Chiudere tutto? La lega ed i presidenti delle regioni leghiste lo hanno sempre chiesto? Le sporche bugie di Salvini mentre la gente muore… Leggete questo per rendervi conto con chi abbiamo a che fare…

 

Salvini

 

 

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Chiudere tutto? La lega ed i presidenti delle regioni leghiste lo hanno sempre chiesto? Le sporche bugie di Salvini mentre la gente muore… Leggete questo per rendervi conto con chi abbiamo a che fare…

Ormai la pazienza è finita. possibile che con 5000 morti ci sia ancora chi specula sul virus per qualche voto?

Possibile che ci sia gente che lo sta ancora a sentire?

Per qualcuno forse è solo una questione di memoria, e allo ra ve la vogliamo rinfrescare.

Salvini e la lega volevano chiudere tutto?

La verità che dalle prime avvisaglie del coronavirus le uniche battaglie della lega erano contro i barconi di immigrati che portavano in Italia gli “africati appestati” (???) e la quarantena prima del rientro a scuola dei bambini provenienti dalla Cina…

E questo è dire tutto su come Salvini & C. abbiano centrato dal primo momento il problema…

Ad esempio il 21 febbraio Salvini invitava ad ascoltare medici e scienziati (improvvisamente non più “professoroni”, detto con aria di scherno) che a suo dire avvertivano del pericolo imminente dell’arrivo di Covid-19 in Italia sui barconi.

Nota: All’epoca il Governo (primo al mondo) aveva già bloccato i voli da e per la Cina. Pochi giorni dopo sarebbero stati individuati in primi casi di trasmissione locale di coronavirus. Ma non nei centri di accoglienza dei migranti ma in Lombardia.

Il 24 febbraio Salvini su Twitter rincara la dose: «non è il momento delle mezze misure: servono provvedimenti radicali, serve l’ascolto dei virologi e degli scienziati, servono trasparenza, verità e un’informazione corretta, servono controlli ferrei ai confini su chi entra nel nostro Paese». Peccato che i virologi chiedessero altro: isolamento volontario e un invito ai cittadini italiani (non ai migranti) di evitare assembramenti e limitare i contatti sociali…

È durata poco la ferrea fermezza della Lega. Il 27 febbraio Salvini compie il triplo salto mortale. Che era successo? Niente, il Governo stava attuando i primi provvedimenti di blocco, e lui sentiva l’esigenza di aprire nuovamente la bocca (tanto poi quello che ne esce, esce…)… Il tutto in un celeberrimo video

Quando Salvini lo scorso 27 Febbraio , dopo la visita da Mattarella , chiede al popolo di sollevarsi e chiedere al Governo di aprire tutto…

Un concetto ribadito anche il 29 febbraio durante un’intervista mandata in onda da Porta a Porta dove Salvini disse: «il mondo deve sapere che venire in Italia è sicuro, perché siamo un Paese bello, sano e accogliente, altro che “lazzaretto d’Europa”, come qualcuno sta cercando di farci passare».

Nota: ad oggi i positivi al coronavirus in Italia sono oltre 50.000 con 5.000 decessi…

Salvini ha sempre detto di voler chiudere tutto? 29 febbraio, in un altro tweet se la prende con la proposta di rinviare Juventus-Inter a maggio. Che senso ha?? si chiede, «porte aperte o porte chiuse, per me si doveva giocare e offrire agli italiani qualche ora di serenità e al mondo un’immagine di tranquillità».

Che volete che sia, solo 40.000 persone tra piemontesi e lombardi assembrate… Una sciocchezza… E questo vorrebbe chiudere tutto?

Ma intanto il 24 febbraio Salvini aveva detto: “Superati i 100 contagi in Italia. Ma per qualche genio al governo fino a pochi giorni fa il problema erano Salvini e la Lega, odiatori e razzisti, che lanciavano allarmi senza motivo… Vergogna”.

Rincoglionimento? Schizzofrenia? Sciacallaggio? A voi l’ardua sentenza…

Oggi Salvini va dicendo che sin dal primo momento Lui e le Regioni a guida leghista lo hanno sempre detto che bisognava chiudere tutto…

Quello che diceva Salvini lo abbiamo visto, e i suoi compari?…

E Zaia? E Fontana?

Rassegna stampa per gli smemorati (e per chi ci sta ancora una volta prendendo per il culo)…

LUCA ZAIA

Luca Zaia lo vogliamo anche ricordare per le sue note posizioni ‘no vax’ che lo avevano portato a fare ricorso alla Consulta contro l’obbligo vaccinale nelle scuole del ministro Lorenzin.

1 febbraio

Coronavirus, Zaia: non è giustificata la chiusura delle scuole

3 febbraio

Coronavirus, Zaia: “Siamo pronti, ma nessun allarmismo”

24 febbraio

La Lega strilla sul coronavirus ma Zaia ha fermato il Carnevale troppo tardi

27 febbraio e la pandemia mediatica

Coronavirus, Zaia: “Penso di riaprire le scuole da lunedì 2 marzo”

Coronavirus, Zaia: «Revocare l’ordinanza, emergenza passata. Da lunedì riapro le scuole in Veneto».

Coronavirus, Zaia al governo: «Revocare l’ordinanza, emergenza passata. Da lunedì riapro le scuole in Veneto»

«Oggi in Veneto – ha aggiunto Zaia – abbiamo un incremento dei contagiati che è minimale, una decina di casi in più, di cui più della metà asintomatici e gli altri non sono gravi». Per Zaia «non c’è quindi questo picco esponenziale che giustifichi» il mantenimento delle misure previste nell’ordinanza in vigore fino all’1 marzo. «Spero che a livello nazionale si decida di revocare quel minimo di ordinanze che è stato fatto» ha proseguito Zaia. «Si tratta – ha concluso – di una pandemia mediatica che vive sui social. E ricordo che in Veneto nessuna attività commerciale è stata bloccata. Il Veneto non è bloccato»

28 febbraio

Coronavirus: Zaia,Veneto sotto controllo

29 febbraio

Coronavirus in Veneto, dal “siamo in guerra” alla “pandemia mediatica”: la marcia indietro di Zaia sotto le pressioni degli imprenditori

Dall’allerta massima per l’emergenza coronavirus alla retromarcia, nel giro di pochi giorni, sotto le pressioni del mondo produttivo del Nord-Est. Anche il presidente leghista del Veneto Luca Zaia si è affrettato a cambiare strategia per evitare l’effetto “boomerang”, preoccupato dalle accuse di decisioni depressive da un punto di vista economico e sociale. E allora ha attaccato quella che ha definito “pandemia mediatica” e “psicosi internazionale”, parlando di un’epidemia amplificata se non addirittura inventata dai mezzi di comunicazione di massa…

Coronavirus, Zaia: “Si tratta di un virus a bassa mortalità”

… del video dell’agenzia Vista, però, nessuna traccia: sparito!

1 marzo

Coronavirus, Zaia: «Chiesta la riapertura di cinema, teatri e chiese. Nei bar serviti solo i clienti seduti»

Coronavirus, Zaia al governo: “Riaprire cinema, teatri e chiese con distanze fra le persone”

8 marzo

Zaia: «Il Veneto non deve essere isolato, ecco i dati che lo dimostrano»

Coronavirus, la ribellione di Zaia: “Sbagliato isolare anche noi: lo dicono gli scienziati

Coronavirus, Zaia: “Decreto del governo è sproporzionato, fuori province venete da zone rosse”

Coronavirus, il Veneto si oppone alla creazione delle tre zone rosse a Venezia, Padova e Treviso. A dirlo a chiare lettere è il presidente della Regione Veneto Luca Zaia.

9 marzo

Coronavirus, Zaia non ci sta e scrive al governo: “Misure sproporzionate per la regione Veneto”

 

ATTILIO FONTANA

29 gennaio

Coronavirus, Fontana: “La Lombardia è pronta, ma niente allarmismi”

31 gennaio

«Niente panico, in Lombardia nessun caso» Coronavirus, Fontana rassicura

24 febbraio

Coronavirus, Fontana: “Misure sono giuste. Massima collaborazione con governo. Credo che in pochi giorni si ridurrà diffusione virus”

25 febbraio

Coronavirus, 240 positivi in Lombardia. Fontana: “Situazione stabile”

Fontana: “Il coronavirus è poco più di una normale influenza”

 

Questo avevamo da dirvi…

E se qualche leghista ora Vi dirà che il Capitano e i Presidenti delle Regioni Leghiste lo avevano sempre detto, siete autorizzati a sputargli in faccia.

 

By Eles

Barbara Palombelli e la sua uscita sui meridionali: “Come mai il 90 per cento delle morti avviene sempre al Nord, forse sono persone ligie, che vanno tutte a lavorare?”… La puntuale risposta di un meridionale…

 

Barbara Palombelli

 

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Barbara Palombelli e la sua uscita sui meridionali: “Come mai il 90 per cento delle morti avviene sempre al Nord, forse sono persone ligie, che vanno tutte a lavorare?”… La puntuale risposta di un meridionale…

Riportiamo la risposta a Barbara Palombelli inviataci da L. S., che riportiamo integralmente

Barbara Palombelli durante “Stasera Italia” di Rete4, ieri sera ancora una volta ha aperto la bocca per dare sfogo alla merda di cui ha la testa piena…

Ha detto la Barbara, anzi si è chiesta:

“Come mai il 90 per cento delle morti avviene sempre al Nord, forse sono persone ligie, che vanno tutte a lavorare?”.

Come se, in questi giorni di paura, al Sud l’unico pensiero fosse stato quello di non andare a lavorare.

Come se il dramma fosse solo del nord. Al sud è una festa… E i morti del sud, morti di serie B, niente di importante…

Ma la Palombelli è tanto cretina che probabilmente non si è proprio resa conto di quello che ha detto.

La domanda con risposta incorporata della Palombelli, figlia di ignoranza, stupidità, idiota malvagità, di malcelata invidia non ha bisogno di risposte, ma permettetemi una considerazione…

Diciamocelo: pure in questo momento così difficile vedi in giro tante teste di cazzo che cercano solo di dividere il Paese…

E spesso, anzi sempre sono voci che vengono dal nord…

Ai meridionali ne hanno dette di tutti i colori.

Pensate che i Napoletani sono ancora i “colerosi”… Per un epidemia di 50 anni fa, venuta da fuori, dall’estero, che i napoletani (istituzione, medici e popolo) hanno affrontato con scrupolosità e coscienza portando avanti una battaglia vinta brillantemente nel giro di sole tre settimane, con un numero di vittime contenuto (una quindicina).

Di contro in oltre un mese di emergenza non ho sentito mai parlare un meridionale di “lombardi appestati”.

Non ho sentito definire i settentrionali “untori”, sebbene la loro a dir poco ridicola gestione dell’emergenza ha provocato la fuga di decine di migliaia di persone potenzialmente infette verso il sud.

Non ho sentito nessun abitante di Napoli (dove, e se la Palonbelli non ci crede venga a vedere, le regole vengono rispettate con coscienza) aizzarsi contro l’idiozia di molti milanesi che ancora affollano tram, bus e metropolitane. Gli idioti ci sono ovunque, ma non si fa di tutta l’erba un fascio.

E non ho sentito commenti divisivi contro i settentrionali su presidenti di regione che minacciano di far curare negli ospedali solo i conterranei, su aziende che per lucro vendono presidi medici essenziali all’estero mentre gli ospedali arrancano, su capi politici che non si vergognano di sciacallare neanche dopo 4.000 morti, su una classe dirigente demente che, in piena crisi, ha fatto assembrare 45.000 persone in uno stadio per una partita di calcio…

Non è il momento di dividere il paese. Ma mentre i meridionali non lo fanno…

Mentre scrivo, sento che al bando per la richiesta di 300 medici appena emanato, hanno già risposto in 7.000, buona parte del sud… È il più bel vaffanculo che si potesse dedicare alla Palombelli, per cui non ho altro da dire…

L.S.

 

“È la soluzione alla veneta per un problema cruciale in tutta Italia”, così Zaia ha presentato gli inutili straccetti che qualcuno con molta fantasia ha chiamato “mascherine” …Ma è proprio idiota o crede che lo sia la gente?

 

Zaia

 

 

 

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“È la soluzione alla veneta per un problema cruciale in tutta Italia”, così Zaia ha presentato gli inutili straccetti che qualcuno con molta fantasia ha chiamato “mascherine” …Ma è proprio idiota o crede che lo sia la gente?

«È la soluzione alla veneta per un problema cruciale in tutta Italia», così il Presidente del Veneto Luca Zaia ieri ha presentato in conferenza stampa dalla sede della Protezione Civile di Marghera le mascherine “contro” il coronavirus SARS-CoV2. Contro è tra virgolette perché le mascherine made in Veneto non sono dispositivi di protezione individuale. A scanso di equivoci è scritto proprio sulla mascherina, dove c’è stato il tempo anche di stampare il logo della Regione Veneto, giusto per ribadire chi ha avuto l’idea.

Cosa sono le “mascherine” di Luca Zaia

A stampare e donare le mascherine è la ditta Grafica Veneta di Trebaseleghe (PD) di proprietà di Fabio Franceschi. L’azienda è una società famosa per essere quella che stampa – tra gli altri – i libri della saga di Harry Potter. Franceschi invece è noto alle cronache per essere stato socio (con il 4%) della Società Editoriale il Fatto Quotidiano, per essersi candidato alle politiche 2018 con Forza Italia (non eletto) e per una spassosa polemica circa il fatto che non riusciva a trovare operai da assumere alimentando la saga

Sulla pagina Facebook di Grafica Veneta non si parla di mascherine ma di “schermi filtranti” realizzati in base all’articolo 16 comma 2 del decreto del 17 marzo che autorizza «l’utilizzo di mascherine filtranti prive del marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull’immissione in commercio». Zaia su Facebook spiega che la mascherina è realizzata con un “tessuto non tessuto” e che «ha tutte le caratteristiche per fornire un’ottima protezione per circa l’80% della popolazione, ad esclusione dell’uso prettamente sanitario e chirurgico».

Perché non c’è dubbio che le 800 mila mascherine già prodotte (ma si conta di arrivare ad 1,5 milioni di pezzi al giorno entro una decina di giorni) non servono per medici, infermieri, operatori sanitari. Non sono infatti del tipo FFP2 o FFP3. E non sono nemmeno mascherine chirurgiche propriamente dette. Servono, pare di capire, per andare a fare la spesa o per le attività quotidiane che richiedono di uscire di casa. Due milioni di pezzi saranno forniti gratuitamente, per tutti gli altri non è ancora stato fissato un prezzo di vendita.

Ma che differenza c’è tra gli “schermi filtranti” di Zaia, le mascherine che non piacevano a Gallera e le bandane di stoffa?

Impossibile non notare però che quella che Zaia definisce «una mascherina dall’aspetto inedito» è molto simile come concetto e realizzazione (sui materiali non è possibile dirlo perché ad oggi non sono ancora state distribuite) a quelle fatte arrivare in Lombardia dalla Protezione Civile che fecero infuriare l’assessore al Welfare Giulio Gallera che le definì  «un fazzoletto o un foglio di carta igienica che viene unito» paragonandole al noto panno cattura-polvere.

Mascherine, quelle lombarde, destinate al personale sanitario e quindi assolutamente non idonee perché oltre alle necessarie certificazioni – scriveva il Sole 24 Ore –  «mancano gli elastici intorno alla bocca, si attaccano alle orecchie non con dei lacci ma grazie a dei fori, si spostano facilmente, devono essere tenute vicino alla bocca».

Dal punto di vista del design le innovative mascherine alla veneta sono identiche: non hanno elastici o lacci ma si attaccano alle orecchie tramite dei tagli verticali. In questo modo però non aderiscono bene al volto e c’è sempre il rischio che si possano levare accidentalmente. Se si pensa di usarle per far visita alle persone in ospedale (non ai pazienti ricoverati per Covid-19) sono completamente inutili: immaginate che il paziente è steso a letto e voi state in piedi.

Non è chiaro nemmeno che differenza ci sia tra utilizzare questo genere di mascherine e una semplice bandana o un fazzoletto di tessuto ripiegato un paio di volte. Se lo scopo è quello di impedire che le famigerate droplet potenzialmente infette raggiungano la persona che vi sta vicino allora non è necessario ricorrere agli schermi filtranti di Zaia.

Tanto più che non essendo certificate per uso sanitario non sono sicuramente in grado di fare da barriera contro il coronavirus. E ci sarebbero pure delle domande da fare sul confezionamento – visto che viene utilizzata una linea di produzione non sterile e non è chiaro quali precauzioni abbiano adottato gli addetti alla stampa (Padova è pur sempre la provincia del Veneto con il maggior numero di casi positivi di Covid-19) – e sull’utilizzo degli inchiostri su un prodotto che va indossato sulla bocca.  Un vademecum diffuso dall’Associazione Asso.Forma invita ad esempio la cittadinanza ad utilizzare “quelle fatte in casa con tessuti pesanti che assorbano l’esalazione e l’umidità trattenendola e non rilasciandola”. La soluzione fatta in casa ha anche il vantaggio di non essere monouso e di essere lavabile e disinfettabile tutte le volte che si vuole.

Mentre Zaia si faceva pubblicità con le mascherine ai comuni non era stata data alcuna indicazione

La “soluzione cruciale” non sembra poi tale insomma. E allora a cosa servono? Un indizio ce lo dà il fatto che Luca Zaia si è premurato di fare la conferenza stampa e gli annunci sui social prima di aver avviato la distribuzione delle mascherine con il logo della sua regione. Come riporta il Gazzettino di oggi infatti mentre il Presidente faceva il suo annuncio in diretta Web i sindaci della regione sono stati immediatamente assediati dalle domande dei cittadini che volevano le mascherine usa e getta made in Veneto.

 

 

 

fonte: https://www.nextquotidiano.it/mascherine-venete-contro-il-coronavirus-di-luca-zaia-non-sono-quelle-giuste/?fbclid=IwAR04Uf-ANFXa-1x3Q9C370o2s5cALEF9ynsO-dmkeMJ6cljYgLnpQl_NGoA

Coronavirus – Ma dove cazzo sta la sanità privata? Tutti gli anni regaliamo miliardi ai privati, ma quando c’è l’emergenza il privato sparisce e il sistema pubblico è l’unico baluardo!

 

sanità privata

 

 

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Coronavirus – Ma dove cazzo sta la sanità privata? Tutti gli anni regaliamo miliardi ai privati, ma quando c’è l’emergenza il privato sparisce e il sistema pubblico è l’unico baluardo!

L’epidemia di coronavirus ha tra i suoi effetti collaterali quello di consentirci alcune valutazioni a caldo sulle politiche in materia di Sanità nel nostro Paese e sulla sua capacità di fronteggiare un’emergenza.

A oggi il propagarsi del virus sembra circoscriversi a due consistenti focolai in Lombardia e Veneto e altri sporadici casi nel resto d’Italia e questo probabilmente limiterà le problematiche di gestione in caso di una, speriamo ipotetica, impennata dei contagi.
Nelle strutture sanitarie mancano, come da segnalazioni che arrivano da più regioni, attrezzature quali respiratori e biocontenitori, ma anche semplici Dispositivi di Protezione Individuali quali le mascherine.

Mancano i posti letto e quindi vengono cercate soluzioni estemporanee quali alberghi e strutture militari in via di dismissione. Si fa sentire con violenza la mancanza di personale. L’unico vero baluardo è rappresentato da medici, infermieri e tecnici sanitari che, con turni di lavoro estenuanti, stanno garantendo la tenuta del sistema e la corretta assistenza alla cittadinanza.

Risulta ogni giorno più chiaro come tutto quello che in dieci anni è stato sottratto al Servizio Sanitario Nazionale in termini di riduzione del finanziamento, riduzione di personale e di servizi, riduzione dei posti letto e conseguente congestione e affollamento dei Pronto soccorso, chiusure di ospedali, abbia ridotto la sanità pubblica in condizioni tali da dubitare della tenuta del sistema.

Il tutto a favore di una sanità privata che in un contesto come l’attuale, mostra la sua inutilità per la collettività.

Infatti, giustamente, non è a ai privati che viene chiesto di fronteggiare l’emergenza, ma è proprio alla bistrattata Sanità Pubblica, quella delle liste di attesa infinite, quella dei “fannulloni”, quella che “privato è meglio”. È quando il gioco si fa duro che vengono rivalutate e si iniziano a reclamare la perfetta funzionalità e la prontezza nella risposta, sono giustamente richiesti percorsi ospedalieri che garantiscano il contenimento del virus, si pretendono efficienza ed efficacia da infermieri, medici e operatori sanitari, stremati da anni di ritmi di lavoro insostenibili, si reclama che laboratori di analisi e radiologia ridotti al lumicino, sia in termini di attrezzature che di personale, effettuino test e esami a tappeto su intere comunità.

Lombardia e Veneto, le regioni più colpite finora, sono l’emblema di come, nonostante la massiccia distrazione di risorse a favore della sanità privata convenzionata, quest’ultima, governata esclusivamente dalla logica del profitto, risulti essere completamente estranea al concetto di tutela collettiva della salute e non vi partecipi in maniera alcuna.

E risulta ogni giorno più chiaro anche il fallimento delle politiche di regionalizzazione della sanità, con le Regioni che finora hanno affrontato in ordine sparso l’emergenza emettendo ordinanze spesso in contrasto fra di loro e, spesso, volte esclusivamente a cercare facile consenso fra la cittadinanza.

Ci auguriamo che il Paese esca al più presto dall’epidemia, ma auspichiamo altrettanto che si apra una riflessione seria sullo stato del SSN e sugli effetti nefasti della regionalizzazione, che rischiano, con il progetto di autonomia differenziata, del quale proprio Lombardia e Veneto sono i capofila, di essere amplificati.

È tempo, invece, che il Servizio Sanitario Nazionale torni a essere competenza esclusiva dello Stato, unico in grado di gestire emergenze di carattere nazionale come questa, unico ad avere come riferimento prioritario la salute dei cittadini.

 

tratto da: http://contropiano.org/news/politica-news/2020/02/27/il-coronavirus-dimostra-linutilita-della-sanita-privata-usb-il-sistema-sanitario-pubblico-e-lunico-baluardo-0124509?fbclid=IwAR21D92MDWjBC7B5tIpshUIaKfp_pZxqdbgYyL44hgolV7wl4wxzY-VJ0Xw

Vende casa per acquistare farmaci salvavita per la figlia, poi l’appello: “Un alloggio e un lavoro per sopravvivere” …Ora una domanda nasce spontanea: MA LO STATO, DOVE CAZZO STA?

 

farmaci salvavita

 

 

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Vende casa per acquistare farmaci salvavita per la figlia, poi l’appello: “Un alloggio e un lavoro per sopravvivere” …Ora una domanda nasce spontanea: MA LO STATO, DOVE CAZZO STA?

Vende casa per acquistare farmaci salvavita per la figlia, l’appello: “Un alloggio e un lavoro per sopravvivere” – Su RomaToday l’appello di una mamma disperata

Una madre è stata costretta a svendere la propria casa per poter garantire alla figlia di 22 anni, affetta come lei da una patologia autoimmune, i farmaci di cui ha bisogno, privandosi anche della propria parte di medicine.

Succede a Roma, come racconta Sara Mechelli su RomaToday. La cura completa per entrambe costa circa 2.000 euro al mese. Una cifra impossibile per questa mamma, che vive con uno stipendio di 400 euro al mese e una pensione di invalidità che non arriva a 300.

Ora vivono nell’ennesimo alloggio precario. “Un tugurio fatiscente a Roma Nord: umido, malsano e pieno di parassiti. Il posto peggiore per mia figlia che non può assolutamente permettersi alcun tipo di infezione. Purtroppo però -racconta la donna a RomaToday – è tutto quello che al momento possiamo permetterci e per questo ci reputiamo anche fortunate”. Sulla loro testa pende la spada di Democle dello sfratto e il rischio di dover tornare a vivere in macchina, come hanno fatto qualche tempo fa.

L’appello di una mamma disperata

Vorrei che qualcuno mi offrisse un lavoro onesto, in regola e dignitoso. Nonostante la malattia e i miei 61 anni sono una donna in forze, con capacità ed esperienza. Sicuramente sono una che non si arrende: non l’ho fatto nemmeno quando pensavo di non sopravvivere. Con mia figlia – dice la donna a RomaToday – ce l’abbiamo messa tutta. Questi anni sono stati drammatici, un incubo continuo anche se, nella nostra immensa sfortuna tra malattie e lutti, abbiamo salvato la vita. Ora vogliamo solo una possibilità per andare avanti”.

Andrea Guerrini, imprenditore e giornalista che vive tra Perugia e Arezzo, ha lanciato una raccolta fondi su GoFundMe per aiutare le due donne. “Hanno lavori saltuari e non riescono più a sostenersi autonomamente per le spese correnti – racconta Andrea – presto dovranno lasciare anche l’appartamento in cui temporaneamente vivono, concesso per alcuni mesi dall’ex compagno dopo ripetute richieste. Rischiano pertanto di finire per strada entro novembre 2018”.

 

 

Il Pd propone legge per introdurre salario minimo: “Non si può pagare lavoratore meno di 9 euro l’ora” …Ah, se avessero governato loro. E invece abbiamo avuto quelle CAROGNE che hanno abolito l’art. 18, inventato il jobs act e tagliato sanità, scuola e pensioni…!

 

salario

 

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Il Pd propone legge per introdurre salario minimo: “Non si può pagare lavoratore meno di 9 euro l’ora” …Ah, se avessero governato loro. E invece abbiamo avuto quelle CAROGNE che hanno abolito l’art. 18, inventato il jobs act e tagliato sanità, scuola e pensioni…!

 

Leggiamo da Fanpage:

Pd propone legge per introdurre salario minimo: “Non si può pagare lavoratore meno di 9 euro l’ora”

Il Pd ha presentato una proposta di legge per introdurre il salario minimo orario per tutti i lavoratori che non hanno un contratto collettivo di riferimento. La proposta prevede un minimo orario di 9 euro netti. “Vogliamo un salario che aiuti il sistema ad aumentare il livello dei salari, è una scommessa che valorizza i corpi intermedi”, afferma il segretario dem Maurizio Martina.

In una fase in cui il Parlamento attende di discutere il Decreto dignità, il primo provvedimento del governo che passerà all’esame delle Camere, il Partito Democratico propone un disegno di legge che introduca il salario minimo orario per tutti i lavoratori che non hanno un contratto collettivo di riferimento. Il minimo di retribuzione oraria fissato dalla legge è di 9 euro netti. L’obiettivo, secondo quanto spiegato dal segretario del Pd Maurizio Martina durante la presentazione avvenuta oggi alla Camera, è quello di “sperimentare un salario che possa aiutare il sistema ad aumentare il livello dei salari. È una scommessa che valorizza i corpi intermedi”.

Martina ricorda che il salario minimo legale esiste già in molti paesi europei e solo in cinque stati non è ancora presente. Nella proposta di legge si prevede una commissione formata da esperti e rappresentanti delle parti sociali che avrebbero il compito di fornire indicazioni al ministero del Lavoro per aggiornare periodicamente il valore del salario minimo.

Il capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio, sottolinea come questa nuova iniziativa si vada ad affiancare alle precedenti proposte di legge avanzate su reddito di inclusione e assegno universale per i figli: “Si completa l’agenda sociale proposta dal Pd”. “Manteniamo un impegno per tutelare le oltre 2 milioni di persone che sono fuori da questa soglia. Il governo fa promesse – osserva Delrio – noi presentiamo una proposta che non va contro il tema della contrattazione, anzi aiuta il lavoro dei sindacati”. Alla presentazione c’era anche la responsabile Lavoro del Pd, Chiara Gribaudo, che ha spiegato come si tratti di “un salario minimo legale e non contrattuale per i settori non sindacalizzati: la nostra proposta migliorabile è di 9 euro netti”

………………….

Che bravi questi del Pd, senza dubbio la possima volta che potremo, dobbiamo votarli… Mica come quelle CAROGNE che ci hanno governato 5 anni abolendo l’art. 18, inventando il jobs act e tagliando sanità, scuola e pensioni…!

Spending review – L’eredità del Governo Renzi-Gentiloni e di Padoan di cui nessuno parla: spese della pubblica amministrazione aumentate di 34 miliardi solo nel 2017. Però la Sanità alla Gente l’hanno tagliata!

 

Spending review

 

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Spending review – L’eredità del Governo Renzi-Gentiloni e di Padoan di cui nessuno parla: spese della pubblica amministrazione aumentate di 34 miliardi solo nel 2017. Però la Sanità alla Gente l’hanno tagliata!

Nel 2017 i costi della pubblica amministrazione, al netto degli interessi sul debito, hanno toccato i 708,2 miliardi contro i 674,36 del 2013. Pesano pensioni e prestazioni sociali ma anche, per 10 miliardi, i consumi intermedi su cui avrebbero dovuto concentrarsi i tagli agli sprechi. Intanto l’incidenza della spesa sanitaria sul pil è scesa dal 6,8% al 6,6%, contro una media Ue del 7,2

Quattro anni di spending review e non sentirli. “Pronti a risparmiare su tutto, i tagli sono necessari”, dichiarava Pier Carlo Padoan in un’intervista al Sole 24 Ore nell’agosto 2014, sei mesi dopo essersi insediato al ministero del Tesoro e quattro mesi dopo aver firmato il suo primo Documento di economia e finanza. Che attestava come nel 2013 le spese correnti dello Stato al netto degli interessi avessero toccato quota 674,36 miliardi. Il Def “a politiche invariate” varato giovedì dal Consiglio dei ministri racconta però che nel 2017 la pubblica amministrazione di miliardi ne ha spesi 708,2: un aumento di 33,9 miliardi. Se si va a guardare la composizione della spesa, poi, si scopre che all’impennata delle uscite – oltre all’aumento di pensioni e altre prestazioni sociali – hanno contribuito per 10 miliardi i consumi intermedi su cui in teoria avrebbero dovuto concentrarsi gli interventi di spending. Se quelli restano inchiodati a un livello superiore all’8% del pil, per la sanità i cordoni si sono invece fatti più stretti: lo scorso anno lo Stato ha dedicato a questo capitolo 113,6 miliardi, solo 2 più rispetto al 2014, peraltro quasi totalmente spesi per nuovi farmaci molto costosi come quelli per curare l’epatite C. L’incidenza della spesa sanitaria sul pil è scesa dal 6,8% del 2013 al 6,6%, contro una media Ue del 7,2 per cento.

I piani di Cottarelli e il gioco delle tre carte sulle uscite – Ilcommissario Carlo Cottarelli, prima di essere defenestrato, aveva lasciato al governo Renzi una serie di rapporti su come ridurre le uscite della macchina pubblica di circa 34 miliardi. E nel 2017 il suo successore Yoram Gutgeld (non ricandidato dal Pd alle elezioni del 4 marzo) sosteneva che l’obiettivo era vicino: “Sono stati tagliati quasi 30 miliardi di capitoli di spesa”, garantiva presentando una tabella che però classificava tra i risparmi pure ilbonus di 80 euro. L’ultimo Def di Padoan, rimasto in sella dopo l’avvicendamento a Palazzo Chigi tra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, racconta però un’altra storia. Quella che Cottarelli – ora alla guida del nuovo Osservatorio sui conti pubblicidell’università Cattolica – ha spiegato più volte: gli ultimi esecutivi hanno sì tagliato alcuni sprechi, ma solo per utilizzare i risparmi altrove. Risultato: spesa, nella migliore delle ipotesi, invariata. Ma quella per i “consumi intermedi”, che vanno dalle risme di carta alle apparecchiature informatiche passando per medicinali, consulenze e utenze, è tutt’altro che rimasta invariata. Nonostante lo sfoltimento delle centrali di acquisto periferiche e le condizioni vantaggiose che quella centrale, la Consip, rivendica di aver ottenuto su un’ampia gamma di forniture.

Consumi intermedi saliti di 10 miliardi in 4 anni – La spesa per beni e servizi, che nel 2013 si era attestata a 130 miliardi, nel 2017 ha superato infatti quota 140 miliardi. Pari all’8,2% del pil, contro l’8,3% del 2013. “I consumi intermedi sono superiori di 3.368 milioni rispetto alle attese, per effetto sia della revisione  della base 2016, sia delle maggiori spese registrate dal Bilancio dello Stato anche in relazione all’assistenza dei migranti“, si limita ad annotare il Tesoro nella sezione Analisi e tendenze della finanza pubblica. Tra le principali voci di spesa dello Stato, a rimanere stabili negli ultimi quattro anni sono stati del resto solo glistipendi degli statali, congelati fino al rinnovo contrattuale siglato di recente. I “redditi da lavoro dipendente” nel 2017 sono costati infatti 164 miliardi, cifra identica a quella del 2013 stando al consuntivo riportato nel Def 2014.

Al contrario sono notevolmente cresciuti – come inevitabile visto l’invecchiamento della popolazione e visto che nessuno per evidenti motivi elettorali ha voluto affrontare il tema del ricalcolo delle pensioni retributive – i costi della previdenza e dell’assistenza sociale: dai 319,5 miliardi del 2013, di cui 254,5 per le sole pensioni, si passa a 342 miliardi, 264 dei quali per trattamenti pensionistici e il resto per altre prestazioni. Numeri che chiariscono quanto peserebbe una eventuale marcia indietro rispetto alla riforma Fornero, che peraltro in un sistema a ripartizione come quello italiano imporrebbe per forza di cose di ridurre gli assegni.

Sanità Cenerentola: spesa giù al 6,6% del pil. E la parte del leone la fanno i farmaci – Il vero tasto dolente, se il punto di vista è quello dei diritti e della dignità, arriva quando si guarda la voce “spesa sanitaria”. Non a caso il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri Filippo Anelli e il coordinatore nazionale delTribunale per i diritti del malato Tdm-Cittadinanzattiva Tonino Aceti si sono detti “preoccupati e rattristati” dai contenuti del Def perché “la previsione del rapporto tra spesa sanitaria e pil presenta un profilo crescente soltanto a partire dal 2022 e questo dato è una chiara rappresentazione dell’incapacità della politica di aumentare le risorse da investire nella sanità e nella salute dei cittadini”. Va detto che la parte programmatica del Documento è stata lasciata nelle mani del prossimo governo, che dovrà dunque decidere se aumentare gli investimenti nel comparto.

Dalla parte tendenziale, che fotografa quanto avvenuto negli ultimi anni, emerge comunque che la spesa sanitaria è passata dai 109,2 miliardi del 2013 a 113,5 miliardi, ma l’incidenza sul pil è progressivamente calata fino a toccare il 6,6%, 0,6 punti in meno della media europea e 0,2 in meno rispetto al 2013. In più gran parte dell’aumento è stato assorbito dalla spesa per consumi intermedi, passata da 29,2 a 32,8 miliardi per effetto sia degli acquisti di prodotti farmaceutici sia di tutti gli altri consumi del Servizio sanitario nazionale. “La dinamica della spesa registrata nei consumi intermedi al netto della componente farmaceutica risulterebbe non aver beneficiato pienamente delle vigenti misure di contenimento della spesa per acquisto di beni e servizi”, ammette il ministero nel capitolo dedicato al comparto. Da cui emerge che, al contrario, la spesa per l’assistenza medica generica si è fermata a 6,69 miliardi, quasi invariata rispetto ai 6,67 miliardi del 2013. Per le “altre prestazioni sociali in natura”, cioè quelle ospedalierespecialisticheriabilitative, integrative eccetera, lo Stato ha messo sul piatto 25,2 miliardi contro i 23,9 del 2013. Cifre insufficienti, secondo i rappresentanti dei medici e dei malati: per il presidente nazionale del sindacato Cimo, Guido Quici, il Def “certifica la mancanza di volontà politica di dare alla salute dei cittadini un adeguamento di risorse, neanche quelle in ragione del puro allineamento con le previsioni di crescita del pil”. Non è un caso se la spesa sanitaria privata continua a crescere, come il numero di italiani che riferiscono di rinunciare alle cure per motivi economici.

 

tratto da: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/04/28/spending-review-leredita-di-padoan-uscite-correnti-su-di-34-miliardi-e-la-spesa-per-la-sanita-e-quasi-ferma/4321861/

Sanità, aggiornamento – Sono 13 milioni gli italiani che non hanno i soldi per curarsi… Ma non Vi preoccupate, avranno pure tagliato la Sanità, ma hanno aumentato le spese militari… Insomma, crepate pure, ma tranquilli: se dobbiamo bombardare qualche le armi ce le abbiamo.

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Sanità, aggiornamento – Sono 13 milioni gli italiani che non hanno i soldi per curarsi… Ma non Vi preoccupate, avranno pure tagliato la Sanità, ma hanno aumentato le spese militari… Insomma, crepate pure, ma tranquilli: se dobbiamo bombardare qualche le armi ce le abbiamo.

Fino a ieri il dato era di 11 milioni di Italiani che non avevano i soldi per curarsi. Siamo saliti a 13 milioni. Ricordiamo che un anno fa erano 10 milioni e prima del miracoloso governo Renzi-Gentiloni erano 7 milioni…

Niente da dire, un grande successo… Soprattutto se si considera i tagli voluti da Renzi e Lorenzin…

Ma non Vi preoccupate. Per obbedire ai padroni, abbiamo sì tagliato la Sanità, ma abbiamo aumetato gli stanziamenti per le spese militari che ora superano i 21 mliardi!

Insomma, crepate pure, ma tranquilli: se dobbiamo bombardare qualche le armi ce le abbiamo.

Sanità, 13 milioni di italiani non hanno i soldi per curarsi

Una larga fetta della popolazione ha difficoltà a far fronte alle spese sanitarie. E c’è chi è costretto a prosciugare i risparmi per pagare prestazioni e farmaci.

Mentre il PD, media compiacenti e intellettuali di sinistra s’interrogano ancora sulla disfatta elettorale, loro che decantavano un’immaginifica Italia in ripresa, 13 milioni di italiani hanno difficoltà a comprare le medicine per curarsi. E quasi 8 milioni (7,8) hanno prosciugato tutti i risparmi per far fronte alle spese sanitarie rispetto a 2 milioni di persone che aumentano la categoria della nuova povertà.

Dati più che eloquenti della situazione di disagio e sofferenza nella quale è immerso il nostro Paese. In un contesto nel quale sono sempre di più gli italiani che pagano cure di tasca propria: circa 35 milioni di euro per una spesa di 35 miliardi di euro, di questi solo 5 miliardi sono stati intermediati da forme sanitarie integrative (12 milioni italiani (il 19%) fanno ricorso alla ‘spesa intermediata’ di cui il 55% sono dipendenti e il 14% autonomi) e tale settore gestisce circa 5 milioni della spesa (2%). Del rapporto futuro tra servizio sanitario pubblico e privato e il suo impatto sulla società si è parlato al centro della School di Padova 2018, evento organizzato da Motore Sanità.

fonte: http://www.ilpopulista.it/news/14-Aprile-2018/25293/sanita-13-milioni-di-italiani-non-hanno-i-soldi-per-curarsi.html

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Altra notizia che i TG hanno dimenticato di dare: la Pinotti annuncia euforica: “L’Italia avrà altri due sommergibili per un investimento di un miliardo di euro”! …Vi ricordiamo Gino Strada che si chiedeva: “A chi cazzo dobbiamo fare la guerra?” …Aggiungerei, ma un miliardo non poteva essere speso meglio?

I primi “effetti Lega” – Vietato curarsi negli ospedali migliori – Stretta sui rimborsi alle Regioni virtuose contro il “turismo sanitario”: nella tua Regione non ci sono strutture idonee? Puoi anche crepare…

 

ospedali

 

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I primi “effetti Lega” – Vietato curarsi negli ospedali migliori – Stretta sui rimborsi alle Regioni virtuose contro il “turismo sanitario”: nella tua Regione non ci sono strutture idonee? Puoi anche crepare…

Vietato curarsi negli ospedali migliori

Stretta sui rimborsi alle Regioni virtuose contro il «turismo sanitario»: ci rimettono i pazienti.

Una bozza di poche pagine ma dai contenuti dirompenti. Un testo che, se approvato, assesterebbe un colpo gravissimo al diritto alla salute di migliaia di italiani e toglierebbe a uomini e donne del Centrosud la possibilità di curarsi nei più importanti ospedali del Nord.

Una rivoluzione silenziosa, che avanza inesorabile come una talpa sottoterra e che ora è arrivata al tavolo decisivo: quello della strategica ma defilata Conferenza Stato-Regioni. Qui, alla chetichella, si è arrivati, per strappi successivi, fino all’ordine del giorno della seduta di ieri: la mobilità sanitaria da una regione all’altra. Un servizio che vale circa 4,6 miliardi di euro e che coinvolge quasi 800mila italiani, pronti a partire in treno o in aereo da Napoli o da Reggio Calabria per farsi operare nei poli d’eccellenza in cui si ha la garanzia di standard più elevati e si corrono meno rischi. Le statistiche parlano chiaro: Lombardia ed Emilia Romagna attraggono malati come calamite, 14 regioni sono invece in rosso. I numeri, impietosi, registrano la migrazione, e in qualche caso la fuga, verso le cliniche all’avanguardia sull’asse Milano-Bologna.

Ora, nel silenzio generale, si corre ai ripari con una logica da ragionieri e con una soluzione all’italiana: le regioni più arretrate invece di alzare l’asticella della qualità si sono coalizzate per chiudere le porte. I pendolari di oggi dovrebbero rassegnarsi, usiamo il condizionale, a rimanere a casa. E adattarsi ai reparti di Napoli, Bari, Foggia.

Sembra impossibile, ma l’Italia che si apre all’Europa sta ripristinando una sorta di linea gotica per arginare i viaggi dei pazienti che non si accontentano. Il tutto in una camera di compensazione, la Conferenza Stato-Regioni, che in questo momento è politicamente scaduta come una confezione di yogurt rimasta troppi giorni sugli scaffali.

Il governo Gentiloni è all’epilogo, due pesi massimi come Lombardia e Lazio sono in una delicata fase di transizione. Eppure il meccanismo non si è fermato: il primo passo è stato il taglio del 50 per cento sull’incremento di attività sui fuori regione successivo al 2014. Una formula burocratica e anodina che nasconde la volontà di ridurre trasferte e debiti delle regioni più deboli. Penalizzando cosi i sistemi più avanzati e aumentando il disagio di chi già soffre e alimenta i flussi inarrestabili del turismo sanitario: la Lombardia, in testa al ranking dei virtuosi, importa 161.000 pazienti l’anno e vanta un credito di 808,6 milioni di euro; all’opposto la Calabria è in rosso per 319 milioni. A seguire, in questa black list, la Campania che deve saldare prestazioni, tecnicamente Drg, per 302 milioni fuori dai propri confini, e il Lazio che la tallona a quota 289 milioni.

«Stiamo scivolando verso una situazione inaccettabile – lancia l’allarme Gabriele Pelissero, presidente dell’Aiop, l’Associazione italiana ospedalità privata che mette insieme cinquecento esperienze -. Invece di migliorare il livello medio nelle regioni che più zoppicano, si vogliono introdurre filtri e blocchi contro le realtà all’avanguardia. E in questo modo, senza che l’opinione pubblica sia stata informata, si toglierà a migliaia di pazienti il potere di scegliere i centri più evoluti. Penso alle migliaia di persone che oggi puntano a Nord per farsi impiantare una protesi all’anca o al ginocchio».

L’ortopedia, da sola, vale il 28 per cento di questo pendolarismo e la stretta ai rubinetti porterebbe al ridimensionamento o addirittura, in prospettiva, al crollo di questo fenomeno. Insomma, l’Italia che dice di andare avanti farebbe invece un salto all’indietro di vent’anni. Per di più a fari spenti. Lontano dai riflettori dei media. Trascinando nel baratro anche l’indotto sorto a ridosso delle cittadelle della salute: alberghi, negozi, appartamenti. Il copione oggi in discussione è già disegnato: i tagli costringerebbero le regioni a non pagare più gli ospedali che a loro volta finirebbero per non accogliere più i malati, divenuti un costo insostenibile. Uno scenario da incubo. Preparato da mesi, anzi da anni. Ora però la Conferenza Stato-Regioni vuole fare sul serio, impugnando la scure al posto del bisturi. Ai supplementari di questa legislatura.

fonte: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/vietato-curarsi-negli-ospedali-migliori-1507844.html

 

L’accusa del Codacons: per colpa dei continui tagli e di una gestione politica sballata di Renzi e Lorenzin, la Sanità in Italia è diventata un privilegio dei ricchi

Codacons

 

 

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L’accusa del Codacons: per colpa dei continui tagli e di una gestione politica sballata di Renzi e Lorenzin, la Sanità in Italia è diventata un privilegio dei ricchi

SANITÀ PUBBLICA, ATTESA FINO A 1 MESE IN PIÙ IN 3 ANNI
CODACONS: COLPA DEI CONTINUI TAGLI ALLA SANITA’ E DI UNA GESTIONE POLITICA SBALLATA. SUBITO DIMISSIONI DEL MINISTRO LORENZIN

IN ITALIA SANITA’ E’ PRIVILEGIO DEI RICCHI, CON LORENZIN SITUAZIONE E’ PEGGIORATA

I numeri emersi dall’indagine sui tempi delle liste di attesa realizzata dal C.R.E.A. non lasciano spazio alle interpretazioni e dimostrano in modo inequivocabile come il servizio sanitario sia gravemente peggiorato negli ultimi anni. Lo afferma il Codacons, che chiede oggi le dimissioni del Ministro della salute, Beatrice Lorenzin.
Dallo studio si evince come la sanità in Italia sia un privilegio dei ricchi: chi ha risorse disponibili può curarsi meglio e più velocemente, e la causa di tale peggioramento è da ricercarsi principalmente nei continui tagli alla sanità registrati nel nostro paese negli ultimi anni, che hanno prodotto un peggioramento qualitativo e quantitativo del servizio reso all’utenza – spiega il Codacons – In tale contesto la politica ha una responsabilità evidente, perché la gestione della sanità pubblica e delle risorse in tale settore è risultata del tutto sballata. Da notare infine come i tempi di attesa si siano allungati sotto la guida del Ministro Beatrice Lorenzin, che ha dedicato forse troppa attenzione ai vaccini obbligatori e non sufficiente impegno verso un miglioramento della sanità pubblica e un abbattimento delle liste d’attesa. Per tale motivo chiediamo al Ministro della salute di rassegnare oggi stesso le proprie dimissioni.

fonte: https://codacons.it/sanita-pubblica-attesa-fino-a-1-mese-in-piu-in-3-anni/