Quando Enrico Mattei e l’Italia facevano paura al mondo – In ricordo di un Grande Italiano!

 

Enrico Mattei

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Quando Enrico Mattei e l’Italia facevano paura al mondo – In ricordo di un Grande Italiano!

 

QUANDO ENRICO MATTEI E L’ITALIA FACEVANO PAURA AL MONDO

Alle 18,40 del 27 ottobre 1962, in Lombardia, il sole è appena tramontato e c’è una pioggia leggera. Il bireattore Morane-Saulnier 760, con due passeggeri a bordo, è pilotato da Irnerio Bertuzzi, ex capitano dell’Aeronautica con due medaglie d’argento, una di bronzo e una croce al merito. È un pilota oltre l’eccezionale. Bertuzzi, da un’altitudine di 2000 metri, comunica alla torre di controllo di Linate di essere in dirittura d’arrivo: è l’ultima volta che sentono la sua voce.

Bescapè è un paesino di contadini, in provincia di Pavia. Pompieri, Carabinieri e giornalisti accorrono per quello che sembra un incendio, ma sono i resti brucianti del bireattore. I testimoni vengono intervistati; Mario Ronchi, un contadino, dice: “Il cielo rosso bruciava come un grande falò, e le fiammelle scendevano tutt’attorno… l’aeroplano si era incendiato e i pezzi stavano cadendo sui prati, sotto l’acqua”. Un’altra contadina di Bascapè, Margherita Maroni, dichiara: “Nel cielo una vampata, uno scoppio, e delle scintille venivano giù che sembravano stelle filanti, piccole comete”. Sugli alberi attorno al relitto vengono trovati resti umani. Appena si viene a sapere chi c’era a bordo dell’aereo, però, cambia tutto: i testimoni ritrattano, sostengono di aver visto le fiamme a terra, e di averlo detto fin dall’inizio. I Carabinieri vanno nella sede della RAI per sequestrare i filmati delle interviste, ma li trovano privi di traccia audio. L’inchiesta si apre e chiude molto velocemente: si è trattato di un incidente aereo.

Ma chi c’era a bordo del Morane-Saulner?

Enrico Mattei nasce nel 1906 ad Acqualagna, nelle Marche, uno di quei paesi graziosi, in mezzo al nulla. Primo di cinque fratelli in una famiglia modesta – suo padre è un brigadiere dell’Arma e sua madre una casalinga – è uno studente brillante, ma che non si applica, come tutti i ragazzi che non sanno ancora con certezza cosa vorrebbero fare nella vita. Un giorno, in una casa di campagna, Mattei assiste a questa scena: due cani enormi si avventano su una ciotola di cibo. Un gattino spelacchiato e malconcio si avvicina alla ciotola nel tentativo di mangiare qualcosa, ma uno dei cani gli tira una zampata talmente forte da farlo volare contro il muro e spaccargli la spina dorsale.

Enrico Mattei ha appena compiuto tredici anni quando capisce cosa vuole fare nella vita.

Si trasferisce a Matelica, un altro piccolo paese in cui vengono lavorati pelle, pietra, ferro; entra come fattorino in una conceria, a diciassette anni diventa operaio, a diciannove è già vicedirettore, a venti direttore. Nel 1928, complici le politiche economiche del fascismo, la conceria fallisce. Così Mattei si trasferisce a Milano e si reinventa come venditore di vernici: in tre mesi diventa rappresentante per un’azienda tedesca. Studia chimica e viaggia molto per l’Italia. Nel 1931 apre una propria azienda con appena due operai, che in tre anni diventano venti.

Grazie all’aiuto e alle lezioni private del vicino di casa, Marcello Boldrini, riesce a laurearsi in ragioneria. Nel 1936 sposa una ballerina; poi, nel 1944, in pieno ventennio fascista, gli viene chiesto di entrare nella Resistenza per occupare nel comando militare del CLN il posto di rappresentante per la Democrazia Cristiana. Mattei accetta: affida l’azienda a due dei suoi fratelli e si mette all’opera. Cura i collegamenti interni, trova soldi, risorse e armi. Sotto di lui le forze partigiane democristiane passano da 2mila uomini a 65mila unità. I fascisti lo arrestano, ma lui riesce a evadere e a guerra finita gli viene concesso l’onore di marciare in prima fila nel corteo per la Liberazione di Milano. La Resistenza gli conferisce la medaglia d’oro e il generale USA Mark Wayne la stella di bronzo.

È ora di ricostruire l’Italia. Mattei torna a vestire i panni del civile e viene nominato commissario speciale all’Agip, una piccola azienda fondata durante il ventennio che si occupasse di “cercare, acquistare, trattare e commerciare petrolio”. L’Agip è sempre stata sfortunata: aveva scavato oltre 350 pozzi tra Italia, Albania, Ungheria e Romania senza trovarne una goccia. Aveva avuto delle microscopiche concessioni in Iran, ma le aveva cedute. Nei corridoi si mormora che Agip sia l’acronimo di Associazione Gerarchi In Pensione. Mattei dovrebbe semplicemente liquidarla, ma, appena entrato, si pone una domanda che nessuno si è fatto prima: perché abbattere l’unica azienda petrolifera statale? Chi lo vuole?

Be’, molta gente. Innanzitutto gli americani, perché ci hanno appena liberato e puntano a espandere il loro dominio petrolifero. Lo vogliono anche le aziende private Edison e Montecatini, per evitare la concorrenza statale. In questo clima di guerriglia, Mattei contatta il suo predecessore, allontanato per motivi non chiari. Si chiama Zanmatti. Lui gli rivela che con le ultime trivellazioni del 1944 era stato trovato del metano a Caviaga, in provincia di Lodi, ma il fascicolo era stato subito chiuso e secretato: il fronte avanzava e non ci si poteva permettere che il gas finisse in mani sbagliate. Mattei vola a Caviaga, dove trova ancora attrezzature, macchinari e i vecchi operai disoccupati. Perché, finita la guerra, non è ripartito niente?

Dal nulla riceve la telefonata di Giorgio Valerio, presidente di Edison, che si offre di comprare tutte le attrezzature dell’Agip per 60 milioni di lire. È un’offerta esorbitante: perché qualcuno dovrebbe acquistare dei rottami a peso d’oro? Mattei rifiuta. Riassume Zanmatti e tutti i vecchi tecnici, chiede un prestito in banca, unifica Agip Roma e Agip Milano. Il 17 ottobre 1945 diventa vicepresidente dell’azienda e riapre gli impianti di Caviaga. Nel marzo 1946, dal pozzo numero 2 esce metano.

Ora bisogna solo portarlo nelle case degli italiani.

A livello di burocrazia sarebbe un inferno, ma Enrico ragiona da cattolico e agisce da partigiano: scava viadotti durante la notte, posa i tubi, e la mattina dopo li ricopre, chiedendo scusa. Quando arrivano avvocati, multe e processi, li paga – se avesse fatto tutto legalmente avrebbe dovuto pagare il doppio e perdere il quadruplo del tempo, forse senza ottenere nulla. Ora Enrico non è più solo un imprenditore, di fatto è diventato un condottiero. Se trovasse il petrolio renderebbe l’Italia autosufficiente dal punto di vista energetico; indipendenza energetica significherebbe indipendenza economica, che significherebbe a sua volta indipendenza politica. Mattei ha la visione di un’Italia che rialza la testa dopo la guerra e che va avanti sulle proprie gambe, senza dover rendere conto a nessuno.

Questo mette in grave difficoltà il piano di colonizzazione che altre potenze avevano messo in atto fin dal 1928 con l’accordo della linea rossa e gli accordi di Achnacarry. Sette aziende avevano stabilito quali sarebbero state le zone d’estrazione e i prezzi di vendita del greggio: di fatto si trattava di un cartello, che prevedeva di spartirsi il 75% del petrolio estratto da Africa e Medioriente. C’erano dentro le statunitensi Esso, Mobil, Texaco, Chevron e Gulf oil, la Shell dall’Olanda, e la British Petroleum. Mattei le chiamava le “sette sorelle”. Sorellastre: oltre a imporre clausole contrattuali vergognose, trattavano gli operai locali alla stregua di schiavi e si imponevano ai governi, considerandoli miserabili. Avevano già deciso di fare dell’Italia un cliente: tra loro e i portafogli nazionali c’era solo Mattei.

Iniziano così a fargli la guerra. Grazie agli agganci con la politica italiana, il 9 maggio 1947 riescono a infilare nel cda Eugenio Cefis, il suo uomo di fiducia Raffaele Girotti e un avvocato siciliano, Vito Guarrasi, detto “Don Vito”. Personaggio spaventosamente controverso, cugino di Enrico Cuccia, Guarrasi, ha mani dappertutto – sul lotto di una banca, sul quotidiano comunista L’Ora (dove lavora il giornalista Mauro De Mauro) – ed è socio della Ra.Spe.Me, che opera nel settore medico. Il suo socio è Alfredo Dell’Utri, padre di Marcello. I nuovi membri rimuovono Mattei dalla carica di vicepresidente, ma non riescono a estrometterlo. Ottengono l’accesso agli archivi segreti delle ricerche Agip e fanno chiudere Caviaga, mentre una raffineria di Marghera viene venduta alla British Petroleum. La Edison si prepara a trasformare l’Agip in una società divisa un terzo a lei, un terzo all’AGIP e un terzo alla società Metano, che poi è un nome fittizio per coprire una partecipata Edison. Mattei ha bisogno di più forza per difendersi, così nel 1948 entra in politica. Tramite agganci e conoscenze arriva fino a De Gasperi in persona. Quando la Democrazia Cristiana vince le elezioni, De Gasperi spazza via il CDA dell’AGIP e nomina presidente Marcello Boldrini. Lui mette vicepresidente Mattei, che sceglie i suoi uomini tra vecchi commilitoni e compaesani. Gli USA contrattaccano e stanno per far approvare una legge mineraria capestro, quando succede qualcosa che nessuno avrebbe potuto prevedere: a Cortemaggiore l’Agip trova il petrolio.

È una sacca da pochissimi ettolitri, ma a Mattei basta. Contatta la stampa e i fotografi. Da bravo venditore ingigantisce talmente tanto la questione che le azioni salgono, la legge sullo sfruttamento minerario cade e, anzi, il Parlamento decide di riservare allo Stato le ricerche nel sottosuolo della Val Padana. Mattei estrae metano a Cornegliano, Pontenure, Bordolano, Correggio e Ravella. Indice un concorso per il logo e sceglie il cane a sei zampe che sputa fuoco. Lo slogan “il miglior amico dell’italiano a quattro ruote” è di Ettore Scola. Inventa le stazioni di servizio coi gabinetti, la pulitura vetri gratis, il controllo di olio e pneumatici; dove non arrivano i metanodotti, porta il gas con le bombole; vende l’idrogeno derivato dal metano alle aziende di fertilizzanti, facendone crollare i prezzi del 70% e permettendo a chiunque di coltivare campi. Abbassa anche il prezzo della benzina, mettendo in crisi la Edison e la Montecatini. Nel 1952 fonda l’Eni (con vicepresidente sempre Boldrini) e trasforma la vita degli italiani.

Quando il petrolio di Cortemaggiore sta per finire, Mattei si rende conto che è ora di cercarlo all’estero. Nel dicembre del 1959 incontra a Montecarlo un rappresentante della Shell: gli propone di aprire insieme una raffineria in Tunisia, ma il rappresentate rifiuta: “Tratto coi petrolieri, non coi venditori”. È guerra aperta. Mattei finanzia Il Giorno, un quotidiano da cui diffonde le idee per una politica estera che si distingua da quella colonialista degli altri Paesi.

È una filosofia che prende il nome di “Neoatlantismo” e che alle sette sorelle non piace – perché ci vuol poco a capire che vincerà. Mattei offre ai Paesi produttori di diventare suoi partner e si impegna a estrarre solo il 50% del greggio. Non guarda il terzo mondo dall’alto in basso, ma come se si trattassero di pari – anche lui, una volta, era povero e ignorante. Offre tecnologia, borse di studio, addirittura scuole di formazione a Metanopoli, la città che ha fatto edificare in Val Padana. E non truffa mai, perché Mattei è un venditore e sa che gli accordi capestro all’inizio fruttano, ma poi non fanno che crearti nemici.


Visita del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi a Metanopoli

Nel 1957 ottiene l’autorizzazione a cercare petrolio in tre zone dell’Iran. Il dipartimento di Stato americano scrive che “Gli obiettivi di Mattei in Italia e all’estero dovrebbero destare preoccupazioni. Mattei rappresenta una minaccia per gli obiettivi della politica che gli Stati Uniti intendono perseguire in Italia”. L’anno successivo Mattei arriva anche in Giordania. Il 9 settembre 1960 nasce l’Organisation of Petroleum Exporting Countries, detta OPEC. Ne fanno parte Venezuela, Iraq, Iran, Kuwait, Arabia. Il suo sogno è un’unificazione mondiale del patrimonio energetico: ricreare un cartello, ma in maniera equa ed etica. Il mondo sta abbracciando la sua visione.

A Metanopoli ormai ci sono studenti provenienti da tutto il mondo. Nello stesso anno Mattei osa ciò che nemmeno le sette sorelle potevano prevedere: chiude un accordo con l’URSS per ottenere “quantitativo molto considerevole di petrolio”, grazie al quale copre il 25% del fabbisogno dell’Eni e a un prezzo mai visto prima. È il colpo definitivo al cartello delle sette sorelle. Il 12 novembre, sul New York Times, un articolo accusa lui di essere filosovietico e l’Italia “di non rispettare i patti del dopoguerra”, oltre ad aver compromesso “futuri equilibri politici”.

Nel 1962 Mattei muore, a bordo del suo aereo. L’inchiesta si chiude “nell’impossibilità di accertare le cause dell’incidente”. Ma non è un incidente. Qualcuno ha messo 100 grammi di esplosivo Compound-B nel cruscotto, perché detonasse all’attivazione del carrello: chi? Il regista Francesco Rosi decide di girare un film sulla vicenda e si avvale dell’aiuto del giornalista de L’Ora, Mauro De Mauro. Dopo alcune indagini, il reporter confessa a un collega di avere in mano “una roba grossa che farà tremare l’Italia”. Ed è per questo che viene neutralizzato. Non viene ucciso per strada com’è tipico degli omicidi mafiosi: viene sequestrato senza rivendicazioni, né richieste di riscatto. Anche le indagini sulla sparizione di De Mauro subiscono depistaggi. Nel 1973 esce un libro chiamato Questo è Cefis – L’altra faccia dell’onorato presidente. Lo pubblica la AMI di Graziano Verzotto, uomo di Enrico Mattei e informatore di Mauro De Mauro. Il libro è scritto da un misterioso Giorgio Steimetz, sul cui vero nome ancora oggi si nutrono dubbi. Il libro subisce l’opera di censura più potente che si sia vista in epoca moderna. Viene ritirato da tutte le librerie, persino dalla Biblioteca nazionale di Roma e da quella di Firenze – che per legge dovrebbero ricevere una copia di ogni libro stampato in Italia. Dentro pare ci sia una biografia non autorizzata del presidente, che dopo la morte di Mattei è passato alla Montedison – frutto della fusione di Edison e Montecatini. Ma qualcuno riesce a leggere il libro, ed è Pier Paolo Pasolini. Quando viene assassinato nel 1975 sta scrivendo Petrolio: il personaggio di Cefis avrebbe il nome di Troya. Purtroppo il libro è incompleto, si arresta al capitolo “Lampi sull’Eni” di cui esisteva solo una nota, chiamata “appunto 21”.


Scena dal film “Il Caso Mattei” di Francesco Rosi

Francesco Rosi Nel film “Il Caso Mattei”

Scena dal film “Il Caso Mattei”

Mattei e il suo Jet personale

Passano gli anni. Arriva la crisi energetica del 1973, poi quella del 1979. Le sette sorelle vacillano, mentre l’Occidente scopre che affidare il proprio fabbisogno energetico a una risorsa presente nei luoghi più instabili del pianeta non è una buona idea. Negli anni ’90, il pentito Gaetano Iannì, ex capomafia, rivela che il misterioso sabotatore dell’aereo di Mattei sarebbe Peppe Di Cristina, all’epoca criminale potentissimo, dietro incarico di Cosa Nostra. Anche il boss Tommaso Buscetta conferma e ricostruisce le ultime ore di Mattei in maniera ben dettagliata e credibile. Stando alla sua versione, la richiesta sarebbe provenuta dalle famiglie mafiose di Philadelfia, con cui Cosa Nostra voleva stringere di nuovo i rapporti. Nel 1995 il sostituto procuratore Vincenzo Calia apre nuove indagini sul delitto Mattei, dopo aver scoperto che le prime erano state fatte a dir poco male. Trova nella sede dei servizi segreti due note, scritte a mano: dicono che il fondatore della P2 è stato un certo Eugenio Cefis, il quale avrebbe poi passato il comando a Licio Gelli quando le cose già stavano andando male. Di recente il senatore Marcello Dell’Utri è stato interrogato in merito al famigerato “appunto 21” del libro di Pasolini. Perché sembra sia uno dei pochi ad averlo letto.

Nel 1909, nel libro The meaning of truth, William James scrisse che il più grande nemico di qualsiasi nostra verità è il resto, della nostra verità. Probabilmente non sapremo mai cos’è successo davvero. Erano gli anni di piombo, in cui poteri immensi avevano scelto di combattersi sul nostro territorio. C’erano petrolieri, CIA, KGB, SISDE, SISMI, Gladio nera, Gladio rossa, israeliani, palestinesi, ex fascisti, ex partigiani, massoni, anarchici, politici comprati, preti. Districare quella matassa, o cercarvi una logica, è difficile. E spesso ha un risultato parziale. Mattei oggi è ricordato dall’Eni con affetto, rispetto e nostalgia. Quel gattino è diventato una tigre capace di cavarsela dove gli eredi delle sette sorelle annaspano. E tutto perché l’Eni ha messo in pratica quello che Mattei aveva insegnato: che i contratti capestro creano solo nemici.

O terroristi.

 

 

fonte: https://thevision.com/cultura/enrico-mattei-eni/

Le 10 fake news oggi tanto diffuse sul fascismo a cui solo chi è idiota, ignorante o in mala fede può credere…

 

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Le 10 fake news oggi tanto diffuse sul fascismo a cui solo chi è idiota, ignorante o in mala fede può credere…

 

10 fake news oggi diffuse sul fascismo. Viva il 25 aprile

Per colpa di Salvini, ma anche di altri che non si dichiarano salviniani, in Italia si sta sdoganando il fascismo. Uno dei mezzi di questa operazione è propalare fakenews, di cui la più scontata e banale è: “Mussolini ha anche fatto cose buone”.

Altre però sono più insidiose, anche perché spesso non vengono solo usate dai fascisti, ma anche da chi si dichiara antifascista, ma poi usa l’antifascismo solo per sostenere gli interessi delle élites del potere. Così tanti contribuiscono a diffondere la prima fakenews sul fascismo: che esso sia contro il potere ed il sistema.

Vediamo alcune di queste falsità.

1) Mussolini ed il fascismo sono andati al potere con il consenso elettorale della maggioranza degli italiani.

FALSO. Nelle elezioni del 1921 i fascisti ottennero 37 deputati su 535, presentandosi assieme ai liberali conservatori in una lista guidata da Giolitti, che complessivamente ottenne il 19% dei voti. Questa era la forza elettorale e parlamentare di Mussolini, quando il re Vittorio Emanuele III il 28 ottobre 1922 lo incaricò di formare il governo.

I fascisti dopo inaudite violenze e assassini contro il movimento operaio e i democratici, organizzarono la Marcia su Roma con la copertura di gran parte dell’apparato dello stato. L’esercito poteva disperderli, ma il GOLPE del re diede avvio alla dittatura. Va ricordato che anche Hitler non ottenne mai la maggioranza da libere elezioni , quando nel gennaio del 1933 il presidente tedesco Hindemburg lo nominò capo del governo aveva il 32%.

È vero che i fascisti han conquistato il potere con il consenso, ma quello delle classi dominanti, degli apparati dello stato, dei ricchi e dei poteri costituiti, che li hanno sostenuti e usati; e hanno permesso loro di instaurare la dittatura. Infatti il 25 luglio del 1943 quando il re, causa la guerra persa, destituì e fece arrestare Mussolini, il fascismo si sciolse come neve al sole..e ritornò solo come servo dell’occupazione militare tedesca.

2) Mussolini era contro il liberismo economico e per una sorta di socialismo nazionale.

FALSO. Queste le parole dello stesso Mussolini nel suo primo intervento alla Camera nel 1921:
Lo Stato ci dia una polizia, che salvi i galantuomini dai furfanti, una giustizia bene organizzata, un esercito pronto per tutte le eventualità, una politica estera intonata alle necessità nazionali. Tutto il resto, e non escludo nemmeno la scuola secondaria, deve rientrare nell’attività privata dell’individuo. Se voi volete salvare lo Stato, dovete abolire lo Stato collettivista, così come c’è stato trasmesso per necessità di cose dalla guerra, e ritornare allo Stato manchesteriano.

Questo ultraliberismo, che oggi è il programma del fascista brasiliano Bolsonaro, non furono solo parole, ma la politica economica reale del fascismo fino alla grande crisi del 29. Solo dopo quella crisi devastante Mussolini fu costretto, come quasi tutti gli stati del mondo, all’intervento pubblico per impedire il collasso dell’economia. Ma il fascismo si affermò come violenta dittatura liberista, per il privato ed il mercato.

3) Il fascismo oggi sarebbe contro l’Euro e la moneta unica ed i sacrifici che essa comporta.

FALSO. Mussolini volle per pure ragioni di potenza la parità fissa della lira con la sterlina, la cosiddetta “quota 90”, cioè un cambio fisso di novanta lire per una sterlina, Questa rinuncia ad ogni manovra sulla moneta, anzi sopravvalutando quella italiana, produsse danni enormi al sistema industriale e una terribile politica di austerità , culminata nella riduzione dei salari.

“Quota 90” era insomma una sorta di anticipazione dell’Euro. Le motivazioni del fascismo erano quella di stare monetariamente alla pari con la superpotenza di allora, la Gran Bretagna. Le motivazioni dell’Euro sono apparentemente diverse, ma hanno sempre alla base una scelta di potenza, stare alla pari della Germania e dall’Europa che più conta. In ogni caso al di là di ogni motivazione, gli effetti di Quota 90 sulla economia italiana furono disastrosi.

4) Il fascismo stava dalla parte degli operai.

FALSO. Il fascismo andò al potere organizzando il crumiraggio contro gli scioperi, bastonando ed uccidendo lavoratori e sindacalisti, bruciando le Camere del Lavoro. Dopo il 1925 sciolse i sindacati indipendenti e obbligò i lavoratori ad iscriversi ad un solo sindacato, quello corporativo fascista del quale facevano parte anche i padroni. Il fascismo imponeva la collaborazione di classe nel nome dell’impresa e dello stato e con il codice penale Rocco comminava anni di carcere per lo sciopero e per ogni forma di protesta del lavoro. La lotta di classe era il male da estirpare per il fascismo, come lo è ancora oggi per la Confindustria e qualsiasi multinazionale.

Alla fine degli anni venti il fascismo impose la RIDUZIONE DEI SALARI dal 10 al al 20%. Sotto il fascismo nelle fabbriche fu introdotto il cottimo Bedaux, il capostipite dei sistemi di sfruttamento taylorista, con la galera per chi protestava.

È vero che il fascismo organizzò dopolavoro, colonie estive, servizi per gli operai, ma come compensazione per il feroce sfruttamento a cui essi erano sottoposti, che produceva enormi profitti per i padroni, a partire da Gianni Agnelli, senatore del regno, che accolse in camicia nera Mussolini nel 1939. Lo accolse a Torino per inaugurare la fabbrica Mirafiori, e Mussolini parlò davanti a 50000 operai che lo accolsero in silenzio, senza applausi, senza grida di viva il Duce.

Per questo il dittatore fascista abbandonò furioso il palco. Non aveva sufficientemente tenuto conto di un rapporto dei servizi segreti del 1937 che diceva: “Nella massa lavoratrice si riscontra sempre un ambiente decisamente avverso alle istituzioni del regime”…

5) Il fascismo era una dittatura all’acqua di rose.

FALSO. Il fascismo colpiva ogni piccolo dissenso e reprimeva ogni opposizione e resistenza. Era un regime poliziesco di massa che cominciava con la delazione anche per una sola battuta sul regime. Si veniva allora convocati dalla locale Casa del Fascio e sottoposti a intimidazioni, olio di ricino, bastonature. Chi lavorava poteva essere licenziato per inosservanza delle disposizioni del regime, come indossare la camicia nera il 28 ottobre.

Poi c’era il sistema poliziesco di stato che culminava nell’OVRA, la polizia politica che se necessario si trasformava in organizzazione terrorista per uccidere gli oppositori, e nel Tribunale Speciale. Questo organismo istituito nel 1927, instaurò migliaia di processi contro gli antifascisti, condannandone più di 4500 a enormi pene detentive, tra essi Antonio Gramsci e Sandro Pertini, e diverse decine alla pena di morte che il fascismo aveva reintrodotto. Il primo ucciso dal Tribunale fascista fu un muratore comunista.

6) Il fascismo non era razzista ed antisemita, lo divenne solo dopo l’alleanza con Hitler.

FALSO. il fascismo è sempre stato dichiaratamente razzista, verso gli slavi, contro i quali iniziò in Venezia Giulia e Istria una feroce pulizia etnica, e naturalmente verso gli africani. La canzone fascista Faccetta Nera, che celebrava la guerra di aggressione all’Etiopia, fu proibita dal regime perché accusata di favorire la commistione delle razze. Per il fascismo PRIMA GLI ITALIANI era la base fondante di ogni discriminazione razziale.

Le leggi razziali contro gli ebrei varate nel 1938 furono rivendicate dal fascismo come realizzazione dello spirito originario del partito. Mussolini dichiarò che il fascismo era antisemita fin dalla sua fondazione nel 1919.

7) Il fascismo era patriottico.

FALSO. Il fascismo era un regime aggressivo che usava il patriottismo per coprire i propri interessi e il proprio potere. Dalla metà degli anni 30 il fascismo iniziò una politica di guerra e aggressioni militari, Etiopia, Spagna, Albania, che culminò nella partecipazione al fianco di Hitler alla seconda guerra mondiale.

Il patriottismo copriva la guerra e la guerra serviva per affari, potere e consenso. E la guerra subordinava il fascismo alla potenza straniera.

Che la guerra e le servitù della guerra per il fascismo venissero prima della Patria lo dimostra la cosiddetta Repubblica Sociale, lo stato fantoccio che i nazisti imposero con l’occupazione militare dell’Italia centro settentrionale, dal 1943 al 1945. I fascisti, scomparsi, dopo il 25 luglio, ricomparvero come collaborazionisti con l’invasore.

Non erano patrioti, ma scherani della Germania, a cui Mussolini aveva venduto il paese, compresa la cessione di Trento e Trieste. Quando fu catturato dai partigiani Mussolini era travestito da soldato tedesco e stava fuggendo in Svizzera per consegnarsi agli Americani. Il fascismo è sempre stato servo di potenze estere. Matteotti fu ucciso perché stava per svelare i finanziamenti esteri del fascismo.

8) Il fascismo era duro, ma onesto.

FALSO. Il fascismo era un regime ad altissimo tasso di corruzione. I gerarchi fascisti erano i titolari, in ogni territorio o area di influenza, di affari, mazzette, tangenti. Un gigantesco flusso di danaro arricchiva la gerarchia fascista. Tutti i capi fascisti, nessuno escluso, si arricchirono enormemente durante il ventennio.

I capi fascisti erano quasi tutti poveri spiantati nel 1920 e tutti straricchi nel 1940. Si può anzi dire che il fascismo fu il primo regime in Italia ad organizzare scientificamente la corruzione politica. Ci si iscriveva al partito anche con la speranza di diventare ricchi. Questa corruzione alimentava le ruberie ai danni dello stato dei fornitori privati, che giunsero anche a colpire le truppe italiane in guerra.

Ad esempio i soldati mandati a combattere contro l’Unione Sovietica con scarpe di cartone per le ruberie dei fornitori e le mazzette ai fascisti. Lo stesso Prefetto Mori, il feroce prefetto di ferro mandato nel 1920 in Sicilia per combattere la mafia, fu destituito dal fascismo quando cominciò ad indagare sui legami tra cosche mafiose e gerarchi fascisti locali.

Il fascismo fu un regime di ladrocinio organizzato, perché sulla corruzione si fondavano il potere e il consenso. E Mussolini era il vertice ed il garante di questo regime. Se allora ci fosse stata una magistratura indipendente, il fascismo sarebbe stato travolto dalla TANGENTOPOLI NERA. Tutto questo oggi è ampiamente documentato.

9) I partigiani ed i fascisti in fondo avevano, pur da parti opposte, lo stesso amor di Patria.

FALSO. Questa è la mistificazione della memoria storica condivisa, della pacificazione ideale inventata da esponenti del PD più di venti anni fa e che oggi viene usata da ogni revisionismo storico. Fino a quello cialtrone di Salvini che parla di derby tra fascisti ed antifascisti.

Prima del 1943 chi resisteva al fascismo doveva operare in clandestinità a prezzi altissimi.
Dopo l’8 settembre 1943, quando i tedeschi occuparono l’Italia centro settentrionale, essere antifascisti significava combattere l’ occupazione militare nazista e il collaborazionismo fascista.

Le due parti non erano eguali. Chi sceglieva la Resistenza rischiava tutto, per sé e per i familiari, doveva vivere sui monti o nelle cantine delle città. Chi stava coi nazisti era al caldo, protetto e al sicuro. Tanti pur non essendo fascisti decisero di aspettare, di non rischiare, i partigiani scelsero di opporsi. I partigiani facevano la guerra agli occupanti ed ai loro servi, i fascisti collaboravano alle stragi per rappresaglia verso la popolazione civile.

Certo potevano esserci un partigiano manigoldo ed un fascista onesto, ma comunque il primo lottava contro i criminali di Auschvitz, il secondo stava con loro. Antifascismo e fascismo non sono solo una contrapposizione politica, ma un insanabile contrasto morale. Il fascismo non è una semplice idea politica sbagliata, è un crimine materiale e morale.

La Resistenza e stata la sola vera rivoluzione popolare italiana, il momento nel quale il popolo italiano è insorto in massa contro il potere, il momento nel quale il popolo ha fatto giustizia della tirannia e ha conquistato la democrazia con le proprie mani.

10) Non ha più senso oggi di parlare di fascismo e antifascismo.

FALSO. Anche se una certa retorica antifascista è servita a coprire le malefatte del potere, i valori autentici dell’antifascismo ed il rifiuto delle basi di fondo del fascismo sono sempre attuali.
Dal 1945 ad oggi in Italia il neofascismo si è periodicamente affacciato sulla scena politica. Come strumento di ricatto verso la DC se avesse voluto spostarsi troppo verso il PCI. Come terreno di coltura della strategia della tensione e delle bombe contro le lotte degli anni 70. Come ideologia dell’ordine, dell’autoritarismo e della sopraffazione.

Siccome il fascismo in quanto tale è ancora screditato, il neofascismo oggi si veste diversamente, non indossa la camicia nera. Anche il potere lo aiuta attribuendo a questo neofascismo altri nomi, più neutri ed accattivanti, come sovranismo e populismo. In questo modo il potere ottiene due risultati: non chiama i fascisti con il loro nome nobilitandoli nella eventualità di servirsene, attribuisce ad ogni opposizione alle ingiustizie sociali un carattere reazionario ed eversivo.

Per questo è giusto squarciare il mascheramento fascista ed usare questo termine per chiunque oggi innalzi il vessillo reazionario intitolato a DIO PATRIA FAMIGLIA. I fascisti si offendono se dai loro dei fascisti, ma poi in ogni loro parola riaffermano l’ideologia fascista. Non sono razzista ma.. non sono fascista ma.. Ecco, ciò che viene dopo quei ma è moderno fascismo e non bisogna avere paura di chiamarlo come tale, se lo si vuole ancora una volta sconfiggere.

ORA E SEMPRE RESISTENZA VIVA IL 25 APRILE

 

tratto da:

Contropiano

http://contropiano.org/news/politica-news/2019/04/25/10-fake-news-oggi-diffuse-sul-fascismo-viva-il-25-aprile-0114823?fbclid=IwAR0aGhEVbrxQp2dO87KHMmX6RdmS9hY46vBRXNRy2h8QqaVExKf-pA-ks9Y

Politici corrotti in Cina: pena di morte! Ma se fanno i bravi e restituiscono tutto, se la cavano col carcere a vita! Con una legge così da noi in Parlamento resterebbero solo i grillini ed altri 3 o 4….

Politici corrotti

 

 

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Politici corrotti in Cina: pena di morte! Ma se fanno i bravi e restituiscono tutto, se la cavano col carcere a vita! Con una legge così da noi in Parlamento resterebbero solo i grillini ed altri 3 o 4…

 

La Cina è uno dei paesi dove è ancora in vigore la pena di morte. Per alcuni tipi di reati ci sono sanzioni veramente dure e anche per i politici corrotti, se non confessano il reato e non si adoperano per restituire il denaro rubato possono subire questa condanna.

I reati puniti con la pena capitale sono diversi e sono l’espressione del duro controllo governativo. Si va dalla pirateria informatica fino a passare allo spaccio, dall’omicidio alla corruzione.

Proprio per la presenza di questo regime non è facile stimare quante esecuzioni vi siano ogni anno. Nella maggior parte dei casi viene utilizzato un plotone di esecuzione, molto più raramente l’iniezione letale, forse per l’eccessivo costo delle sostanze.

Dunque quando un politico si appropria indebitamente dei soldi pubblici riceve una condanna davvero terribile. Se viene restituito tutto il denaro la pena viene sospesa e commutata in ergastolo. Di recente l’ex ministro dei trasporti Liu Zhijun ha dovuto subire questa sorte. Grazie alla sua collaborazione per recuperare i fondi sottratti si è potuto salvare ma solamente in cambio del carcere a vita.

Sono molti i detrattori della pena capitale che sostengono sia inumana, secondo questi ultimi nei paesi in cui è ancora in vigore ci sono tassi di criminalità molto alti che non diminuiscono anche se si continua ad utilizzare questa pena. Nel resto del mondo c’è una campagna per eliminarla del tutto perché espressione di un Stato “barbaro” e “medioevale”.

Certamente non va meglio in quei paesi dove i reati vengono sanzionati in maniera blanda, o addirittura del tutto ignorati. L’italia, ad esempio, è uno dei paesi dove c’è il maggior indice di corruzione, con moltissimi politici corrotti, e una cospicua presenza della criminalità organizzata. Anche l’impunità e l’assenza della certezza della pena, che inevitabilmente potrebbero provocare ulteriori vittime innocenti, sono inaccettabili. Forse la cosa è ancora più barbara e medioevale della pena capitale e si ripete ogni giorno. Purtroppo a nostro avviso non esiste una campagna altrettanto vigorosa e capillare come quella per l’abolizione della pena di morte.

 

fonte: http://risatevere.eu/2016/07/10/la-pena-politici-corrotti-cina/

Oliviero Diliberto, forse l’unico tra i politici che si è reso conto di quello che hanno combinato: “L’unico dovere della mia generazione è sparire. Abbiamo fallito miseramente”

 

Diliberto

 

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Oliviero Diliberto, forse l’unico tra i politici che si è reso conto di quello che hanno combinato: “L’unico dovere della mia generazione è sparire. Abbiamo fallito miseramente”

 

“L’unico dovere della mia generazione è sparire. Abbiamo fallito miseramente”

Oliviero Diliberto ha concesso la sua ultima intervista nel 2013. Oggi è tornato a parlare nella pagina “Confessioni” del Corriere della Sera

Non dà interviste da 5 anni, ma oggi Oliviero Diliberto, 61 anni, è tornato a parlare al Corriere della Sera. L’ex segretario dei Comunisti Italiani ha scelto il silenzio “da quando la mia parte politica fu sconfitta disastrosamente” nel 2013, e nell’intervista non dà scuse alla sua generazione: “Ha fallito. Il suo unico dovere morale è scomparire”, si legge nelle prime righe. Oggi non si occupa più di politica ma insegna diritto romano in Cina, nell’ateneo di Wuhan,10 milioni di abitanti a oltre mille km da Pechino e spiega che sta aiutando il governo di Xi Jinping ad adottarlo nel proprio codice civile.

Xi, secondo Diliberto “ha avviato una campagna di riforme mai vista prima. Lotta alla povertà, Stato fondato sul diritto, contrasto alla corruzione. Che significa anche morigeratezza”. Nessun problema per il mandato a vita, anche perché “Roosevelt fu presidente degli Stati Uniti per quattro mandati e ne avrebbe fatto un quinto se non fosse morto”. C’è la pena di morte e il record mondiale di esecuzioni capitali, ma “c’è anche negli Usa e nessuno si indigna. Con la differenza che gli americani avrebbero dovuto abolirla, perché in fatto di diritti umani hanno una tradizione che in Asia non esiste. Invece non riconoscono neppure la Corte penale internazionale dell’Aja”.

Diliberto nell’intervista ricorda come è diventato comunista nel 1969: “Entravo in quarta ginnasio a Cagliari. C’era l’autunno caldo. Alcuni militanti distribuivano volantini per strada. Non li avevo mai visti. I volantini, dico. Rimasi folgorato dall’idea che si potesse cambiare il mondo”. “Come spiegò Enrico Berlinguer a Enrico Mentana, sono felice d’essere rimasto fedele agli ideali della mia gioventù. Non so quanti possano dire lo stesso”.

Una delle azioni più criticate da ministro della Giustizia, fu la liberazione del guerrigliero curdo Abdullah Ocalan: “È il tempo di raccontare la verità. L’avevamo arrestato per omicidio sul mandato di cattura emesso dai tedeschi. Poi mi telefonò il vicecancelliere Joschka Fischer dicendo che l’ordine era stato revocato in quanto non volevano che l’Italia lo estradasse in Germania. E sa perché? Per non avere rogne con la Turchia”.

Oliviero Diliberto non risparmia stoccate alla politica italiana:  non risponde alla domanda perché i poveri non votano Pd, ma dice: “Il proletariato è più numeroso dei ceti abbienti, ma nelle elezioni, ahimè, entrano in gioco fattori ideologici, propagandistici, religiosi, antropologici. Pensi ai consensi raccolti dalla Dc. Un partito interclassista che, a questo punto, tutti rimpiangiamo”.

Nel Pd “non c’è più niente”, mentre Matteo Renzi “dovrebbe scomparire. Ma non lo farà”. E sull’ipotesi di governo Lega e M5S dice: è “Il peggio che ci possa capitare. Ma gli elettori hanno deciso così. Nel 2007 assistetti per caso dalla finestra di un hotel di Bologna al primo V-Day con Beppe Grillo. Un fanatismo e uno schiumare di rabbia terribili. L’idea che chiunque ha fatto politica sia un delinquente, a prescindere, contraddice tutti i valori della democrazia rappresentativa dai tempi di Pericle a oggi”. E su quale esecutivo pronostica ammette: “Le mie categorie della politica non esistono più. Sarebbe come chiedere a Romolo Augustolo che tipo di governo formeranno i barbari”.

tratto da: https://www.agi.it/politica/diliberto_intervista_corriere_della_sera-3719541/news/2018-03-31/

Imane Fadil: omicidio per custodire segreti. Il copione è sempre lo stesso

 

 

Imane Fadil

 

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Imane Fadil: omicidio per custodire segreti. Il copione è sempre lo stesso

Imane Fadil: “Questo signore – Berlusconi – fa parte di una setta che invoca il demonio. Sì lo so che sto dicendo una cosa forte, ma è così. E non lo so solo io, lo sanno tanti altri”.  In quella casa “Ho visto presenze strane, sinistre. Là dentro c’è il Male, io l’ho visto, c’è Lucifero”

Questa è una parte di intervista che la giovane Imane ha rilasciato un anno fa a Il Fatto Quotidiano 

A questo punto, il giornalista le dice: “Lo sa che raccontando cose di questo tipo potrebbe essere presa per pazza?” Imane: “Certo che lo so, ma non mi importa niente di cosa dirà la gente. Non l’ho mai raccontato perché non avevo prove, mentre ora le ho, inequivocabili… non manca molto, devo solo finire questo libro. E poi il mondo saprà…”

Imane Fadil è morta avvelenata e il libro che stava scrivendo è stato sequestrato. Confidiamo da fedeli uomini di Stato e non dai consueti corruttibili figuri che compaiono sulla scena dei delitti italiani quando in gioco ci sono verità troppo grosse da digerire.

Imane, come Ruby, Maristhelle e decine di altre ragazze schedate dai magistrati, sono note per essere frequentatrici abituali di una villa in cui si consumava prostituzione anche con minorenni, la villa di Silvio Berlusconi.

Come abbia potuto la Cassazione ribaltare la sentenza di primo grado in cui furono provati fatti di prostituzione con compensi, proprio non ce lo spieghiamo e, utilizzando le parole del procuratore generale che ha chiesto l’annullamento dell’assoluzione, “L’episodio nel quale Silvio Berlusconi racconta che Ruby è la nipote di Mubarak è degno di un film di Mel Brooks e tutto il mondo ci ha riso dietro”.

Istituzioni mortificate da mafia, massoneria e da reati di ogni tipo; si va dalla frode all’accusa di mandante occulto per le stragi del 93 passando per corruzione – fondamento di tutti i reati – sia privata che in atti giudiziari. E’ questa la storia dell’uomo che condiziona la vita democratica del nostro Paese dal 94.

Fondamentale evidenziare l’estrema ricattabilità di questo individuo che, secondo la povera Imane, ospita Lucifero presso la sua villa da sogno.

Immaginate la compostezza che un primo ministro dovrebbe avere – lui nemmeno questa ha mai avuto, basti pensare allo sguardo della regina Elisabetta sentendo le urla di Berlusconi durante un consesso pubblico o le corna durante fotografie di gruppo dei vertici europei – e poi immaginate questo individuo sotto le pressioni di giovani donne affamate di soldi:

“Non abbiamo più una lira! Devi darci 50 sacchi a testa”. Chi chiedeva soldi, chi case, chi posti di lavori in Mediaset, chi parti importanti nei film…

B. pagava e concedeva e a suo dire, lo faceva per estrema generosità nei confronti di donne rovinate dalla cattiva fama di escort guadagnata prostituendosi durante le sue “cene eleganti”. 

Secondo la procura di Milano invece: “Assegni circolari, bonifici, contanti, affitti di casa, automobili, spese mediche, contratti di lavoro fittizi e altre forme di ricompensa per le olgettine. Un totale di dieci milioni, sette soltanto a Karima el Mahroug. Agli atti dell’inchiesta anche audio e video in cui le ragazze sono al telefono mentre chiedono ricompense in cambio del silenzio”

La questione è indubbiamente losca ma B. manifesta al pubblico la sua francescana natura e ancora, c’è chi ci crede.

Uno scenario privo di dignità e di umanità; quello che conta è trovare pezze d’appoggio per sostenere che persona di alto spessore morale sia B. e nonostante la storia continui a indicarci la verità, le sue televisioni e i suoi giornali, anche quelli apparentemente in contrasto, fanno una narrazione diversa, di quelle che generano frasi tipo “ognuno in camera da letto fa ciò che vuole”

Frasi scolpite fra i luoghi comuni più intrisi di inconsapevolezza e mancanza di senso critico. Quanto vale la vita di una donna per B. si evince dalle sue conversazioni pubbliche e intercettate. Si va dall’invito a sposare il figlio o ricconi simili al fine di garantirsi tranquillità economica alla soddisfazione di avere “bambine fra le mani”, come dice all’amico/corriere di droga e prostitute Gianpaolo Tarantini.

“Comunque, ieri sera bene mi sembra, no? Forse … così tante, sono troppe…al massimo averne 2 a testa, però adesso voglio che tu abbia anche tu.. quelle tue, perché se no, mi sento sempre in debito, io, no? .. ehh., e scusa, portatele per te, e poi io mi.. porto le mie.. poi ce le prestiamo, insomma…, la patonza deve girare..”

“Poi ce le prestiamo”. Frasi che impongono un serio esame di coscienza a chiunque manifesti stima nei suoi riguardi. Alle donne maggiormente.

Frasi come quelle rivolte alla modella Belen Rodriguez: “Mi sono dato da fare per farti ottenere il programma…ho dovuto anche litigare con Briatore per mettere la sua… se un giorno avessi voglia, quando vuoi puoi passare a trovarmi per una cena…sai che hai sempre un estimatore”. Un concentrato di meritocrazia.

E’ questo il terreno in cui si è consumata la vita di Imane; la procura indaga sull’ipotesi di avvelenamento riscontrato dalla sua “anomala” cartella clinica redatta da medici che non hanno ritenuto di informare i magistrati su quello che hanno riscontrato nel sangue della giovane donna durante un lungo mese di agonia.  Perché ?

Emilio Randacio, giornalista di giudiziaria che seguiva da vicino la vicenda delle “cene eleganti” a base di orge, è morto a causa di un malore  il 13 febbraio scorso. Era in casa da solo quando è successo.

Morto anche l’avvocato di Ruby, l’allora minorenne frequentatrice di Arcore, Egidio Verzini, dopo aver rilasciato scottanti dichiarazioni su cospicue somme di denaro, 5 milioni di euro, versate da Silvio Berlusconi alla sua assistita ed al   suo compagno.

Il commento di Silvio Berlusconi sulla morte di Imane è “Non l’ho mai conosciuta” coerentemente con la condotta da menzognero ormai nota anche fra chi continua ad apprezzarlo e votarlo nelle varie competizioni elettorali lasciando che il nostro Paese, continui ad essere influenzato da chi ha il brand della mafia e della criminalità stampato in volto.

Il silenzio non fa domande, ma può darci una risposta a tutto
(Ernst Ferstl). Soprattutto il silenzio indotto.

 

Fonte: https://www.themisemetis.com/politica/imane-fadil-omicidio-custodire-segreti-copione-sempre/2802/?fbclid=IwAR34NvOSte9cMJlrJiVnPCRnL32UVHBgDRmker2-eJzLNi7ovc_Owt9cDHg

Ciao, sono un Leghista semplice… La lettera di un “Leghista semplice” che dopo un quarto di secolo comincia a pensare con la sua testa e si fa qualche domanda…

 

Leghista

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Ciao, sono un Leghista semplice… La lettera di un “Leghista semplice” che dopo un quarto di secolo comincia a pensare con la sua testa e si fa qualche domanda…

Ciao, sono un Leghista semplice.

Per un quarto di secolo ho creduto fortemente che ogni mio problema fosse causato dai meridionali. L’ho creduto perché così mi dicevano i capi del mio partito, che erano tutti onesti. Non come i terroni.

Poi però i capi del mio partito sono stati beccati di nuovo con i nostri soldi in tasca, e sono crollati al 4%. Così i capi del mio partito proprio in quel momento si sono ricordati che i meridionali votano. E sempre in quel momento hanno scoperto che i meridionali non sono poi tanto male.

Così mi hanno detto che per un quarto di secolo si sono sbagliati, e che ora devo credere nell’esatto contrario. Che l’Italia non la devo più odiare ma amare. Che con la bandiera italiana oggi non ci puliamo più il culo, ma anzi la baciamo. E spero che almeno nel frattempo l’abbiano lavata, anche se dubito visto quanto è stato repentino il passaggio tra quando dicevamo “Padania is not Italy” e oggi che diciamo “Prima gli italiani”. Un paio di anni forse.

I miei capi mi hanno detto che la causa dei miei mali ora sono altri. Allora ho pensato subito ai potenti, ai privilegiati, ai padroni. A quelli che ci sono da sempre e rubano da sempre migliaia di miliardi.

Ho pensato agli evasori, i corrotti, i corruttori, i falsi invalidi, gli incapaci, Cosa Nostra, la Camorra, la ‘Ndrangheta, la Scu, il traffico di droga, il pizzo, gli appalti truccati, la burocrazia inefficiente, il divario tra Nord e Sud, i terreni avvelenati, la giustizia lenta, i raccomandati, i truffatori, i bancarottieri, e tutti gli altri problemi e italiani che mi fottono la vita da decenni, e che hanno causato disoccupazione, precarietà, tasse altissime e servizi pessimi.

Invece i capi del mio partito mi hanno detto che mi sbaglio, che non sono loro la causa di ogni mio male. Anzi, che siccome loro sono italiani loro vengono “prima”. “Prima gli italiani”.

Il mio problema ora sono i morti di fame che arrivano sulle barche. Quando arrivano. I miei capi mi hanno detto che è colpa loro se pago troppe tasse, se le vecchiette rovistano nella spazzatura e i divorziati dormono in macchina.

Che loro in realtà stanno bene, e rischiano la vita per divertimento. Soprattutto i neri. Anche se non lo possiamo dire ad alta voce. E pensiamo che siccome alcuni neri sono delinquenti e maleducati – e lo sono sul serio – allora sono tutti così. E vanno cacciati tutti. Anche quelli che non ci hanno ancora fatto nulla.

Ho pensato che questo sia razzismo. Che etichettare una persona non per quello che ha fatto, ma per il popolo a cui appartiene sia razzismo. Ma mi hanno detto di no.

Così come ho pensato che anche noi italiani siamo migranti economici. Siamo quelli che emigrano di più. A centinaia di migliaia ogni anno. Soprattutto giovani (anche palestrati e con l’iPhone). Andiamo negli altri paesi a cercare lavoro, non scappiamo da alcuna guerra. Ma mi hanno detto che noi siamo “cervelli in fuga”. Loro invece sono parassiti. Come i meridionali che vengono dal Sud a rubarc… ah no scusate, mi sono distratto.

E’ che sono un leghista semplice. E non riesco a stargli dietro. Ma ci provo. In fondo mi accontento di poco: un padrone da seguire qualsiasi cosa dica e che indossi felpe e mangi arancini per farmi sentire che lui è come me; un popolo da odiare e a cui addossare la colpa di ogni mio problema. E sto bene così. Mi accontento.

L’ho detto. Sono un leghista semplice.

Tratto da:

https://www.facebook.com/Italia.SENZA.Berlusconi/photos/a.765667340137972/2306385326066158/?type=3&theater

 

Per capire veramente il problema dell’Africa: Quando Sankara invitò tutti gli Stati africani a non pagare il debito pubblico… 2 mesi dopo fu ucciso!

 

Sankara

 

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Per capire veramente il problema dell’Africa: Quando Sankara invitò tutti gli Stati africani a non pagare il debito pubblico… 2 mesi dopo fu ucciso!

A trent’anni dalla morte del rivoluzionario leader del Burkina Faso, manca ancora la verità su chi l’ha ucciso

Era il pomeriggio del 15 ottobre 1987 quando Thomas Sankara, da tre anni alla guida dell’ex colonia francese Alto Volta, da lui rinominata Burkina Faso (ovvero “Patria degli Uomini di valore”), viene falciato da una raffica di mitra in un agguato ordito da un gruppo di uomini armati nei pressi della sede del Consiglio Nazionale della Rivoluzione, nella capitale Ouagadougou. Insieme a lui vengono uccisi anche altri dodici ufficiali e membri del suo governo.

Chi era Thomas Sankara? E da chi e perché è stato ucciso? Alla prima domanda è possibile rispondere, ma rispetto altre due, trent’anni dopo la sanguinosa imboscata di cui il presidente e fondatore del Burkina Faso è rimasto vittima, non tutto è stato ancora chiarito.

Per capire perché ancora oggi la volontà di far luce sull’omicidio di Sankara sia ancora tanto forte e radicata soprattutto nei giovani africani, è utile ripercorrere la vita dell’ex presidente. Nato nel 1949, era figlio di un militare che aveva servito nell’esercito francese durante la Seconda guerra mondiale.

Dopo gli studi, intraprende la carriera militare e nel 1976 viene assegnato al centro di Po, dove – ricorda Daniele Bellocchio su Gli occhi della Guerra – ha inizio anche il suo percorso politico. Oltre a formare militari ben addestrati, infatti, Sankara si preoccupa anche di dare ai soldati sotto il suo comando una cultura civica, impiegandoli per esempio in servizi di pubblica utilità come scavare pozzi e occuparsi del rimboschimento. Amatissimo dai suoi uomini, la popolarità dell’ufficiale con il basco rosso inizia a diffondersi anche in larga parte della popolazione.

Dopo i golpe del 1980 e del 1982, Sankara diventa primo ministro nel governo di Ouédrago, che poco dopo però, a fronte della sua sempre maggiore fama, lo fa arrestare. Ottenendo però l’effetto contrario a quello sperato: la popolazione infatti si ribella e nel 1983 Thomas Sankara diventa presidente.

Il Paese che eredita – ricorda ancora Bellocchio – è soffocato da una situazione economica disastrosa. La risposta del neo capo dello Stato, che intende dimostrare che anche il Paese più povero dell’Africa può riuscire a farcela senza gli aiuti internazionali, è decisa: sono infatti messe in atto una serie di riforme radicali, tra cui la costituzione del Consiglio Nazionale della Rivoluzione e dei Comitati per la difesa della Rivoluzione (che hanno il compito di estendere ad ampi strati della popolazione il potere decisionale), una riforma agraria che ha come risultato un notevole aumento della produzione di cereali e cotone, una riorganizzazione dell’industria finalizzata alla produzione di beni di prima necessità e una riduzione delle spese superflue.

Senza contare una persuasiva opera di sensibilizzazione dei cittadini in merito alle questioni ambientali, una diffusa opera di rimboschimento con funzione anti-desertificazione, la battaglia per l’alfabetizzazione, una campagna di vaccinazione dei bambini che fra crollare il tasso di mortalità e l’impegno a favore dei diritti delle donne, alcune delle quali sono anche chiamate anche a far parte dell’esecutivo.

Quanto alla politica estera, Sankara non ha ottimi rapporti né con l’Unione Sovietica, né con gli Stati Uniti. E nemmeno con la Francia di Mitterand, di cui il Burkina Faso è stato una colonia. Per il presidente comunque, il nemico principale dell’Africa – scrive ancora Bellocchio – è il debito pubblico. Nel suo ultimo intervento all’assemblea dell’Organizzazione per l’Unità africana, che molti ritengono il suo testamento e il motivo della sua morte, Sankara ha invitato tutti gli Stati del continente a rifiutarsi di pagare il debito, “per evitare di farci assassinare individualmente. Se il Burkina Faso lo fa da solo, io non sarò presente alla prossima conferenza”.

Parole profetiche perché appena due mesi dopo, infatti, Sankara viene assassinato. Secondo le indagini il (presunto) responsabile della sua morte è Blaise Compaore, amico e compagno d’armi dell’amato presidente, del quale prende il posto e lo detiene per 27 anni. Anni nei quali anche solo parlare di Sankara (il cui omicidio, nel 1987, fu archiviato come “morte naturale”) è stato un tabù.

Negli ultimi anni però le cose sono cambiate: nel 2014, infatti, una rivoluzione di piazza – nella quale sono stati spesso scanditi slogan tratti dai discorsi di Sankara – ha posto fine alla dittatura totalizzante di Compaore (fuggito in Costa d’Avorio) ed è iniziata, nel Paese, una fase di transizione democratica. Quanto al leader del panafricanismo e icona di un’Africa libera e indipendente, nel 2015 è stata avviata un’inchiesta ufficiale sulla sua morte: il corpo dell’ex presidente è stato riesumato e l’autopsia effettuata ha dimostrato che il padre della Patria del Burina Faso è stato crivellato di colpi. Sulla base delle risultanze dell’indagine, sono inoltre stati emessi due mandati d’arresto in capo a Blaise Compaore e al fratello Francois.

Non è però tutto. Perché meno di due mesi fa (il 28 novembre), il presidente francese Emmanuel Macron, in un discorso pronunciato (non a caso) di fronte agli studenti dell’università di Ouagadougou, ha dichiarato di aver “preso la decisione, in risposta alle richieste della giustizia burkinabè, che tutti i documenti prodotti dalle amministrazioni francesi durante il regime di Sankara e dopo il suo assassinio, coperti dal segreto nazionale, siano declassificati”. Tale passaggio potrebbe risultare decisivo per la scrittura del capitolo finale della storia del capitano Sankara (alla memoria del quale, proprio nel luogo dove è stato ucciso, dovrebbe presto essere eretto un Memoriale), perché significa – sottolinea Bellocchio – impegnarsi a far emergere la verità sul suo assassinio (sia quanto alle responsabilità interne al Burkina Faso, con particolare riferimento a Compaore, sia quanto ai suoi alleati internazionali), fino ad oggi rimasto coperto da una cortina di omertà e paura.

 

 

tratto da: http://www.politicamentescorretto.info/2019/02/11/quando-sankara-invito-tutti-gli-stati-africani-a-non-pagare-il-debito-pubblico-2-mesi-dopo-fu-ucciso/

Una storia: “Faccio la commessa per 3,20€ l’ora, a nero e senza tutele” – È questa l’Italia dei 30enni…!?!

commessa

 

 

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Una storia: “Faccio la commessa per 3,20€ l’ora, a nero e senza tutele” – È questa l’Italia dei 30enni…!?!

 

“Faccio la commessa per 3,20€ l’ora, a nero e senza tutele: questa è l’Italia dei 30enni”

Storia di Veronica, poco più che trentenne, che da più di un anno lavora sottopagata, sfruttata, 10-12 ore al giorno per un negozio di generi alimentari a Roma.

“Da più di un anno ho una situazione di lavoro a dir poco imbarazzante. Lavoro come commessa in un punto vendita di generi alimentari di buon livello a Roma. Da più di un anno lavoro sottopagata, sfruttata, 10-12 ore al giorno. A 3,20 euro l’ora, a nero. Circa 800 euro al mese. Ho lavorato festivi e domeniche e non sono stata retribuita.

Tredicesima e quattordicesima non esistono, così come la malattia”.

Questa è la storia di Veronica (nome di fantasia ndr), una ragazza poco più che trentenne, impiegata, si fa per dire, in un negozio di alimentari in una zona centrale della Capitale. Veronica racconta a TPI del suo limbo senza alternative: costretta a lavorare per pochissimi euro al giorno, senza prospettive concrete o possibilità di tutele contrattuali.

Veronica lavora con altri italiani, tutti ormai rassegnati di fronte alle precarie condizioni lavorative.

Il lavoro nero si conferma come uno dei più grandi problemi per l’Italia e le casse dello Stato. Sono circa 1,5 milioni i lavoratori ‘invisibili’ a fronte di 5,7 milioni di aziende attive sul territorio italiano. Un fenomeno che produce un “buco” di circa 20 miliardi di euro per l’erario, secondo le stime di un’analisi condotta dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro.

Come hai conosciuto questo posto? Come ci sei finita a lavorare?

Tramite il passaparola ho saputo che c’era un’opportunità di lavoro.

Hai parlato con il titolare?
Sì. Il titolare mi aveva detto la metà delle ore, a un altro prezzo. Per un anno mi ha illuso che mi avrebbe fatto il contratto. L’accordo era di sei ore.

Poi cosa è successo?

La cosa si è ribaltata, io mi sono opposta più volte ma il titolare è anche una persona aggressiva che intimorisce. Mi fa le scenate, mi bestemmia in faccia, sono abbastanza terrorizzata.

I turni chi li decide?

Non esistono turni: entro la mattina alle 9 ed esco la sera alle 20.00.

Ci sono altre persone che lavorano lì? Cosa dicono?

Non ne sono contenti, ma sostanzialmente non dicono nulla. Sono arresi.

Sono italiani i tuoi colleghi?

Sì, certo. Persone mature.

È stancante il lavoro?

A volte non c’è nemmeno il tempo di mangiare, o bisogna mangiare in cinque minuti.

Come ti vengono dati i soldi?

A mano, a fine mese.

Come ha funzionato all’inizio?

Gli accordi erano che avrei preso gli stessi soldi ma per meno ore. La prima settimana è andata bene. I patti erano rispettati. Poi mi ha cominciato a dire che dovevo restare di più e a mano a mano le ore sono aumentate.

Quando eri malata come andava?

Se ero malata non mi pagava, e tratteneva i soldi dallo stipendio.

Sei consapevole che se accadesse qualcosa mentre lavori non sei per nulla tutelata?

Sì, ci penso spesso. Ma non so assolutamente come fare.

E ora cosa è successo?

Mi ha detto che dovrò andare via e che non può più pagarmi.

Perché non te ne sei andata prima spontaneamente?

Quando io protestavo e gli spiegavo che non era il modo di lavorare, lui mi rispondeva dicendomi che il mese seguente mi avrebbe fatto il contratto. Mi ha presa in giro. “Non è il momento questo. Di cosa hai paura?”, e così andava a oltranza. Ci ho pensato tante volte ad andarmene, poi speravo che le cose potessero cambiare.

Però un anno è tanto …

Ogni mese diceva questa cosa e ogni mese mi illudeva. In questi ultimi tempi peraltro trovare un lavoro è davvero complicato, ho avuto difficoltà e quindi ho resistito.

Il negozio va bene? C’è la clientela?

Sì, certo.

Secondo te quindi sarebbe nelle condizioni di offriti un salario migliore e delle condizioni migliori?

Secondo me sì.

“Il Ministro Di Maio dimostri davvero che ha a cuore la piaga del lavoro nero – dichiara Francesco Iacovone, del Cobas nazionale – perché non siamo alle Iene e non parlo del papà ormai più famoso d’Italia. Siamo nel mondo del commercio dove centinaia di milioni di cittadini/lavoratori subiscono soprusi di ogni genere”.

“Dal lavoro in nero a quello ‘in grigio’, con contratti regolari a metà e il resto fuori busta – prosegue il rappresentante sindacale – che rappresentano un’enorme evasione contributiva e fiscale e un ingente danno per i conti dello Stato. Tutti fanno finta di non vedere, ma in realtà questa degenerazione la conoscono tutti”.

“E non finisce qui, perché al lavoro nero si aggiungono il superamento delle soglie di precarietà contrattuale, le dimissioni in bianco, le discriminazioni di genere, i part time imposti, le condizioni di sicurezza inesistenti. Insomma, ci vuole davvero una task force di ispettori che faccia luce su uno dei settori produttivi più sfruttati”.

 

tratto da: https://www.tpi.it/2018/12/07/lavoro-nero-commessa-roma/?fbclid=IwAR0KNtOFsHFGpes224h90FEU0VeEOq_1IDbhqvvTzJZnVqGtyylD-ZbKtP0

La faccia tosta della Boschi che attacca il governo: “La manovra danneggia i risparmi degli italiani” – Sì, proprio la Boschi, quella di Banca Etruria e dei 35.000 risparmiatori toscani truffati e rovinati.

 

Boschi

 

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La faccia tosta della Boschi che attacca il governo: “La manovra danneggia i risparmi degli italiani” – Sì, proprio la Boschi, quella di Banca Etruria e dei 35.000 risparmiatori toscani truffati e rovinati.

Maria Elena Boschi ha affermato che la manovra varata dal governo Conte “danneggia i risparmi degli italiani”.

La replica del Movimento 5 Stelle è arrivata a stretto giro, da parte del deputato Raphael Raduzz, che ha detto in aula:

“I risparmiatori sono stati danneggiati dai vostri governi”.

Maria Elena Boschi, nel corso del suo intervento, ha anche attaccato l’esecutivo gialloverde parlando di un Parlamento “mai così umiliato, che discute “una legge di Bilancio che non c’è”.

E ha lanciato la profezia: “Sono sicura che sarà anche l’ultima legge di bilancio del governo del cambiamento”.

In un post pubblicato sul social network martedì scorso, Boschi aveva scritto:

“Mentre siamo in attesa di capire dal ministro Tria quale sarà la vera manovra, mentre al governo si discute se portare dal 2,4 al 2 il deficit, Lega e M5S hanno presentato un fondamentale emendamento. 1,5 milioni di euro per ogni anno dal 2019 in poi perché il ministro Savona possa prendersi qualche bravo consulente che possa spiegare al governo come funziona l’unione europea e come si recepiscono le norme europee in Italia.
In sostanza, 1,5 milioni all’anno per spiegare al governo quello che già dovrebbe sapere.
A questo punto, abbiamo proposto di destinare le stesse risorse a dei giovani laureati che magari possono farne un uso migliore. Ci pareva giusto intitolare queste borse di studio a Salvini e Di Maio, noti esperti di diritto comunitario”.

Ora, che proprio la Boschi, quella di Banca Etruria e delle decine di migliaia di risparmiatori truffati si erga a paladina dei “risparmiatori italiani” mi sa proprio tanto di presa per i fondelli…

by Eles

La storica fotoreporter siciliana Letizia Battaglia: “I mafiosi sono dentro le istituzioni, ecco perché non ammazzano più i politici”

 

Letizia Battaglia

 

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La storica fotoreporter siciliana Letizia Battaglia: “I mafiosi sono dentro le istituzioni, ecco perché non ammazzano più i politici”

Letizia Battaglia: “I mafiosi sono dentro le istituzioni, ecco perché non ammazzano più i politici”

Parla la storica fotoreporter siciliana: “Un nome di sinistra oggi? Non riuscirei a farlo. Penso a Berlinguer e Pasolini”. E le donne? “Sono più consapevoli di se stesse, sono gli uomini che non lo sono”

A 83 anni, Letizia Battaglia è ancora piena di entusiasmo. Prima fotoreporter italiana donna a lavorare per un giornale, L’Ora di Palermo, conserva ancora le abitudini di una donna che si è fatta largo in un ambiente – quello giornalistico degli anni Settanta – prettamente maschile. Le sigarette, che fuma indisturbata prima del suo intervento al festival “Pazza Idea. Femminile Plurale” al Ghetto di Cagliari, ne sono la prova. «La mafia gioca sullo sbandamento, sul non avere direzioni, ideali. È già tanto avere dei sogni, pensare di portare avanti dei progetti culturali. Questo alla mafia non fa bene», racconta durante la rassegna – in corso fino al 25 novembre – che l’ha scelta tra le protagoniste di un dibattito costruito sull’attualità al femminile. Dopotutto, è stata lei ad aver mostrato per prima i volti delle donne, più o meno giovani, che abitavano la sua città.

Partiamo da questo festival, che racconta le donne per voce di sole donne. Lei ne ha fotografate tante nel corso della sua carriera, sono ancora i suoi soggetti preferiti e come le trova oggi?
Sono un po’ più libere, ma non sono più felici di prima. Mi sembra che ancora il rapporto delle donne nella società non sia paritetico a quello degli uomini. Abbiamo ancora da lavorare per conquistare spazi, non spazi di dominio, spazi di vita. Siamo ancora un po’ non pronte. Noi donne, ma anche gli uomini. Ci sono stati secoli di donne asservite, non è facile anche per noi donne comportarci bene in rapporto a un’autonomia: dobbiamo ancora impararlo forse.

Il successo Salvini e Di Maio ce l’hanno in tutta Italia, non solo al Sud. In Sicilia c’è disoccupazione, perché i mascalzoni dei tempi passati non hanno organizzato il lavoro, hanno fatto in modo che non ci fosse il lavoro. Perché così avevano un popolo ignorante che votava senza capire bene cosa stava facendo

E i giovani? Il suo Centro Internazionale di Fotografia è dedicato anche a loro.
Ma non è solo per i giovani, anche per i vecchiacci. Il Centro serve per collegare la grande fotografia internazionale ai sogni, alle speranze di gente che incomincia a fare fotografia. Ma serve anche per fare un resoconto a livello alto – altissimo per me – di quello che avviene nel mondo della fotografia. Di fatto dentro al mio Centro si alternano Josef Koudelka, Susan Meseilas ma anche il ragazzo di Palermo che in carcere fa fotografia. Quello che mi interessa è la mia città, la passione della mia vita.

Ecco, stiamo su Palermo. Lei è palermitana, conosce la gente del Sud, che oggi viene definita “scansafatiche” perché speranzosa nell’ottenere il reddito di cittadinanza promesso dai Cinque Stelle. C’è del vero o in alternativa come si spiega il successo di questa forza politica?
No, fermiamoci un attimo. Il successo Salvini e Di Maio ce l’hanno in tutta Italia, non solo al Sud. In Sicilia c’è disoccupazione, perché i mascalzoni dei tempi passati non hanno organizzato il lavoro, hanno fatto in modo che non ci fosse il lavoro. Perché così avevano un popolo ignorante che votava senza capire bene cosa stava facendo. Quindi, anche una città come Palermo con il reddito di cittadinanza forse può sperare di andare avanti. C’è bisogno di soldi, i cittadini non riescono a pagare le bollette né a vivere dignitosamente. I nostri giovani se ne stanno andando. Anche il sindaco Leoluca Orlando sta lavorando moltissimo perché Palermo sia viva, ed è diventata vivissima. È un momento molto interessante, finalmente siamo usciti dalla cupezza. Ma non basta, il lavoro è il lavoro, e in Italia le cose sono andate come sono andate. Non solo al Sud.

Noi non abbiamo più morti dentro le istituzioni dal 1992, che sono tanti anni. Ma abbiamo la mafia, abbiamo il traffico della droga, il pizzo, abbiamo traffici di essere umani. Abbiamo traffici di tutti i tipi, e dentro la politica sono arrivati i mafiosi

Letizia Battaglia

Lei si è sempre definita una donna di sinistra. Riesce a farmi un nome di sinistra nel panorama politico italiano di oggi?
No, penso a Berlinguer. E a Pasolini.

C’è una sua foto che ben rappresenta la vicinanza tra politica e mafia, quella che ritrae Giulio Andreotti in compagnia di Nino Salvo di Cosa Nostra. Oggi non ci sono più le stragi, ma la mafia sì. Che volto ha?
Intanto, due tre mesi fa una sentenza di tribunale ha decretato che parti dello Stato e la mafia hanno avuto una trattativa. E questo è disonorevole per uno Stato. Questo avvenne subito dopo che ammazzarono Falcone e Borsellino: tu non ucciderci, noi qualche vantaggio te lo diamo, disse lo Stato. E così è avvenuto. Noi non abbiamo più morti dentro le istituzioni dal 1992, che sono tanti anni. Ma abbiamo la mafia, abbiamo il traffico della droga, il pizzo, abbiamo traffici di essere umani. Abbiamo traffici di tutti i tipi, e dentro la politica sono arrivati i mafiosi. Non hanno più bisogno di avere collegamenti con i politici, sono dentro le istituzioni.

Se dovesse scattare un’immagine del potere, dove andrebbe a cercarlo?
Il potere? Certo non andrei da Papa Francesco, anche se sono atea mi sembra che quest’uomo sia abbastanza carino. No guarda, il potere non l’ho mai fotografato. Il potere mi fa un poco orrore. Io sono stata deputato e sono stata assessore, ma io col cazzo che mi sentivo di avere il potere! Io mi sentivo una che doveva lavorare per Palermo, perché è meraviglioso e fantastico lavorare per la tua città e avere, sì, il potere di piantare alberi, dare aiuto a chi ne ha bisogno, di creare concretamente qualcosa. Il mio potere è un’altra cosa.

Siamo alla fine. Lei è stata una testimone visiva degli ultimi 30 anni del nostro Paese. Le sembra cambiato oppure siamo sempre quelli che vogliono cambiare tutto perché tutto resti com’è?
Se guardo le mie fotografie, quelle di trent’anni fa, la gente era diversa. Le ragazze erano più povere, meno belle. Sono immagini diverse in rapporto alla gente. Poi se le cose sono cambiate, ma i ponti crollano, il dolore c’è, e oggi gli uomini ammazzano le donne. Però la situazione è un po’ migliorata: le donne oggi sono un po’ più consapevoli di se stesse, sono gli uomini che non lo sono.

tratto da: https://www.linkiesta.it/it/article/2018/11/24/letizia-battaglia-mafia-fotografia-palermo/40252/