Mattarella smentisce il Der Spiegel: i mendicanti Italiani hanno detto grazie alla “carità tedesca” – Niente Governo, un grande gesto di sottomissione al Padrone germanico!

 

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Mattarella smentisce il Der Spiegel: i mendicanti Italiani hanno detto grazie alla “carità tedesca” – Niente Governo, un grande gesto di sottomissione al Padrone germanico!

 

Cari media, cari italiani, chiedetevi come mai la prospettiva di un governo italiano poco accondiscendente nei confronti della Germania possa far crollare le banche tedesche, come ha apocalitticamente ipotizzato Der Spiegel…

E perchè nessuno dice che accettare che la Germania decida se un ministro va bene o no significa mettere in discussione la nostra sovranità… e quindi il NOSTRO VOTO.

Quelli che NOI ITALIANI abbiamo democraticamente votato hanno espresso la volontà di avere come ministro Savona. La Germania ha posto il veto e Mattarella ha obbedito, mentre quelli del Pd e Forza Italia facevano la ola… Questo è tutto.

Spero che non lo dimenticate quando andrete a votare (se ce lo faranno fare).

By Eles

 

L’arroganza di Elsa Fornero – Schiaffo al nuovo governo: “La riforma delle pensioni non si tocca, ci penserà Sergio Mattarella”

 

Elsa Fornero

 

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L’arroganza di Elsa Fornero – Schiaffo al nuovo governo: “La riforma delle pensioni non si tocca, ci penserà Sergio Mattarella”

Chiunque sarà al governo, assicura Elsa Fornero, “non potrà abrogare la riforma delle pensioni che porta il mio nome”. Inizia così l’urticante intervista della ex ministra del Welfare a Repubblica, da leggere con cautela perché può produrre notevoli dosi di irritazione tra i politici (specialmente grillini e leghisti) e italiani.

Elsa, appena andata in pensione a 70 anni in quanto insegnante universitaria (categoria non toccata dalla sua sanguinosa riforma), definisce Lega e M5s“venditori di illusioni”, poco coerenti in quanto in campagna elettorale hanno promesso l’abolizione della legge Fornero e ora, quasi al governo, parlano più prudentemente di un “superamento”, una transizione in almeno 5 anni. Ma di una cosa è sicura, l’ex ministra, il presidente della Repubblica Sergio Mattarellabloccherà la strada ad ogni scorciatoia populista, come, sottintende, l’abolizione della sua legge. “Mattarella si farà garante della stabilità dell’Italia”, si mostra tranquilla la Fornero spiegando che, in fondo, qualche blanda modifica alla sua intoccabile legge si può pure ipotizzare: “Forse si potrà realizzare una maggiore flessibilità nell’età di pensionamento, con una variazione dell’assegno mensile che sarà più alto per chi va in pensione più tardi. Ma ci vorrà tempo”. Forse, sempre che lei lo voglia.

fonte: http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/13338072/elsa-fornero-ultimo-sputo-italiani-riforma-pensioni-non-si-tocca-sergio-mattarella-argine-populisti-matteo-salvini-luigi-di-maio.html

Capaci, lo striscione contro Berlusconi dove fu ucciso Falcone: “Ha finanziato la mafia. Non può essere gradito al Quirinale”

 

Berlusconi

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Capaci, lo striscione contro Berlusconi dove fu ucciso Falcone: “Ha finanziato la mafia. Non può essere gradito al Quirinale”

L’iniziativa dell’associazione Scorta Civica, nata per testimoniare solidarietà al pm Nino Di Matteo, ha protestato contro la presenza al Colle del leader di Forza Italia, ricevuto per le consultazioni per la formazione del governo dal capo dello Stato.

Presidente chi ha finanziato la mafia non può essere gradito al Quirinale“. Con questo striscione appeso al ponte sull’autostrada Palermo – Trapani, all’altezza di Capaci – dove 26 anni fa Cosa nostra uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie e tre agenti di scorta – l’associazione Scorta Civica, nata per testimoniare solidarietà al pm Nino Di Matteo, ha protestato contro la presenza al Quirinale di Silvio Berlusconi, ricevuto per le consultazioni per la formazione del governo dal capo dello Stato.

‘’Sergio Mattarella si sarebbe dovuto rifiutare di accogliere Berlusconi – sostiene Alfredo Russo di Scorta Civica – un condannato di cui si legge nelle sentenze che è uno atto a delinquere frequentemente e che ha finanziato la mafia dagli anni ’70 al ’92. Vorremmo che si desse risonanza a questo gesto perché il capo dello Stato deve sapere che non siamo d’accordo con questa scelta. E poi c’è la la tracotanza e la sfacciataggine di Berlusconi, è un paese alla rovescia, se sei un delinquente puoi avere successo, ma non tutti ci stanno”.

 

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/04/06/capaci-lo-striscione-contro-berlusconi-dove-fu-ucciso-falcone-ha-finanziato-la-mafia-non-puo-essere-al-quirinale/4276508/

Ma quando Berlusconi si è presentato al Quirinale, Mattarella glie lo ha ricordato che suo fratello fu ucciso da un “eroico stalliere”…?

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Ma quando Berlusconi si è presentato al Quirinale, Mattarella glie lo ha ricordato che suo fratello fu ucciso da un “eroico stalliere”…?

 

 

Nella stanza del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, seduto spaparanzato comodo comodo come un dopolavorista all’orario dell’aperitivo, c’era un uomo incandidabile per la legge italiana, condannato in via definitiva dalla Cassazione per frode fiscale.

Nella stanza del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, felice e sornione, si è accomodato un uomo decaduto da senatore il 27 novembre del 2013 per effetto della “legge Severino”, ritenuto incandidabile alle ultime elezioni politiche (nonostante abbia avuto lo stomaco di mettere comunque il proprio nome nella dicitura “Berlusconi presidente” all’interno del proprio simbolo) e mandato in affidamento ai servizi sociali con una bella interdizione dai pubblici uffici.

Ha partecipato al momento fondamentale delle consultazioni per la formazione di un governo un uomo che nella sentenza di condanna (anch’essa definitiva) del suo braccio destro Marcello Dell’Utri (fondatore del movimento politico che oggi Berlusconi ha baldanzosamente rappresentato di fronte alla massima autorità dello Stato) viene descritto come colui che ha mantenuto e rispettato almeno dal 1974 al 1992 quei patti stipulati con Cosa Nostra grazie all’intermediazione di Dell’Utri. Oggi, di fianco al Presidente Mattarella, famigliare di una vittima di mafia, c’era un uomo che la mafia l’ha finanziata per anni attraverso le sue aziende e che con la mafia ha stretto un patto politico tramite lo stesso Dell’Utri.

Nella stanza del Presidente della Repubblica si è accomodato colui che per anni ha reso l’Italia un Paese deriso dal resto del mondo per le leggi ad personam (spinte con forza e bugie dall’attuale Presidente del Senato, tra l’altro) che Berlusconi si è costruito a proprio uso e consumo piegando il Parlamento a personale strumento di potere.

Di fianco al Presidente della Repubblica Mattarella, s’è seduto colui che è la più alta incarnazione dei conflitti di interesse che da decenni bloccano il Paese.

Tutti sorridenti, in posa a favore di fotografi e giornalisti. Tutti intenti a normalizzare ciò che non solo è illegittimo ma è soprattutto indegno. Facendo finta di niente. Come se, anche questa volta, le istituzioni fossero solo il teatrino in cui andare in scena per farsi notare.

E tanto chi se ne fotte della legge, del senso di opportunità o del rispetto verso la Storia del Paese.

Speriamo che almeno Berlusconi abbia tranquillizzato Mattarella: l’assassino del fratello è comunque un eroe!

Giusto come pro-memoria Vi riportiamo di seguito un breve passo delle motivazioni della sentenza di condanna di Dell’Utri.

Leggete e rabbrividite:

Tra il 16 ed il 19 maggio 1974 si svolgeva a Milano un incontro cui prendevano parte Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi, Gaetano Cinà (legato alla “famiglia” mafiosa Malaspina) Stefano Bontade (capo della “famiglia” mafiosa S. Maria del Gesù ed esponente, fino a poco prima, insieme con Gaetano Badalamenti e Luciano Liggio, del “triunvirato” massimo organo di vertice di “cosa nostra”), Mimmo Teresi (sottocapo della “famiglia” mafiosa S. Maria del Gesù), Francesco Di Carlo (“uomo d’onore” della “famiglia” mafiosa Altofonte, di cui, all’epoca, era consigliere e di cui, in seguito, sarebbe diventato capo).

In tale occasione veniva raggiunto l’accordo di reciproco interesse, in precedenza ricordato, tra “cosa nostra” rappresentato dai boss mafiosi Bondante e Telesi, e l’imprenditore Berlusconi, accordo realizzato grazie alla mediazione di Dell’Utri che aveva coinvolto l’amico Gaetano Cinà, il quale, in virtù dei saldi collegamenti con i vertici della consorteria mafiosa, aveva garantito la realizzazione di tale incontro.

L’assunzione di Mario Mangano (all’epoca dei fatti affiliato alla “famiglia” mafiosa di Porta Nuova, formalmente aggregata al mandamento di S. Maria del Gesù, comandato da Stefabo Bondante) ad Arcore, nel maggio-giugno del 1974 costituiva l’espressione dell’accorso concluso, grazie alla mediazione di Dell’Utri, tra gli esponenti palermitani di cosa nostra e Silvio Berlusconi ed era funzionale a garantire un presidio mafioso all’interno della villa di quest’ultimo.

In cambio della protezione assicurata Silvio Berlusconi aveva cominciato a corrispondere, a partire dal 1974, agli esponenti di “cosa nostra” palermitana, per il tramite di Dell’Utri, cospicue somme di denaro che venivano materialmente riscosse da Gaetano Cinà.

QUI la sentenza completa

Il passaggio che Vi abbiamo riportato è a pagina 48.

By Eles

 

Fonti:

Berlusconi contro i Cinquestelle: “Noi abbiamo un passato di cui essere fieri” – Sì, è vero, e si chiama MAFIA…!

https://www.fanpage.it/berlusconi-va-da-mattarella-e-chi-se-ne-frega-delle-legge-severino/

Come prendere per i fondelli i terremotati – “Vi staremo vicini” dicevano Renzi, Mattarella & C. …e infatti per le strade c’è ancora il 92% delle macerie e sono state consegnate solo 300 delle 3.600 casette promesse… Però chi lo dice viene censurato…!!

 

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Come prendere per i fondelli i terremotati – “Vi staremo vicini” dicevano Renzi, Mattarella & C. …e infatti per le strade c’è ancora il 92% delle macerie e sono state consegnate solo 300 delle 3.600 casette promesse… Però chi lo dice viene censurato…!!

In strada il 92% delle macerie e poche casette consegnate La ricostruzione nel caos.
ASASHA avevano detto che entro sette mesi avrebbe avuto una casetta di legno. Proprio lì a Visso, il suo paese distrutto. Era novembre. Sasha, oggi, vive ancora in una roulotte. A Marco, 11 anni, avevano detto che la sua classe sarebbe rimasta unita, che non avrebbe perso i compagni di scuola: a settembre, per il secondo anno di fila, ne conoscerà di nuovi sulla costa adriatica. A Enzo, allevatore di Castelsantangelo sul Nera, avevano detto che gli avrebbero portato una nuova stalla. Sta per iniziare la prima estate del dopo terremoto, e le sue bestie dormono in quel che rimane della vecchia.
Avevano promesso. Le istituzioni avevano promesso. Il governo Renzi prima, il governo Gentiloni poi, i governatori regionali. Tutti. Hanno fatto credere agli abitanti del cratere più vasto della storia del nostro Paese – 131 comuni in quattro Regioni – che “presto” sarebbero tornati a una vita, tutto sommato, accettabile. Che “presto” sarebbe finita. Dieci mesi dopo, invece, non è nemmeno cominciata: le macerie sono a terra, di casette ne sono arrivate pochissime, la ricostruzione è un miraggio.
Una volta c’era “il modello Bertolaso” che, in nome della rapidità, calpestava regole e aggirava i controlli: la somma urgenza invocata per qualsiasi cosa, i Grandi Eventi, le deroghe, le ordinanze di Protezione civile firmate direttamente dal Presidente del consiglio. E abbiamo visto con quale facilità si sono inseriti speculatori e corruttori all’Aquila, al G8 della Maddalena, ai mondiali di nuoto del 2009. Ora, in una sorta di contrappasso, siamo precipitati nel “modello Burocrazia”: il cavillo, la carta bollata, l’indecisione spaventata di chi negli enti pubblici pretende dieci autorizzazioni anche solo per puntellare un muro. «Non si può fare più in fretta», vanno dicendo a Roma i tecnici della Struttura di Missione della Presidenza del consiglio. «Le normative sono quello che sono e il cratere è troppo grande». Sventolano mappe, leggi, ordinanze. Fanno confronti. «Ci sono 208.000 abitazioni da verificare e non abbiamo ancora finito: dopo il terremoto dell’Aquila ne avevamo 75.000, in Emilia 42.000. Vi rendete conto?»
UNDICI PASSAGGI PER UN PREFABBRICATO
«Vi rendete conto?», si chiede il sindaco di Visso, Giuliano Pazzaglini. Per accedere alla zona rossa del suo paese deve attraversare una capanna accanto alla pasticceria vissana. «In sette mesi dovevano arrivare le casette di legno », mormora. «Mica me lo sto inventando, c’è scritto sul sito della Protezione Civile. Sapete quante ne abbiamo viste a Visso? Zero».
Sulle casette antisismiche le promesse si sono frantumate, fin da subito. «Entro Natale daremo le prime venti ad Amatrice», dichiarò il 23 settembre l’allora premier Renzi. Le famiglie amatriciane le hanno avute a marzo. Finora ne sono state ordinate 3.620 in 51 comuni del cratere. Consegnate? Appena l’8 per cento: 296 in tutto, e quelle effettivamente abitate (188) sono soltanto in due comuni, Amatrice e Norcia. Il “modello Burocrazia”.
Come un rosario, Pazzaglini sgrana la farraginosa procedura imparata a memoria. «Il sindaco deve stabilire quante casette servono, poi individua le aree dove metterle, poi la Protezione civile deve valutarle, poi interviene il genio civile regionale, poi si passa all’esproprio, poi la società incaricata disegna il layout, poi il layout deve essere autorizzato in municipio, poi torna in Regione, poi la Regione dà l’incarico per la progettazione, poi il progetto passa all’Erap (Ente per l’abitazione pubblica, ndr) di Pesaro e infine la gara la fa l’Erap di Macerata… ». Si contano almeno undici passaggi. E una selva di sigle, dentro cui si perde chi sta provando a rialzarsi dopo il sisma: Sae, Map, Dicomac, Aedes, Fast, Erap, Mude, Mapre, Cas. «A gennaio ho comunicato che mi servivano 225 casette: sei mesi sono passati e niente si muove».
NORME MODIFICATE TRE VOLTE AL MESE
Siamo ancora nella fase uno del post terremoto, quella dell’emergenza, sotto la responsabilità condivisa della Protezione Civile e dei governatori di Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo. Si muovono all’interno della cornice del decreto legge 189 del governo Renzi, già modificato tre volte: dal successivo decreto Gentiloni, dalla finanziaria e dalla recente “manovrina”. E si devono districare tra le 29 ordinanze firmate dal Commissario straordinario alla ricostruzione Vasco Errani, dieci delle quali intervenute a cambiare le precedenti. Come nel caso delle casette di legno, quando si sono accorti che l’iter era troppo lungo. «Con le norme che mutano due-tre volte al mese la ricostruzione non si farà mai», si lamenta Marco Rinaldi, ingegnere ed ex sindaco di Ussita, dimessosi dopo un avviso di garanzia ricevuto per un’indagine che non c’entra col terremoto. «A Roma devono capire che qui c’è stata la Seconda guerra mondiale».
Quest’ansia di non farcela è stata raccolta dall’Anci e dal suo presidente, Antonio Decaro, del Pd, che ha chiesto al premier Gentiloni un incontro urgente. «I ritardi accumulati sono troppi. Se neanche a settembre le casette dovessero essere pronte le famiglie saranno costrette a iscrivere i figli in scuole diverse e lontane per il secondo anno di fila. Così le comunità si perdono, non torneranno più».
SOLO L’8 PER CENTO DI DETRITI RACCOLTI
Come fanno a tornare, se per strada hanno i frantumi delle case crollate? Secondo una stima per difetto ci sono 2,3 milioni di tonnellate di macerie da rimuovere: da quel 24 agosto, quando il primo terremoto distrusse Amatrice e Accumoli, la macchina dell’emergenza è stata in grado di portarne via 176mila e 700, meno dell’8 per cento. Nel Lazio hanno cominciato a novembre: rimosse 98mila su un milione; in Umbria 3.700 su 100mila; in Abruzzo 10mila su 100mila. Nelle Marche sono partiti solo ad aprile. Ad oggi hanno raccolto appena 65mila tonnellate su un milione. Il 6,5 per cento del totale.
Nelle province di Macerata, Fermo e Ascoli, le più colpite dalla scossa del 30 ottobre (6.5 gradi, la più forte degli ultimi 37 anni), si procede a passo di lumaca. Per dire: ci sono voluti cinque mesi e sette autorizzazioni perché la Conferenza dei servizi autorizzasse la ditta Htr a portare macerie nel sito di stoccaggio di Arquata. Htr vince l’appalto a novembre, i camion si sono mossi ad aprile. Accanto a questa lavorano due aziende pubbliche che si occupano di rifiuti: Cosmari nel Maceratese e Picenambiente nell’Ascolano. È una precisa scelta del governo, che ha equiparato le macerie a “rifiuti urbani non pericolosi”, dunque scommettendo sugli operatori che normalmente si occupano della spazzatura. Prezzo medio: 50 euro a tonnellata. Giuseppe Giampaoli, direttore della Cosmari, nonostante tutto è ottimista. «Entro il 2018 ce la faremo». Al momento nelle Marche viaggiano a un ritmo di 1.200 tonnellate al giorno: a spanne serviranno non meno di due anni e mezzo. «Ma a regime raggiungeremo le 2.000 tonnellate », promettono dalla Regione. «Il nostro territorio è a forte rischio idrogeologico, motivo per cui si è faticato a individuare aree idonee dove mettere casette e macerie».
CERCASI PERSONALE DISPERATAMENTE
Sono, e saranno, mesi di superlavoro. Per questo il decreto Renzi ha previsto una norma ad hoc per aiutare i municipi più piccoli: l’articolo 50 bis autorizza l’assunzione di 350 persone a tempo determinato, da dividere in quote fra le varie amministrazioni. Sembra facile, invece è complicato. Il decreto infatti impone di scegliere i nomi attingendo alle graduatorie pubbliche vigenti, seguendo la procedura ordinaria che tutela la trasparenza e che però, declinata nel cratere, si è rivelata un ostacolo. La spiega così Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice: «Mettiamo il caso che mi serva un geometra e che sia disponibile a venire qui uno che è classificato cinquantesimo nella graduatoria a Roma. Prima di prenderlo devo mandare un telegramma, a 6 euro l’uno, agli altri 49 e aspettare la loro risposta. Se qualcuno si oppone, si blocca tutto. Ancora: per ogni assunzione serve un Rup, responsabile unico del procedimento. Ma un funzionario comunale per essere Rup deve avere almeno dieci anni di anzianità. E dove li vado a trovare? In comune ho 14 posti scoperti che non riesco a riempire». Un’alternativa sarebbe pescare tra i 350 collaboratori assumibili durante l’emergenza, come previsto dal governo. Ma, fanno notare dall’Anci, si tratta di contratti co.co.pro che scadono il 31 dicembre e in pochi li hanno già firmati. «Non avranno neanche il tempo di realizzare dove si trovano».
A RISCHIO CINQUEMILA CONTRIBUTI
Fin qui la gestione dell’emergenza. Ma la fase due? La ricostruzione di prime e seconde case è diretta responsabilità del Commissario Errani. Con le macerie a terra e le zone rosse sigillate, è prematuro anche solo parlare della rinascita dei centri storici più devastati. Per i danni lievi, invece, il timore è che qualcuno possa perdere il treno dei contributi statali.
Per averli infatti bisogna presentare una domanda allegando lo stato dell’immobile (la famigerata scheda Aedes). I tecnici della Protezione civile hanno fatto 184.700 sopralluoghi su 208.000 case da verificare: ne mancano 23.000, di cui 19.200 nelle Marche. «Senza la scheda, niente contributi », spiega Paolo Vinti, presidente dell’Ordine degli architetti di Perugia. «Il tempo stringe perché il termine scade il 31 luglio 2017. Siamo stati fermi per nove mesi, a studiare ordinanze che cambiano di continuo. Solo a maggio siamo partiti coi rilievi per i progetti di ristrutturazione e i comuni non sono in grado di fornirci le relazioni geologiche. È impossibile farcela». Trentuno luglio 2017, manca un mese. «Quella è solo una data indicativa», sostengono i tecnici della Presidenza del consiglio. E però l’ordinanza 20 del 7 aprile recita: «Il mancato rispetto del termine determina l’inammissibilità della domanda ». Stando così le cose, una stima approssimativa dei sindaci calcola in cinquemila le pratiche a rischio esclusione. «Se sarà necessario, emetteremo un’altra ordinanza e adegueremo i termini », tagliano corto dal governo. Comunque sia, un pasticcio. Come quello di far pagare le imposte di successione sui ruderi ereditati, per cui Pirozzi minaccia di riconsegnare la fascia di sindaco se il governo, come però ha promesso ieri, non modificherà la legge.
ISTITUZIONI SENZA FIDUCIA
Nel cratere, è evidente, c’è bisogno di ricostruire anche la fiducia nelle istituzioni, e puntellare i palazzi non sarà sufficiente. Errani ci sta provando, con un pacchetto di norme all’avanguardia per disciplinare la ricostruzione. Ma quello è il domani.
Articolo intero su La Repubblica del 20/06/2017.

Promesse mancate, ricostruzione assente, indagini su casette e macerie: colpa di chi scrive la verità sul terremoto?

Hanno aperto la caccia all’uomo. Obiettivo: chi ancora scrive di terremoto, mostrando le cose per quelle che sono. Mostrando ritardi, inadempienze, promesse mancate e tutto quanto di assurdo e umiliante verso le popolazioni colpite dal terremoto stanno patendo, quando il calendario si avvicina velocemente alla ricorrenza del primo anno dal sisma.

Siamo partiti in pochi. Qualcuno si è accodato, poi ha mollato. Siamo rimasti in pochi. Anzi, siamo rimasti in due a raccontare la triste verità di una ricostruzione mai iniziata, della deportazione di un popolo, dello spopolamento attuato scientificamente nei piccoli Comuni dell’entroterra. Siamo rimasti noi e Luca Craia con il suo coraggioso blog L’ape ronza. Pochi altri, isolati casi, scevri da scelte redazionali di persone che vivono quotidianamente questo scempio e possono raccontarlo così com’è. Il resto è un assordante silenzio.

Così, viene messa in atto la strategia dello screditamento di chi prova ancora a scuotere le coscienze. Ultima tappa in ordine di tempo, la questione inequivocabile e indiscutibile dei braccialetti con i quali vengono contrassegnati i terremotati in un camping. “Notizie false”, “bufala”, “siti non attendibili” e giù a vomitare veleno (ovviamente, chi ha scritto determinate affermazioni in profili pubblici, ne risponderà nelle sedi competenti, ndr), cercando di screditare chi fa sapere alla gente come stanno le cose. Veramente. Senza servizi patinati che non fanno capire quello che realmente succede da queste parti. Se poi arriva anche La Repubblica a scrivere un articolo in cui si legge testualmente “Terremoto, la ricostruzione nel caos: in strada il 92 per cento delle macerie. Le promesse mancate: interventi in ritardo, poche casette consegnate. I sindaci: la burocrazia ci soffoca, così le comunità spariranno”, allora è facile comprendere che non ci si può più nascondere e che quello che diciamo da quasi un anno è tutto drammaticamente vero.

Oltre 3600 casette ordinate, meno di 300 quelle consegnate 188 delle quali quelle effettivamente abitate. Le stalle in inverno mai consegnate. Ricostruzione pesante che appare una irraggiungibile chimera. Ordinanze del commissario straordinario che si susseguono correggendo le precedenti e creando una confusione che rende impossibile anche solo pensare di poter iniziare i lavori. La perla della “dimenticanza” sul pagamento della successione sulle macerie. In tutto questo caos, dove i nostri anziani muoiono come mosche (sì, come dice la tizia che commenta da Luca Craia, non abbiamo dati ufficiali per poterlo dimostrare numeri alla mano, ma basta farsi un giro per i Comuni del terremoto e per quelli dove i terremotati sono stati trasferiti per averne compiuta certezza o farsi un giro sul sito dello Spi Cgil dell’Umbria), dove la gente si suicida per la disperazione, dove il consumo di ansiolitici ha raggiunto livelli impressionanti (numeri dei sanitari marchigiani, signora tizia, ndr), qual è la priorità del nostro Governo? Lo ius soli, lasciato marcire in Parlamento e improvvisamente rispolverato a quasi due anni dal primo via libera della Camera dell’ottobre 2015. Nessun giudizio di merito, ma solo di opportunità, visto che il diritto a risiedere nella terra dove sono nati, oggi in realtà lo stanno perdendo i terremotati.

Ma non basta. Sempre La Repubblica oggi ci fa sapere che “Cantone e l’Antimafia indagano sui subappalti per casette e macerie. Nel mirino la gara da un miliardo per moduli abitativi, bandita dalla Consip. Al lavoro anche le cinque procure del cratere”. In pratica, prima ancora che parta la ricostruzione, già ci sono casini. E pensare che il commissario Errani e il suo staff hanno studiato tutto un sistema di rimborso (quello che ancora non esiste, ndr) per evitare che il denaro passasse per le mani dei terremotati, come se di questa gente non ci si possa fidare. Ed ecco puntuale il karma. Scrive Repubblica “Era il 2014 quando la Consip, la centrale pubblica degli acquisti, bandì una maxi gara da 1,18 miliardi di euro e 18.000 moduli abitativi per conto della Protezione Civile. Ad agosto del 2015 hanno aperto le buste e in due lotti su tre si è classificato primo il Cns, il Consorzio che raggruppa più di 200 aziende nel settore dei servizi. Un mese fa i finanzieri del Nucleo speciale anticorruzione, su mandato di Cantone, hanno bussato alle porte delle sedi del Consorzio a Bologna e a Roma. Hanno preso contratti e documenti relativi a una fornitura pagata a due ditte di Terni, dall’importo tutto sommato modesto ma di cui non riescono a capire il senso.

La storia, assai intricata, è questa: dopo aver vinto la gara Consip, il Cns ha affidato a sette sue associate il compito di produrre materialmente le casette. Quelle ordinate dalla Regione Umbria erano sotto la responsabilità delle aziende Gesta e Kineo, le quali hanno comprato impianti e kit di montaggio da due imprese ternane, la Cosptecnoservice (che fa parte del Cns) e la Italstem. La questione si è ancor più complicata perché poi c’è un terzo soggetto, la Vipal, che sostiene di vantare un credito dalle da 2,8 milioni di euro per le casette. Quattro passaggi, da Cns a Vipal, che portano ad alcuni interrogativi: chi le ha fatte le casette a Norcia? Perché il colosso Cns ha avuto bisogno di cercare sul territorio professionalità e impianti?”. E ancora “Il sistema dei subappalti si percepisce bene sulla rimozione delle macerie. La cornice è il solito decreto legge 189 dell’ottobre scorso che stabilisce che siano le municipalizzate dei rifiuti a occuparsi della raccolta e del trasporto dei detriti, “direttamente o attraverso imprese di trasporto da essi incaricate”. Il subappalto, appunto. La norma è stata pensata per velocizzare i tempi, e per fare in modo che l’intera filiera sia protetta.
Il risultato, almeno per il momento, non è quello atteso: dopo quasi un anno dal primo terremoto del 24 agosto il 92 per cento delle macerie è ancora a terra. E problemi potrebbero aversi anche sul versante della trasparenza. Perché è vero che a lavorare con le macerie sono le municipalizzate ma è altrettanto vero che a guadagnare saranno decine di aziende private. E lo faranno senza troppi controlli. Ecco come Giuseppe Giampaoli, direttore della Cosmari, una delle tre società che le raccoglie nelle Marche, spiega la procedura: “È evidente che da soli non possiamo farcela quindi ci affidiamo ai subappalti. Sotto una certa cifra possiamo darli a trattativa privata ma cercheremo di fare gare di evidenza pubblica a cui inviteremo tutte le migliori aziende del settore. Le difficoltà maggiori le abbiamo con il sollevamento delle macerie perché i nostri mezzi ordinari non sono attrezzati”. Al momento, sul sito Internet, non risultano gare in corso. Le cifre non sono basse: il costo per lo smaltimento è di 50 euro a tonnellata a cui vanno aggiunti circa 12 euro per il trasporto. Il business del detrito gira dunque attorno ai 120 milioni di euro.
Parte di questo denaro sarà distribuito non tramite gara (come quella che si appresta a fare la regione Lazio per la macerie private) ma tramite subappalti. Un punto che non è sfuggito alle cinque procure del cratere (Rieti, Fermo, Macerata, Spoleto e Ascoli), che per questa materia sono coordinate dalla Direzione nazionale antimafia”. Un buon inizio, non c’è che dire.

Intanto, in questa provincia di Macerata dove si sono riscontrati il 70 per cento dei danni del terremoto, non si muove niente. Dice Remo Croci “Nulla è cambiato. Tutto è rimasto così nei paesi colpiti dal terremoto! Il 92% delle macerie ancora per strada. I tempi della burocrazia hanno paralizzato tutti i Comuni del Cratere Sismico. Tutte le promesse dei politici non sono state mantenute. Oggi nessuno di loro è più tornato in questi territori. Una vergogna di tutta la classe politica italiana”. A parte chi le promesse non le ha mai mantenute, da queste parti adesso arrivano tutti, persino i vacanzieri del fine settimana a farsi i selfie su un luogo di dolore come l’hotel crollato o la scuola distrutta. Ma delle promesse non mantenute non ne parliamo più. Cose italiane.

Provano a darci il contentino dei concerti in luoghi ancora preservati dalla devastazione umana, francamente poco proponibili e difficilmente accessibili, dove si riscontreranno inevitabilmente problemi di parcheggio e di logistica. A noi non basta, perchè non vorremmo che questi teatrini servano solo a dare una immagine diversa a chi, da mesi, non riesce – o non vuole? – a dare risposte. Allora riprendo le poche righe scritte da una terremotata che racchiudono quel (poco) che resta delle nostre speranze:

“Ho provato a spiegartelo, ma tu non vuoi capire..
Mi dici “va bene i motociclisti, i concerti, i calciatori famosi e gli altri personaggi della televisione che sono venuti… va bene tutto, ma io rivoglio solo la mia casa… la mia vita, i miei giorni e i miei ricordi… rivoglio i sacrifici di tutta una vita… miei e della mia famiglia… rivoglio quello che il terremoto mi ha tolto… del resto non mi importa… di quello che non avevo e che soprattutto non volevo, prima del terremoto, a me non importa nulla… ci stanno dando tutte cose che servono più a loro che a noi… tutto tranne quello che il terremoto ci ha tolto”.
E no. Proprio non vuoi capire! O forse ha capito”.

fonte: https://picchionews.it/cronaca/promesse-mancate-ricostruzione-assente-indagini-su-casette-e-macerie-colpa-di-chi-scrive-la-verita-sul-terremoto

Come siamo passati da “un Partigiano come Presidente” a “uno zombie come Presidente”…

 

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Come siamo passati da “un Partigiano come Presidente” a “uno zombie come Presidente”…

Ve lo ricordate Il Presidente?

Era Pertini, ma per tutti gli Italiani, sia per quelli che hanno vissuto quell’epoca sia per quelli che sono venuti dopo, era semplicemente Il Presidente.

…O, come faceva una vecchia canzone: “un Partigiano come Presidente”…

Cos’è cambiato? Come siamo arrivati ad avere uno zombie per Presidente?

Uno Zombie come presidente

Testo di Paolo Sensini

Il presidente Mattarella, che oggi si atteggia così goffamente a politico buono e solidale, è colui che dal 1999 al 2001 ricopriva la carica – tra le tante occupate durante la sua lunga carriera – di ministro della Difesa all’epoca dell’infame guerra unilaterale NATO contro la Jugoslavia. Una guerra peraltro mai autorizzata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Fu Mattarella, che durante quella fase era anche Vicepresidente del consiglio con delega ai servizi segreti del governo D’Alema, il primo post-comunista a rivestire quel posto, a gestire in prima persona la partecipazione attiva delle Forze Armate italiane, e in particolare dell’Aeronautica militare, ai bombardamenti aerei del Kosovo, del Montenegro, della Serbia e di Belgrado nella primavera del 1999, primo autentico “vulnus” al sistema politico-giuridico internazionale uscito dalla Seconda guerra mondiale. È dunque patetico e ridicolo vedere colui che è stato uno dei massimi responsabili della destabilizzazione dei Balcani, con tutto ciò che ne è seguito, recitare la parte di prima mummia della repubblica.
fonte http://freeanimals-freeanimals.blogspot.it/2017/06/uno-zombie-come-presidente.html

È IGNOBILE – Da Alfano a Mattarella, tutti sul carro del vincitore per Provvisionato libero. Fino a ieri chi lo conosceva? Abbandonato dallo Stato e sparito dai Tg, come altri 3.300 ITALIANI DETENUTI ALL’ESTERO… Finchè qualcuno, chissà come, viene liberato. E allora è un loro trionfo!!

Provvisionato

 

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È IGNOBILE – Da Alfano a Mattarella, tutti sul carro del vincitore per Provvisionato libero. Fino a ieri chi lo conosceva? Abbandonato dallo Stato e sparito dai Tg, come altri 3.300 ITALIANI DETENUTI ALL’ESTERO… Finchè qualcuno, chissà come, viene liberato. E allora è un loro trionfo!!

 

Da Repubblica

Cristian Provvisionato è libero. Alfano: “Sta tornando in Italia”. Mattarella: “Gran risultato”

Detenuto in Mauritania dal 2015 con l’accusa di truffa informatica. Il premier Gentiloni ringrazia il presidente Mohamed Ould Abdel Aziz per la liberazione, “segno dell’amicizia verso l’Italia”. La felicità della madre, il legale della famiglia: “Chiarire i tanti aspetti ancora oscuri”

 

Insomma ora Alfano, Gentiloni, perfino Mattarella… I nostri politici si azzuffano pur di salire sul carro dei vincitori.

Ma fino a ieri chi era Provvisionato? Un assoluto sconosciuto. La sua storia era ben nascosta come quella di altri 3.300 Italiani prigionieri all’estero.

Non ci farebbero una bella figura i nostri politici. Per cui SILENZIO ASSOLUTO. A meno che qualcuno venga liberato. Allora è merito loro, ‘ste carogne!

Ecco uno dei tanti articoli in merito reperiti in Rete (fonte Tpi.it)

I CITTADINI ITALIANI IMPRIGIONATI ALL’ESTERO E DIMENTICATI DALLO STATO

Sono 3.288 gli italiani detenuti all’estero, di cui 2.576 in attesa di giudizio e non sempre si hanno informazioni sul trattamento che ricevono in prigione

prescindere dallo status di colpevolezza o innocenza, esistono dei diritti fondamentali della persona che non possono essere violati. Scendiamo in piazza per lo stato delle carceri italiane e non ci preoccupiamo della situazione degli italiani prigioneri all’estero”. Lo dice a TPI Katia Anedda, fondatrice dell’associazione “Prigionieri del Silenzio” che si batte da oltre otto anni per i diritti dei detenuti in terra straniera.

Il caso del blogger e documentarista Gabriele del Grande trattenuto in Turchia ha riacceso l’attenzione su quegli italiani che, per i motivi più svariati, vengono privati della libertà e rinchiusi nelle carceri di paesi che hanno politiche carcerarie molto diverse da quella italiana.

Il problema principale è che attualmente esistono 3.288 italiani detenuti all’estero, di cui 2.576 in attesa di giudizio. Non sempre si riesce ad avere rassicurazioni circa le loro condizioni e il trattamento che viene riservato loro.

Secondo l’ultimo censimento (giugno 2016 con riferimento al dicembre 2015) del Dipartimento del Ministero degli Affari esteri (Dgit) che si occupa degli italiani all’estero, i nostri connazionali attualmente rinchiusi in prigioni straniere è ripartito tra 687 condannati, 2.576 in attesa di giudizio o con procedimenti di appelli in atto, 34 in attesa di estradizione.

 

Katia Anedda ha iniziato nel 2008 a battersi per i diritti dei detenuti all’estero fondando l’Associazione Prigionieri del Silenzio, dopo che il suo ex convivente, Carlo Parlanti, era stato accusato di stupro e in seguito condannato a 9 anni di reclusione negli Stati Uniti.

“L’associazione è nata dopo che il mio compagno era stato arrestato in Germania per una richiesta degli Stati Uniti. Mi sono ritrovata all’inferno” – racconta Katia – “nemmeno sapevo cosa fosse un consolato e ho avuto moltissime difficoltà a mettermi in contatto con gli avvocati e a ottenere giustizia. Nonostante gli sforzi ci sono voluti più di otto anni che Carlo ha scontato nonostante la sua innocenza”.

La battaglia di Katia ha lo scopo di rendere più agevole il percorso di assistenza legale a queste persone che spesso si trovano in condizione di grande difficoltà.

“Il problema reale delle persone che vengono incarcerate all’estero è la distanza, la lingua spesso complessa da capire e da parlare, l’impossibilità di essere seguiti da un legale di fiducia o di poter comunicare con i propri parenti, i quali, a loro volta, sono costretti a ingenti spese di viaggi e traduttori per non far sentire abbandonati i propri cari”, spiega Anedda.

Non si discute quindi dell’innocenza o della colpevolezza dei detenuti, ovviamente, ma si accende una luce sul modo in cui si guarda a queste persone: “Molto spesso vengono dimenticate perché si pensa con leggerezza che se sono in carcere se lo sono meritato. Non è sempre così, però, e questo non giustifica mortificazioni, eventuali violenze o privazioni della dignità personale”, ripete la presidente.

“Anche quando è stato commesso un reato, la prigione deve togliere la libertà di reiterare l’illecito, ma non deve togliere la dignità o, peggio, infondere la paura di non uscirne vivo: sensazioni che i detenuti provano soprattutto nelle prigioni del Sudamerica, dell’Africa, della California”, precisa Anedda.

Fin quando si ha un parente che è detenuto in una prigione in Europa, la situazione è più semplice da gestire, ma quando la persona si trova nel Sudamerica, negli Stati Uniti, in Africa, inizia ad essere pesante sia dal punto di vista economico che della lingua. Inoltre, diverse ambasciate italiane nel mondo risultano chiuse.

“Non c’è la giusta forza economica da parte del governo e forse nemmeno la capacità di seguire queste persone, non c’è molto interesse”, racconta Anedda, “sembrano troppo spesso lasciati al loro destino perché colpevoli di essere finite in carcere”.

“La famiglia ha difficoltà a interagire con gli avvocati e, d’altro canto, l’ambasciata non è stimolata dalla famiglia ad essere proattiva: se devi capire al meglio la situazione occorrono molti soldi. Io per farlo mi sono fatta un sacco di debiti”, precisa la fondatrice della onlus.

Ma le difficoltà non riguardano solo i familiari, anche gli avvocati che seguono le cause spesso non sanno come affrontare le situazioni giuridiche più controverse, in paesi dove il diritto non è applicato come in Italia: i gradi di giudizio sono diversi ed è difficile controllare l’operato degli avvocati locali a distanza. I consolati non hanno nemmeno la forza economica di essere presenti nelle prigioni, spesso situate lontane dai consolati”, spiega Anedda.

I casi pubblici

Il numero dei cittadini italiani che attualmente stanno scontando una pena in un carcere straniero è molto alto se si considera anche il numero delle persone, amici o familiari, che gravitano intorno al detenuto e che devono seguirne le vicende. Di questi, alcuni casi sono più noti alle cronache dei giornali, altri restano nel buio, spesso per volontà dei familiari che non vogliono esporre alla pubblica gogna i propri cari o che intendono tutelarsi da eventuali ritorsioni.

I casi

Enrico Forti, condannato nel 2000 negli Stati Uniti per omicidio, si è sempre proclamato innocente.

Angelo Falcone e Simone Nobili, due ragazzi che sono stati in carcere tre anni in India con l’accusa di traffico di stupefacenti, sono stati assolti nel 2009. Avevano firmato un documento di autoaccusa in lingua hindi.

Roberto Berardi, imprenditore di Latina, incarcerato in Guinea equatoriale, è stato liberato il 9 luglio del 2015. Dal carcere aveva inviato le foto delle torture subite in prigione.

Carmine Sciaudone in Indonesia

Filippo e Fabio Galassi in Guinea equatoriale

Cristian Provvisionato è stato bloccato in Mauritania dall’agosto 2015 per una presunta truffa informatica subita dal governo locale da alcune società che vendono software-spia. La madre  Doina Coman, il 22 aprile ha iniziato una marcia di 250 chilometri da Siena verso Roma sulla via Francigena per richiamare l’attenzione sul caso del ragazzo trattenuto. “Mio figlio è prigioniero in Mauritania da 20 mesi, il ministero degli Esteri deve fare qualcosa per riportarlo in Italia. Ha perso trenta chili e dal primo maggio scatta lo sciopero della fame. Lo stato si muova per evitare un altro caso Regeni. Un’ulteriore salma da riportare in patria”, ha raccontato ai microfoni della stampa prima di lasciare Siena.