Salvini dice di “adorare le canzoni di De André”, ma non c’è canzone di De André che non sputi su Salvini e sui suoi pensieri!

De André

 

 

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Salvini dice di “adorare le canzoni di De André”, ma non c’è canzone di De André che non sputi su Salvini e sui suoi pensieri!

 

Salvini dice di “adorare le canzoni di De André”, ma non c’è canzone di De André che non sputi su Salvini e sui suoi pensieri!

Salvini ringrazi Iddio che De André è morto… Sai quanti calci in culo gli avrebbe dato volentieri…

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Anarchico, ha cantato le vite degli zingari, dei profughi, dei colonizzati, degli eretici, dei marginali. Ha cantato il disprezzo per le guardie, per manettari e delatori, per la piccola borghesia che ha il culto dei cazzi propri. Ha persino fatto in tempo ad aiutare le famiglie di migranti che occupavano in via Altura. Senza averci capito una parola, Salvini dice di «adorare le canzoni di De André», ma non c’è canzone di De André che non sputi su Salvini.

da: https://www.trendsmap.com/twitter/tweet/951367166733045761

Salvini: «Grande, unico De André». Ma sui social: «Le sue canzoni contro la tua politica»
Dal Corriere della sera:

Il leader della Lega Nord: «Grande Fabrizio, dico grazie alla Rai». Ma in Rete gli rispondono: «Ignorante, tutta l’opera di De André è contro di te»

«Grande, unico Fabrizio. Per una volta dico grazie alla Rai». Un messaggio pubblicato su Facebook per esprimere tutto il suo apprezzamento per la fiction su Fabrizio De André «Principe Libero». Firmato da Matteo Salvini, che rivela di essere grande fan di De André. Peccato che questo scateni la polemica in Rete.

È bastato un messaggio di poche righe su Twitter e Facebook, per dire di aver apprezzato la fiction andata in onda sulla Rai, e subito sono arrivati i commenti polemici. «Ignorante e incoerente, l’intera sua opera è contro di te» gli scrivono. «L’opera di De André è una dichiarazione d’amore per gli ultimi, gli emarginati e le vittime di ingiustizia sociale. Chi ascolta e comprende De André non può che ritenere Salvini un avversario politico». E ancora, c’è chi gli scrive: «Non sei degno neanche di pronunciare quel nome, tu sputi continuamente sopra i valori contenuti nelle sue canzoni». «Se Faber fosse vivo – scrive un altro – le direbbe che lei è un misto di ignoranza e incoerenza». «L’arte è di tutti – si legge ancora fra i commenti – ma se De André fosse vivo si vergognerebbe di averti come suo fan».

Da: http://www.corriere.it/cronache/18_febbraio_14/matteo-salvini-loda-fiction-de-andre-ma-social-scoppia-polemica-db5bf488-1178-11e8-9c04-ff19f6223df1.shtml

Gasparri: “Il monologo di Favino a Sanremo? Eccesso di buonismo” …E che cazzo, non se ne può più di questi buonisti… Pensate che già 80 anni fa rompevano i coglioni. Li chiamavano “pietisti” e, non ci crederete, avevano pietà per quelle carogne degli Ebrei…!

Gasparri

 

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Gasparri: “Il monologo di Favino a Sanremo? Eccesso di buonismo” …E che cazzo, non se ne può più  di questi buonisti… Pensate che già 80 anni fa rompevano i coglioni. Li chiamavano “pietisti” e, non ci crederete, avevano pietà per quelle carogne degli Ebrei…!

 

Da Fanpage:

Gasparri: “Il monologo di Favino a Sanremo? Eccesso di buonismo con ingaggio di 300mila euro”

Gasparri critica il monologo di Favino al festival di Sanremo: “Il buonismo ormai si è infilato ovunque, nei tg, nelle canzoni. Trovo grave che oggi ci siano 60mila clandestini da gestire in Italia.

“Il monologo di Favino a Sanremo? Eccesso di buonismo a 300mila euro… faccia un vaglia. Si fa la sua pubblicità al suo spettacolo prendendo 300mila euro”. È questa la risposta che ha dato Maurizio Gasparri, candidato al Senato per Forza Italia, rispondendo oggi al programma di Rai Radio1 Un Giorno da Pecora, condotto da Giorgio

E allo stesso modo è intervenuto sul suo profilo Twitter spiegando meglio il concetto: “Il buonismo ormai si è infilato ovunque, nei tg, nelle canzoni. Trovo grave che oggi ci siano 60mila clandestini da gestire in Italia. Basta recitare buonismo con un ingaggio di 300mila Euro”.

Gasparri si riferisce al monologo, tratto da “La notte poco prima delle foreste” di Bernard-Marie Koltès, e recitato dall’attore e conduttore del festival Pierfrancesco Favino, che ha riscosso molto successo tra il pubblico sui social e il pubblico in tv. Nell’intervista Gasparri spiega che ha trovato inopportuna la performance teatrale visto che quello di Sanremo è una kermesse dedicata alle canzoni. E poi ha aggiunto che non ha gradito la prova attoriale in sé: “A me non piace neanche la recita di uno che deve imitare uno straniero. Recitalo nel modo in cui parli tu”. E torna a parlare del problema della sicurezza e dell’immigrazione: “Non siamo mica analfabeti, ma questo grande pezzo teatrale d’autore, messo lì, sembra un’ulteriore predica di buonismo, quando oggi in Italia c’è il problema di un eccesso di migrazione che va governata”.

 

Da Il Post:

La parola “buonismo”

La parola «buonismo» fu inventata dal professor Ernesto Galli Della Loggia in un editoriale intitolato «L’Ulivo di Prodi o Garibaldi» pubblicato il 1° maggio 1995 sulla prima pagina del Corriere della sera. Da allora ha avuto un’immensa fortuna, è stata ripetuta da chiunque, in qualunque circostanza e contesto, da esponenti politici, giornalisti famosi, in rete, nei bar, perché serve a ribaltare in insulto una qualità, la bontà che dovrebbe essere la più importante tra le virtù cristiane. L’antecedente storico e linguistico diretto, quasi letterale, è il termine «pietismo», utilizzato dopo il 1938 contro chi spendesse qualche parola in favore degli ebrei vessati dalle leggi razziali. Fu un termine diffuso, di uso comune nel discorso pubblico, con cui si impediva ogni pietà ed esitazione. Ancora nel 1948 nell’Enciclopedia Treccani alla voce «Fascismo» si legge: «È altresì noto come il “pietismo” filosemitico fosse anche nei ranghi del partito, e fin nelle sommità (Balbo, per esempio), largamente diffuso». Anche durante il fascismo, una virtù, la pietà, l’essere pietosi, fu distorta e ribaltata in un vizio e in una debolezza, in modo da assolversi preventivamente da ogni colpa, per esempio quella di rastrellare e mandare a morire gli ebrei italiani.

 

Da Bruciare nel Buio:

Il sinonimo di “pietista” nel XXI secolo

“Pietismo” e “pietista” erano termini usati in senso dispregiativo nell’Italia fascista degli anni delle leggi razziali. I “pietisti” erano quegli italiani (ovviamente “ariani”) che provavano sentimenti di pietà e di simpatia per gli ebrei. «Bisogna reagire contro il pietismo del povero ebreo» fu lo slogan coniato dal duce in persona.

I documenti dell’epoca sono pieni di spunti – diciamo così – interessanti. Prendiamo per esempio questo titolo della “Stampa” di Torino, risalente all’autunno 1938: «Il pietismo di Roosevelt. (…) Perché ci si commuove per gli ebrei e non per i massacri nella Spagna rossa?». Ricorda qualcosa?

Ancora. Il termine “pietismo”, scrive lo storico del fascismo Renzo De Felice, veniva usato come «sinonimo di spirito borghese e di antifascismo».
Di nuovo: dice niente? Provo a “modernizzare” le parole: oggi cosa useremmo, al posto di “borghese”? Radical chic, per esempio. E al posto di “antifascismo”, parola di cinque sillabe troppo lunga e difficile da scrivere e da pronunciare? Si userebbe probabilmente “sinistra” o “comunisti”.

Negli anni Trenta erano gli ebrei (o “israeliti”, o “giudei”). Oggi?
Senza dimenticare che gli “ebrei” ancora oggi si trovano a dover fronteggiare un’ondata crescente di antisemitismo ora strisciante ora più palese, pare esagerato se dico “negri”, “immigrati”, “arabi”, “rom”, “zingari”…?

Con quale parola tradurremmo “pietista” nel linguaggio odierno in uso tra i razzisti, i populisti, i qualunquisti di destra, i fascisti dichiarati e la legione di anonimi haters che infestano la rete (oltre che il mondo reale)?
“Buonista” è calzante?

Quali considerazioni si possono trarre, allora, da questa inquietante analogia storico-linguistica?
Non che la storia si ripeta uguale: è una sciocchezza ( e comunque Dio ce ne scampi!). Eppure, come non vedere la permanenza o il riaffiorare di elementi retorici e pattern ideologici che credevamo a torto estinti?

Qui c’è un articolo che ho trovato in rete mentre cercavo materiale sull’argomento: mi sembra che inquadri perfettamente la questione, consiglio caldamente di leggerlo e di farlo leggere: http://www.hakeillah.com/1_14_11.htm

Facciamo attenzione alle parole che si usano, vigiliamo, teniamo presente la storia passata. Sono esercizi propedeutici alla resistenza, in vista di un futuro non ancora scritto ma che si preannuncia fosco. E forse anche a cambiarne il corso, finché (se) siamo ancora in tempo.

 

Ricapitoliamo: il 20% degli italiani detiene il 66% della ricchezza. E, grazie ai loro amici politici ed alla stampa, fa credere al restante 80% che la colpa sia tutta dello 0,07% di migranti! Geni!

 

ricchezza

 

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Ricapitoliamo: il 20% degli italiani detiene il 66% della ricchezza. E, grazie ai loro amici politici ed alla stampa, fa credere al restante 80% che la colpa sia tutta dello 0,07% di migranti! Geni!

Non hai un lavoro? Colpa dei migranti che te lo rubano! Perchè è chiaro che sin da bambino hai sempre sognato di andare a raccogliere pomodori sotto il sole della Sicilia o romperti la schiena facendo il manovale a nero a Bergamo…

La povertà? Colpa dei migranti…!

Che poi con quello che ci costano… 5 miliardi l’anno, sbraitano in coro i nostri politici con a capo Salvini, Berlusconi e Meloni!

Signori, non fatevi prendere per i fondelli.

Ogni anno spendiamo oltre 20 miliardi per le armi… Come diceva Gino Strada, ma a chi cazzo dobbiamo fare guerra?

Allora, tagliamo le spese militari. Tutte, che non servono a niente. Ci vengono gratis i migranti, e ci rimane un bel po’ di soldini per dare giustizia sociale, sanità, scuola e dignità all’80% di cui sopra…

Non fatevi prendere in giro. Ci mettono in mezzo ad una guerra tra poveri solo per mascherare le loro incapacità e la loro connivenza.

By Eles

Povertà: Oxfam, in Italia il 20% più ricco detiene il 66% della ricchezza nazionale

In Italia le disuguaglianze a metà 2017 il 20% più ricco deteneva oltre il 66% della ricchezza nazionale netta, il 60% più povero appena il 14,8% della ricchezza nazionale. È quanto emerge dal nuovo rapporto di Oxfam “Ricompensare il lavoro, non la ricchezza”, diffuso alla vigilia del Forum economico mondiale di Davos. Secondo il rapporto la quota di ricchezza dell’1% più ricco degli italiani superava di 240 volte quella detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione. Nel periodo 2006-2016 la quota di reddito nazionale disponibile lordo del 10% più povero degli italiani è diminuita del 28%, mentre oltre il 40% dell’incremento di reddito complessivo registrato nello stesso periodo è fluito verso il 20% dei percettori di reddito più elevato. Nel 2016 l’Italia occupava la ventesima posizione su 28 Paesi Ue per la disuguaglianza di reddito disponibile. Tra le proposte di Oxfam per ridurre le disuguaglianze: “incentivare modelli imprenditoriali che adottino politiche di maggiore equità retributiva e sostengano livelli salariali dignitosi; introdurre un tetto agli stipendi dei top-manager ed eliminare il gap di genere; proteggere i diritti dei lavoratori, specialmente delle categorie più vulnerabili; assicurare che i ricchi e le grandi corporation paghino la giusta quota di tasse; aumentare la spesa pubblica per servizi come sanità, istruzione e sicurezza sociale a favore delle fasce più vulnerabili della popolazione”.

fonte: https://www.agensir.it/quotidiano/2018/1/22/poverta-oxfam-in-italia-il-20-piu-ricco-detiene-il-66-della-ricchezza-nazionale/

Afghanistan, Gino Strada: Siamo in guerra da anni e non se ne parla più. Non ci dicono che il nostro paese è in guerra. Non ci dicono cosa ci fanno in nostri militari in Afghanistan. Non ci dicono che i feriti sono aumentati del 160%. Qual è l’obiettivo?

 

Gino Strada

 

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Afghanistan, Gino Strada: Siamo in guerra da anni e non se ne parla più. Non ci dicono che il nostro paese è in guerra. Non ci dicono cosa ci fanno in nostri militari in Afghanistan. Non ci dicono che i feriti sono aumentati del 160%. Qual è l’obiettivo?

 

 

Gino Strada intervistato da Diego Bianchi a #propagandalive (La7): ‘Noi siamo in guerra in Afghanistan da anni e anni e non se ne parla più. Non si dice che il nostro paese è in guerra. Cosa ci fanno militari italiani a combattere e sparare in Afghanistan?’ Qual è l’obiettivo? 

Ma non è l’unico tema che tocca Gino strada:

Liberi e Uguali, Gino Strada: “Usino più persone quelle due parole. Europa? Meschina e gretta, non le importa destino migranti”

Liberi e Uguali? Queste due parole fanno parte della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Non c’è nessun copyright da parte di nessuno. Anzi, le usassero più persone, più organizzazioni, più istituzioni: se la ricordassero questa cosa di liberi e uguali in dignità e in diritti“. Sono le parole del fondatore di Emergency, Gino Strada, ospite di Propaganda Live, su La7. Il medico risponde a una domanda del conduttore Diego Bianchi circa la somiglianza del simbolo della coalizione di sinistra capeggiata da Pietro Grasso e la campagna di Emergency del 2012: “Non c’è nessun plagio. La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo è uno dei più alti punti del pensiero nella storia dell’umanità”. Sulla legge sul biotestamento, osserva: “Era ora. In Italia purtroppo siamo abituati a far passare per delle conquiste epocali delle cose che sono veramente il minimo indispensabile“. Inevitabile il tema dei migranti e delle Ong: “Ho trovato una uniformità di pensiero deprimente da parte di tutte le forze politiche. Riguardo alla politica del ministero dell’Interno, noi di Emergency l’abbiamo definita ‘un atto di guerra contro i migranti’, perché è davvero un atto di guerra. Poi ovviamente si costruiscono ulteriori bugie, come l’esprimere soddisfazione per i risultati straordinari raggiunti. E quale sarebbe il risultato straordinario? Il fatto che siano arrivati meno migranti”. E rincara: “Sarebbe questo il grande risultato? A prescindere dal fatto che queste persone stiano bene o siano state massacrate o stuprate o imprigionate? L’interesse di questa Europa gretta e meschina è che non arrivino più i migranti. L’interesse non è che muoiano o che soffrano, ma che non ci rompano più le palle. Noi, nella nostra grandissima intelligenza politica alla Minniti, pensiamo di poter fermare l’immigrazione. Ecco, direi di alzare il tiro: facciamo in modo che il sole non sorga più per due mesi. Questi sono pazzi”. Strada chiosa: “C’è stata una campagna diffamatoria contro le Ong, campagna in cui si vuole criminalizzare le organizzazioni semplicemente perché vogliono salvare qualcuno. Ma il criminale è chi non vuole salvare qualcuno”

Da Il Fatto Quotidiano

Su tutti i giornali – Gentiloni: “Migranti, in sei mesi arrivi diminuiti del 69%, Italia a testa alta”. Ma nessuno parla dell’accusa di Amnesty International: “Tortura in Libia, l’Italia è complice”…! E questa sarebbe la “testa alta”?

Migranti

 

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Su tutti i giornali – Gentiloni: “Migranti, in sei mesi arrivi diminuiti del 69%, Italia a testa alta”. Ma nessuno parla dell’accusa di Amnesty International: “Tortura in Libia, l’Italia è complice”…! E questa sarebbe la “testa alta”?

Un rapporto di Amnesty International riferisce che i governi europei continuano a sostenere attivamente un “sofisticato sistema di abuso e sfruttamento di rifugiati e migranti” da parte delle autorità libiche. Amnesty sostiene che i paesi dell’Unione, in particolare l’Italia, siano “consapevolmente complici della #tortura e degli abusi su decine di migliaia di rifugiati e migranti detenuti in Libia”, poiché essi forniscono supporto tecnico al Dipartimento libico per la lotta alla migrazione illegale (DCIM), responsabile della gestione dei centri di detenzione: in tali centri rifugiati e migranti sono, nella maggior parte dei casi, arbitrariamente e indefinitamente detenuti ed esposti a torture e altre gravi violazioni dei diritti umani.

Come riportato dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad al-Hussein, l’11 settembre di quest’anno, si parla di “uccisioni extra-giudiziarie, schiavitù, tortura, stupro, tratta di esseri umani e fame”.

La tortura nel mondo e in Libia

A partire dalla “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani“, il sistema giuridico internazionale proibisce la tortura. Ciò nonostante essa persiste e si è anzi perfezionata fino ad avvalersi di tecniche sempre più sofisticate. E dopo l’11 settembre 2001, nel nome della cosiddetta “guerra al terrorismo“, la tortura è stata praticata anche in molte democrazie occidentali: un esempio è il tentativo dell’esecutivo statunitense di erodere, tramite una lettura restrittiva, la portata del divieto di tortura al fine di legittimare almeno forme di tortura lite o di interrogatorio coercitivo a carico dei sospetti terroristi.

La critica si rivolge soprattutto ad alcuni giuristi ai quali Jeremy Waldron, docente universitario neozelandese di giurisprudenza e filosofia, addebita di aver alimentato un clima favorevole a quelle pratiche brutali sui prigionieri in AfghanistanIraq e a Guantanamo Bay che hanno destato scandalo nel mondo occidentale. Il movente della tortura è il più delle volte il desiderio, da parte dell’autorità-torturatore, di carpire informazioni dal prigioniero-torturato: in tale scenario rientrano ovviamente i sospetti terroristi citati precedentemente. Di tutt’altro genere però sembra essere la tortura che si protrae in Libia a discapito di chi non riesce a partire o viene intercettato dal DCIM prima dello sbarco: in questo caso non si tratta di scoprire le strategie di un nemico, ma semplicemente di annichilire e deumanizzare ulteriormente chi viene avvertito dai più non come un essere umano (e pertanto portatore di una dignità intoccabile), ma come un mero oggetto, inutile e fastidioso.

Da ciò avviene in automatico la reiterazione delle stesse pratiche, condannate dall’umanità da anni, di deumanizzazione delineate dalla Arendt in “Le origini del totalitarismo” nel 1948: distruzione della personalità giuridica(ovvero ledere i diritti civili della persona), annientamento della personalità morale (distruggendo ogni convinzione e ogni distinzione tra bene e male nella vittima) e infine la distruzione della personalità individuale (animalizzando i prigionieri, trasformandoli in numeri, rendendoli massa anonima).

Scandalo a Bologna: Gesù nasce in un gommone anziché in una mangiatoia. Ma quelli che si scandalizzano dimenticano che come la mangiatoia, il gommone è un simbolo di povertà. E soprattutto che i migranti Maria e Giuseppe furono cacciati da farabutti che anteposero i propri meschini interessi alla solidarietà.

 

Gesù

 

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Scandalo a Bologna: Gesù nasce in un gommone anziché in una mangiatoia. Ma quelli che si scandalizzano dimenticano che come la mangiatoia, il gommone è un simbolo di povertà. E soprattutto che i migranti Maria e Giuseppe furono cacciati da farabutti che anteposero i propri meschini interessi alla solidarietà.

Bologna, la natività che fa discutere: un gommone al posto della mangiatoia. Ma quelli che si scandalizzano non pensano che forse anche 2000 anni fa vi erano dei fessi che si facevano incantare da un predicatore con la Ruspa?

Da Fanpage:

Bologna, la natività che fa discutere: un gommone al posto della mangiatoia

Polemiche per la scelta di un Comune nel Bolognese di allestire in piazza una natività un po’ originale: le figure principali della Madonna e di Gesù sono state sistemate su un gommone, per ricordare la tragedia dei migranti.

L’aria di festa, con il Natale alle porte, non è un antidoto sicuro contro le polemiche. A Monsignor Ernesto Vecchi, vescovo ausiliare emerito di Bologna, non è piaciuta la scelta di un Comune del bolognese, Castenaso, di proporre quest’anno un presepe un po’ originale. Nel ricordare la Natività quest’anno il paese ha voluto attualizzare la rappresentazione, collegandola ala dramma dei morti in mare nel Mediterraneo. E così il sindaco Stefano Sermenghi ha deciso di collocare in mezzo a San Giuseppe e alla Madonna un gommone.

“Va bene il presepe, ma non si tocchi la mangiatoia”, ha sottolineato Monsignor Ernesto Vecchi parlando del presepe allestito in Piazza Zapelloni. “Il nucleo centrale di un presepe – ha aggiunto il prelato in un’intervista su “Il Resto del Carlino” – prevede il bambino in fasce deposto in una mangiatoia, e deve essere rispettato alla lettera”. La tradizione insomma non si discute. Il problema per la Chiesa non sarebbe quindi la scelta di modernizzare gli elementi principale aggiungendo l’imbarcazione come oggetto inedito, ma la polemica nasce proprio dal posizionamento del Bambinello in un oggetto “profano”: ” La parte più importante di un presepe non può essere rappresentata da un barcone: non ho niente da ridire sul fatto che possa essere inserito nella rappresentazione, ma si sarebbe dovuto collocarlo in un’altra parte e non avrebbe dovuto ospitare il Bambinello e la Madonna”, il prelato ha argomentato così le sue critiche.

“Il presepe in piazza lo allestiamo da quindici anni – aveva Sermenghi – e stavolta abbiamo voluto mettere in evidenza il problema legato all’accoglienza dei migranti”. Al primo cittadino l’idea è piaciuta così tanto che l’immagine del particolare presepe sarà anche utilizzata dal Comune di Castenaso come sfondo per le cartoline degli auguri di Natale. Invece della classica paglia e con il fieno, nella composizione si vede un tappeto azzurro per simboleggiare il mare, con il gommone al centro. “In Italia in molti aprono la bocca – ha spiegato Sermenghi – “ma nessuno fa poi niente di concreto per un’accoglienza positiva nei confronti di chi arriva”.

da: -https://www.fanpage.it/bologna-la-nativita-che-fa-discutere-un-gommone-al-posto-della-mangiatoia/

 

Migranti, il Papa contro i politici: “Chi fomenta la paura provoca violenza e xenofobia” …ma, secondo Voi, con chi ce l’aveva?

 

Papa

 

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Migranti, il Papa contro i politici: “Chi fomenta la paura provoca violenza e xenofobia” …ma, secondo Voi, con chi ce l’aveva?

 

Migranti, il Papa contro i politici: “Chi fomenta la paura provoca violenza e xenofobia”

Papa Francesco lancia una dura critica contro i politici che “fomentano la paura nei confronti dei migranti seminando violenza, discriminazione razziale e xenofobia”. E bacchetta l’Ue e l’Italia che “respingono profughi e migranti verso luoghi dove li aspettano persecuzioni e violenze”.

In occasione della Giornata mondiale della pace il messaggio di Papa Francesco è rivolto ai migranti e alla politica che specula su di loro. “Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, magari a fini politici, anziché costruire la pace, seminano violenza, discriminazione razziale e xenofobia, che sono fonte di grande preoccupazione per tutti coloro che hanno a cuore la tutela di ogni essere umano”. Papa Bergoglio sembra rivolgersi ai politici italiani parlando dei “paesi di destinazione” nei quali si “è largamente diffusa una retorica che enfatizza i rischi per la sicurezza nazionale o l’onere dell’accoglienza dei nuovi arrivati, disprezzando così la dignità umana che si deve riconoscere a tutti, in quanto figli e figlie di Dio”.

Il Pontefice si appella ai governanti a cui chiede di praticare “la virtù della prudenza”: “Sapranno accogliere, promuovere, proteggere e integrare, stabilendo misure pratiche, nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso”. Chi è a capo di uno stato, secondo Bergoglio, ha una “precisa responsabilità verso le proprie comunità, delle quali devono assicurare i giusti diritti e lo sviluppo armonico, per non essere come il costruttore stolto che fece male i calcoli e non riuscì a completare la torre che aveva cominciato a edificare”.

Un altro chiaro messaggio lanciato dal Papa è una condanna alle politiche dell’Ue e dell’Italia. Il Pontefice chiede di “non respingere profughi e migranti verso luoghi dove li aspettano persecuzioni e violenze”, con un chiaro riferimento – seppure non esplicito – alla Libia. Papa Francesco suggerisce quindi di “bilanciare la preoccupazione per la sicurezza nazionale con la tutela dei diritti umani fondamentali”. Il Papa ricorda ancora il “dovere di riconoscere e tutelare l’inviolabile dignità di coloro che fuggono da un pericolo reale in cerca di asilo e sicurezza, di impedire il loro sfruttamento. Penso in particolare – scrive ancora il Papa – alle donne e ai bambini che si trovano in situazioni in cui sono più esposti ai rischi e agli abusi che arrivano fino a renderli schiavi. Dio non discrimina: ‘Il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l’orfano e la vedova’”.

Secondo Bergoglio è necessario “offrire a richiedenti asilo, rifugiati, migranti e vittime di tratta una possibilità di trovare quella pace che stanno cercando, richiede una strategia che combini quattro azioni: accogliere, proteggere, promuovere e integrare”. Inoltre, Papa Francesco chiede alla comunità internazionale di creare le condizioni affinché “i paesi meno ricchi possano accogliere un numero maggiore di rifugiati”.

“Tutti gli elementi di cui dispone la comunità internazionale – conclude il Pontefice – indicano che le migrazioni globali continueranno a segnare il nostro futuro. Alcuni le considerano una minaccia. Io, invece, vi invito a guardarle con uno sguardo carico di fiducia, come opportunità per costruire un futuro di pace”.

tratto da: https://www.fanpage.it/migranti-il-papa-contro-i-politici-chi-fomenta-la-paura-provoca-violenza-e-xenofobia/

Edoardo Mazza (Forza Italia) – sindaco di Seregno famoso per le sue battaglie “per la sicurezza” contro Rom e migranti: “Vengono qui a delinquere” – Peccato che è stato arrestato per corruzione e per aver favorito un imprenditore ritenuto legato alla mafia!!!

Edoardo Mazza

 

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Edoardo Mazza (Forza Italia) – sindaco di Seregno famoso per le sue battaglie “per la sicurezza” contro Rom e migranti: “Vengono qui a delinquere” – Peccato che è stato arrestato per corruzione e per aver favorito un imprenditore ritenuto legato alla mafia!!!

Edoardo Mazza – sindaco di Seregno di Forza Italia – è famoso per le sue battaglie “per la sicurezza” contro Rom e migranti.

“Vengono qui a delinquere!
Dobbiamo proteggere i nostri cittadini!”

Bene.

Edoardo Mazza – sindaco di Seregno di Forza Italia – questa mattina è stato arrestato con l’accusa di corruzione, per aver favorito gli affari di un noto costruttore ritenuto legato alle cosche.

Com’era quella cosa?

Ah, si.

Prima gli italiani.
Gli italiani mafiosi.

Ps: fate un colpo di telefono a Salvini, che era beatamente con lui in foto.

Luigi Manconi: “Il rapporto di Medici Senza Frontiere su stupri e torture in Libia è la brutale risposta alle domande che avevamo posto al Governo” – “Non ha risolto il problema sbarchi, lo ha solo tolto dalla nostra vista”

Medici Senza Frontiere

 

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Luigi Manconi: “Il rapporto di Medici Senza Frontiere su stupri e torture in Libia è la brutale risposta alle domande che avevamo posto al Governo” – “Non ha risolto il problema sbarchi, lo ha solo tolto dalla nostra vista”

“Se gli sbarchi si sono dimezzati nel mese di agosto, dove sono finiti quei tanti che non si sono affidati agli scafisti per attraversare il Mediterraneo?”. La domanda di Luigi Manconi pesa come un macigno sulle spalle del governo. Il senatore del Partito Democratico e Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, fa seguito alla denuncia di Medici senza frontiere, secondo la quale le condizioni di chi non riesce a imbarcarsi dalle coste della Libia sono disumane, con migliaia di persone trattenute in vere e proprie carceri a cielo aperto.

Senatore, la responsabilità di quello che succede sulle coste meridionali del Mediterraneo è anche nostra?
Fino a questo momento nessuno, proprio nessuno, ha smentito una sola delle informazioni contenute nel rapporto di Medici senza frontiere sui campi di detenzione in Libia. Quel rapporto che definisce “orrende” le condizioni dei profughi là reclusi, e che parla di un vero e proprio sistema criminale, fatto di stupri e torture, è la risposta brutale all’interrogativo che qualcuno di noi poneva nelle scorse settimane. Mentre trionfava uno stolido ottimismo sulla riduzione del numero degli sbarchi sulle coste italiane, abbiamo provato a domandare: se gli sbarchi si sono dimezzati nel mese di agosto, dove sono finiti quei tanti che non si sono affidati agli scafisti per attraversare il Mediterraneo? E dove si trovano ora coloro che non hanno raggiunto le coste italiane?

Sono domande che si pongono in tanti…
Gran parte dei non partiti e dei non sbarcati affolla quei campi di detenzione così drammaticamente descritti da Andrea Segre nel suo bel film, L’ordine delle cose, presentato alla Mostra del cinema di Venezia. In altre parole, e il calcolo non è affatto rozzo, il dimezzamento degli sbarchi si deve alla crescita dei prigionieri nei campi in Libia (secondo fonti autorevoli, circa 400 mila).

Stringendo, il nostro esecutivo deve sentirsi corresponsabile?
Dunque, l’esito – almeno quello rilevabile oggi – di tanto recente attivismo del nostro governo sembra essere questo: l’applicazione di un gigantesco tappo, una barriera fisica, e un blocco materiale che ostruisce il canale d’accesso dal Nord Africa al Mediterraneo e alle coste italiane. È come se, alla fine di un concerto o di una partita, mentre la folla defluisce, venissero chiusi i cancelli e serrate le porte. Chi si trova nelle vie adiacenti non si accorge di nulla perché il massacro si consuma all’interno di quello stadio. Tappo è la definizione che, nelle stesse ore, usavamo Emma Bonino ed io e che non è piaciuta a tanti, ma sembra corrispondere esattamente alla realtà. Il risultato è che quella dolente schiera di fuggiaschi che attraversava il mare, quelle barche precarie e quegli esuli spossessati di tutto ora sono sottratti, in gran parte, al nostro sguardo. È esattamente ciò che si chiama rimozione: spostarli dalla nostra vista e, di conseguenza, dalla nostra mente.

Il ministro dell’Interno Marco Minniti ha recentemente garantito, “mettendoci la faccia”, che i diritti umani dei migranti in Libia saranno tutelati. Può bastare?
Il governo italiano attraverso il presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno, annuncia che “ora si penserà alla tutela dei diritti umani dei profughi” in Libia. Ma questo compito è spostato avanti nel tempo. E prevede, comunque, una serie di condizioni che devono essere ancora tutte realizzate. Innanzitutto una presenza adeguata delle strutture e degli uomini delle Nazioni unite in Libia (e non solo di personale libico) e, a loro difesa, un numero consistente di caschi blu. E poi accordi con i soggetti del sistema statuale e politico libico, la cui profonda instabilità rende quegli stessi accordi così difficili e così poco vincolanti: col rischio molto serio di assumere impegni con interlocutori la cui attività non è sempre agevolmente distinguibile da quella delle organizzazioni dei trafficanti di esseri umani.

L’Italia ha sbagliato a fidarsi dei leader libici?
Perché un progetto così arduo abbia una qualche possibilità di successo, condizione preliminare sarebbe quella di non adottare in alcun modo una strategia dei due tempi: prima bloccare i flussi e ridurre gli sbarchi e poi controllare gli standard di tutela dei diritti nei campi di detenzione. Rinviando a chissà quando questa ultima attività, il pericolo è che si ottenga il solo risultato di affidare tante vite umane alle milizie che controllano i campi di detenzione anziché agli scafisti che controllano i viaggi in mare. Ne sarà migliorata l’estetica del nostro paesaggio nazionale e quella dei nostri confini marittimi, non certo la gestione dei flussi migratori.

C’è stato un passaggio da politiche di accoglienza e integrazione alla difesa dei confini tout court, dice lei. Eppure l’integrazione appare quanto mai necessaria visti i recenti drammatici casi degli sgomberi in particolare a Roma… 
Siamo alle solite: la missione italiana in Libia evidenzia un modello di politica dell’immigrazione che già è stato applicato nei mesi scorsi all’interno del contesto nazionale. Il governo dice: mettiamo ordine e controlliamo il territorio, garantiamo la sicurezza e il decoro delle città, combattiamo l’occupazione delle case e la micro-criminalità, poi applicheremo strategie di integrazione. E nel frattempo? Nel frattempo, temo, si saranno fatti tanti di quei guai che sarà difficile porvi rimedio. E, in realtà, è stato proprio il ministro dell’Interno Marco Minniti a rivelare – inavvertitamente o forse no – questo pericolo, quando mi ha detto che, d’ora in poi, non avrebbe autorizzato alcuno sgombero senza che – prima – venissero trovate adeguate soluzioni abitative. Ma, nei fatti, si agisce in maniera esattamente opposta.

fonte: http://www.huffingtonpost.it/2017/09/08/luigi-manconi-allhuffpost-il-rapporto-di-msf-su-stupri-e-torture-in-libia-e-la-brutale-risposta-alle-domande-che-avevamo-posto-al-governo_a_23201736/?utm_hp_ref=it-homepage

Medici Senza Frontiere, ancora uno schiaffo al governo – “Fondi per i campi profughi in Libia? No, grazie. Facciamo da soli già da un anno. Non accettiamo fondi da chi crea il problema”.

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Medici Senza Frontiere, ancora uno schiaffo al governo – “Fondi per i campi profughi in Libia? No, grazie. Facciamo da soli già da un anno. Non accettiamo fondi da chi crea il problema”.

Msf al governo: “Bandi per gestire i campi profughi in Libia? No, grazie: facciamo da soli già da un anno”

Parla Marco Bertotto, responsabile Advocacy di Medici Senza Frontiere: “Non accettiamo fondi da chi crea il problema: è controsenso”

“Primo: noi non accettiamo fondi dai governi europei da un anno, in polemica con le politiche di contenimento dell’immigrazione adottate dall’Ue. Secondo: capiamo la sensibilità del ministero degli Esteri, che pensa alle ong per gestire i campi in Libia, ma lì operiamo già autonomamente. Non vogliamo farci finanziare da chi genera il problema: sarebbe un controsenso”.

Tradotto: è no, grazie facciamo da soli, come sempre. Marco Bertotto è il responsabile Advocacy di Medici Senza Frontiere e in questa intervista ci spiega perché Msf respinge la proposta del sottosegretario Mario Giro di affidare alle ong la gestione dei campi profughi in Libia.

Nell’articolo de La Stampa sulla proposta di Giro, si parla di bandi per la gestione dei campi, dopo che Msf ha denunciato all’Unione Europea le condizioni terribili di detenzione dei migranti trattenuti in Libia. E’ una buona idea?
Credo non si possa parlare di bandi, perché in Libia nessuno sarebbe in grado di gestire né bandi, né campi. In una riunione alla Farnesina ci è stata prospettata la disponibilità di fondi per le ong interessate a operare nei centri di detenzione in Libia. E su questo devo fare una premessa.

Prego.
Msf non è parte di questo percorso. Perché dal 2016 noi non accettiamo fondi da alcun governo europeo o dall’Unione Europea in polemica con le politiche di contenimento dell’immigrazione adottate dall’Ue. Non vogliamo farci finanziare da chi genera il problema: sarebbe un controsenso.

Suona come un no secco: anche Gentiloni ieri da Praga ha parlato di una possibile cooperazione con le ong per migliorare le condizioni dei centri dove sono trattenuti i profughi che arrivano in Libia dall’Africa.
Allora: da un lato è importante che ci sia questa sensibilità da parte del ministero degli Esteri che vuole spingere le organizzazioni italiane a contribuire al miglioramento della situazione nei campi in Libia. Ma noi stiamo già lavorando lì con la nostra presenza nei centri di trattenimento dei profughi e con fondi nostri.

E continuerete a farlo?
Certamente, senza fondi pubblici, viviamo di donazioni. Aggiungo che il tema sta nell’ordine delle cose.

Cioè?
C’è il rischio che questa idea di dare alle ong la gestione dei centri in Libia appaia come una strumentalizzazione dell’azione umanitaria e del lavoro delle ong da parte di un governo che ha contribuito a creare una condizione di intrappolamento delle persone in Libia. Mi sembra insomma una risposta tardiva rispetto allo sforzo che è stato fatto di chiudere le porte. Da un lato, capiamo il senso di urgenza di Giro, che è sempre stato perplesso rispetto alla gestione della crisi migratoria…

Si riferisce alla gestione del Viminale? Evidente che fate la differenza tra il sottosegretario Giro e il ministro Minniti…
La polemica è stata pubblica anche nel governo sul codice di condotta per le ong e ha coinvolto anche il ministro Delrio, che ha preso le distanze. Noi guardiamo da osservatori, non vogliamo fare polemiche. Ci sembra importante che ci siano più organizzazioni non governative a lavorare in Libia, ma la speranza è che il governo italiano usi la sua influenza sulle autorità libiche non solo per migliorare i centri di detenzione, ma per il loro superamento.

Su questo la vostra denuncia è chiara.
A prescindere dalle nostre attività in loco, in Libia c’è un sistema di detenzione arbitraria che coinvolge migranti e rifugiati ed è scandaloso: non basta chiuderli e spostarli dove c’è più aria. La detenzione arbitraria va superata, la speranza è che l’Italia si faccia sentire sulle autorità libiche. Fermo restando che finora la politica italiana ed europea è stata complice di questa situazione: prima abbiamo chiuso le rotte e poi ci chiediamo come stanno.

Avete soccorso gente in mare, fornendo anche un aiuto alla Guardia costiera, fino a quando è nata la polemica politica di campagna elettorale. Ora vi chiedono di gestire i campi in Libia. Magari fino alla prossima polemica? Vede questo rischio?
Non nascondo un po’ di stupore nel vedere che le autorità che ieri criticavano le ong, anche se non è il caso di Giro nello specifico, e dicevano che le ong erano il problema, ora dicono che sono la soluzione. Le ong sono autonome e indipendenti e operano su principi umanitari. Proprio per questo pensiamo che non potremmo mai lavorare in Libia con fondi italiani o europei. C’è un atteggiamento schizofrenico verso le ong: a seconda del vento politico, vengono considerate il problema o la soluzione. Questo nasconde il fallimento della politica e dei governi: ieri dovevano salvare in mare e dunque il nostro intervento è stato benvenuto. Oggi non riescono ad affrontare la situazione in Libia con la diplomazia e l’azione politica e scaricano su di noi. Noi operiamo a prescindere da loro. Siamo in Libia da un anno e ora ci arriva l’Europa: continueremo senza curarci di quello che pensano le autorità e continuando a puntare il dito sulla responsabilità dei governi.

Gentiloni dice che non si può separare l’attenzione ai diritti umani dalle politiche di contenimento dei flussi. Che ne pensa?
Lui rivendica che il governo ha pensato a entrambi contemporaneamente, ma dal nostro punto di vista l’ordine logico doveva essere diverso. I tempi oggi non sono sicuramente tempi brevi per migliorare le condizioni in Libia. Per quanto abbiano chiesto la mobilitazione dell’Unhcr e dell’Oim, oggi anche se aumentassimo le risorse non avremmo garanzia di poter ottenere condizioni accettabili per i migranti in Libia.

Però certamente prima di un anno fa non era possibile mettere piede in Libia. Il fatto che siete presenti lì è anche frutto delle diplomazie internazionali che hanno dato vita al governo al Serraj e stanno muovendo passi per la stabilizzazione del paese. O no?
Capiamo che i tempi della stabilizzazione sono medio-lunghi ma l’efficienza e la velocità con cui si è cercato di sigillare la rotta nel Mediterraneo centrale confligge con questo argomento. Non contestiamo che la situazione sia complessa, contestiamo il fatto che siano state respinte delle persone senza curarsi di dove andavano a stare e in quali condizioni. Insomma: per togliere le persone dalla pioggia, le abbiamo messe al coperto, ma la casa è incendiata. Forse andava spento l’incendio prima, altrimenti non le salvi. Ecco la Libia è esattamente questo. È una questione di politiche e di priorità.

Avete una stima di quanti centri di detenzione ci siano in Libia?
Difficile farla. I dati parlano di una 40ina di centri sotto il dipartimento libico per il contrasto dell’immigrazione clandestina. Ma nessuno sa quanti centri siano gestiti dalle milizie, magari al confine sud del paese. Noi siamo a Tripoli e Misuraca da circa un anno. Da gennaio scorso ad oggi abbiamo operato in circa 16 centri di detenzione, attualmente svolgiamo interventi con team medici in condizioni molto, molto difficili.

 

fonte: http://www.huffingtonpost.it/2017/09/08/msf-al-governo-bandi-per-gestire-i-campi-profughi-in-libia-no-grazie-facciamo-da-soli-gia-da-un-anno_a_23201787/?utm_hp_ref=it-homepage