni operai”. Gli avvocati dicono che non si può, che non ci sono precedenti di un operaio che voglia tornare alla catena di montaggiopiuttosto che starsene a casa, pagato: “Ma che c’è di strano, se un lavoratore chiede di lavorare?”.

 

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/la-storia-incredibile-dei-5-operai-pagati-da-fiat-per-stare-a-casa/