La povertà? Un Business creato dai ricchi!

 

povertà

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La povertà? Un Business creato dai ricchi!

La pubblicazione dei dati Eurostat sull’aumento della povertà e del rischio-povertà in Europa ha suscitato sui media il solito “dibattito“, viziato in partenza dal rappresentare l’impoverimento come un “problema”, come un effetto indesiderato delle politiche di “rigore“.

In realtà il bombardamento sociale del “rigore finanziario” non è sostanzialmente diverso dai bombardamenti militari, nei quali l’obbiettivo dichiarato è un pretesto non soltanto per il consumismo delle bombe (tanto paga il contribuente), ma anche per fare il maggior numero possibile di “danni collaterali”, cioè di vittime civili. Anche il “rigore” è un business, ed il “danno collaterale” della maggiore povertà apre a sua volta nuove frontiere al business.

In questi anni è risultato sempre più evidente il nesso consequenziale tra l’aumento della povertà e la finanziarizzazione dei rapporti sociali.

 
La povertà diventa un business finanziario, costringendo i poveri all’indebitamento crescente.

I Paesi anglosassoni stanno dimostrando che i poveri costituiscono un target inesauribile per l’offerta di servizi finanziari. Non soltanto la carta di credito viene oggi concessa anche ai disoccupati, ma questi sono anche fatti oggetto di un vero e proprio allettamento per dotarsi di questo “servizio” finanziario.

Il fatto è comprensibile, se si considera che disoccupati e precari possono essere ridotti ad un livello assoluto di dipendenza da questi strumenti finanziari; cosa che non sarebbe possibile nei confronti di chi disponesse di fonti regolari di reddito. Se i prestiti ai poveri fossero ancora in contanti, allora i rischi di insolvenza sarebbero mortali per un business del genere; ma oggi c’è il denaro elettronico e le banche non devono compromettere la propria liquidità per concedere carte di credito.[4]

I poveri tendono ancora a servirsi soprattutto di contanti, ma le banche intendono sollevare le masse da questa condizione primitiva, attraverso quello che chiamano un programma di “inclusione finanziaria“. Il suono nobile e commovente della parola “inclusione” serve a nascondere il fatto che si tratta di un programma a basso rischio d’impresa per lo sfruttamento delle possibilità di indebitamento delle masse più povere.

Il governo britannico ha elaborato nel 2007 un piano di inclusione finanziaria per salvare le masse di “unbanked” dal loro misero destino e per metterle a disposizione dell’amorevole offerta di servizi bancari. Lo stesso governo britannico ha ritenuto di porre una deroga ai limiti della sua “spending review” pur di stanziare dei fondi per questo piano umanitario.

Anche la Banca d’Italia ha impostato un piano analogo, ciò in attuazione delle indicazioni del G-20 a riguardo. A quanto pare il denaro elettronico ha un club di supporter piuttosto nutrito.

Le banche in questo periodo hanno una pessima reputazione e, spesso, persino una pessima stampa. Ma le denunce possono rimanere sul vago, mentre, come si dice, il diavolo si annida nei dettagli. C’è qualche prestigioso commentatore che auspica addirittura un passaggio completo al denaro elettronico, con l’abbandono definitivo del contante; ciò in nome della lotta all’evasione fiscale, come se l’elettronica fosse intrinsecamente onesta, e fosse in grado solo di “tracciare” e non potesse anche sviare.

L’unico risultato certo dell’adozione integrale del denaro elettronico, sarebbe invece quella di rendere definitiva la “financial inclusion“, cioè di non porre più limiti alle possibilità per le banche di impoverire e sfruttare i popoli.


Fonte: https://crepanelmuro.blogspot.it/2017/05/la-poverta-e-il-piu-grosso-business-che.html

La povertà? Un Business creato dai ricchi!

 

 

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La povertà? Un Business creato dai ricchi!

 

La pubblicazione dei dati Eurostat sull’aumento della povertà e del rischio-povertà in Europa ha suscitato sui media il solito “dibattito“, viziato in partenza dal rappresentare l’impoverimento come un “problema”, come un effetto indesiderato delle politiche di “rigore“.

In realtà il bombardamento sociale del “rigore finanziario” non è sostanzialmente diverso dai bombardamenti militari, nei quali l’obbiettivo dichiarato è un pretesto non soltanto per il consumismo delle bombe (tanto paga il contribuente), ma anche per fare il maggior numero possibile di “danni collaterali”, cioè di vittime civili. Anche il “rigore” è un business, ed il “danno collaterale” della maggiore povertà apre a sua volta nuove frontiere al business.

In questi anni è risultato sempre più evidente il nesso consequenziale tra l’aumento della povertà e la finanziarizzazione dei rapporti sociali.

La povertà diventa un business finanziario, costringendo i poveri all’indebitamento crescente.

I Paesi anglosassoni stanno dimostrando che i poveri costituiscono un target inesauribile per l’offerta di servizi finanziari. Non soltanto la carta di credito viene oggi concessa anche ai disoccupati, ma questi sono anche fatti oggetto di un vero e proprio allettamento per dotarsi di questo “servizio” finanziario.

Il fatto è comprensibile, se si considera che disoccupati e precari possono essere ridotti ad un livello assoluto di dipendenza da questi strumenti finanziari; cosa che non sarebbe possibile nei confronti di chi disponesse di fonti regolari di reddito. Se i prestiti ai poveri fossero ancora in contanti, allora i rischi di insolvenza sarebbero mortali per un business del genere; ma oggi c’è il denaro elettronico e le banche non devono compromettere la propria liquidità per concedere carte di credito.[4]

I poveri tendono ancora a servirsi soprattutto di contanti, ma le banche intendono sollevare le masse da questa condizione primitiva, attraverso quello che chiamano un programma di “inclusione finanziaria“. Il suono nobile e commovente della parola “inclusione” serve a nascondere il fatto che si tratta di un programma a basso rischio d’impresa per lo sfruttamento delle possibilità di indebitamento delle masse più povere.

Il governo britannico ha elaborato nel 2007 un piano di inclusione finanziaria per salvare le masse di “unbanked” dal loro misero destino e per metterle a disposizione dell’amorevole offerta di servizi bancari. Lo stesso governo britannico ha ritenuto di porre una deroga ai limiti della sua “spending review” pur di stanziare dei fondi per questo piano umanitario.

Anche la Banca d’Italia ha impostato un piano analogo, ciò in attuazione delle indicazioni del G-20 a riguardo. A quanto pare il denaro elettronico ha un club di supporter piuttosto nutrito.

Le banche in questo periodo hanno una pessima reputazione e, spesso, persino una pessima stampa. Ma le denunce possono rimanere sul vago, mentre, come si dice, il diavolo si annida nei dettagli. C’è qualche prestigioso commentatore che auspica addirittura un passaggio completo al denaro elettronico, con l’abbandono definitivo del contante; ciò in nome della lotta all’evasione fiscale, come se l’elettronica fosse intrinsecamente onesta, e fosse in grado solo di “tracciare” e non potesse anche sviare.

L’unico risultato certo dell’adozione integrale del denaro elettronico, sarebbe invece quella di rendere definitiva la “financial inclusion“, cioè di non porre più limiti alle possibilità per le banche di impoverire e sfruttare i popoli.


Fonte: https://crepanelmuro.blogspot.it/2017/05/la-poverta-e-il-piu-grosso-business-che.html

Reddito minimo: il problema non è quanto costa, ma quanto costa non averlo!

 

Reddito

 

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Reddito minimo: il problema non è quanto costa, ma quanto costa non averlo!

 

Reddito minimo garantito, quanto costa non averlo?

 

Il reddito minimo garantito (Rmg) è una misura presente in molti Stati europei, volta a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti, così come l’Europa chiede fin dal 1992. Tanto per capirci anche il Portogallo e la Spagna hanno seguito la direttiva, mentre inadempienti sono rimaste l’Italia e la Grecia.

Spesso il dibattito si focalizza sul “quanto ci costa?”. Il reddito minimo garantito costa più o meno quanto gli 80 euro. Pochi hanno cercato di capovolgere la domanda: “quanto ci è costato e ci costa non averlo?”.

La risposta la possiamo trovare nei dati sulla povertà e disoccupazione delle famiglie italiane, nelle statistiche che delineano un welfare incapace di ridurre il rischio di povertà attraverso i trasferimenti assistenziali, nelle politiche di contrasto alla povertà indirizzate solo a determinate categorie di soggetti, che spesso non versano in condizioni di povertà.

A causa di ciò c’è una fascia di ceto medio che scivola pericolosamente verso la soglia della povertà, mentre c’è un pezzo di paese che continua a cavarsela piuttosto bene. Tristemente ci sono sempre più giovani tra chi si impoverisce e sempre più anziani tra chi se la cava. Tradotto in cifre: la disoccupazione è al 12%, quella giovanile lambisce il 35% e sono 8 milioni gli italiani poveri e 4,5 milioni quelli in povertà assoluta.

Il reddito minimo garantito è fattibile, ma soprattutto urgente per tutto ciò a cui stiamo assistendo oggi: crisi dell’economia reale, impoverimento del lavoro, fragilità economico-sociale delle famiglie, lacune spaventose del sistema di welfare, disuguaglianze crescenti e redistribuzione inadeguata, fino alla crisi di consenso della politica e della democrazia. Ecco perché non possiamo più farne a meno.

Il reddito minimo renderebbe gli individui meno dipendenti e più liberi: più liberi anche dai condizionamenti prodotti dalle nostre élite autoreferenziali a caccia di clientele e collusioni.

 

 

fonte: http://uomoqualunque.net/2017/05/reddito-minimo-quanto-costa-non-averlo/#more-8078

I giornali annunciano con toni trionfalistici “Arriva il Reddito di inclusione per 400 mila famiglie” …poi più in piccolo e ben nascosto scrivono “Istat: in Italia in 4,5 milioni in povertà assoluta”. Non pare anche a voi l’ennesima presa per i fondelli?

 

Reddito di inclusione

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I giornali annunciano con toni trionfalistici “Arriva il Reddito di inclusione per 400 mila famiglie” …poi più in piccolo e ben nascosto scrivono “Istat: in Italia in 4,5 milioni in povertà assoluta”. Non pare anche a voi l’ennesima presa per i fondelli?

 

Arriva il Reddito di inclusione per 400 mila famiglie.

Arriva il Rei, acronimo di Reddito di inclusione, nuova misura prevista dalla legge delega sul contrasto alla povertà, approvata il 9 marzo dal Parlamento.

Interesserà 400.000 famiglie e l’importo massimo dell’assegno, che sarà caricato su una card bimestrale, sarà di 485 euro.

Bello, bellissimo.

Ma leggiamo pure gli impietosi dati ISTAT

Tra le cifre che balzano subito all’occhio, quelle su povertà e lavoro: sono più di 8 milioni gli italiani poveri, dei quali circa 4 milioni e mezzo vivono in condizioni di povertà assoluta, non possono cioè acquistare il minimo indispensabile per vivere.

Pertanto, solo un quarto dei 4.500.000 poveri (1.600.000 famiglie) potranno sperare nell’elemosina di Stato, il fantastico Rei.

Gli altri possono pure crepare di fame!

N.b. Ricordiamo che il reddito di cittadinanza promosso dal M5s, che coprirebbe il fabbisogno di tutti gli aventi bisogno, non è attuabile: per ottenere le coperture secondo i bilanci stilati dai Cinquestelle (ed approvato dalla commissioni di Camera e Senato), infatti, bisognerebbe toccare i privilegi della casta tipo stipendi d’oro e vitalizi.

By Eles

Crisi, povertà, disoccupazione… tutta colpa di un debito pubblico abnorme: 130% del Pil… Sicuro? Il Giappone raggiunge il 250%, ma c’è la quasi piena occupazione e la produzione industriale è in piena cresciuta! Ma lì non hanno l’Euro…!

 

debito pubblico

 

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Crisi, povertà, disoccupazione… tutta colpa di un debito pubblico abnorme: 130% del Pil… Sicuro? Il Giappone raggiunge il 250%, ma c’è la quasi piena occupazione e la produzione industriale è in piena cresciuta! Ma lì non hanno l’Euro…!

 

In Giappone è quasi piena occupazione. Ma lì non hanno l’euro!

Il Giappone è ormai praticamente alla piena occupazione. Il tasso di disoccupazione è sceso dal 3% di gennaio al 2,8% a febbraio, il minimo da 22 anni. La disponibilità di posti rispetto alla domanda si è confermata al favorevole rapporto di 1,43: si sono dunque 143 posizioni disponibili per ogni 100 richieste.

Anche la produzione industriale vola. A febbraio è aumentata del 2% (il ritmo più’ veloce in otto mesi) rispetto al mese precedente, trainata da auto, macchinari e prodotti chimici, e ciò a fronte di previsioni del 1,2%.

 

 

Ricordiamo che il Giappone non solo ha sovranità monetaria, ma ha anche un rapporto debito pubblico/PIL ben oltre il 250% (noi in Italia, che siamo tacciati per puttanieri, spreconi e alcolizzati, lo abbiamo poco sopra il 130%)!

Insomma, loro hanno moneta sovrana e Banca Centrale prestatrice illimitata di ultima istanza; noi invece abbiamo l’euro, la BCE (che non funge da prestatrice di ultima istanza), economisti a libro paga del capitale internazionale e scribacchini di regime!

 

fonti:

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-03-31/giappone-la-piena-occupazione-074905.shtml?uuid=AE0TVxw

In Giappone è quasi piena occupazione. Ma lì non hanno l’euro! (di Giuseppe PALMA)