Il TAV in Francia costa 90 milioni al km, in Spagna 10, in Giappone, zona altamente sismica, 9 milioni al km, in Italia invece arriva a costare fino a 450 milioni al km… Capirete perché, utile o no, a qualcuno sicuramente conviene farlo!

 

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Il TAV in Francia costa 90 milioni al km, in Spagna 10, in Giappone, zona altamente sismica, 9 milioni al km, in Italia invece arriva a costare fino a 450 milioni al km… Capirete perché, utile o no, a qualcuno sicuramente conviene farlo!

 

Lo sottolinea il rapporto sulla corruzione della Commissione europea: il prezzo “potrebbe essere una spia di cattiva gestione o irregolarità”

Tav: in Italia costa 61 milioni al chilometro, in Spagna 10, e in Giappone 9

Lo sottolinea il rapporto sulla corruzione della Commissione europea: il prezzo “potrebbe essere una spia di cattiva gestione o irregolarità”

Lo sottolinea il rapporto sulla corruzione della Commissione europea: il prezzo “potrebbe essere una spia di cattiva gestione o irregolarità”

Ci spiegheranno che è per via degli Appennini (famosi quelli tra Roma e Napoli) o per ragioni sismiche (quelle purtroppo ci sono sempre, mentre in Giappone il fenomeno è sconosciuto). Ci saranno ragioni tutte italiane mentre in Francia, in Spagna, o in Giappone si costruisce su vie ferroviarie naturali, tutte piatte e senza alcuna difficoltà. Ma il risultato da spiegare è come mai in Italia le ferrovie ad Alta velocità costano 61 (sessantuno) milioni al chilometro e in Giappone costa solo 9,8 milioni, in Spagna 9, 3 e in Francia 10,2.

Lo rileva un paragrafo del primo Rapporto della Commissione europea sulla corruzione nell’Unione, che vale la pena riportare integralmente: “L’alta velocità è tra le opere infrastrutturali più costose e criticate per gli elevati costi unitari rispetto a opere simili. Secondo gli studi, l’alta velocità in Italia è costata 47,3 milioni di euro al chilometro nel tratto Roma-Napoli, 74 milioni di euro tra Torino e Novara, 79,5 milioni di euro tra Novara e Milano e 96,4 milioni di euro tra Bologna e Firenze, contro gli appena 10,2 milioni di euro al chilometro della Parigi-Lione, i 9,8 milioni di euro della Madrid-Siviglia e i 9,3 milioni di euro della Tokyo-Osaka. In totale il costo medio dell’alta velocità in Italia è stimato a 61 milioni di euro al chilometro. Queste differenze di costo, di per sé poco probanti, possono rivelarsi però una spia, da verificare alla luce di altri indicatori, di un’eventuale cattiva gestione o di irregolarità delle gare per gli appalti pubblici”.

Da Eunews del 03.02.2014

 

Ma ecco la tabella aggiornata dei costo:

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L’ing. Ivan Cicconi nel 2012 aveva già fatto molto bene i conti e scriveva, tra l’altro: Torino-Lione: il primato del costo al chilometro”

“Non è inoltre da sottovalutare il fatto che il prevedibile aumento complessivo dei costi, stante la ripartizione percentuale pattuita, la diversa lunghezza delle tratte ed il contributo del 40% europeo necessariamente fisso, si rifletterebbe in modo decisamente negativo per l’Italia.

Ipotizzando un aumento del solo 100% dei costi della intera galleria di base, cinque volte inferiore a quello registrato per la Torino-Milano, il costo a chilometro per l’Italia salirebbe da 235 a 628 milioni di euro al km, circa il 200% in più.”

Una profezia che si sta avverando: per l’Italia il costo al chilometro del tunnel è già di 450,3 milioni. La Francia, sempre a corto di soldi, dovrà pagare solo 91,9  milioni di km.  (Importi escluso il contributo UE).

fonte dati: http://www.presidioeuropa.net/blog/torino-lione-costi-aggiornati-al-2017-%E2%80%93-l%E2%80%99italia-pagherebbe-il-tunnel-2935-milioni-di-euro-%E2%80%93-mappa-progetto/

Colpo di genio: gli espropriano la casa per realizzare il Tav… Interviene la parlamentare Businarolo (M5S) che vi trasferisce il suo ufficio. L’ufficio di un parlamentare non può essere espropriato!

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Colpo di genio: gli espropriano la casa per realizzare il Tav… Interviene la parlamentare Businarolo (M5S) che vi trasferisce il suo ufficio. L’ufficio di un parlamentare non può essere espropriato!

 

Un ufficio parlamentare locale nella casa di un espropriando per i lavori del Tav. Sarà nel territorio di Castelnuovo del Garda, parte della collegio di Villafranca dove ha corso per le elezioni all’uninominale la nuova sede locale di Francesca Businarolo, deputata del Movimento 5 Stelle. Lo annuncia lei stessa con un post sul suo blog ricordando che l’articolo 68 della Costituzione afferma che «senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza». Un principio ribadito ulteriormente dalla sentenza numero 58 del 2004 della Corte Costituzionale, che ha sancito l’estensione di questa salvaguardia a «spazi ulteriori rispetto alla residenza, identificabili come “domicilio”, in vista della tutela dell’interesse del Parlamento al pieno dispiegamento della propria autonomia, esplicantesi anche nel libero esercizio del mandato parlamentare, rispetto agli altri poteri dello Stato».

«È un dovere dei parlamentari essere presenti sul territorio – afferma Businarolo -. Durante la campagna elettorale ho incontrato moltissime persone della circoscrizione di Villafranca, inclusa l’area del basso Garda, particolarmente interessata – e minacciata – dalla tratta Brescia Verona, di prossima realizzazione, dopo il via libera del Cipe. Ho seguito l’esempio di alcuni miei colleghi bresciani della precedente legislatura, confidando di dare un aiuto concreto ai tanti cittadini che, ormai da molti anni, spesso inascoltati, sono in prima linea contro un’opera dannosa per l’ambiente, costosa per le tasche dei cittadini e inutile per gli utenti, in particolare per i pendolari che devono fare i conti con biglietti sempre più esosi e un servizio di trasporto locale sempre più scadente».

Lo strano caso del Tav: è un’opera inutile, dopo 20 anni il Governo lo ammette. Ma si deve fare lo stesso!

 

Tav

 

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Lo strano caso del Tav: è un’opera inutile, dopo 20 anni il Governo lo ammette. Ma si deve fare lo stesso!

 

Il Tav è un’opera inutile, ma ormai la faremo lo stesso. Si può riassumere così l’incredibile documento dal titolo «Adeguamento dell’asse ferroviario Torino – Lione. Verifica del modello di esercizio per la tratta nazionale lato Italia fase 1 – 2030» pubblicato dalla presidenza del Consiglio dei Ministri. Un documento che ammette ciò che il movimento no-tav sostiene da anni, ovvero la completa inutilità dell’opera, ma ribadisce di voler andare avanti nella sua costruzione.

UN PROGETTO BASATO SU STIME COMPLETAMENTE SBAGLIATE. Il documento (consultabile integralmente a questo link) ammette che «non c’è dubbio che molte previsioni fatte quasi 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, siano state smentite dai fatti, soprattutto per effetto della grave crisi economica di questi anni, che ha portato anche a nuovi obiettivi per la società, nei trasporti declinabili nel perseguimento di sicurezza, qualità, efficienza». In parole povere si dice che il Tav è completamente inutile. Ma subito dopo ecco la sorpresa, l’opera ad ogni modo va portata a termine, perché per poter continuare i lavori è necessario liberarsi «dall’obbligo di difendere i contenuti analitici delle valutazioni fatte anni fa». Come riassunto in un articolo pubblicato da Wu Ming 1, il governo quindi non sta dicendo: abbiamo sbagliato, avevate ragione, parliamone. Al contrario, sta dicendo: abbiamo sbagliato ma è ininfluente, perché abbiamo ragione lo stesso e non c’è altro da dire.

LA CRISI ECONOMICA NON C’ENTRA PROPRIO NULLA. Ma di quanto erano sbagliate le previsioni sull’aumento di traffico merci che secondo i tecnici di tutti i governi succedutisi dal 2001 (anno dell’approvazione del primo progetto) ad oggi avrebbero reso necessario la costruzione di una nuova linea ad alta velocità tra Torino e Lione? Nel 1998 il traffico merci sulla linea era di 10,1 milioni di tonnellate, e gli “esperti” stimarono che entro il 2010 sarebbe diventato di 20 milioni di tonnellate, una quantità che avrebbe saturato gli altri valichi. Ebbene nel 2010 si rivelarono invece addirittura di quattro volte inferiori a dodici anni prima, fermandosi a 2,5 milioni di tonnellate. E ovviamente non regge la scusa accampata dal governo Gentiloni nel documento, dove si da tutta la colpa alla “grave crisi economica”. La crisi infatti ebbe inizio nel 2008, anno in cui la diminuzione del traffico merci era già pienamente in corso, come si può vedere dal grafico sottostante. Lo stesso errore è stato ripetuto nella revisione del progetto del 2012 quando, nonostante la crisi fosse ampiamente in corso, i brillanti tecnici del governo arrivarono addirittura a stimare il traffico merci annuo fino al fantascientifico anno 2054, quando secondo loro ogni anno tra Francia e Italia sarà necessario trasportare quasi 60 milioni di tonnellate di merce. Cifre fatte a casaccio per difendere un’opera indifendibile.

A COSA SERVE VERAMENTE IL TAV TORINO-LIONE? Va tra l’altro appuntato che negli ultimi anni pure i francesi hanno ribadito che per loro costruire il Tav non è una priorità, concetto ribadito anche dal nuovo presidente Macron che ha affermato che la Francia si è presa «una pausa di riflessione» sul progetto. Che senso ha quindi l’ostinazione che continuano a mostrare tutti i governi italiani? La verità è che la costruzione di questa inutile grande opera è diventata da tempo una questione non economica ma politica, e più precisamente indirizzata a ribadire il dominio del governo sui territori. Non costruire l’opera significherebbe automaticamente dare ragione al movimento no-tav che da 25 anni resiste contro la sua costruzione, e questo non è ammissibile. Lo disse pochi anni fa senza giri di parole il Pubblico Ministero Marcello Maddalena in uno dei tanti processi celebrati contro i no-tav: «Il danno grave per il paese è il rischio della libera determinazione della pubblica autorità che sarebbe in crisi. Perché lì è il rischio per l’istituto democratico, ed è lì che ovviamente anche se il governo la ritiene inutile c’è una questione più forte, perché significherebbe rinunciare al principio di democrazia e quindi l’opera deve andare avanti a costo di impiegare l’esercito per farla andare avanti».

 

Fonte: http://www.dolcevitaonline.it/il-tav-e-unopera-inutile-dopo-20-anni-il-governo-lo-ammette-ma-vuole-farla-lo-stesso/

Quando Napolitano salvò i politici: nel ’98 fermò le indagini su Ds, Coop e Tav…!!!

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Quando Napolitano salvò i politici: nel ’98 fermò le indagini su Ds, Coop e Tav…!!!

Quando tirano venti di bufera (giudiziaria), a sinistra scatta l’autosoccorso rosso. Oggi Mattarella dà una mano a Renzi invocando il «rispetto dei confini delle proprie attribuzioni» per evitare il conflitto tra poteri dello Stato, e anche Napolitano si è allineato al premier contro la pubblicazione «indiscriminata» delle intercettazioni. Ma proprio il presidente emerito è stato protagonista, da ministro dell’Interno, di un’altra controversa vicenda che, per molti, fu un favore alla sua area politica, con risvolti convenienti per la criminalità organizzata.

La vicenda nasce nel 1996, quando il Ros – come ha raccontato ieri Repubblica – infiltra il colonnello (oggi generale) Vincenzo Paticchio come «agente provocatore» per scoprire i legami corruttivi tra clan dei casalesi, imprenditoria e politica intorno ai lavori per l’alta velocità. Paticchio, fingendosi ingegnere, finisce per fare da tramite tra il consorzio Tav, il clan e le amministrazioni locali, fungendo da emissario e «garante» per le tangenti. Tra i nomi captati dalla «talpa» c’erano quelli di molti politici campani dell’epoca, anche di sinistra, anche di primo piano. Morale, l’«infiltrato speciale» con licenza di facilitare le tangenti sollevò un gran polverone e l’esperienza non venne ripetuta. Ma c’è di più. L’attivismo del Ros sulla Tav, come quello degli altri reparti speciali Sco (Polizia) e Scico (Finanza), stava mettendo in imbarazzo il governo dell’Ulivo, con indagini non solo sull’alta velocità ma anche su Di Pietro e Pacini Battaglia, sugli affari delle coop, sugli stessi Ds in varie regioni. Oltre che su Cosa Nostra, Riina e Provenzano.

Eppure qualcosa stava per spezzare quelle indagini: un criticatissimo decreto ministeriale firmato a marzo 1998 dall’allora titolare del Viminale Napolitano, che smantellava i reparti speciali, fiore all’occhiello nella guerra alla mafia e nel contrasto alla corruzione, trasformando in meri «centri di analisi e di supporto tecnico-logistico» le strutture centrali, e assegnando le sezioni periferiche ai comandi territoriali dei rispettivi corpi. In pratica, se prima una procura poteva rivolgersi per le indagini al Ros, che le avrebbe svolte affidandosi alle sue strutture periferiche in tutta Italia, dopo il decreto Napolitano alle toghe toccava limitarsi a bussare alla porta del locale comando provinciale. Stesso discorso per Sco e Scico. Un depotenziamento in piena regola, tanto che l’allora capo dello Scico, Mario Iannelli, nel 2009 raccontò a Libero che il reparto era sulla «pista buona» per arrestare Provenzano all’inizio del 1998.

Ma con il decreto Napolitano «la struttura creata – spiegò Iannelli – viene azzerata. Con i miei collaboratori siamo così obbligati a chiudere i fascicoli pendenti». Per la gioia del boss, che restò in libertà per altri otto anni. E per il sollievo dei politici di centrosinistra finiti nel mirino di indagini che le procure di mezza Italia avevano assegnato ai reparti speciali. Quando nel 2000 le cose furono rimesse a posto, il dubbio restò a molti. Maurizio Gasparri, per esempio, in un’interrogazione parlamentare chiese «se la decisione di ridimensionare l’attività investigativa di Ros, Sco e Scico fu anche alimentata per attività investigative condotte dallo Scico nei confronti del dottor Di Pietro e da parte del Ros nei confronti di esponenti della sinistra calabrese».

Fonte: Qui