20 marzo 1979 – 41 anni fa l’omicidio di Mino Pecorelli. Un omicidio tutt’ora avvolto nel mistero… Nel 2002 Andreotti fu riconosciuto come mandante e condannato a 24 anni, ma un colpo di bacchetta magica della Cassazione annullò tutto…!

 

20 marzo

 

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20 marzo 1979 – 41 anni fa l’omicidio di Mino Pecorelli. Un omicidio tutt’ora avvolto nel mistero… Nel 2002 Andreotti fu riconosciuto come mandante e condannato a 24 anni, ma un colpo di bacchetta magica della Cassazione annullò tutto…!

 

La sera del 20 marzo 1979 Mino Pecorelli fu assassinato da un sicario che gli esplose quattro colpi di pistola in via Orazio a Roma, nelle vicinanze della redazione del giornale.

I proiettili, calibro 7,65, trovati nel suo corpo sono molto particolari, della marca Gevelot, assai rari sul mercato (anche su quello clandestino), ma dello stesso tipo di quelli che sarebbero poi stati trovati nell’arsenale della banda della Magliana, rinvenuto nei sotterranei del Ministero della Sanità.

L’indagine aperta all’indomani del delitto seguì diverse direzioni, coinvolgendo nomi come Massimo Carminati (esponente dei Nuclei Armati Rivoluzionari e della banda della Magliana), Antonio Viezzer, Cristiano e Valerio Fioravanti.

Tutti vennero prosciolti il 15 novembre 1991; successivamente, le ipotesi sul mandante e sul movente fiorirono a grappoli: da Licio Gelli (risultato estraneo ai fatti) a Cosa nostra, fino ad arrivare ai petrolieri ed ai falsari di Giorgio De Chirico (Antonio Chichiarelli, membro della Banda della Magliana).

Il 6 aprile 1993, il pentito Tommaso Buscetta, interrogato dai magistrati di Palermo, parlò per la prima volta dei rapporti tra politica e mafia e raccontò, tra le altre cose, di aver saputo dal boss Gaetano Badalamenti che l’omicidio Pecorelli sarebbe stato compiuto nell’interesse di Giulio Andreotti.

La magistratura aprì un fascicolo sul caso. In questo faldone vennero aggiunti, man mano che le indagini proseguivano e per effetto delle deposizioni di alcuni pentiti della “banda della Magliana”, il senatore Giulio Andreotti, l’allora pm Claudio Vitalone, Gaetano Badalamenti, Giuseppe Calò in qualità di mandanti, e inoltre Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati in qualità di esecutori materiali.

Il 24 settembre 1999 fu emanata la sentenza di assoluzione per tutti gli imputati “per non avere commesso il fatto”.

Il 17 novembre 2002, la corte d’assise d’appello di Perugia condannò Andreotti e Badalamenti a 24 anni di reclusione come mandanti dell’omicidio.

La corte d’appello confermò invece l’assoluzione per i presunti esecutori materiali del delitto.

Il 30 ottobre 2003 la Corte di Cassazione annullò senza rinvio la condanna inflitta in appello a Giulio Andreotti e a Badalamenti, affermandone definitivamente l’innocenza.

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Andreotti e l’omicidio Pecorelli

Andreotti è stato anche processato per il coinvolgimento nell’omicidio di Mino Pecorelli. Secondo i magistrati investigatori, Andreotti commissionò l’uccisione del giornalista, direttore della testata Osservatore Politico (OP). Pecorelli – che aveva già pubblicato notizie ostili ad Andreotti, come quella sul mancato incenerimento dei fascicoli SIFAR sotto la sua gestione alla Difesa – aveva predisposto una campagna di stampa su finanziamenti illegali della Democrazia Cristiana e su presunti segreti riguardo il rapimento e l’uccisione dell’ex Presidente del Consiglio Aldo Moro avvenuto nel 1978 ad opera delle Brigate Rosse.

In particolare, il giornalista aveva denunciato connessioni politiche dello scandalo petroli, con una copertina intitolata Gli assegni del Presidente con l’immagine di Andreotti, ma accettò di fermare la pubblicazione del giornale già nella rotativa.

Il pentito Tommaso Buscetta testimoniò che Gaetano Badalamenti gli raccontò che «l’omicidio fu commissionato dai cugini Salvo per conto di Giulio Andreotti», il quale avrebbe avuto paura che Pecorelli pubblicasse informazioni che avrebbero potuto distruggere la sua carriera politica.

In primo grado nel 1999 la Corte d’assise di Perugia prosciolse Andreotti. Successivamente, il 17 novembre 2002, la Corte d’assise d’appello ribaltò la sentenza di primo grado per Badalamenti e Andreotti, condannandoli a 24 anni di carcere come mandanti dell’omicidio Pecorelli.

Il 30 ottobre 2003 la sentenza d’appello fu annullata senza rinvio dalla Cassazione, annullamento che rese definitiva la sentenza di assoluzione di primo grado.

Per la Cassazione la sentenza d’appello si basava su «un proprio teorema accusatorio formulato in via autonoma e alternativa in violazione sia delle corrette regole di valutazione della prova che del basilare principio di terzietà della giurisdizione», sostenendo che il processo di secondo grado avrebbe dovuto confermare il giudizio di assoluzione, basato su una «corretta applicazione della garanzia». I supremi giudici aggiunsero che le rivelazioni di Buscetta non si basavano su elementi concreti «circa l’identificazione dei tempi, delle forme, delle modalità e dei soggetti passivi (intermediari, submandanti o esecutori materiali) del conferimento da parte di Andreotti del mandato di uccidere», oltre al fatto che mancava il movente e che la sentenza di condanna non aveva spiegato né come né perché l’imputato avrebbe ordinato l’omicidio del giornalista.

 

 

fonti:

https://www.ilmemoriale.it/politica/2017/10/24/omicidio-di-mino-pecorelli.html

https://it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Andreotti