Un’altro brillante, irresistibile, spietato editoriale di Marco Travaglio: “I grillini involontari”

 

Marco Travaglio

 

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Un’altro brillante, irresistibile, spietato editoriale di Marco Travaglio: “I grillini involontari”

 

I grillini involontari

Ogni volta che i 5Stelle perdono un’elezione – cioè praticamente sempre, fuorché alle Politiche e nei Comuni mandati in bancarotta da quelli bravi e competenti – tutti si affrettano a decretarne il decesso. E ad annunciare il lieto ritorno del vecchio caro bipolarismo, cioè di quella roulette truccata dove, comunque vada, vince sempre il banco. Intanto torna in scena la Compagnia della Buona Morte di quelli che si credono i peggiori nemici dei 5Stelle, mentre sono i loro migliori alleati. E, appena l’ammucchiata si riappalesa in tutto il suo orrore e fetore, funge da promemoria per gli elettori smemorati o pentiti. Cioè rammenta loro il motivo per cui avevano votato M5S: per non rivedere mai più certe facce.

Prendete Carlo Calenda: all’apparenza, è difficile immaginare un politico (si fa per dire) più incompatibile con i grillini. Invece è uno dei loro migliori supporter. Le trippe e i bargigli esibiti sui social in riva al lago dei cigni ingoiati a colazione, con lo sguardo languido rivolto all’unico esemplare superstite candidato alla merenda, è un messaggio subliminale (anche per lui) agli elettori: cari italiani, non vorrete mica rivedere uno come me al governo, spero, dunque sapete per chi votare.

Prendete Renzi: giura “Non dirò mai una parola contro i giudici” e intanto li attacca gridando al complotto giudiziario a orologeria contro i genitori; dice “Il rancore lo lascio agli altri” e poi ci campa a colazione, pranzo e cena, schizzando bile contro chiunque osi non essere Renzi, con particolare riferimento ai 5Stelle. Messaggio subliminale (anche per lui): ragazzi, io ormai sono un caso umano ambulante, ma ho una sola possibilità di tornare, cioè la sconfitta dei 5Stelle, quindi sappiatevi regolare.

Prendete Maria Elena Boschi: l’altra sera s’è presentata su La7 travestita da professorina occhialuta, riuscendo a sfoderare un look ancor più antipatizzante del solito (e non era facile) e argomenti ancor più suicidi del consueto (e pareva impossibile): con tutto quel che han combinato lei e il padre su Banca Etruria, s’è messa a disquisire dei genitori di Di Maio e Di Battista, rammentando il suo monumentale conflitto d’interessi familiar-finanziario a chi se lo fosse scordato. Messaggio subliminale (anche per lei): nonostante tutto Di Maio e Di Battista sono meglio di me, perché han preso le distanze dai piccoli pastrocchi dei padri, mentre io continuo a difendere mio padre e i suoi pranzetti con Flavio Carboni, ma anche me stessa e i miei giri delle sette chiese per salvare la banca che lui amministrava così bene.

Prendete i tre candidati del Pd. Ieri, nel primo e unico confronto su Sky, avevano l’ultima occasione per far capire agli elettori cosa vogliono, cosa li divide, con chi intendono allearsi contro l’avanzata delle destre (ammesso che per loro sia un problema), quali cose di sinistra hanno in mente (reddito universale? salario minimo? patrimoniale? manette agli evasori? energie alternative?), insomma quale partita si gioca domenica e perché è importante andare ai gazebo. Ma l’hanno astutamente mancata: nessuno ha capito perché siano in tre, visto che dicono più o meno le stesse cose, a parte l’aspetto storico-archeologico del giudizio sulle “riforme” renziane (già peraltro anticipato dagli elettori). Messaggio subliminale (anche per loro): cari elettori di sinistra che avevate votato 5Stelle e ve ne stavate pentendo nel timore dell’ondata di destra, restate pure dove siete e non guardate a noi, perché qui non cambierà mai nulla, la sinistra ci fa schifo (patrimoniale pussa via) e l’ondata di destra non è un problema, semmai un’opportunità, dunque meglio lasciare al governo il M5S a sorvegliare un po’ la Lega e a far qualcosa per i deboli, perché noi sull’economia, lo sviluppo e il lavoro la pensiamo come Salvini&B.

Prendete Sergio Chiamparino, presidente uscente e si spera mai più rientrante del Piemonte: annuncia un referendum sul Tav per tutti “i piemontesi”, “il 26 maggio insieme alle elezioni europee e regionali”, sul “governo che blocca i lavori della Torino-Lione”, in base “all’articolo 86 dello Statuto regionale”. Ora, come spiega il giurista Pepino a pag. 2, quel che ha in mente il buontempone non è né un referendum né un voto per i piemontesi: l’art. 86 dello Statuto prevede una “consultazione” (peraltro consultiva, non vincolante, inutile) “di particolari categorie o settori della popolazione su provvedimenti di loro interesse”. E qui non si sa quali siano i provvedimenti da contestare, visto che il governo non ne ha adottato neanche uno, salvo disporre un’analisi costi-benefici non soggetta a referendum. Ma soprattutto si ignora quali siano le categorie o i settori interessati al Tav. A parte gli abitanti della Val di Susa infestati dal cantiere. Gli altri piemontesi, dai torinesi ai cuneesi, dagli astigiani agli alessandrini, dai novaresi ai verbanesi, hanno lo stesso interesse per il Tav dei lombardi, dei veneti, dei lucani e dei sardi, visto che tutti gli italiani lo pagherebbero caro e salato con le loro tasse. Ma, a tagliare la testa al toro, c’è il fatto che la Regione Piemonte, anche per promuovere questa ridicola “consultazione” tra non si sa bene chi e su che cosa, dovrebbe varare una legge ad hoc. E non l’ha mai varata, né avrebbe il tempo per vararla ora e organizzare il voto, visto che la campagna elettorale sta per partire. Quindi non è un referendum né una consultazione, ma solo la supercazzola di un candidato disperato a caccia di pubblicità. Messaggio subliminale (anche per lui): cari grillini, se noi siamo quelli competenti, meglio che vi teniate i vostri incompetenti, che magari saranno dei pasticcioni, ma almeno non sono dei truffatori.

“I grillini involontari” di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 1 Marzo 2019

Il grande editotiale di Marco Travaglio sull’ipocrisia dei Francesi: “Sovranisti per forza”

 

Marco Travaglio

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Il grande editotiale di Marco Travaglio sull’ipocrisia dei Francesi: “Sovranisti per forza”

Cioè: il governo francese che…

Nasconde da quarant’anni decine di terroristi, assassini e tagliagole italiani…

Manda i suoi gendarmi a sconfinare oltre la frontiera italiana per riportarci i migranti che non vuole…

Paragona i vincitori delle elezioni italiane a “una lebbra che cresce un po’ ovunque in Europa”…

Da dei “bugiardi” ai nostri governanti che parlano di crisi migratoria, mentre ordina respingimenti e tiene chiusi i porti…

Intima al nostro governo di “fare pulizia in casa propria”…

Chiama i nostri governanti “piccoli Mussolini”…

Definisce vomitevole la linea del governo italiano sui migranti…

Ha destabilizzato la Libia con la guerra del 2011 ed ora continua a soffiare sul fuoco sostenendo il noto galantuomo Haftar…

…ora si offende per le dichiarazioni di Di Maio?

MA PER FAVORE…!

 

Sovranisti per forza di Marco Travaglio

Uno fa di tutto per non diventare sovranista, poi legge che il Fondo monetario internazionale accusa l’Italia nientemeno che di “frenare l’economia mondiale”: e solo oggi, all’improvviso, tutto d’un botto.

Prima no, anzi, eravamo l’ombelico del mondo, la locomotiva della galassia, il capofila dell’universo e non ce n’eravamo mai accorti. Poi il 4 marzo, per la prima volta nella loro storia, gli italiani hanno sbagliato a votare, e zac! Ora qualunque disastro accada sull’orbe terracqueo è colpa nostra.

Se, puta caso, la pizza di fango del Camerun perde potere d’acquisto, c’è lo zampino dell’Italia. Spiace per le sorti degli aborigeni australiani, delle zingare del deserto, dei lama tibetani, delle balinesi nei giorni di festa e delle cavigliere del Kathakali: se se la passano male, sanno a chi dire grazie. Ai soliti italiani.

Uno fa di tutto per non diventare sovranista, poi scopre che il governo Macron ha convocato l’ambasciatrice italiana per le “dichiarazioni ostili e immotivate” di Di Maio e Di Battista sul neocolonialismo francese. Che è un po’ come se il governo egiziano convocasse l’ambasciatore italiano per la nostra scarsa collaborazione sul delitto Regeni.

Cioè: il governo francese nasconde da quarant’anni decine di terroristi, assassini e tagliagole italiani aiutandoli a sottrarsi alla nostra giustizia e spacciandoli per perseguitati politici; il governo francese manda la sua Gendarmerie a sconfinare oltre la frontiera italiana per riportare migliaia di migranti che non ha intenzione di accogliere e poi accusa l’Italia di non essere abbastanza accogliente; il presidente francese Emmanuel Macron paragona i vincitori delle elezioni italiane a “una lebbra che cresce un po’ ovunque in Europa” e dava dei “bugiardi” ai nostri governanti che parlano di crisi migratoria, mentre ordina migliaia di respingimenti di migranti a Ventimiglia e tiene ben chiusi i porti francesi; la ministra francese Nathalie Loiseau intima al nostro governo di “fare pulizia in casa propria”, mentre il commissario francese dell’Ue Moscovici chiama i nostri governanti “piccoli Mussolini”; il portavoce del partito di Macron definisce “vomitevole la linea del governo italiano sui migranti”; il governo francese, dopo aver destabilizzato la Libia con la guerra del 2011, continua a soffiare sul fuoco sostenendo il noto galantuomo Haftar; e ora chi convoca chi? Ma per favore.

Uno fa di tutto per non diventare sovranista, poi trova su La Stampa un’articolessa di Bernard-Henri Lévy che racconta la prossima tournée teatrale di Bernard-Henri Lévy. Siccome tocca fare tutto a lui, ora deve “fermare il populismo”. Con le nude mani. “Il mio – spiega il noto paraguru – è il contributo di uno scrittore alla nuova resistenza europea che deve organizzarsi senza tardare”.

Mi raccomando, non prendete impegni: si parte il 5 marzo da Milano e si prosegue in “venti tappe in Europa prima del voto”, “con La Stampa media partner”. “Perché far partire da Milano una campagna contro l’avanzata del populismo?”, domanda Henri Lévy a Henri Lévy. Che, cortesemente, si risponde: “Perché è proprio lì, a Milano, che tutto è cominciato”. Con Mussolini? Con Craxi? No, con B. Ha impiegato appena 25 anni per accorgersene, meglio tardi che mai: “È dagli studi berlusconiani che sono uscite tutte quelle facce clonate, labbra arroganti, silicone e dentifricio, gel per i capelli e sorrisi da rappresentante, che sono diventate il marchio di fabbrica delle ‘democrature’ europee”.

In effetti, dalle ragazze del Drive In a Orbán il passo è breve: una lettura così profonda che ci fa rivalutare persino il Biscione. Anche perché il primo Paese europeo dove B. riuscì a esportare le sue tette e i suoi culi siliconati fu proprio la Francia, grazie a Mitterrand che spalancò le porte a La Cinq quando l’ex trotzkista e maoista BHL gli suonava la trombetta. L’avvocato di B. era tal Sarkozy, poi asceso all’Eliseo fra i perepé di BHL.

Ma su questi e altri dettagli il paraguru sorvola, impegnato com’è a spiegare agli italiani quel che non capisce dell’Italia. Si pensava che si sarebbe preso una pausa, dopo la cattura di Battisti, il pluriassassino latitante che lui spacciava per uno “scrittore arrabbiato e imprigionato” e paragonava a Dreyfus.

Invece coglie l’occasione per scagliarsi con chi l’ha finalmente assicurato alle patrie galere: “un dottore con credenziali false (Conte), un gradasso affetto da un’insana megalomania (Salvini) e un Pulcinella più pusillanime che capace (Di Maio)”, senza dimenticare la Raggi, che si porta su tutto e “consegna Roma alle erbacce e alla prevaricazione in proporzioni mai viste dai tempi di Catone il Censore” (viva Mafia Capitale!).

Insomma: una “riedizione post-moderna del fascismo” agli “ordini di Mosca” e coi soldi degli “amici di Bannon”. In attesa che questo coiffeur pour dames esibisca, sul giornale che combatte le fake news (altrui), uno straccio di prova sulla falsa laurea di Conte, sui cablo di Mosca e sui dollari di Bannon, apprendiamo che gli manca tanto Renzi: ah quelle “sagge decisioni prese in passato, in un anno (febbraio 2014-dicembre 2016, ndr), dal vulcanico Matteo Renzi: diminuzione delle tasse (mai vista, ndr)… modernizzazione della giustizia (ma quando mai, ndr), fine degli sprechi delle Regioni (ma de che, ndr) …”!

Che nostalgia! Purtroppo gli elettori non hanno apprezzato. Cose che càpitano, quando fai votare il popolo al posto di BHL. Il quale ora è molto “arrabbiato” e marcia su Milano “per via di Stendhal”, ma anche degli altrettanto incolpevoli “Dario Fo (che votava 5Stelle, ndr), Leopardi, Verdi, Brecht e i suoi Quattro Soldi”.

Che poi erano tre, ma dev’essere l’inflazione.

Strategia della pensione – Il geniale editoriale di Marco Travaglio sulle pensioni: “La famiglia Boschi per i pensionati ha fatto molto, forse troppo” …Perchè quando la penna di Travaglio si imbatte nell’aretina pidiota è una goduria da orgasmo!

Marco Travaglio

 

 

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Strategia della pensione – Il geniale editoriale di Marco Travaglio sulle pensioni: “La famiglia Boschi per i pensionati ha fatto molto, forse troppo” …Perchè quando la penna di Travaglio si imbatte nell’aretina pidiota è una goduria da orgasmo!

Strategia della pensione

Noi fortunati che abbiamo seguito in tv il cosiddetto dibattito parlamentare sulla manovra di bilancio abbiamo attraversato un’ampia gamma di sentimenti contrastanti. L’invidia per l’atletica prestanza di Emanuele Fiano, che balza felino verso i banchi del governo, si divincola dal placcaggio rugbistico dei colleghi, offre il petto seminudo alla pugna contro gli odiati sovranisti e infine aggira la barriera dei commessi col lancio liftato di un dossier che centra in pieno volto il sottosegretario Garavaglia.

L’entusiasmo per l’intrepido Michele Anzaldi, ieri epuratore e fucilatore di chiunque si permettesse di non beatificare Renzi nella Rai tutta renziana e oggi inconsolabile per la fine del pluralismo in viale Mazzini.

L’idolatria per Filippo Sensi, che fino all’altroieri diramava le veline di Renzi & Gentiloni e ora lacrima come una vite tagliata per il taglio dei fondi pubblici a giornali e Radio Radicale, scambiandoli per “pluralismo”.

La gioia per Giachetti e Fiano che accusano Fico di parzialità perché non silenzia la pentastellata Manzo che accusa imprecisate opposizioni di aver favorito i truffatori delle banche, ma poi tacciono quando le pidine Serracchiani e Bruno Bossio danno della truffatrice alla Manzo.

L’ammirazione per i trafelati scopritori della centralità del Parlamento, o di quel che ne resta dopo il loro passaggio, le loro leggi incostituzionali, le loro mozioni sulla nipote di Mubarak, i loro canguri e ghigliottine, le loro destituzioni di dissidenti, le loro compravendite di parlamentari, i loro decreti senza necessità né urgenza, le loro fiducie smodate (107 solo nella scorsa legislatura), i loro salvataggi impunitari di fior di delinquenti. Il rimpianto per l’assenza in Parlamento di misure d’ordine pubblico, tipo il Daspo, già previste nelle ben più educate curve degli stadi.

E infine una grande empatia per la sofferenza di Graziano Delrio e Maria Elena Boschi dinanzi alle sorti degli adorati pensionati, scippati dalla manovra giallo-verde.

Delrio li chiama tutti in piazza, la Boschi trattiene a stento le lacrime: “La legge di Bilancio taglia tutte le pensioni, non solo quelle d’oro o di platino. Conte dovrebbe pulirsi la bocca quando attacca i pensionati”. In effetti la famiglia Boschi per i pensionati ha fatto molto, forse troppo. Il pensiero corre al pensionato Luigi D’Angelo, che il 28 novembre 2015 si impiccò a Civitavecchia perché aveva appena perso i risparmi di una vita: 100mila euro affidati a Etruria, dopo che il governo Renzi-Boschi aveva azzerato dal giorno alla notte, col cosiddetto dl Salva-banche, il valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate.

Del resto il Pd, per i pensionati, ha sempre avuto un occhio di riguardo. Tipo quando votò il blocco dell’indicizzazione delle pensioni, senza la piena rivalutazione per l’inflazione, ininterrottamente dal 2011 a oggi.

Vediamo nel dettaglio cosa votarono gli attuali paladini dei pensionati. Tra 2012 e 2013, col blocco totale per le pensioni superiori a tre volte il minimo (dai 1500 euro in su), chi prendeva ogni mese 1600 euro lordi ne perdeva 500-600 l’anno; chi percepiva 2100 euro ne perdeva 1500; chi aveva 2600 euro ne perdeva 1800.

Nel 2015 la Consulta bocciò la legge in quanto incostituzionale e ordinò al governo di restituire la refurtiva. Intanto, ai 5,5 milioni di pensionati, erano stati rapinati 8-9 miliardi di euro.

Ma Renzi ne rimborsò appena 2,2 (che secondo l’Upb corrispondeva ad appena il 12% medio delle perdite di ogni pensionato) ed ebbe pure la spudoratezza di chiamare quella mancia “bonus Poletti”: come se quello non fosse un furto con destrezza, ma addirittura un gentile omaggio.

Intanto nel 2014 il governo Letta aveva fatto altri danni: un sistema di perequazioni in cinque fasce, che lasciava quasi intatta la rivalutazione delle pensioni fino al quadruplo della minima, mentre tagliava del 25% la rivalutazione per quelle sopra i 2000 euro lordi e del 50% oltre i 2500. I governi Renzi e Gentiloni prorogarono quel blocco fino al 1° gennaio 2019, lasciando la patata bollente ai successori.

Secondo la Uil, la mancata perequazione delle pensioni fra il 2011 e il 2018, votata da centrodestra e centrosinistra (Monti e Letta) e poi dal solo centrosinistra (Renzi e Gentiloni) è costata 79 euro al mese e 1000 all’anno a ciascun pensionato da 1500 euro mensili. Chi invece percepiva 1900 euro al mese nel 2011 ha perso 1500 euro lordi, pari a una intera mensilità netta.

Che fa ora il governo Conte sulle pensioni?

Tre cose. Abbrevia l’età pensionabile per chi vuole ritirarsi prima (quota 100). Aumenta le minime fino a 780 euro per chi non ha altri redditi (pensione di cittadinanza). E “raffredda” il blocco delle indicizzazioni varato da Letta, Renzi e Gentiloni, rendendolo un po’ meno penalizzante per le pensioni più basse e lasciandolo pressoché inalterato sopra ai 3mila euro.

La battuta di Conte (“Non se ne accorgerebbe nemmeno l’Avaro di Molière”), per quanto infelice, rende l’idea.

Rivalutazione quasi totale, senza blocchi, per le pensioni fino al quadruplo della minima (cioè fino a 2030 euro mensili lordi).
E sacrifici graduali per le pensioni più alte.

La Cgil stima che chi intasca 2030 euro al mese perderà 1 euro nel 2019, 1 euro nel 2020 e 2 euro nel 2021. Chi supera i 2537 euro al mese, dovrà rinunciare a 70 euro l’anno (meno di 7 euro al mese). Chi supera i 3mila euro al mese, “restituirà” circa 180 euro all’anno (15 euro al mese).

E così via a salire, con prelievi più sostanziosi per i pensionati d’oro (già toccati dal contributo di solidarietà). Anche così si finanzieranno il reddito di cittadinanza e quota 100.

Si chiama “redistribuzione della ricchezza” e un tempo era una battaglia della sinistra.

Infatti ora, sulle barricate, ci sono Forza Italia e il Pd.

“STRATEGIA DELLA PENSIONE”, di Marco Travaglio sul Il Fatto Quotidiano del 30 dicembre2018

Marco Travaglio: “Ormai la libertà di stampa è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai giornalisti”

 

Marco Travaglio

 

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Marco Travaglio: “Ormai la libertà di stampa è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai giornalisti”

 

Pesi e misure

di Marco Travaglio

La butto lì, casomai qualcuno volesse riflettere seriamente sul ruolo dell’informazione nell’Italia del 2018, uscendo per un attimo dalle opposte trincee del giornalismo embedded: avete idea di quanti articoli di giornale, servizi di tg e dibattiti da talk show e da social sono stati dedicati ai guai del padre di Di Maio e alla sentenza sulla trattativa Stato-mafia? Da una parte abbiamo tre o quattro operai in nero, tre o quattro abusi edilizi, una betoniera, una carriola e un mucchietto di mattoni abbandonati nella microditta dei genitori di Di Maio (che per ora non risulta aver fatto un bel nulla). Dall’altra abbiamo la Corte d’assise di Palermo che condanna penalmente Marcello Dell’Utri, inventore di FI (il partito che ha dominato la scena politica dal 1994 all’altroieri), e i massimi vertici del Ros dei Carabinieri del 1992-’96, per aver aiutato gli stragisti di Cosa Nostra a ricattare lo Stato a suon di stragi; e condanna politicamente i governi Amato (1992), Ciampi (1993), Berlusconi (1994) per aver subìto quel ricatto mafioso senza mai né respingerlo né denunciarlo.

In quella sentenza si legge, fra l’altro, che: l’allora presidente Scalfaro mentì sotto giuramento ai pm sostenendo di non sapere nulla dell’avvicendamento ai vertici del Dap fra il duro Nicolò Amato e il molle Adalberto Capriotti, mentre era stato proprio lui a imporlo per ammorbidire il 41-bis che un anno prima era costato la vita a Falcone; molti altissimi rappresentanti delle istituzioni mentirono o dimenticarono per anni il proprio ruolo in quel turpe negoziato, ostacolando l’accertamento della verità; l’allora premier Giuliano Amato fu informato nell’estate ’92 della trattativa fra il Ros e il mafioso Ciancimino dalla sua capo-segretaria Fernanda Contri, ma non fece nulla per bloccarla e non ricordò un bel nulla dinanzi ai pm; Violante, presidente dell’Antimafia, fu avvicinato dal colonnello Mori, che gli caldeggiò invano un incontro riservato con Ciancimino, e non ne avvertì mai i pm di Palermo, né allora né quando seppe che indagavano sulla trattativa; mentre B. era al governo, Dell’Utri riceveva nella sua villa a Como il boss Mangano e gli spifferava in anteprima le leggi pro mafia; B. continuò – come faceva da 20 anni – a finanziare Cosa Nostra con versamenti semestrali in contanti almeno fino al dicembre ’94, cioè mentre era premier; senza la trattativa Ros-Ciancimino-Riina-Provenzano, non ci sarebbe stata l’“accelerazione” che indusse Cosa Nostra a sterminare Borsellino e la sua scorta appena 57 giorni dopo aver assassinato Falcone, la moglie e la scorta.

Senza la trattativa – scrivono i giudici – le stragi mafiose si sarebbero interrotte con l’arresto di Riina il 15 gennaio ’93, dunque fu la trattativa a causare gli eccidi della primavera-estate ’93 a Roma, Firenze e Milano (10 morti e 30 feriti). Da due settimane il caso Di Maio (padre) occupa le prime pagine dei quotidiani, le homepage dei loro siti, i titoli dei tg, i dibattiti nei talk e sui social, i discorsi nei bar. Invece all’agghiacciante sentenza Trattativa, che chiude in primo grado uno dei processi più cruciali dell’ultimo cinquantennio, la Norimberga sulle classi dirigenti di sinistra&destra che hanno dominato, e ancora in parte dominano, il potere italiano, giornali e tg hanno dedicato un paio di servizi il primo giorno, e nemmeno fra i principali. Poi silenzio. Zero dibattiti, approfondimenti, inseguimenti modello Iene. Zero domande e dunque zero risposte, autocritiche, scuse al popolo italiano da chi collaborò a metterlo per 25 anni sotto il ricatto mafioso.
Sui guai di suo padre, che non hanno prodotto non dico una sentenza, ma neppure un avviso di garanzia, il vicepremier Di Maio è stato intervistato quattro volte dalle Iene, e bene ha fatto a rispondere, anziché fuggire dal retro e far cacciare i cronisti dalla scorta, come facevano quelli di prima, o seppellirli sotto valanghe di cause civili o minacciare di spezzargli le gambe, come fanno i berluscones e i rignanos. E bene ha fatto suo padre ad ammettere le sue colpe e a mettersi a disposizione delle autorità in due video sul web e un’intervista al Corriere. Ma a voi pare normale che nessuno abbia mai chiesto nulla ad Amato, magari attendendolo sotto casa o davanti alla Consulta, su quel che gli disse la Contri sulla trattativa con la mafia che aveva appena ucciso Falcone e Borsellino? Che nessun politico di destra e di sinistra abbia dovuto scusarsi di aver promosso e coperto Mori&C., anziché degradarli sul campo per aver trattato con Cosa Nostra, omesso di perquisire e sorvegliare il covo di Riina, fatto fuggire Santapaola e Provenzano? Che non una sola domanda sia stata rivolta a B. sui soldi versati alla mafia anche dopo Capaci e via D’Amelio? E che dunque nessuno abbia mai dovuto spiegare o discolparsi per fatti lievemente più gravi di una vasca posticcia, tre ruderi e quattro laterizi? Quale devastazione intellettuale, quale tsunami culturale ha ridotto l’informazione in questo stato comatoso, impermeabile al senso della notizia e financo del ridicolo? Si dirà: le 5.252 pagine della sentenza Trattativa non le ha lette nessuno. Giovedì ne pubblicheremo con Paperfirst una sintesi di un decimo, nel libro Padrini fondatori curato da Marco Lillo e dal sottoscritto. Ma sappiamo tutti che non è questo il punto. Dalla saga Spelacchio alla sitcom Casa Di Maio, quella che chiamiamo “informazione” non ha più nulla a che vedere col diritto-dovere di informare. Quanti pensano di usare il nulla per gettare discredito su chi ha l’unico torto di aver vinto le elezioni, non si accorgono che stanno sputtanando se stessi e l’intera categoria. Ormai la libertà di stampa è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai giornalisti.

Da Il Fatto Quotidiano

AUTORITÀ DIPENDENTI – Un fantastico editoriale di Marco Travaglio in risposta al Presidente che si schiera con le sedicenti “Autorità indipendenti” – “Indipendenti? Mattarella può raccontarlo ai nipotini come fiaba della buona notte… uffici di collocamento per politici trombati”

 

Travaglio

 

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AUTORITÀ DIPENDENTI – Un fantastico editoriale di Marco Travaglio in risposta al Presidente che si schiera con le sedicenti “Autorità indipendenti” – “Indipendenti? Mattarella può raccontarlo ai nipotini come fiaba della buona notte… uffici di collocamento per politici trombati”

Travaglio: «Autorità ‘indipendenti’? Mattarella può raccontarlo ai nipotini come fiaba della buona notte»

Marco Travaglio nel suo editoriale di oggi commenta le dichiarazioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sulle “autorità indipendenti” che sono finite nel mirino del governo Conte.

Il capo dello Stato, nel corso di un incontro con alcuni studenti al Quirinale, ha affermato che “c’è un sistema complesso di pesi e contrappesi perché la storia insegna che l’esercizio del potere può provocare il rischio di fare inebriare, di perderne il senso del servizio e di fare invece acquisire il senso del dominio nell’esercizio del potere”.

Per questo – ha aggiunto Mattarella – “c’è un sistema che si articola nella divisione dei poteri, nella previsione di autorità indipendenti, autorità che non sono dipendenti dagli organi politici ma che, dovendo governare aspetti tecnici, li governano prescindendo dalle scelte politiche, a garanzia di tutti”.

Travaglio spiega che secondo i “soliti ventriloqui, esegeti e corazzieri” che citano “le solite fantomatiche ‘fonti del Quirinale’,” Mattarella “ce l’aveva con Di Maio e Salvini che avevano attaccato Juncker, Moscovici & C. per le critiche al Def e la Bankitalia e il Fondo monetario internazionale per i niet alle riforme della Fornero e del Jobs Act”.

“Se così fosse,” – aggiunge il direttore del Fatto Quotidiano – “significherebbe che Mattarella considera ‘autorità indipendenti’ la commissione Ue, Bankitalia e il Fmi. Che non sono né autorità né indipendenti”.

Le uniche autorità indipendenti in Italia – prosegue Travaglio – sono Consob, Antitrust, Agcom e Garante della privacy. Che queste siano davvero indipendenti, però, – osserva il giornalista “o che lo fossero fino all’avvento dei barbari populisti, Mattarella può raccontarlo ai nipotini come fiaba della buona notte. Salvo rare eccezioni del passato remoto, sono uffici di collocamento per politici trombati o amici loro”.

Ecco l’editoriale di Marco Travaglio da Il Fatto Quotidiano:

 

AUTORITÀ DIPENDENTI

Avendola difesa dagli assalti di B., di Re Giorgio e di Renzi, siamo felicissimi quando qualcuno cita la Costituzione. E, quando la cita il presidente della Repubblica, siamo entusiasti.Avremmo preferito che la tenesse a mente quando sponsorizzò la controriforma Renzi-Boschi-Verdini, poi rasa al suolo dal popolo italiano, e quando firmò una legge elettorale incostituzionale, l’Italicum, senz’accorgersi che valeva solo per la Camera nella speranza (poi rivelatasi illusione) che gli elettori abrogassero l’elettività del Senato. Se ne accorse quand’era troppo tardi: cioè quando, bocciato dagli italiani il Senato dei nominati e bocciato dalla Consulta l’Italicum per la Camera, i due rami del Parlamento si ritrovavano (grazie alla sua sciagurata firma sull’Italicum) con due leggi elettorali diverse. Allora prese a reclamare l’“armonizzazione” dei due sistemi creati proprio dalla sua scriteriata firma. Vabbè, acqua passata.

Giovedì Mattarella, ricevendo alcune scolaresche, ha monitato in difesa delle “autorità indipendenti” che, secondo alcuni, sarebbero sotto attacco del governo giallo-verde, ansioso di metterle al proprio servizio. Giorgio Meletti ha già spiegato, testo alla mano, che Mattarella – in barba a quanto scritto da giornali, agenzie di stampa e siti vari – non ha mai detto che “la Costituzione tutela le autorità indipendenti”. La Costituzione non le nomina mai (sono nate molto dopo il 1948) e Mattarella, ex giudice costituzionale, lo sa benissimo.

Infatti s’è limitato a osservare che in Italia “c’è un sistema che si articola nella divisione dei poteri, nella previsione di autorità indipendenti, non dipendenti dagli organi politici, che governano aspetti tecnici a prescindere dalle scelte politiche, a garanzia di tutti”.

Poi i soliti ventriloqui, esegeti e corazzieri, citando le solite fantomatiche “fonti del Quirinale”, ci hanno spiegato il vero significato dell’oracolo: ce l’aveva con Di Maio e Salvini che avevano attaccato Juncker, Moscovici & C. per le critiche al Def e la Bankitalia e il Fondo monetario internazionale per i niet alle riforme della Fornero e del Jobs Act.

Se così fosse, significherebbe che Mattarella considera “autorità indipendenti” la commissione Ue, Bankitalia e il Fmi. Che non sono né autorità né indipendenti: il primo è il governo d’Europa, oggi (ancora per poco) imperniato su una maggioranza Ppe-Psoe; la seconda è la nostra banca centrale, di proprietà di banche private; il terzo è un organismo internazionale – espressione di 189 Paesi fondatori, per nulla indipendente, né democratico, né trasparente – che si occupa di monete e mercati.

Lo sanno tutti, Mattarella in primis, che le nostre “autorità indipendenti” sono Consob (che deve vigilare sulla Borsa), Antitrust (concorrenza nei mercati), Agcom (libertà e pluralismo nelle comunicazioni) e Garante della privacy.

O meglio: che siano “autorità”, lo dice la legge. Che debbano essere indipendenti, pure. Ma che lo siano davvero, o che lo fossero fino all’avvento dei barbari populisti, Mattarella può raccontarlo ai nipotini come fiaba della buona notte. Salvo rare eccezioni del passato remoto, sono uffici di collocamento per politici trombati o amici loro.

In Consob regnarono gli andreottiani Piga e Pazzi (poi arrestato per Tangentopoli), Cardia (ex sottosegretario del governo Dini, con un figlio consulente della Bpl di Fiorani che la Consob avrebbe dovuto stoppare nelle scalate bancarie dei furbetti), Vegas (deputato e viceministro di FI) e Nava (scelto da Gentiloni e poi fuggito per palese incompatibilità).

Al vertice dell’Agcom sono passati il demitiano Santaniello, il socialista Cheli, il berlusconiano Calabrò, fino all’attuale presidente, il montiano Cardani, affiancato da Martusciello (ex venditore di Publitalia, ex deputato e sottosegretario di B.), Preto (già capogabinetto di Tajani e consulente-coautore di Brunetta), Nicita (quota Pd, vicino a Orfini, Franceschini e Letta jr.) e Posteraro (amico di Casini).Alla Privacy, dopo gli anni d’oro di Rodotà, arrivarono il prodiano Pizzetti, l’ex governatore forzista calabrese Chiaravalloti; e ora c’è Soro, dermatologo ed ex deputato Pd, assistito dalla giudice Iannini (moglie di Vespa), dalla leghista Bianchi Clerici (ex Cda Rai condannata dalla Corte dei Conti) e la prof. Califano (amica della Finocchiaro).

All’Antitrust, oltre a giuristi indipendenti come Saja e Tesauro, sedettero noti dipendenti come Amato (dal Psi al Pd), Guazzaloca (FI), Pilati (quota FI), Catricalà (quota Letta sr.), fino all’attuale Pitruzzella (amico di Schifani e Cuffaro).In che senso questi signori sarebbero “indipendenti”? E da chi? Mai mosso un dito contro i conflitti d’interessi, le concentrazioni editoriali, le violazioni del libero mercato, del pluralismo e della privacy (quelle vere).

E perché mai Mattarella dovrebbe difenderli? E da chi, poi, visto che nessuno li ha attaccati? Forse il presidente voleva difendere Bankitalia: peccato che non sia un’autorità indipendente e che, a farla fuori dal vaso, non sia chi la critica, ma essa stessa, che non ha poteri di vigilanza sul governo né deve permettersi di porre veti sulle leggi (competenza di Parlamento e governo). Dovrebbe vigilare sulle banche, possibilmente prima che falliscano. E, se non lo fa, dovrebbe cambiare governatore: ma Visco, che aveva così ben vigilato su Mps, Etruria e le banche venete, fu confermato proprio da Mattarella un anno fa.

Con chi ce l’aveva, dunque, la sibilla quirinalizia? La risposta non può essere cha una: con la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, beccata dal Fatto a cena da B. per concordare la nuova Antitrust, ovviamente dipendente dal trust.

Ma nominare la Casellati, davanti a tutti quei minori facilmente impressionabili, pareva brutto.

“Autorità dipendenti”, di Marco Travaglio su Il Fatto Quotidiano 13 ottobre 2018

Il geniale editoriale di Marco Travaglio: “L’Armata Brancaleone” – Una lucida e sagace analisi dell’attuale situazione politica.

 

Marco Travaglio

 

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Il geniale editoriale di Marco Travaglio: “L’Armata Brancaleone” – Una lucida e sagace analisi dell’attuale situazione politica.

Quando vai alla guerra, prima studi il nemico, poi ti guardi intorno in cerca di alleati, infine prepari le armi più efficaci per vincere. Oppure ti vedi L’Armata Brancaleone e poi fai il contrario. Ora, non c’è dubbio che il governo giallo-verde abbia deciso di andare alla guerra contro tutti i poteri, nazionali e internazionali, palesi e occulti, che governano per davvero l’Italia e l’Europa: Commissione Ue, Bce, Fmi e i famosi “mercati”, cioè la grande finanza e i grandi speculatori che scommettono immense fortune su o contro questo o quel Paese. E giù giù a cascata fino ai nostri poterucoli da riporto: Quirinale, Bankitalia, ragionerie e burocrazie ministeriali, Confindustria, lobby varie, partiti sconfitti nelle urne e vincenti nei media. Il primo atto di guerra è stato vincere le elezioni, sbaragliando i due partiti-architrave del sistema che sognavano l’ennesima ammucchiata, Pd e FI, e lasciando in gramaglie un bel po’ di prenditori, lobbisti e giornalisti vedovi inconsolabili. Il secondo è stato profanare alcuni santuari da sempre intoccabili: il precariato del Jobs Act, la corruzione impunita, i prenditori privati delle concessionarie pubbliche (vedi Autostrade Spa dopo il crollo del ponte), la lobby del gioco d’azzardo, i vitalizi, il business della cosiddetta accoglienza ai migranti. Il terzo, il più imperdonabile, è la prima manovra finanziaria non concordata con l’Ue, dunque non recessiva e non tagliata su misura dei ricchi.

Quando, in quattro mesi, si lanciano tutte queste bombe contro chi ha sempre comandato sarebbe folle non prevedere una reazione uguale e contraria. E non comportarsi di conseguenza. La reazione è sotto gli occhi di tutti: scomuniche europee, moniti quirinaleschi, toni apocalittici su tutti i media che gridano pure alla censura di regime (domenica, in prima serata, Rai1 mandava in onda gli anatemi di Cottarelli e Burioni, noti portabandiera della tirannide giallo-verde), spread a 300 e Borsa in crollo. Non c’è nessun complotto: c’è, semplicemente, il rabbioso sgomento di un intero sistema che non si dà pace di non comandare più. Quando i soliti noti raccontano che “i mercati sono neutrali” perché badano al sodo, anzi al soldo, viene da scompisciarsi: è proprio perché badano al sodo, cioè al soldo, che non sono neutrali. Immaginiamo che accadrebbe se, puta caso, il governo varasse una legge appena più drastica della Fornero, che imponesse il suicidio obbligatorio a tutti i pensionati: i mercati e le Borse festeggerebbero, lo spread e il deficit-Pil finirebbe sottozero. Idem se una legge prevedesse lo sterminio di tutti i poveri.

Per questo esiste il suffragio universale: per evitare che comandino quelli che badano al sodo, cioè al soldo. Infatti, da quando gli elettori han cominciato a votare “male”, si studia il sistema di mandare alle urne solo chi vota “bene”. Avrete notato con quali facce disgustate si parla dei populisti che, non contenti di prendere tanti voti, pretendono pure di mantenere le promesse elettorali. E con quali occhietti estasiati si guarda a Cottarelli, a Calenda, a Monti e ad altri noti frequentatori di se stessi, celebratissimi proprio perché non hanno mai preso un voto (infatti già si riparla di un bel governo tecnico). I mercati, si dice, fanno il loro mestiere: verissimo. Ma il loro mestiere è speculare, non dirigere o rovesciare i governi, fare o disfare le leggi. Questo è compito della politica. Purtroppo però la politica non può governare contro i mercati, capaci di mangiarsi non uno, ma dieci Def con un colpo di spread. Dunque la politica deve farci i conti, mediare e rassicurarli. E qui casca l’asino dei giallo-verdi: sono andati alla guerra in ordine sparso, spensieratamente, cazzeggiando. Il ministro Tria ha garantito – chissà perché e a nome di chi – all’Ue e ai mercati un deficit-Pil all’1,6%,ben sapendo che basterebbe a malapena per scongiurare l’aumento dell’Iva ereditato dai predecessori, senza avviare una sola delle riforme promesse. E ha azzerato il suo potere negoziale. Poi, tomo tomo cacchio cacchio, ha comunicato la novità del 2,4%. E ha azzerato la sua credibilità. Intanto ministri e urlatori vari davano i numeri più disparati sulla manovra e per giunta insultavano come ubriacone Juncker e cialtrone Moscovici. I quali sono entrambe le cose e anche peggio. Ma, finché non verranno spazzati via dagli elettori (i loro partiti sono già morti), hanno potere di vita o di morte sul nostro governo. E lo esercitano nel più sleale dei modi, per puri scopi elettorali: gabellano pochi decimali di deficit in più per la fine del mondo (dopo aver digerito ben di peggio da Francia, Germania, Spagna, persino Italia). E contribuiscono allo sfascio sui mercati con le loro sparate razziste contro l’Italia e il suo legittimo governo. Moscovici l’ha confessato spudoratamente al Pais: “Non si possono confrontare Italia e Spagna” non solo per le differenze di debito e deficit, ma anche perché “Madrid ha un governo pro-europeo” e l’Italia no. Intanto il Fmi e i suoi valletti di Bankitalia avvertono il governo di non toccare la Fornero e il Jobs Act. Dal che si deduce che l’Europa, come la intendono i suoi tenutari, è incompatibile con la nostra Costituzione: la sovranità non appartiene più al popolo, che vota chi gli pare (nel nostro caso, due partiti che vogliono cambiare l’Europa, il Jobs Act e la Fornero); bensì a pochi tecnocrati che non rappresentano nessuno (a parte i soliti “giri”), ma contano più di milioni di elettori. Nemici come questi si combattono senza cedere di un millimetro, ma con la massima serietà: non una parola di troppo; solo atti formali inattaccabili; e tanta mediazione e persuasione. Finora i giallo-verdi han fatto l’opposto: hanno visto L’Armata Brancaleone e, anziché evitarla, l’hanno imitata.

“L’Armata Brancaleone”, di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 10 ottobre 2018

Marco Travaglio: “I governi precedenti facevano più debiti, però li facevano per dare i soldi alle banche ed ai ricchi. La novità è che questi fanno debiti per dare soldi a chi ne ha bisogno”

Marco Travaglio

 

 

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Marco Travaglio: “I governi precedenti facevano più debiti, però li facevano per dare i soldi alle banche ed ai ricchi. La novità è che questi fanno debiti per dare soldi a chi ne ha bisogno”

“La novità è che questi facevano più deficit, cioè più debiti, per dare i soldi alle banche e alle persone abbienti, mentre questi, per la prima volta, fanno più deficit per dare più soldi a chi non ha niente”.

Così Marco Travaglio a Otto e Mezzo venerdì sera, riferendosi rispettivamente ai governi Pd e al governo Conte.

“Il reddito di cittadinanza – ha spiegato il giornalista – è per chi non ha niente, per chi cerca lavoro e non lo trova, la legge Fornero è per mandare in pensione un po’ prima persone che si sono viste allungare l’età pensionabile senza più avere un contratto di lavoro, a cominciare dai famosi esodati. È questa la novità, è questa la scommessa: se questa scommessa produce più PIL perché fa girare un po’ di questi soldi nell’economia e nei consumi, hanno vinto la scommessa. E alla fine ridurranno anche quel famoso rapporto deficit-PIL. Altrimenti l’avranno persa. Ma è questa la novità, non è un’altra”.

Travaglio ha detto che Lega e 5Stelle “sono riusciti a infilare nella manovra il massimo livello per loro possibile delle rispettive promesse elettorali, da una parte l’intervento sulle tasse e il condono per la Lega e dall’altra parte il reddito di cittadinanza. E poi c’è un fattore unificante che è la quota 100 della Fornero che accomuna entrambi i programmi”.

Questo non vuol dire – ha sottolineato – che le due forze politiche diventano un blocco unico: “Tant’è che alle prossime elezioni europee si presenteranno l’un contro l’altro armati, esattamente come alle elezioni amministrative”

Travaglio ha anche osservato che i gialloverdi hanno “fatto una cosa che, se nel bene e nel male non lo sappiamo, se funzionerà o meno non lo sappiamo. Ma hanno fatto una cosa che cambia parecchio le cose e sono riusciti a portare a casa dei bei pezzi dei loro rispettivi programmi elettorali”.

Ecco il video:

FATE SCHIFO – Lo sfogo di Marco Travaglio in un editoriale di fuoco contro i Benetton che hanno lucrato vergognosamente sulla pelle della gente e la stampa che ancora più vergognosamente li difende.

 

Travaglio

 

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FATE SCHIFO – Lo sfogo di Marco Travaglio in un editoriale di fuoco contro i Benetton che hanno lucrato vergognosamente sulla pelle della gente e la stampa che ancora più vergognosamente li difende.

 

FATE SCHIFO

DI MARCO TRAVAGLIO

ilfattoquotidiano.it

Noi non lo sapevamo, ma ogni volta che passavamo in auto sul ponte Morandi di Genova fungevamo da cavie di Autostrade per l’Italia, controllata da Atlantia della famiglia Benetton, che “utilizzava l’utenza, a sua insaputa, come strumento per il monitoraggio dell’opera”. Cavie peraltro inutili, inclusi i poveri 43 morti del 14 agosto: “pur a conoscenza di un accentuato degrado” delle strutture portanti, la concessionaria “non ha ritenuto di provvedere, come avrebbe dovuto, al loro immediato ripristino” né “adottato alcuna misura precauzionale a tutela” degli automobilisti. Lo scrive la Commissione ispettiva del ministero, nella relazione pubblicata dal ministro Danilo Toninelli. Autostrade-Atlantia-Benetton “non si è avvalsa… dei poteri limitativi e/o interdittivi regolatori del traffico sul viadotto” e non ha “eseguito gli interventi necessari per evitare il crollo”. Peggio: “minimizzò e celò” allo Stato “gli elementi conoscitivi” che avrebbero permesso all’organo di vigilanza di dare “compiutezza sostanziale ai suoi compiti”. Non aveva neppure “eseguito la valutazione di sicurezza del viadotto”: gl’ispettori l’hanno chiesta e, “contrariamente a quanto affermato nella comunicazione del 23.6.2017 della Società alla struttura di vigilanza”, hanno scoperto che “tale documento non esiste”. Le misure preventive di Autostrade “erano inappropriate e insufficienti considerata la gravità del problema”, malgrado la concessionaria fosse “in grado di cogliere qualitativamente l’evoluzione temporale dei problemi di ammaloramento… Tale evoluzione, ormai da anni, restituiva un quadro preoccupante, e incognito quantitativamente, per la sicurezza strutturale rispetto al crollo”.

Eppure si perseverò nella “irresponsabile minimizzazione dei necessari interventi, perfino di manutenzione ordinaria”. Così il ponte è crollato, non tanto per “la rottura di uno o più stralli”, quanto per “quella di uno dei restanti elementi strutturali (travi di bordo degli impalcati tampone) la cui sopravvivenza era condizionata dall’avanzato stato di corrosione negli elementi strutturali”. E la “mancanza di cura” nella posa dei sostegni dei carroponti potrebbe “aver diminuito la sezione resistente dell’armatura delle travi di bordo e aver contribuito al crollo”. Per 20 anni, i Benetton hanno incassato pedaggi e risparmiato in sicurezza: “Nonostante la vetustà dell’opera e l’accertato stato di degrado, i costi degli interventi strutturali negli ultimi 24 anni, sono trascurabili”. Occhio ai dati: “il 98% dell’importo (24.610.500 euro) è stato speso prima del 1999”, quando le Autostrade furono donate ai Benetton, e dopo “solo il 2%”.

Quando c’era lo Stato, l’investimento medio annuo fu di “1,3 milioni di euro nel 1982-1999”; con i Benetton si passò a “23 mila euro circa”. Il resto della relazione, che documenta anche il dolce far nulla dei concessionari, ben consci della marcescenza e persino della rottura di molti tiranti, lo trovate alle pag. 2 e 3. Ora provate a confrontare queste parole devastanti con ciò che avete letto in questi 40 giorni sulla grande stampa. E cioè, nell’ordine, che: per giudicare l’inadempimento di Autostrade (i Benetton era meglio non nominarli neppure) bisogna attendere le sentenze definitive della magistratura (una decina d’anni, se va bene); revocare subito la concessione sarebbe “giustizialismo”, “populismo”, “moralismo”, “giustizia sommaria”, “punizione cieca”, “voglia di ghigliottina” e di “Piazzale Loreto”, “sciacallaggio”, “speculazione politica”, “ansia vendicativa”, “barbarie umana e giuridica”, “cultura anti-impresa” che dice “no a tutto”, “pericolosa deriva autoritaria”, “ossessione del capro espiatorio”, “esplosione emotiva”, “punizione cieca”, “barbarie”, ”pressappochismo”, “improvvisazione”, “avventurismo”, “collettivismo”, “socialismo reale”, “oscurantismo” (Repubblica, Corriere, Stampa, il Giornale); l’eventuale revoca senz’attendere i tempi della giustizia costerebbe allo Stato 20 miliardi di penali; è sempre meglio il privato del pubblico, dunque le privatizzazioni non si toccano; il viadotto non sarebbe crollato se il M5S non avesse bloccato la Gronda (bloccata da chi governava, cioè da sinistra e destra, non dal M5S che non ha mai governato; senza contare che la Gronda avrebbe lasciato in funzione il ponte Morandi); e altre cazzate.

Repubblica: “In attesa che la magistratura faccia luce”, guai e fare di Atlantia “il capro espiatorio di processi sommari e riti di piazza”, “tipici del populismo”. Corriere: revocare la concessione sarebbe “una scorciatoia”, “un errore” e “un indizio di debolezza”. La Stampa: il crollo del ponte è “questione complessa” e nessuno deve gettare la croce addosso ai poveri Benetton (peraltro mai nominati), “sacrificati” come “capro espiatorio contro cui l’indignazione possa sfogarsi”, come nei “paesi barbari”. Parole ridicole anche per chi guardava le immagini del ponte crollato con occhi profani: se lo Stato affida un bene pubblico a un privato e questo lo lascia crollare dopo averci lucrato utili favolosi, l’inadempimento è nei fatti, la revoca è un atto dovuto e il concessore non deve nulla al concessionario. O, anche se gli dovesse qualcosa, sarebbero spiccioli (facilmente ammortizzabili con i pedaggi) rispetto al danno che deriverebbe dalla scelta immorale di lasciare quel bene in mani insanguinate. Ora però c’è pure la terrificante relazione ministeriale, che va oltre le peggiori aspettative. In un Paese serio, o almeno decente, i vertici di Autostrade-Atlantia-Benetton, anziché balbettare scuse o chiedere danni in attesa di farne altri, si dimetterebbero in blocco rinunciando alla concessione, per pudore. E i giornaloni si scuserebbero con i familiari dei 43 morti e uscirebbero su carta rossa. Per la vergogna.

Marco Travaglio

www.ilfattoquotidiano.it

28.09.2018

visto su; https://www.facebook.com/TutticonMarcoTravaglioForever/posts/2163916743618496

 

Nota CdCla relazione può essere scaricata dal sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti :

http://www.mit.gov.it/comunicazione/news/ponte-crollo-ponte-morandi-commissione-ispettiva-genova/ponte-morandi-online-la

“Rivieni avanti, aretina” – Assolutamente da leggere, perchè quando la penna di Marco Travaglio si imbatte nell’aretina pidiota è una goduria da orgasmo!

 

Marco Travaglio

 

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“Rivieni avanti, aretina” – Assolutamente da leggere, perchè quando la penna di Marco Travaglio si imbatte nell’aretina pidiota è una goduria da orgasmo!

Leggi anche:

Fantastico Marco Travaglio: “Vieni avanti, aretina”

Rivieni avanti, aretina di Marco Travaglio

Avevamo giurato, e sperato, di non occuparci mai più di Maria Etruria Boschi, lasciando agli storici la pratica di compilarne un breve profilo nel reparto “Minori del Novecento”.

“Avvocaticchia della provincia aretina, classe 1981, inopinatamente promossa da Renzi nel 2014 ministra delle Riforme e Rapporti col Parlamento, e nel 2016 dall’incolpevole Gentiloni sottosegretaria a Palazzo Chigi, è nota per due crac: quello della Banca Etruria vicepresieduta e amministrata dal padre e quello della riforma costituzionale scritta a quattro piedi con Verdini e respinta con perdite dagli italiani. Rieletta a viva forza nel 2018 a Bolzano, dove ancora non la conoscevano, e munita per precauzione di ben 5 collegi-paracadute sparsi per l’Italia, fece perdere le sue tracce durante la sua seconda e ultima legislatura, poi tornò alla materia primigenia: il nulla”.

Ma dobbiamo fare un’eccezione, perché la signorina ha concesso ben 6 pagine d’intervista al Sette diretto da Severgnini, annunciata in pompa magna col titolo “La nuova vita di MEB”. Vita, naturalmente, si fa per dire.

Chi scorre le risposte, ma soprattutto le domande di Stefania Chiale, è colto da una sensazione strana e straniante: quella che l’intervistata debba placare i bollenti spiriti dell’adorante intervistatrice. Alla quarta riga, per dire, la Chiale già stigmatizza “la violenza degli attacchi personali durante la vicenda Etruria”, guardandosi bene dal rammentare di che sta parlando: cioè di una ministra che non dovrebbe occuparsi di banche, giura in Parlamento di non essersi mai occupata di banche e invece viene colta col sorcio in bocca a raccomandare – tra una mezza dozzina di banche fallite – proprio quella paterna. Il dg Bankitalia, il presidente Consob e l’ex ad Unicredit – auditi in commissione Banche – la dipingono come una specie di stalker che, appena li incontrava, prima ancora dei saluti, li implorava di salvare la banca di papi.

Ora, con gran sollievo degli italiani, soprattutto degli aretini, si occupa d’altro: “L’Onorevole (maiuscolo, ndr) Boschi sta finendo l’intervento in Aula (maiuscolo, ndr) sui vaccini”. Sono soddisfazioni. Ma preferiva fare la ministra: “Politicamente si stava meglio prima, su questo non c’è dubbio!” , afferma in lieve controtendenza con l’elettorato. Però il nuovo status non è male: “Negli anni di governo non ho mai spento il cellulare” (chiamava per Etruria pure di notte). Una vita d’inferno: “Ero abituata a svegliarmi più volte di notte per non perdere telefonate o messaggi quando ho avuto anche la responsabilità della Protezione Civile”.
Oddio, questa l’avevamo proprio rimossa: la Boschi alla Protezione civile. Fortuna che Madre Natura invece lo seppe e fu così gentile da risparmiarci in quel lasso di tempo altri disastri: bastava la Boschi.

Invece, “il 1° giugno, quando si è insediato il nuovo governo, ho spento il telefono per la prima volta”. Anche perché erano settimane che non chiamava nessuno. E dire che, nel 2014, un sito di squilibrati l’aveva infilata addirittura “nella lista dei 28 personaggi che stanno cambiando l’Europa”. Chissà che si erano fumati.

Altra perla: “Siamo stati più noi nelle periferie del M5S”, e infatti da allora le periferie votano M5S: l’hanno riconosciuta. Il 4 marzo “la mia prima scelta era Arezzo, per potermi togliere qualche sassolino dalle scarpe. Poi abbiamo (noi maiestatico, come il Papa, ndr) pensato a una candidatura altrove, per evitare che tutta la campagna venisse focalizzata sul tema banche”. Ma soprattutto che i sassolini dalle scarpe se li levassero gli aretini e la incontrassero per la strada.

“Il collegio di Bolzano non è stato casuale: avevo lavorato sulle Autonomie Speciali, conoscevo come funziona la realtà dell’Alto Adige”. Ma tu pensa. La focosa intervistatrice lacrima per “gli attacchi che ha subìto, sui social e non solo (penso al Cosciometro del Fatto Quotidiano)”: una vignetta di Natangelo, roba che neanche l’Isis. Lei la rincuora: “Non so se sono stata il capro espiatorio”, però ha patito tanti “pregiudizi”.

Domanda (si fa per dire): “L’essere donna crede abbia influito?”. “Un po’ sì, quello che ho fatto io è stato accettato con più fatica che se l’avesse fatto un uomo”. In effetti, se a occuparsi di Etruria fosse stato il ministro dell’Economia che non aveva parenti in banca anziché la ministra delle Riforme figlia del vicepresidente, sarebbe stata un’altra cosa.

Sistemati i sessisti del #MebToo, la patriota auspica una bella “crisi economica” che rovesci il governo. E le minacce non sono finite: “riprendo il mio mestiere di avvocato”. A noi risulta che abbia bussato ai maggiori studi legali, come Alfano, ma diversamente da lui ha trovato chiuso. Quindi al momento riesce a essere una tacca sotto Alfano (categoria che si riteneva impossibile in natura).

L’ultimo scoop è della Chiale: “Fraccaro propone cose non dissimili alle sue, come l’abolizione del Cnel e la riduzione dei parlamentari. Soddisfazione o amarezza?”.
Balle: la Boschi&Verdini fu bocciata perché aboliva le elezioni del Senato per infarcirlo di consiglieri regionali e sindaci. Ma tanto non se lo ricorda nessuno, tantomeno la Boschi, che la sua “riforma” non solo non l’ha scritta, ma neppure letta.

E Renzi? “È il politico più coraggioso che conosco”. Figurarsi gli altri. “Un difetto? Si fida troppo degli altri”. Ecco, è troppo buono.
Ma ora passiamo alle cose serie: “Il libro che sta leggendo?”. “Due in contemporanea” (è una ragazza prodigio). Uno è Non si abbandona mai la battaglia (sottotitolo: nemmeno quando si è giurato di dimettersi in caso di sconfitta).

Se la memoria non ci inganna, già il 13 agosto s’era fatta un selfie su Instagram con quel testo in grembo. Non saranno troppi 40 giorni per un solo libro?
O in ferie guardava le figure?

“Rivieni avanti, aretina”, di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 21 Settembre 2018

Un grande editoriale di Marco Travaglio: ‘Ma questi signori l’hanno capito perché hanno perso le elezioni?’

 

Marco Travaglio

 

 

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Un grande editoriale di Marco Travaglio: ‘Ma questi signori l’hanno capito perché hanno perso le elezioni?’

 

“Chi riesce a seguire le cronache sulle mosse di quel che resta del centrosinistra, e a rimanere sveglio, non può non domandarsi: ma questi signori l’hanno capito perché hanno perso le elezioni?”

Se lo chiede Marco Travaglio nel suo editoriale di oggi, nel quale passa in rassegna tutti gli errori del Pd e del centrosinistra degli ultimi anni.

La risposta a questa domanda, secondo il direttore del Fatto Quotidiano, è no. “Anzi, – aggiunge – l’impressione è che non si siano neppure posti la domanda”.

Travaglio osserva che il centrosinistra seguita “a comportarsi come dinanzi non a una catastrofe epocale, ma a un incidente di percorso”. E dunque aspetta la fine del governo giallo-verde in attesa del rilancio.

Il loro errore però, secondo il giornalista, è che “non fanno nulla per capire chi sia e perché continui a guadagnare consensi”. E infatti “un premier semisconosciuto come Conte, stando ai sondaggi, gode del 69% di popolarità”.

Ciononostante, secondo Travaglio la maggioranza M5S-Lega “passa gran parte del suo tempo a litigare, a commettere errori puerili e gaffe plateali, ad annunciare cose che non potrà mai fare, a smentire le voci dal sen fuggite a questo o quel ministro”.

Tuttavia questo, invece di “gonfiare le vele alle opposizioni” continua Travaglio “porta altro fieno in cascina ai governativi”.

Il motivo di questo rifiuto verso il centrosinistra sarebbe “che il ricordo dei disastrosi governi precedenti è talmente vicino, vivido, incombente che nessun errore dei nuovi arrivati può suscitare un rimpianto per i partiti sconfitti alle elezioni”.

tratto da: https://www.silenziefalsita.it/2018/08/05/pd-travaglio-ma-questi-signori-lhanno-capito-perche-hanno-perso-le-elezioni/

Leggi l’editoriale di Marco Travaglio:

Ma la sinistra l’ha capito perché ha perso le elezioni?

Chi riesce a seguire le cronache sulle mosse di quel che resta del centrosinistra, e a rimanere sveglio, non può non domandarsi: ma questi signori l’hanno capito perché hanno perso le elezioni? A cinque mesi dalla disfatta del 4 marzo, la risposta è no. Anzi, l’impressione è che non si siano neppure posti la domanda. Continuano a comportarsi come dinanzi non a una catastrofe epocale, ma a un incidente di percorso, a un’afflizioncella passeggera: aspettano fischiettando che passi la nuttata, o il cadavere del nemico giallo-verde, che peraltro non fanno nulla per capire chi sia e perché continui a guadagnare consensi. Un premier semisconosciuto come Conte, stando ai sondaggi, gode del 69% di popolarità, di poco superiore a quella del suo governo e dei dioscuri Di Maio e Salvini. Eppure la maggioranza Frankenstein nata due mesi fa passa gran parte del suo tempo a litigare, a commettere errori puerili e gaffe plateali, ad annunciare cose che non potrà mai fare, a smentire le voci dal sen fuggite a questo o quel ministro, in una cacofonia incoerente e pasticciona che dovrebbe gonfiare le vele delle opposizioni. E invece porta altro fieno in cascina ai governativi. Possibile che a sinistra, fra una maglietta rossa e un appello antifascista, nessuno capisca quel che sta accadendo?

Eppure è tutto molto chiaro: il ricordo dei disastrosi governi precedenti è talmente vicino, vivido, incombente che nessun errore dei nuovi arrivati può suscitare un rimpianto per i partiti sconfitti alle elezioni. Ci si accontenta che i nuovi arrivati facciano ogni tanto il contrario dei vecchi: qualche freno al precariato, qualche nomina per merito e non per tessera (dall’ad Rai ai nuovi vertici Fs), lo stop all’ultima svuotacarceri e al bavaglio sulle intercettazioni, la rimessa in discussione di grandi opere assurde come il Tav Torino-Lione. Anche perché né il Pd, né Leu (o come diavolo si chiama ora) né tantomeno FI fanno assolutamente nulla per distaccarsi da quel passato e poter dire agli italiani: “Ora siamo un’altra cosa, voltiamo pagina e ripartiamo da zero”. FI non può per una dannazione genetica: è nata con B. e morirà con B. Ma il Pd e la sinistra non dovrebbero avere problemi a trovare nuovi leader: oltretutto ci sono abituati, avendone cambiati una trentina in vent’anni. Però un conto sono i nuovi leader, un altro sono i leader nuovi. Gente, cioè, capace di parlare un linguaggio diverso, portare contenuti diversi e raggiungere elettori diversi: perduti e mai avuti. Finora, invece, lo scouting pidino si è concentrato su leader nuovi, o seminuovi, o di seconda mano, o di seconda fila.

Dirigenti che stavano al governo e vorrebbero dirigere il partito, come se il partito non avesse perso proprio per i disastri fatti al governo. Martina e Gentiloni sono brave persone, ma chi li ha mai sentiti prendere le distanze da Renzi su questioni sostanziali come lavoro, povertà, precariato, nomine, casta, corruzione, tasse? Le ultime cartine al tornasole sono due casi all’apparenza minori, almeno per l’impatto sui conti pubblici (non sull’immaginario collettivo): i vitalizi e l’Air Force Renzi (gemello dei Rolex d’Arabia). Per farla finita con i privilegi pensionistici dei parlamentari bastava – come scrisse il Fatto due anni fa in un appello con centinaia di migliaia di firme – una delibera degli uffici di presidenza di Camera e Senato. I 5Stelle, appena Fico s’è seduto a Palazzo Madama, hanno subito provveduto, trascinandosi dietro una Lega riottosa. La casta confidava nella rivincita al Senato grazie alla santa patrona Maria Elisabetta Casellati Alberti Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare. Che ha chiesto pareri a tutti nella speranza che qualcuno le rispondesse che no, tagliare i vitalizi non si può. Invece persino il Consiglio di Stato ha detto che sì, si può. Così ora anche il Senato sarà costretto a imitare la Camera. E chi se ne gioverà? Il M5S.

Sarebbe bastato che un anno fa il Pd facesse altrettanto, anziché presentare la legge Richetti e poi bocciarla, per poter vantare almeno quel successo. Ora, per cancellare quel pessimo ricordo, non basta piazzare Martina, o Gentiloni, o Calenda al posto di Renzi: ci vuole qualcuno che negli ultimi anni facesse altro. L’Air Force Renzi, monumento supremo al superego provincialotto del capo, fu svelato dal Fatto due anni fa: si sapeva fin da subito che era una boiata pazzesca. Ora che il nuovo governo disdice il contratto-capestro Alitalia-Etihad da 150 milioni (e per il leasing, mica per l’acquisto, che sarebbe costato meno; e per fortuna ci siamo risparmiati i 15 o 16 che sarebbe costato il nuovo arredamento sognato dal megalomane di Rignano), nessun pretendente al trono del Nazareno può dire alcunché. Erano tutti lì attorno a Renzi a fischiettare e a parlar d’altro, oppure a salire a bordo (da Gentiloni a Scalfarotto). Casi come questo ne verranno fuori molti altri, ora che i vincoli di solidarietà-omertà si allentano dopo l’uscita del Pd dalle stanze dei bottoni. Qualcuno lo svelerà la nuova maggioranza, aprendo i cassetti e gli armadi. Qualcuno altro magari lo scopriranno le procure. È così difficile capire che il Pd può avere un futuro solo facendo subito tabula rasa del passato e affidandosi a qualcuno che non c’era? Alla festa della Versiliana (30 agosto-2 settembre), abbiamo invitato alcuni esponenti della sinistra che rispondono all’identikit: amministratori di lungo corso, ma estranei alla stagione renziana, come Zingaretti; e giovani molto meno noti che meriterebbero la ribalta nazionale per essere messi alla prova. Se fossero già stati in pista dopo il 4 marzo, avrebbero evitato il capolavoro di un partito che si dice di sinistra e prima spinge i 5Stelle tra le braccia di Salvini, poi comincia a strillare al governo fascista.

tratto da: https://infosannio.wordpress.com/2018/08/05/ma-la-sinistra-lha-capito-perche-ha-perso-le-elezioni/