Adesso Salvini decide chi ha bisogno della scorta o no in base a quanto gli sta sul cazzo …proprio non trovate che c’è qualcosa che non va?

 

Salvini

 

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Adesso Salvini decide chi ha bisogno della scorta o no in base a quanto gli sta sul cazzo …proprio non trovate che c’è qualcosa che non va?

 

Da Salvini avvertimento a Saviano: “Valutiamo se gli serve la scorta”. Lo scrittore: “Ministro della malavita a capo di un partito di ladri, buffone”

Il titolare del Viminale aveva detto ad Agorà: “Le autorità competenti valuteranno come si spendono i soldi degli italiani”. In serata Fico rompe il silenzio 5 Stelle criticato per tutto il giorno dal Pd: “Chi denuncia la criminalità deve essere protetto dallo Stato”. La replica dell’autore di Gomorra su Twitter. E Minniti ricorda il caso di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle bierre dopo che lo Stato gli negò la scorta.

Scontro in due atti fra Matteo Salvini e Roberto Saviano: alle 10 del mattino il ministro dell’Interno attacca ad Agorà lo scrittore minacciandolo di togliergli la scorta dopo le critiche sulle politiche dell’immigrazione e sul censimento ai rom. In serata la replica su Twitter dell’autore di Gomorra: “Non mi fai paura, buffone, ministro della malavita”. Il silenzio del M5s, criticato per tutto il giorno dal Pd, è stato interrotto solo in serata da un post su Facebook del presidente grillino della Camera, Roberto Fico, che – senza citare Saviano – contraddice sull’argomento il vicepremier leghista.

“L’Italia – dichiara Fico – è il Paese che ha nel suo ventre tre fra le più grandi organizzazioni criminali internazionali: mafia, camorra, ‘ndrangheta. Tutti i cittadini, gli imprenditori e gli intellettuali che hanno avuto il coraggio di denunciare e opporsi alla criminalità organizzata devono essere protetti dallo Stato”. Tardivo e incompleto, per il Pd, l’intervento del presidente di Montecitorio. “Le parole di Fico – commenta il deputato dem Emanuele Fiano– rompono il silenzio dei Cinque Stelle. Mancano ancora quelle del capo politico del movimento Luigi Di Maio alleato fedele di Salvini. Evidentemente la fedeltà sta diventando ossequio nei confronti del vero capo politico del governo, e il contratto ha coperto l’obbligo di stare sempre dalla parte di chi combatte le mafie”. Di Maio interviene poi in tarda serata, uscendo dalla riunione con i parlamentari 5s. In risposta ai cronisti che lo interpellano sul caso Salvini-Saviano, il leader politico del Movimento dice: “Io penso che ci dobbiamo concentrare sulle cose che stanno nel contratto, su cosa faremo per gli italiani, l’ho detto anche ai parlamentari”. E poi aggiunge: “ognuno dica quello che vuole ma nel tempo libero, nel tempo del lavoro ognuno deve concentrarsi sul proprio obiettivo”.

Tutto comincia quando il titolare del Viminale, ospite di Agorà su Rai Tre, mette in forse la scorta a Saviano. “Saranno le istituzioni competenti – afferma – a valutare se corra qualche rischio, anche perché mi pare che passi molto tempo all’estero”. “Saviano – aggiunge il vicepremier e leader del Carroccio – è l’ultimo dei miei problemi. Gli mando un bacione se in questo momento ci sta guardando. È una persona che mi provoca tanta tenerezza e tanto affetto”. “Ma – conclude a proposito dell’opportunità di mantenere la tutela dello Stato allo scrittore – è giusto valutare come gli italiani spendono i loro soldi”.

Parole che suscitano un’ondata di indignazione tale da costringere il titolare del Viminale, qualche ora più tardi, a correggere il tiro: “Non sono io a decidere sulle scorte, ci sono organismi preposti”, precisa. Ma la frenata non ha impedito una valanga di proteste proveniente dal mondo politico.

Paolo Siani, deputato Pd e fratello del giornalista ucciso dalla camorra (“Se scortato forse Giancarlo sarebbe ancora vivo”, commenta), ricorda che “non è la prima volta che il leader del Carroccio minaccia l’autore di Gomorra. Se andiamo al governo, diceva Salvini l’8 agosto del 2017, a Saviano gli leviamo l’inutile scorta. La dichiarazione di questa mattina dà seguito alla minaccia fatta in campagna elettorale”.

Marco Minniti interviene per ricordare che “le scorte non si assegnano né si tolgono in tv”. “I dispositivi di sicurezza per la protezione delle persone esposte a particolari situazioni di rischio – aggiunge l’ex ministro dell’Interno – seguono procedure rigorose e trasparenti che coinvolgono vari livelli istituzionali. E sono state rafforzate dopo l’omicidio di Biagi“. Marco Biagi è il giuslavorista ucciso dalle bierre dopo che lo Stato gli negò la scorta. “Chi ricopre cariche istituzionali – ammonisca il pm antimafia Nino Di Matteo dalTg1 – dovrebbe conoscere bene la mentalità dei mafiosi in modo da evitare che certe dichiarazioni siano interpretate come un segnale di indebolimento”.

LA MINACCIA DI SALVINI (8 AGOSTO 2107): “SE ANDIAMO AL GOVERNO GLI TOGLIAMO LA SCORTA”

La retromarcia di Salvini non evita, in serata, la durissima replica dello scrittore contenuta in un video postato su Twitter. “Salvini ministro della malavita”, dice. “L’Italia – attacca Saviano – è il Paese occidentale con più giornalisti sotto scorta perché ha le organizzazioni criminali più potenti del mondo, ma Matteo Salvini, ministro dell’Interno, invece di contrastare le mafie, minaccia di ridurre al silenzio chi le racconta”.

Tratto da La Repubblica

http://www.repubblica.it/politica/2018/06/21/news/da_salvini_avvertimento_a_saviano_valutiamo_se_gli_serve_la_scorta_-199583859/

Roberto Saviano risponde a Matteo Salvini: “Ho avuto come nemici i Casalesi e i Narcos Messicani e credi che possa avere paura di te, BUFFONE…!”

 

Roberto Saviano

 

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Roberto Saviano risponde a Matteo Salvini: “Ho avuto come nemici i Casalesi e i Narcos Messicani e credi che possa avere paura di te, BUFFONE…!”

Roberto Saviano risponde a Matteo Salvini: “Vivere sotto scorta è una tragedia. Credi abbia paura di te? Buffone”

Dalla sede romana di Fanpage.it, lo scrittore Roberto Saviano risponde all’intimidazione del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che questa mattina ha ventilato l’ipotesi di una revoca della scorta al giornalista: “Matteo Salvini è alla costante ricerca di un diversivo e attacca i migranti, i Rom e poi me perché è a capo di un partito di ladri: quasi 50 milioni di euro di rimborsi elettorali rubati. Parla di tutto e se la prende con gli ultimi perché le persone non devono sapere che il suo partito ha rubato allo Stato milioni e milioni di euro”.

Questa mattina lo scrittore napoletano Roberto Saviano si è risvegliato “sotto assedio”. Dopo settimane di battibecchi a distanza, durante un’intervista concessa ad Agorà Rai 3, il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha dichiarato che provvederà a valutare la conferma della scorta a Saviano, alludendo a una possibile revoca della stessa. Già in passato, Salvini, quando ancora era formalmente un europarlamentare della Lega, “minacciò” su Twitter lo scrittore sostenendo che una volta al governo “gli toglieremo la scorta” e ora, da capo del Viminale, sembra non aver abbandonato il proposito (anche se qui spieghiamo perché il ministro dell’Interno non ha in realtà alcuna voce in capitolo rispetto a questo specifico tema). A poche ore di distanza, Roberto Saviano ha deciso di rispondere per le rime a Matteo Salvini con un video girato nella sede romana di Fanpage.it.

“E secondo te, Salvini, sono felice di vivere così da 11 anni? Ho la scorta da quando ho 26 anni. In questi anni sono stato sotto pressione, da parte dei Casalesi e dei narcos messicani. Credi abbia paura di te, Salvini? Buffone. Salvini ha come nemici le persone del Sud Italia, le ha insultate un attimo prima di andare a chiedere i voti. Ha come nemici i rom e dice ‘beh, quelli italiani ce li dobbiamo tenere’. Sono felice di essere tra i suoi nemici, sono felice di essere sommato tra gli ultimi che odia e su cui fa propaganda politica. Teatro, senza dare alcuna vera risposta. Salvini oggi è definibile ‘ministro della malavita’, espressione coniata da Gaetano Salvemini. Salvini è stato eletto in Calabria, durante un suo comizio a Rosarno tra le prime file c’erano uomini della famiglie Pesce, storica famiglia della ‘ndrangheta affiliati alla famiglia Bellocco, potentissima organizzazione di narcotrafficanti. Non ha detto niente, da codardo non ha detto niente contro la ‘Ndrangheta. Ha detto che Rosarno è conosciuta nel mondo per la baraccopoli e che quello è il suo problema, un feudo ‘ndranghetista da decenni. Questo è Matteo Salvini, che non si ricorda dei legami tra Lega Nord e ‘Ndrangheta, del riciclaggio, dei dei soldi, tramite la mediazione dell”Ndrangheta, della Lega Nord.  E quindi Salvini parla di soldi, gli italiani devono sapere come vengono spesi i soldi. Salvini non ci dice che fine hanno fatto i 50 milioni di euro della maxi-truffa che la Lega ha fatto con i rimborsi elettorali. Restituisca, la Lega di Salvini, i soldi che ha preso e poi parli del denaro che gli italiani devono sapere come viene speso”.

“Leggo sui social l’hashtag #savianoNonSiTocca, ringrazio chi mi sta dando solidarietà. Non ho alcuna intenzione di diventare un agnello sacrificale. Voglio difendere la mia vita, provare – per quello che mi è possibile – a essere felice. Non ho alcuna voglia di diventare un martire, non ho alcuna voglia di morire per dimostrare…cosa? La vita è troppo importante. Oggi bisogna dialogare, non con Salvini, bisogna dialogare con chi l’ha votato, con chi lo sostiene. Bisogna dialogare con chi, come me, in questo momento, si rende conto che la situazione è grave, finale. Vi prego: davvero volete continuare a dare voce, a sostenere, una figura che non fa null’altro che minacciare, propagandare bugie, amare odio e disprezzo? Togliamo a Salvini, al ministro della Malavita, la possibilità di armare odio. Chi non lo fa ora, chi non prende parte ora, sarà colpevole per sempre”.

fonte: https://www.fanpage.it/roberto-saviano-risponde-a-matteo-salvini-vivere-sotto-scorta-e-una-tragedia-credi-possa-avere-paura-di-te-buffone/

 

 

 

 

4 agosto 1983, Thomas Sankara, il “Che Guevara” africano, è il 1º Presidente del Burkina Faso – Thomas Sankara: un nome e una storia che dobbiamo conoscere. Una storia molto scomoda per noi occidentali che abbiamo fatto di tutto per insabbiare.

 

Thomas Sankara

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4 agosto 1983, Thomas Sankara, il “Che Guevara” africano, è il 1º Presidente del Burkina Faso – Thomas Sankara: un nome e una storia che dobbiamo conoscere. Una storia molto scomoda per noi occidentali che abbiamo fatto di tutto per insabbiare.

 

4 agosto 1983 – Thomas Sankara diventa il 1º Presidente del Burkina Faso

“Mentre i rivoluzionari come individui possono essere uccisi, non puoi uccidere le loro idee”

Ci hanno prestato i soldi gli stessi che ci hanno colonizzato. E allora, cos’è il debito se non un neocolonialismo governato dai paesi che hanno ancora ‘pruritì imperiali?

“Noi africani siamo stati schiavi e adesso ci hanno ridotto a schiavi finanziari. Quindi, se ci rifiutiamo di pagare, di sicuro non costringeremo alla fame i nostri creditori” 

“Dobbiamo trovare la forza di dire a costoro guardandoli negli occhi che sono loro ad avere ancora debiti con noi, per le sofferenze che ci hanno inflitto e le risorse immani che ci hanno rubato”

“Vogliamo essere gli eredi di tutte le rivoluzioni del mondo e di tutte le lotte di liberazione dei popoli del Terzo Mondo”

Come avremmo potuto, noi occidentali, lasciare in vita o ricordare uno così?

Thomas Sankara, il “Che Guevara” africano ucciso nella terra degli uomini integri

Il 15 ottobre del 1987 il giovane presidente del Burkina Faso venne assassinato assieme alla sua scorta mentre stava andando ad un meeting alla periferia di Ouagadougou. Nessun altro leader africano ha più incarnato il sogno di un vero riscatto civile del continente.

Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso dall’agosto del 1983 al 15 ottobre del 1987, è uno di quei personaggi di cui pochi conoscono l’esistenza. Eppure  –  oggi a trent’anni della sua uccisione – vale la pena ricordare chi è stato e quanto la sua scomparsa abbia pesantemente inciso sui ritardi nella crescita civile, democratica ed economica dell’intero continente africano.

L’agguato. Ouagadougu, ore 16,30 di giovedì 15 ottobre del 1987. La sessione straordinaria del Consiglio Nazionale della rivoluzione del  Burkina Faso sta per avere inizio nel salone di un edificio – vetro e cemento – che si trova in un complesso nell’immediata periferia di Ouaga, come la chiamano gli abitanti della capitale. Il breve corteo di auto nere che accompagna Thomas Sankara,  38 anni, giovane presidente della Repubblica, un militare dai profondi sentimenti democratici, abbandona la strada asfaltata e s’immette su un breve tracciato di terra rossa per raggiungere la recinzione che circonda l’edificio. Sull’auto, appena girato l’angolo, sono già puntate le armi dei suoi assassini.

Non c’è scampo per nessuno. Dagli arbusti attorno alla costruzione viene lanciata una granata contro il corteo di Renault. Viene colpita l’auto con a bordo il presidente. A morire sul colpo sono il suo addetto stampa, Paulin Bamoumi e Frederic Ziembie, consigliere giuridico. Thomas Sankara è ferito e viene trascinato dalle guardie del corpo sotto il pergolato dell’edificio, da qui gli uomini della scorta reagiscono sparando verso i cespugli dai quali è partita la bomba. Ma si accorgono subito che non c’è scampo per nessuno. L’edificio è circondato da gente che lancia granate verso l’edificio. Sankara trova addirittura la forza per alzarsi in piedi, ma viene letteralmente falciato da una raffica di Kalashnicov. Morirà steso a terra, in un lago di sangue, dopo più di mezz’ora d’agonia, mentre attorno il commado finisce la strage, sparando a tutto ciò che si muove.

Le sue parole pesanti al mondo occidentale. La storia recente dell’Africa ha nella morte di Sankara  –  nonostante sia rimasto alla guida del suo paese solo 4 anni  –  il punto di svolta, il momento in cui è stato dirottato il corso degli eventi dell’intero continente. Del resto, come poteva durare a lungo uno così? Sankara (il Che Guevara africano) aveva cambiato nome al suo paese, da Alto Volta a Burkina Faso (la terra degli uomini integri) e non perdeva occasione per andare in giro a dire cose come queste: Ci hanno prestato i soldi gli stessi che ci hanno colonizzato. E allora, cos’è il debito se non un neocolonialismo governato dai paesi che hanno ancora ‘pruritì imperiali?. Noi africani siamo stati schiavi e adesso ci hanno ridotto a schiavi finanziari. Quindi, se ci rifiutiamo di pagare, di sicuro non costringeremo alla fame i nostri creditori. Se però paghiamo, saremo noi a morire. Quindi dobbiamo trovare la forza di dire a costoro guardandoli negli occhi che sono loro ad avere ancora debiti con noi, per le sofferenze che ci hanno inflitto e le risorse immani che ci hanno rubato“.

La trama di Campaoré. Nessuno tra quanti si sono incaricati di scrivere la storia recente del Burkina Faso ha escluso che dietro il violento colpo di Stato e l’omicidio di Sankara ci fosse la mano di Blaise Compaoré, salito al potere proprio il giorno stesso dell’uccisione del giovane presidente (il 15 ottobre 1987) e rimasto in carica  –  ininterrottamente  –  fino al 2014. Compaoré si è sempre rifiutato di autorizzare un’inchiesta sulle circostanze che hanno portato alla morte il suo predecessore.

Il ruolo delle forze nell’ombra. Naturalmente, il “gioco” sanguinoso che lo ha portato al potere, Campaoré non lo ha gestito da solo. Hanno dato sicuramente una mano le zone oscure dei servizi segreti di paesi ex coloniali, di nazioni confinanti e persino di criminali ricercati dalle polizie di mezzo mondo, come Charles Taylor, il mercenario senza scrupoli,  l’uomo che ha alimentato il conflitto civile in sierra Leone per il controllo delle miniere di diamanti, al soldi di chissà chi, e che dal 1991 al 2001 ha paralizzato il paese, provocando 50.000 morti e accusato di omicidi, stupri, amputazioni, reclutamento di bambini soldato.

Sepolto in fretta e furia. A Thomas Sankara venne data sepoltura in fretta e furia la sera stessa della sua morte. La sua salma riposa a Dagnoën, dentro una tomba sbrecciata e senza fiori, in un quartiere nella zona orientale di Ouagadougou. Ancora oggi, sia la famiglia che i suoi numerosi e disorganizzati sostenitori, non credono che il suo corpo di Thomas Sankara si trovi davvero lì. E questo spoega forse in parte il fatto che la tomba appare oggi desolatamente disadorna e semi abbandonata.

Il sogno interrotto di Sankara. Ecco, il quadro nel quale il “Che Guevara africano” è stato eliminato era questo: da una parte, il suo coraggio, la sua vitalità rivoluzionaria nel voler cambiare volto all’Africa, il suo pragmatismo maturato nella carriera militare e la sua incerta dimestichezza con la diplomazia; ma dall’altra, la morsa invisibile degli interessi rapaci dei potentati economici internazionali che continuano a depredare il continente con la complicità di leadership locali, che gravano sull’intero continente. Si è temuto insomma che l’equilibrio post coloniale potesse essere messo in discussione, sebbene da un paese come il Burkina, che non ha mai fatto gola a nessuno, tanto assenti sono ricchezze naturali degne di nota. Il disegno eversivo si è dimostrato comunque lungimirante, perché l’Africa è ancora lì, con i suoi Pil in crescita, qua e là, con alcuni incoraggianti segnali di crescita a macchia di leopardo. Ma il vero riscatto, quello sognato da Sankara, quello appare al momento ancora assai lontano all’orizzonte.

 

fonti:

-http://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2015/10/14/news/thomas_sankara-125097440/

-http://www.matteogracis.it/thomas-sankara-un-nome-e-una-storia-che-dobbiamo-conoscere/

-https://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_Sankara

Vergognoso – Il Rudere di Stato ha deciso che i 30 Agenti che aveva di scorta da Presidente non gli bastavano più e ne ha voluti 45. E visto che si trovava, ecco una terza auto blu per la moglie! …Tanto sapete chi paga …e (purtroppo) lo sa bene pure lui!!

scorta

 

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Vergognoso – Il Rudere di Stato ha deciso che i 30 Agenti che aveva di scorta da Presidente non gli bastavano più e ne ha voluti 45. E visto che si trovava, ecco una terza auto blu per la moglie! …Tanto sapete chi paga …e (purtroppo) lo sa bene pure lui!!

 

Napolitano da ex si è aumentato la scorta da 30 a 45 agenti e una terza auto blu per scortare la moglie

Presidente per tutta la vita. Giorgio Napolitano ha lasciato il Quirinale nel 2015 ma da allora il presidente “emerito” ha aumentato il numero di agenti della scorta. Come riporta Il Tempo oggi sono 45, poliziotti addestrati che guadagnano tra i 1.700 ai 2.000 euro, con straordinari fino a 50 ore in un solo mese (pagati 7-8 euro l’ora) e indennità di Palazzo che va dai 400 euro per gli agenti “semplici” ai 1.600 euro per i dirigenti. Il paradosso è che quando era ancora presidente, Re Giorgio contava su quindici uomini in meno rispetto agli attuali. Diventato ex, Napolitano ha chiesto anche una terza auto per scortare la moglie Clio. Gli agenti della scorta sono utilizzati come piantoni fuori dalla sua abitazione al Rione Monti, come portieri nel gabbiotto, come vigilantes, infermieri di pronto soccorso e, ovviamente, come “tassisti” pronti ad accompagnare la ex coppia presidenziale ovunque, a tutte le ore. Tutto questo mentre il suo successore Sergio Mattarella ha preferito optare per un profilo decisamente più low cost, scegliendo Panda e voli di linea e imponendo un ridimensionamento del personale.

Fonte: Qui

Re Giorgio nei guai: cosa rischia ora dopo lo scandalo della maxi-scorta

La maxi scorta in dotazione del presidente «emerito» Giorgio Napolitano fa discutere. La notizia lanciata dal Tempo sulla sicurezza di Re Giorgio, superiore a quella in dotazione nei lunghi anni al Quirinale e con in più un’ autovettura per la sicurezza della moglie, ha scosso il mondo politico che intende reagire.

Sono 45, secondo il Tempo, i poliziotti addestrati che guadagnano tra i 1.700 ai 2.000 euro, con straordinari fino a 50 ore in un solo mese (pagati 7-8 euro l’ora) e indennità di Palazzo che va dai 400 euro per gli agenti “semplici” ai 1.600 euro per i dirigenti.

Il M5S è in prima linea contro questi numeri. Per il deputato Andrea Colletti, è uno scandalo. “Crede di disporre dell’ Italia come vuole e, come ha dimostrato qualche giorno fa sulla legge elettorale, anche dei gruppi parlamentari”, dice.

Promette una battaglia parlamentare: “Chiederemo a chi se ne occupa in Commissione di scoprire le motivazioni: se si tratta di pericoli reali o solo un vezzo di chi si vuol sentire ancora in carica”. Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, premette: “Reputo che se una persona è stata Presidente è giusto che gli vengano garantite tutela e sicurezza. Non bisogna nemmeno esagerare con la demagogia”.

Ma poi colpisce: un numero di uomini a disposizione addirittura superiore agli anni da Capo dello Stato è ritenuto dall’ ex ministro “esagerato”. “Sono sufficienti sette uomini al massimo”, sentenzia. Augusto Minzolini, anch’egli di Forza Italia, scrive su Twitter: “In Italia il limite del ridicolo è superato!”.

Da Fratelli d’Italia, si alza la voce di Fabio Rampelli: “Non ho mai fatto uso di auto blu e scorta quando ne avevo. Penso, a maggior ragione, che in assenza di minacce esplicite di terrorismo o mafia, nessuna carica dello Stato debba beneficiare di una tale misura”. Secondo lui, quando un compito istituzionale è stato portato a termine “si deve tornare a essere semplici cittadini”.

Intanto, Napolitano si difende. Una nota dell’ufficio stampa del Quirinale chiarisce che “la sicurezza del Presidente emerito Giorgio Napolitano viene garantita con gli stessi criteri e con le stesse modalità utilizzati per tutte le persone assoggettate a tutela e, comunque, con un numero di persone di gran lunga inferiore rispetto aquello indicato nell’ articolo che non ha pertanto riscontro nella realtà”.

Fonte: Qui