L’apoteosi del precariato: in 2 anni assunta e licenziata 44 volte (oltre a 77 proroghe) Renzi, Poletti & C. ne devono proprio essere fieri!

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L’apoteosi del precariato: in 2 anni assunta e licenziata 44 volte (oltre a 77 proroghe) Renzi, Poletti & C. ne devono proprio essere fieri!

 

Un’operaia modenese stabilisce un primato davvero poco invidiabile: assunta e licenziata per 44 volte nel giro di un paio d’anni. Colpa del precariato

Che il sistema che regola il lavoro precario vada rivisto è ormai una verità che non può essere messa in discussione: ogni giorno arrivano notizie di casi-limite, ma il record stabilito da un’operaia modenese fa rabbrividire e dovrebbe obbligare tutti a fermarsi e iniziare a parlare di serie politiche che riguardino il lavoro, in particolare quello precario. La donna in questione è stata assunta e licenziata per ben 44 volte nell’arco di appena due anni e per poter essere assunta definitivamente ha dovuto rivolgersi ad un giudice.

I 44 contratti di lavoro li ha firmati con un’azienda di piastrelle e a questi vanno ad aggiungersi altre 77 proroghe per gli stessi contratti: una lampante dimostrazione di quanto possa diventare imponente la burocrazia in Italia, sia per le aziende che per i lavoratori. La sua via crucis lavorativa comincia nel 2010 e va avanti per anni fra licenziamenti e riassunzioni, fino all’episodio decisivo: una lite nell’azienda con un meccanico che la insulta e la spinge a terra sul luogo di lavoro.

È facile immaginare, dunque, che senza questo scontro il suo “avventurosopercorso dentro-fuori nell’azienda per la quale lavorava sarebbe andato avanti chissà per quanto tempo ancora. Come conseguenza della lite, la donna non viene più richiamata a lavorare dalla società di piastrelle e così lei decide di rivolgersi al Tribunale di Modena, che le dà ragione e ordina la sua assunzione all’interno della stessa azienda a tempo indeterminato.

La sentenza esecutiva prevede anche il pagamento di tre mensilità e mezzo e un risarcimento. Secondo il parere di Valeria Vaccari, giudice della sezione Lavoro civile, un numero così elevato di contratti non poteva essere collegato a sole esigenze improvvise di manodopera da parte dell’azienda, ma nascondeva la sostituzione di un lavoro fisso con uno a progetto e tale comportamento è vietato dalla legge. D’ora in avanti, dunque, la donna potrà contare su un lavoro fisso: ma quanti altri si trovano ancora nella sua precedente situazione? Un’indagine seria potrebbe aiutare a far emergere tutti i paradossi che si celano nelle pieghe del lavoro precario, che genera storture e record di cui non si va affatto fieri.

via BreakNotizie

L’accusa contro il Ministro Giuliano Poletti: “Il Piano contro la povertà esclude il 70% dei cittadini”…!

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Poletti

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L’accusa contro il Ministro Giuliano Poletti: “Il Piano contro la povertà esclude il 70% dei cittadini”…!

 

da Huffington Post

Mdp risponde alla proposta del ministro Giuliano Poletti: “Il Piano contro la povertà esclude il 70% dei cittadini”

In esclusiva per Huffington Post la lettera dei tre leader e dei due capigruppo di Mdp sul Piano contro la povertà annunciato dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.

Tra gli impegni che il governo Gentiloni deve portare a termine entro la fine della legislatura c’è quello del contrasto alla povertà assoluta. Il Piano nazionale – dopo la sperimentazione del SIA – è un primo passo, sopratutto nei confronti delle famiglie con minori. Resta la sproporzione tra le risorse stanziate e le reali necessità. Questo intervento, quando adottato, coprirà a malapena il 30% dei poveri assoluti. Rimarranno fuori 7 cittadini su 10. La povertà assoluta è una condizione economica che impedisce a oltre 4,5 milioni di persone l’accesso ai beni essenziali: alimentazione, casa, educazione, abbigliamento, minima possibilità di mobilità e svago. I più coinvolti sono i giovani, le famiglie numerose, i lavoratori poveri. Non soltanto al Sud (9,1% delle famiglie), ma anche al Centro (4,2%) e al Nord (5%).

L’Alleanza contro la Povertà ha fatto una proposta precisa – e di carattere strutturale – che prevede una spesa di 1,7 miliardi il primo anno per giungere, il quarto anno, a tutelare tutti i nuclei familiari che si trovano in povertà assoluta con uno stanziamento di sette miliardi. Questa proposta, una volta a regime, richiederebbe uno stanziamento pari allo 0,34% del Pil (oggi l’Italia spende lo 0,1% contro una media europea dello 0,4%). Le risorse si possono reperire correggendo la finanza pubblica che ha segnato l’ultimo triennio, ripristinando il principio costituzionale della progressività fiscale contenuto nell’articolo 53 della nostra Carta. Dal 2015 al 2017 è stata movimentata una massa finanziaria di ben 90 miliardi di euro, con effetti modesti sulla crescita. Investimenti di altra natura – come il contrasto alla povertà assoluta – avrebbero conseguenze ben più evidenti, sia sul piano sociale che su quello economico.

Anche da Bruxelles guarderebbero con maggiore fiducia a un uso della maggiore flessibilità per una vera crescita. La vicenda economica della vicina Germania ci indica infatti che non c’è vera crescita senza innovazione dello stato sociale. La lotta alla povertà non solo è giusta, ma, come sostengono concordemente molti economisti, è anche un fattore di crescita, per il noto principio dell’alta propensione al consumo di chi ha meno. Stiamo parlando di una misura non solo assistenziale ma di una strategia di reinserimento e attivazione sociale. Con l’assolvimento dell’obbligo scolastico e del rispetto dei protocolli sanitari per i minori; con percorsi di formazione professionale e di partecipazione al mercato del lavoro per gli adulti. Sylos Labini scriveva che: «se la miseria esiste» alcuni «la sfruttano»; ma questo – continuava – non «autorizza ad affermare che la miseria è indispensabile al capitalismo». L’indifferenza verso i destini degli esclusi è una lesione grave della nostra comunità. Per queste ragioni crediamo che contrastare la povertà assoluta, oltre che strumento anti-ciclico, è un principio fondamentale della nostra democrazia.