“I furbi fessi” – Il fantastico editoriale di Marco Travaglio con le 10 leggi di Berlusconi… Non dico da leggere, è proprio da imparare a memoria!

 

Marco Travaglio

 

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“I furbi fessi” – Il fantastico editoriale di Marco Travaglio con le 10 leggi di Berlusconi… Non dico da leggere, è proprio da imparare a memoria!

 

“I furbi fessi”: editoriale di Marco Travaglio

(di Marco Travaglio – da Il Fatto Quotidiano del 22 aprile 2018)

I casi sono due: o Di Maio e Salvini sono molto furbi, o sono molto fessi. Sarebbero molto furbi se fossero già d’accordo per un governo 5Stelle-Lega (senza B.), con tanto di ministri e programma (reddito di cittadinanza e flat tax, oppure flat reddito, o magari tax di cittadinanza), e inscenassero questa quotidiana pantomima dei forni aperti, chiusi, socchiusi, accesi, spenti, tiepidi, per arrivare alle elezioni friulane di fine aprile col divorzio definitivo della Lega da FI. Sarebbero molto fessi se davvero pensassero di poter governare insieme senza rompere il centrodestra, cioè con l’appoggio esterno, anzi il concorso esterno di un Berlusconi miracolosamente pronto al “passo indietro” o “di lato”. Cosa che pare Salvini abbia garantito prima a Di Maio e poi a Mattarella, salvo venire sbugiardato a stretto giro dal Caimano a suon di insulti e minacce. Facendo fare la figura del pollo al primo e mandando su tutte le furie (compatibilmente col personaggio) il secondo. Nel primo caso, i due leader vincitori (parziali) delle elezioni non avrebbero bisogno di consigli, se non quello di spiegarci al più presto come intendono colmare le distanze abissali che li separano in politica interna, estera, economica, giudiziaria, migratoria, fiscale, sociale, scolastica, sanitaria e così via. Nel secondo, invece, ne avrebbero bisogno eccome, essendo ignari delle dieci leggi che da ben 82 anni regolano l’esistenza di Silvio Berlusconi e ne rendono prevedibile ogni mossa.

1. Legge di Montanelli/1. “Berlusconi mente ogni volta che respira”.

2. Legge di Montanelli/2. “Berlusconi è un bugiardo sincero, perché finisce col credere alle sue menzogne”.

3. Legge di Biagi. “Se avesse una puntina di tette, Berlusconi farebbe anche l’annunciatrice”.

4. Legge di Cecchi Gori. “Berlusconi, se gli dai un dito, ti si prende il culo”.

5. Legge del Tribunale. “Berlusconi ha una naturale capacità a delinquere”.

6. Legge di Confalonieri. “La verità è che, se Berlusconi non fosse entrato in politica, se non avesse fondato Forza Italia, noi oggi saremmo sotto un ponte o in galera con l’accusa di mafia”.

7. Legge di Ferrara (Giuliano)/1. “Berlusconi è entrato in politica per salvare la roba”.

8. Legge di Ferrara/2. “Il punto fondamentale non è che tu devi essere capace di ricattare, è che tu devi essere ricattabile… Per fare politica devi stare dentro un sistema che ti accetta perché sei disponibile a fare fronte, a essere compartecipe di un meccanismo comunitario e associativo attraverso cui si selezionano le classi dirigenti”.

9. Legge di Renzi (o di Bossi, o di D’Alema, o di Veltroni). Chiunque si sieda al tavolo con Berlusconi per trattare, muore. I cimiteri sono lastricati di lapidi degli ex leader che pensavano di metterlo nel sacco.

10. Legge di Fini (o di Boffo, o di Di Pietro, o di Montanelli, o di molti altri). Berlusconi conosce solo tre approcci umani e politici: o ti compra, o ti massacra, o sei Dudù.

Se Salvini e Di Maio hanno ipotizzato anche per un istante che B. si ritirasse in buon ordine, regalando i suoi voti senza contropartite a un governo dominato da due leader che lo vogliono (politicamente) morto, c’è da dubitare della loro sanità mentale. Ora, la storia insegna che il Caimano era uso scegliersi e poi a telecomandare almeno i ministri della Giustizia e delle Comunicazioni anche quando stava all’opposizione, figurarsi nell’ipotesi di un appoggio esterno. Che, a quanto abbiamo capito, non sarebbe un voto gratuito dato motu proprio senza contropartite, che nessuno potrebbe impedire: sarebbe il frutto di un programma concordato con lui da Salvini e poi portato al tavolo con Di Maio. Programma che, ovviamente, escluderebbe qualunque intervento su conflitto d’interessi, mafia, corruzione, evasione fiscale, prescrizione, sistema televisivo, affollamenti pubblicitari. Una mega-truffa nascosta sotto una piccola foglia di fico, che cancellerebbe le ragioni sociali dei 5Stelle per tutelare quelle di FI, anzi di Mediaset, salvando la faccia a Salvini e facendola perdere a Di Maio. Però l’idea che nel 2018 esista ancora qualcuno – Salvini – che crede alla parola di B., è già affascinante. Ma che esista pure un altro – Di Maio – che crede alla parola di Salvini che crede alla parola di B., è straordinario. Poi, si capisce, c’è anche l’ipotesi che davvero Salvini trovi la forza e il coraggio di mollare B., al costo di ridursi a fare il leader della Lega al 17% anziché il capo del centrodestra al 37%. Ma, visti i precedenti, sarebbe uno spettacolo che non ci perderemmo per nessuna ragione al mondo. Prepariamo i pop-corn.

Micidiale Marco Travaglio contro Berlusconi: Nei Paesi che – per usare un’espressione a lui cara – “conoscono l’Abc della democrazia”, i delinquenti naturali non vanno al Quirinale. Vanno in galera!

 

Marco Travaglio

 

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Micidiale Marco Travaglio contro Berlusconi: Nei Paesi che – per usare un’espressione a lui cara – “conoscono l’Abc della democrazia”, i delinquenti naturali non vanno al Quirinale. Vanno in galera!

 

“Voce del verbo delinquere”: editoriale di Marco Travaglio

(di Marco Travaglio – da Il Fatto Quotidiano del 14 aprile 2018) – Tutto immaginavamo nella vita, fuorché di dover spiegare proprio a Niccolò Ghedini il nostro titolo di ieri: “Il Delinquente umilia Salvini, insulta i 5Stelle e spera nel Pd”. Nessuno meglio dell’onorevole avvocato di Silvio Berlusconi dovrebbe sapere che il suo cliente è un delinquente. Sia perché, se non lo fosse, non avrebbe così spesso bisogno di lui: come legale e come legislatore. Sia perché almeno Ghedini le sentenze sull’illustre assistito dovrebbe averle lette e capite. È dunque con sommo stupore che leggiamo il suo annuncio di querela perché “i toni e i contenuti della critica politica possono essere più aspri e severi che non nella normale dialettica, ma il titolo e l’articolo della prima pagina del Fatto Quotidiano travalicano qualsiasi limite giuridico e deontologico, sconfinando nella più evidente contumelia e appaiono davvero inaccettabili. Ovviamente saranno esperite immediatamente tutte le azioni giudiziarie del caso”. Mentre lui esperisce, io faccio ammenda: il titolo di ieri era gravemente lacunoso, per motivi di spazio. La giusta definizione di B. è infatti delinquente naturale, o meglio: dotato di una “naturale capacità a delinquere”. Non è una “critica politica”: è un passaggio della sentenza emessa il 26.10.2012 dal Tribunale di Milano nel processo sulle frodi fiscali per 368 milioni di dollari perpetrate per anni da B. facendo acquistare da Mediaset diritti cinematografici dalle major Usa a prezzi gonfiati tramite sue società offshore.

Sentenza che condannò il Caimano a 4 anni di reclusione per le frodi (7,3 milioni di euro) sopravvissute alla prescrizione, da lui stesso dimezzata – a processo in corso – con la legge ex Cirielli. Sentenza confermata identica dalla Corte d’appello nel 2013 e dalla Cassazione nel 2014, con conseguente espulsione dal Senato in base alla legge Severino e affidamento ai servizi sociali per scontare la pena extra-indulto in una casa di riposo per (incolpevoli) anziani. I giudici di primo grado definiscono B. “dominus di un preciso progetto di evasione esplicato in un arco temporale ampio e con modalità sofisticate” e aggiungono che “non si può ignorare la produzione di un’immensa disponibilità economica all’estero ai danni dello Stato e di Mediaset che ha consentito la concorrenza sleale ai danni delle altre società del settore”. La Corte d’appello ribadisce “la prova, orale e documentale, che Berlusconi abbia direttamente gestito la fase iniziale per così dire del gruppo B (sistema di società offshore) e quindi dell’enorme evasione fiscale realizzata”.

E continuò a delinquere anche dopo l’ingresso in politica nel ’94 e dopo il generoso via libera della Consob (centrosinistra) nel ’96 alla quotazione in Borsa di una società infognata nei fondi neri e nei bilanci falsi: “Almeno fino al 1998 vi erano state le riunioni per decidere le strategie del gruppo, riunioni con il proprietario Silvio Berlusconi”, “nonostante i ruoli pubblici assunti” dal leader di Forza Italia. Dunque “era riferibile a Berlusconi l’ideazione, la creazione e lo sviluppo del sistema che consentiva la disponibilità di denaro separato da Fininvest ed occulto, al fine di mantenere ed alimentare illecitamente disponibilità patrimoniali estere presso conti correnti intestati a società che erano a loro volta amministrate da fiduciari di Berlusconi”. Il delinquente naturale aveva creato quella gigantesca truffa allo Stato e alla stessa Mediaset “per il duplice fine di realizzare un’imponente evasione fiscale e di consentire la fuoriuscita di denaro dal patrimonio di Fininvest e Mediaset a beneficio di Berlusconi”. La Cassazione spiega come Berlusconi, “ideatore e beneficiario del meccanismo del giro dei diritti… continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale per le aziende a lui facenti capo in vario modo”, “la perdurante lievitazione dei costi di Mediaset ai fini di evasione fiscale” e l’arricchimento illecito di B. che “continuava a godere della ricaduta economica del sistema praticato” con enormi “disponibilità patrimoniali estere”.

Tralasciamo, per carità di patria, le decine di altre sentenze che definiscono il Delinquente anche corruttore prescritto di senatori della Repubblica e di testimoni, finanziatore occulto e prescritto di leader politici, capo di aziende corruttrici della Guardia di Finanza, “privato corruttore” prescritto di magistrati romani, finanziatore per almeno 18 anni di Cosa Nostra con cui aveva stretto un patto d’acciaio fin dal 1974, falso testimone amnistiato e falsificatore di bilanci prescritto o impunito grazie a “riforme” fatte da lui stesso. Quelle sentenze almeno Ghedini dovrebbe conoscerle bene: un po’ perché molte sono frutto di leggi ad personam votate e/o volute anche da lui; un po’ perché l’onorevole avvocato le ha impugnate in appello e in Cassazione per ottenere assoluzioni nel merito, ed è stato quasi sempre respinto con perdite. Però almeno una parola della dichiarazione ghediniana di ieri coglie nel segno: là dove usa l’aggettivo “inaccettabili”. Per lui sono inaccettabili il titolo del Fatto e il mio articolo. Per noi, e per molti italiani (a giudicare dalle ultime elezioni, direi la stragrande maggioranza), è inaccettabile che un Delinquente Naturale conclamato venga ricevuto al Quirinale, rimanga leader di un partito, sia consultato da quasi tutti i partiti politici per il nuovo governo e si permetta (anche perché gli vengono permesse) sceneggiate come quella dell’altroieri nel luogo più solenne della democrazia italiana: la Presidenza della Repubblica. Nei Paesi che – per usare un’espressione a lui cara – “conoscono l’Abc della democrazia”, i delinquenti naturali non vanno al Quirinale. Vanno in galera.

“Il SuperVaffa” – Il fantastico editoriale di Marco Travaglio sui risultati delle elezioni.

 

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“Il SuperVaffa” – Il fantastico editoriale di Marco Travaglio sui risultati delle elezioni.

 

“Il SuperVaffa”: editoriale di Marco Travaglio

di Marco Travaglio da Il Fatto Quotidiano 5 marzo 2018

E meno male che Grillo aveva chiuso l’èra del Vaffa. Ieri gli italiani, eroicamente in fila al freddo, anche per ore, nel tentativo di votare con la legge elettorale più demenziale del mondo, hanno urlato un gigantesco, supersonico Vaffa all’Ancien Régime che per mesi aveva tentato di convincerli a restarsene a casa, tanto non sarebbe cambiato nulla e ci saremmo ritrovati il solito governo Gentiloni. Invece a votare gli elettori ci sono andati eccome, a dispetto di tutto e di tutti, come già al referendum costituzionale. Hanno ignorato la propaganda terroristica dei “mercati”, che ancora una volta volevano insegnarci come si vota e soprattutto per chi (i soliti). Hanno smascherato i doppiopesismi di chi per tre mesi è andato a cercare le pagliuzze nell’occhio dei “populisti” e intanto copriva le vergogne degli altri al punto da riabilitare un vecchio arnese come Berlusconi. E hanno affondato, si spera definitivamente, questo sistema marcio dalle fondamenta. Ma al contempo hanno preso in mano la bandiera della Costituzione, della democrazia e della sovranità popolare, da tempo ammainata da un establishment geneticamente golpista. E hanno scompaginato i giochetti che il sistema, con i suoi mandanti internazionali e i suoi media a rimorchio, credeva di aver già concluso nelle sue segrete stanze, all’insaputa degli elettori.

I numeri sono ancora scritti sull’acqua: non solo le percentuali, ancora affidate (mentre scriviamo) a proiezioni molto parziali; ma anche e soprattutto la loro traduzione in seggi. Ma la tendenza che pare emergere è chiara: il Vaffa si esprime nel boom dei 5Stelle un po’ in tutta Italia (ma soprattutto nel Centro-Sud) e nell’ascesa della Lega che sorpassa ampiamente il bollito sicuro Berlusconi (soprattutto al Nord). Ma il vero cadavere politico uscito dalle urne (funerarie) è quello di Renzi che, nel breve volgere di quattro anni scarsi, è riuscito a trascinare il centrosinistra dal suo massimo storico (il 40,8% delle Europee del 2014) a un minimo molto prossimo all’irrilevanza. Al posto suo, qualunque leader di qualsiasi paese del mondo si dimetterebbe all’istante per ritirarsi a vita privata – come peraltro s’era già impegnato a fare dopo la penultima débâcle, quella del 4 dicembre 2016 – e dissequestrare il suo partito, tenuto finora in ostaggio da una cricca di poltronisti metà incapaci e metà impresentabili.

Stavolta però il Vaffa, diversamente dal 2013, non è più un voto di protesta. È un voto costruttivo, di governo.

Chi vota Di Maio (e la sua squadra di professori e tecnici in doppiopetto, che ha regalato al Movimento un clamoroso recupero sul filo di lana) sceglie un programma certamente esagerato, rispetto ai vincoli dei bilanci pubblici e dunque delle cose possibili; ma di forte rottura rispetto ai quattro governi senza maggioranza che ci hanno ammorbato dal 2011 a oggi, facendo pagare i costi della crisi a chi non ha nulla o ha poco, per salvare i pochi che hanno molto. E lo stesso messaggio, appesantito e intorbidato dalle paure che le guerre tra poveri trasformano in xenofobia, arriva dal Vaffa che premia Salvini e la Meloni. Cioè quella destra “protettiva” e antiliberista che Bersani, inascoltato, chiamava “la mucca nel corridoio”, ma non è poi riuscito a contrastare né dentro il Pd né fuori, con la sinistra mai nata di Liberi e Uguali (troppo Uguali al passato, grazie anche alla plateale inefficacia mediatica di Piero Grasso). Nessuno pensa che i 5Stelle (o la Lega) abbiano in tasca ricette miracolose: chi li vota lo fa per dire basta a chi c’era prima e aprire la strada a qualcosa di radicalmente nuovo. La voglia di cambiare, a lungo repressa sotto il coperchio della pentola a pressione, esplode tutta insieme. E travolge il regime miope e arrogante che pensava di esorcizzare i rappresentanti delle enormi periferie sociali in rivolta, continuando a ignorarli con i loro milioni di elettori, a mostrificarli come baluba incolti e pericolosi, ad additarli come causa di tutti i mali, a escogitare ammucchiate sempre più improbabili per tenerli fuori dal governo, nella speranza che si estinguessero da soli.

Se questi dati ancora provvisori fossero confermati, potremmo già salutare alcune patacche che hanno infestato la campagna elettorale: la pompatissima rimonta di B. era un bluff (che l’ex Caimano fosse bollito non lo diceva nessuno, ma lo vedevano tutti); il ritorno del governo Gentiloni, visti i numeretti del suo partito, sarebbe possibile solo con i carri armati, o col tris di Napolitano al Quirinale; le larghe intese Pd&FI con centrini e bonini vari non arrivano al 50% dei seggi nemmeno se comprano qualche leghista e qualche fuoruscito pentastellato; l’invincibile armata di centrodestra e il suo conducator atterrato da Bruxelles a Fiuggi Antonio Tajani è ben lontana dall’obiettivo del 40%; la finta sinistra di Emma Bonino, che un tempo si faceva eleggere con il partito di Dell’Utri e faceva gruppo in Europa con Jean Marie Le Pen, era una bolla mediatica.

Il quadro che sembra emergere è piuttosto chiaro. I 5Stelle sono oggi quello che fu la Dc nella Prima Repubblica, poi Forza Italia nei primi anni 2000 e infine il Pd nell’ultimo quinquennio: il partito-capotavola che dà le carte. Hanno, da soli, la somma dei voti del Pd e di FI. Quindi nessuna maggioranza di governo è possibile senza di loro. E questo li carica di una responsabilità forse eccessiva per le gracilissime gambe di quello che ancora appare un gigante dai piedi di argilla. Si spera che, smaltita la sbornia da festeggiamenti, si calino subito nella nuova parte che gli elettori hanno loro affidato. Cioè che evitino di crogiolarsi nel mare di voti che hanno preso. Rinuncino alla tentazione di pretendere da Mattarella l’incarico per fare un improbabile governo “con chi ci sta”, cioè al buio. E comincino a lavorare per rendere possibile un governo alla luce del sole con chi sentono più vicino alle loro sensibilità e a quelle dei loro elettori, ma soprattutto ai bisogni dell’Italia.

Magnifico Marco Travaglio: “Professione pericolo” …dopo questo editoriale a gente come la Boschi e la Bonino, se avessero un po’ di dignità, non resterebbe altro da fare che contattare Cappato per farsi accompagnare in Svizzera…

Marco Travaglio

 

 

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Magnifico Marco Travaglio: “Professione pericolo” …dopo questo editoriale a gente come la Boschi e la Bonino, se avessero un po’ di dignità, non resterebbe altro da fare che contattare Cappato per farsi accompagnare in Svizzera…

 

“Professione pericolo”: editoriale di Marco Travaglio

A qualcuno parrà strano, ma vorremmo spezzare una lancia, ovviamente etrusca, per Maria Elena Boschi: qualcuno, per favore, le dica dove sarà candidata perché questo gioco dell’oca (absit iniuria verbis) fra la natia Toscana e la Basilicata, le Marche e la Lombardia, la Campania e il Lazio, la Sardegna e il Trentino Alto Adige rischia di umiliarla. È vero che i collegi blindati sono pochi e tutti li vogliono dunque nessuno la vuole. Però insomma, un po’ di rispetto non guasterebbe: è la Madre Ricostituente della Terza Repubblica, mica un pacco postale. Nelle ultime settimane, dopo i figuroni in Commissione banche, le cronache la sballottano tra Arezzo (dove non può più metter piede nemmeno col burqa), Firenze e Lucca, la catapultano chissà perché fra Pomigliano d’Arco ed Ercolano (Pompei no), la rimbalzano come una pallina da flipper dal Frusinate ad Ascoli Piceno, la palleggiano da Matera a Potenza, la destinano fra le brume brianzole e poi fra i nuraghe sardi, infine la paracadutano in quel di Bolzano (dove Renzi conta molto sui voti della minoranza tedesca che, parlando poco l’italiano, potrebbe non capire bene cosa dice). E lei ogni volta, secchiona com’è, si mette lì, curva sul suo desco a studiare gli usi e costumi locali, ma soprattutto i dialetti e gli accenti per sintonizzarsi con gli eventuali elettori. Ora se non le cambiano ancora destinazione, dovrà equipaggiarsi alla tirolese, divisa in panno verde, berretto con ponpon e stella alpina d’ordinanza, borraccia, piccozza, scarponcini, corde e ganci da arrampicata, per guidare l’ala rupestre del Giglio Magico.

A prescindere dal patetico caso umano, sarebbe interessante sapere come la mette il Pd col suo Statuto, che all’articolo 19 impone per i candidati al Parlamento una “selezione a ogni livello col metodo delle primarie o… con altre forme di ampia consultazione democratica” rispettose di “principi” come “la rappresentatività sociale, politica e territoriale dei candidati”, la “competenza” e “la pubblicità della procedura di selezione”. Ora la Boschi è certamente competente su almeno una materia: le interferenze per salvare banca Etruria (non a caso finita in bancarotta). Invece non risulta alcuna “pubblicità della procedura di selezione” del suo nome in Trentino Alto Adige. E neppure una sua “rappresentatività territoriale” in loco, a parte la celebre gita turistica a Madonna di Campiglio spacciata per “missione istituzionale”. Se però i suddetti principi, in un partito che si chiama democratico, sono traducibili in un semplice “decide tutto Renzi, fatevi i cazzi vostri”, va benissimo così.

Ciò che invece ci preoccupa, oltreché della Boschi, è la sorte di Emma Bonino. Brillantemente aggirato l’obbligo di raccogliere le firme per presentare la lista +Europa grazie all’annessione di Tabacci, ora deve risolvere un altro problema ancor più seccante: come aggirare l’obbligo di raccogliere voti per essere eletta. Che poi è lo stesso rovello che affligge la Boschi, ma con una complicazione. La Boschi è candidata nel Pd, partito che – se non scende ancora – lo sbarramento del 3% dovrebbe proprio superarlo: quindi, se non passa nell’uninominale, avrà fino a 5 paracadute nelle liste bloccate del proporzionale. Invece, nei sondaggi, la lista +Europa è ben sotto il 3%: nel proporzionale non eleggerebbe nessuno e la Bonino avrebbe un colpo solo da sparare, nel maggioritario e senza paracadute. Perciò, stando ai bene informati, avrebbe chiesto al Pd un collegio blindato per sé e qualcun altro per i fedelissimi, onde evitare di restare a casa (sarebbe la prima volta da 42 anni, dopo 8 legislature in Italia e 3 in Europa). Il guaio è che i collegi sicuri del Pd sono tutti sull’appennino tosco- emiliano: il Nord è tutto forzaleghista e il Lazio e il Sud sono a maggioranza M5S. E nelle due regioni rosse c’è la ressa di chi ama vincere facile.

Ora, che ad aprirsi il doppio paracadute (collegio blindato e proporzionale) siano partiti che non hanno votato questa lurida legge elettorale, passi. Ma che siano pure quelli che l’hanno votato e addirittura scritto, come il Pd e i suoi derivati, è davvero bizzarro. Ma come, Renzi non aveva assicurato il 20 ottobre che “col Rosatellum i cittadini potranno scegliere il proprio deputato e il proprio senatore perché ci sarà una scheda in cui si sa chi si elegge?”. Ed Ettore Rosato, autore del capolavoro, non aveva spiegato il 10 ottobre che “bisogna ridare fiducia agli elettori che sapranno scegliere fra le persone serie e i populisti”?

E allora tranquilli, compagni: anziché scervellarvi per trovare un paracadute a tutti, abbiate fiducia negli elettori e vedrete che tutto andrà per il meglio. I radicali, poi, si battono da sempre per il maggioritario secco all’inglese: un eletto per collegio e tutti gli altri a casa, vinca il migliore. “Noi radicali – dichiarava la Bonino il 20.7.2009 – siamo sostenitori del bipartitismo fondato sui collegi uninominali”. E il 3.10.2011 tuonava contro i sistemi elettorali che fanno scegliere i candidati “al potere oligarchico dei segretari di partito. Il collegio uninominale secco o a due turni è l’unica strada. I collegi dovrebbero essere come in Inghilterra di 85 mila elettori, per consentire un rapporto tra gli elettori e l’eletto”. Giusto: il bello dell’uninominale è il rischio, lo scontro diretto, spericolato, acrobatico, senza rete. Perciò non crediamo alle malelingue che vogliono la Bonino in fila col numeretto per un collegio blindato lontano da casa. Anzi siamo certi che, per coerenza con le grandi battaglie radicali, non accetterà né la Toscana né l’Emilia come una Boschi qualsiasi. Essendo di Bra, si candiderà senz’altro a Cuneo, “come in Inghilterra”, senza farsi paracadutare dal “potere oligarchico dei segretari di partito”. O no?

di Marco Travaglio da Il Fatto Quotidiano del 24 gennaio

…E Travaglio zittisce tutti: “Il punto di forza del M5S, che nessuno è riuscito ancora a scalfire, è che NON RUBANO”

 

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…E Travaglio zittisce tutti: “Il punto di forza del M5S, che nessuno è riuscito ancora a scalfire, è che NON RUBANO”

Di Martedì il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti ha detto che in effetti il M5S al governo lo abbiamo già visto a Roma, Livorno, Torino, i cui sindaci sono tutti indagati.

Il giornalista ha menzionato il caso di Nogarin, il sindaco di Livorno indagato per omicidio colposo per l’alluvione del settembre scorso.

Sallusti, però, deve aver dimenticato che i 5 Stelle, nelle città da loro amministrate hanno ereditato situazioni disastrose e buchi milionari.

Ma non solo. A ricordare la differenza tra le indagini sui 5 Stelle e quelle sui tanti esponenti degli altri partiti ci ha pensato Marco Travaglio, il quale, collegato con lo studio di Floris, ha detto:

“M5S? Ha fatto molti errori e ha incontrato tante difficoltà nel governo delle città. Ma il loro punto di forza, che nessuno è riuscito ancora a scalfire, è che non rubano. E penso che la gente sappia distinguere tra un avviso di garanzia per una disgrazia e un avviso di garanzia per una ruberia”.

E ancora:

“Quando il M5S si comporterà come gli altri, anche dal punto di vista del rubare e del mettersi in tasca i soldi dei cittadini o del favorire gli amici degli amici, allora si potrà dire che i

5 Stelle sono come gli altri. E perderanno quel consenso che oggi hanno. A oggi ce l’hanno proprio perché almeno sul punto della questione morale si sono dimostrati diversi dagli altri. Poi un conto è governare in una città indebitata, un conto è governare il Paese”

Il direttore del Fatto Quotidiano ha anche parlato del fatto che sia Berlusconi che Renzi hanno dichiarato che il loro avverso è il M5S:

“Ha detto che i suoi avversari sono i 5 Stelle, esattamente come Renzi. Evidentemente c’è qualcosa che non ci dicono, se il polo di centrodestra e il polo di centrosinistra individuano come avversario il M5S e non rispettivamente il centrosinistra e il centrodestra. Forse Renzi e Berlusconi pensano di essere molto simili, se non già alleati in pectore in vista del dopo-elezioni”.

tratto da: https://www.silenziefalsita.it/2018/01/17/travaglio-a-di-martedi-il-punto-di-forza-del-m5s-che-nessuno-e-riuscito-ancora-a-scalfire-e-che-non-rubano/

“Buoni a nulla, ma capaci di tutto” – Marco Travaglio massacra il Pd di Renzi!

 

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“Buoni a nulla, ma capaci di tutto” – Marco Travaglio massacra il Pd di Renzi!

Paolo Gentiloni domenica sera ha detto da Fazio che “nessuno ha una squadra minimamente comparabile a quella del Pd”.

Una frase che a Marco Travaglio non è andata giù.

Il direttore del Fatto Quotidiano nel suo editoriale di oggi scaglia una tremenda invettiva ai governi Pd che si sono succeduti nell’ultima legislatura, mettendo in evidenza tutte le loro porcate.

Scrive Travaglio:

“Meglio la Ruota della Fortuna, cioè Matteo & his friends. Gente in gamba che il mondo ci invidia perché ha dimostrato di saperci fare, come possono testimoniare i lavoratori Alitalia, Ilva e Almaviva, gli abbonati Rai e i clienti delle banche. Non a caso, per dire, abbiamo mandato in giro per il mondo uno statista come Alfano travestito prima da ministro dell’Interno e poi degli Esteri. E abbiamo alla Pubblica Istruzione una falsa laureata, tal Fedeli, che scrive “traccie” al posto di tracce, ‘battere’ al posto di ‘batterio’ e dice ‘sempre più migliori’ e ‘sarebbe opportuno che lo studio della Storia non si fermasse nelle aule scolastiche ma prosegua…’. E alla PA una tal Madia che ha copiato la tesi di dottorato, ma purtroppo non le leggi che ha scritto, infatti gliele han fatte a pezzi un po’ la Consulta un po’ il Consiglio di Stato un po’ i Tar. E alla Salute una diplomata al Classico, tale Lorenzin, che si crede esperta di vaccini, infatti vuole rifilarli a tutti. Meglio dunque restare in buone mani: quelle che negli ultimi sette anni, ma anche più indietro, ci han regalato solo miracoli. I 2.267 miliardi di debito pubblico (nel 2011 era a quota 1.897, poi è cresciuto di 53 l’anno), i 15 miliardi di debiti di Roma, i 3 di Torino, la crescita più bassa d’Europa, la disoccupazione (soprattutto giovanile) più alta, il record negativo di investimenti esteri e quello positivo di corruzione ed evasione. Le due leggi elettorali incostituzional

i (Italicum e Rosatellum). La nuova Costituzione scritta a quattro piedi da un’avvocaticchia etrusca, tale Boschi, e da un plurimputato, tal Verdini, bocciata da 2 elettori su 3. La Buona Scuola fallita e smantellata pezzo per pezzo persino dal governo Gentiloni. Il Jobs Act che sforna precari e, senza incentivi, fa tremare un milione di assunti per finta”.

Ma non è ancora finita. Il giornalista aggiunge:

“Gli 80 euro retrattili per un milione di lavoratori. Il bail-in a scoppio ritardato con i tre decreti sui non-rimborsi ai risparmiatori fregati dalle banche, mentre Renzi dormiva per non disturbare il referendum e la Boschi faceva il giro delle sette chiese per salvare l’Etruria del suo babbo. Il Fiscal compact e i trattati di Dublino votati in Europa dagli stessi partiti che in Italia s’indignano se l’Ue ci chiede di rispettarli. La legge-burla sulla legittima difesa con licenza di uccidere, ma solo di notte. Il Codice degli appalti pieno di svarioni e boiate che bloccano gli appalti. Le casette promesse ai terremotati ‘per Natale’ (senza mai specificare l’anno) e mai viste dalla metà dei destinatari. I figuroni in Europa con le multe da procedura d’infrazione, le 85 cause perse su 94 in dieci anni alla Corte da Strasburgo e il ritiro della candidatura di Padoan all’Eurogruppo per eccesso di ribasso. Il Rosatellum che, appena approvato, fa già schifo a chi l’ha scritto, tant’è che il pregiudicato ineleggibile B. può scrivere “Presidente” sul logo di FI e bisogna riesumare Tabacci per salvare la Bonino dalla fatica erculea di raccogliere 400 firme per circoscrizione. Il canone Rai infilato in bolletta dallo stesso clown che ora promette di abolirlo. Massì, teniamoci stretti questi campioni di capacità. Nel senso longanesiano del termine: ‘Buoni a nulla, ma capaci di tutto’.”

 

Ricapitoliamo: la Raggi chiede il rito immediato e fa scandalo, 2 giorni di titoli e interi approfondimenti dei Tg. Sala per reati ben più gravi chiede il rito immediato, ma né stampa né Tg ne parlano… Basta solo questo per convincermi a votare M5s!

 

Raggi

 

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Ricapitoliamo: la Raggi chiede il rito immediato e fa scandalo, 2 giorni di titoli e interi approfondimenti dei Tg. Sala per reati ben più gravi chiede il rito immediato, ma né stampa né Tg ne parlano… Basta solo questo per convincermi a votare M5s!

“I gemelli diversi”: editoriale di Marco Travaglio

di Marco Travaglio da Il Fatto Quotidiano del 6 gennaio

La sindaca di Roma Virginia Raggi è imputata di falso; il sindaco di Milano Giuseppe Sala è imputato di falso. Il 3 gennaio la Raggi, alla vigilia dell’udienza preliminare, ha chiesto il giudizio immediato, saltando il passaggio davanti al gup che avrebbe potuto rinviarla a giudizio, ma anche proscioglierla; il 5 dicembre Sala, alla vigilia dell’udienza preliminare, ha chiesto il giudizio immediato, saltando il passaggio davanti al gup che avrebbe potuto rinviarlo a giudizio, ma anche proscioglierlo. La Raggi ha spiegato su Facebook che desidera “che sia accertata quanto prima la verità giuridica dei fatti” perché “sono certa della mia innocenza, non voglio sottrarmi ad alcun giudizio e ho piena fiducia nella giustizia e nella trasparenza”; Sala ha spiegato su Facebook che vuole “accelerare quanto più possibile i tempi del processo” perché “sono certo che verrà riconosciuta la mia innocenza” (manca solo la fiducia nella giustizia: Sala infatti strilla contro l’“attività persecutoria” dei magistrati che indagano su di lui). Due casi uguali per importanza (i processi ai sindaci di due grandi metropoli) e per fase giudiziaria (post-richiesta di rinvio a giudizio e pre-udienza preliminare), sovrapponibili almeno in parte per le accuse (per la Raggi falso ideologico, per Sala falso ideologico e materiale più abuso d’ufficio) e identici per scelta processuale (il rito abbreviato con cui l’imputato, di fatto, si rinvia a giudizio da solo). Con tre sole differenze.

1) Le accuse mosse a Sala sono molto più gravi di quelle mosse alla Raggi. Sala è imputato di falso per aver retrodato di 13 giorni le carte del più grande appalto di Expo – quello da 272 milioni per la “piastra” dei padiglioni – per poter sostituire in corsa due commissari incompatibili; e di abuso per aver affidato senza gara l’appalto sulla fornitura degli alberi alla solita impresa pigliatutto Mantovani, che acquistò le piante per 1,6 milioni, ma Sala – cioè il contribuente – gliele pagò 4,3 milioni: infatti il Pg parla di “danno di particolare gravità” per la collettività e “ingiusto vantaggio patrimoniale alla Mantovani”. La Raggi è accusata di aver mentito all’Anticorruzione del Campidoglio, dichiarando che la nomina del dirigente dei Vigili Renato Marra a capo del dipartimento Turismo del Comune la decisero lei e l’assessore Adriano Meloni, senza sapere nulla di interferenze del capo del Personale Raffaele Marra, fratello del nominato (versione confermata da Meloni e dagli altri responsabili dell’interpello per la rotazione dei 190 dirigenti comunali): una dichiarazione che, vera o falsa che sia, non ha arrecato alcun danno ai contribuenti.

2)Se la Raggi fosse condannata, non sarebbe sospesa dal prefetto in base alla legge Severino (anche se dovrebbe dimettersi per il codice etico M5S), mentre Sala sì: l’abuso d’ufficio è compreso fra i reati che comportano la sospensione degli amministratori locali condannati in primo grado, mentre il falso no.

3) La Raggi che chiede il rito immediato fa scandalo, infatti occupa da due giorni ettari di carta stampata, grandi spazi nei siti e mega-servizi nei tg, mobilitando editorialisti, commentatori e giuristi. Giovedì Repubblica ci apre la prima pagina: “‘Processo subito’. La mossa di Raggi per aiutare Di Maio”. Editoriale di Carlo Bonini: “L’ultima favola di Virginia”, la “bugiarda a sua insaputa” che vuole “cojonare i romani” con l’ennesima “manomissione della realtà che fa dire ai fatti qualcosa di diverso o di opposto a ciò che significano” e fuggire dal processo per congelarne l’“effetto politico fino a dopo le elezioni del 4 marzo”, insomma pretende “una giustizia prêt-à-porter, cucita sul calendario elettorale”, mentre Bonini ha già deciso che è colpevole, con un giudizio ancor più immediato dell’immediato: “Renato Marra fu promosso dalla sindaca in accordo col fratello Raffaele” che la “portava per mano come una scolaretta”. Punto: inutile fare il processo. Pagina 2: “Raggi, mossa sul processo per andare oltre le elezioni” (con commento di Renzi che invita i 5Stelle a “chiedere scusa”). Altre tre pagine in cronaca di Roma: “Raggi gioca sull’effetto tempo e rinvia guai giudiziari e rimpasto”, “Dal processo al rimpasto, Raggi gioca con il tempo”, “La maledizione del raggio magico”. Corriere, prima pagina: “Raggi chiede di essere giudicata dopo il voto” (falso: non ha indicato date, né avrebbe potuto). Pagina 2: “Raggi prova a rinviare l’udienza”. La Stampa, pagina 7: “Giudizio immediato: così Raggi eviterà di finire alla sbarra prima delle elezioni”.

Il Messaggero, prima pagina: “Raggi a processo dopo il voto”, editoriale dell’ex pm Carlo Nordio: “La svolta cinquestelle. La conversione in extremis alle garanzie dell’imputato” (che col rito immediato c’entrano come i cavoli a merenda). Pagina 2: “La mossa di Raggi: giudizio immediato per superare le urne”. Pagina 3: “In caso di condanna ora deciderà Di Maio”, “Cosa cambia con il rito immediato?”. Cronaca di Roma, altre tre pagine: “Caso Raggi, rimpasto congelato”, “Caso Raggi, M5S congela il rimpasto nella giunta”, “E il Campidoglio prende tempo: ‘Parte civile solo in caso di danno’”. Il Giornale: “La furbata della sindaca Raggi: giudizio immediato e niente udienza”. Il Dubbio: “Raggi anticipa il processo per evitare il processo…”. Ieri si ricomincia. Il Messaggero: “Raggi, il gip pronto a fissare il processo a inizio estate”; intervista all’ex assessore Andrea Mazzillo: “È vero, l’effetto Roma peserà in campagna elettorale”; intervista a Niccolò Ghedini (avete capito bene: Ghedini): “Se ha rinunciato all’udienza non dev’essere messa bene” (non ha neppure chiesto una dozzina di leggi ad personam per abolirsi i reati e il processo, per dire com’è messa); “Il Campidoglio rinuncia a costituirsi parte civile”; “Il caso Raggi scuote il M5S: lite su processo e rimpasto”. Corriere: “In Campidoglio malumori su Raggi: doveva dirci del giudizio immediato”.
Invece Sala che chiede il rito immediato non fa notizia né scandalo, infatti non ne parla nessuno. Silenzio assoluto dei tg. Zero tituli su giornaloni e giornalini, tranne Repubblica e Corriere che il 6 dicembre pubblicano due trafiletti molto british e soprattutto molto invisibili, entrambi su una colonna a pagina 13. Nessun accenno alla concomitanza fra l’udienza preliminare (fissata per il 14 dicembre e saltata da Sala) e la campagna elettorale: basta e avanza la versione dell’imputato, sulla sua legittima e nobile scelta processuale. Repubblica: “Sala e l’accusa di falso per Expo: ‘Rito immediato, voglio la sentenza al più presto’”: l’imputato modello vuole “evitare la prescrizione” con un “processo veloce”, “per uscirne, secondo la sua linea di difesa, da assolto. Non da prescritto”. Corriere: “‘Io innocente’. Sala chiede il rito immediato”. Che pezzo d’uomo, che preclara figura. Certo, non ne sarebbe uscito benissimo se Repubblica avesse titolato “La mossa di Sala per aiutare Renzi”. Se Bonini avesse tuonato contro “L’ultima favola di Giuseppe”, il “bugiardo a sua insaputa” che vuole “cojonare i milanesi” con l’ennesima “manomissione della realtà” e congelare l’“effetto politico del processo fino a dopo le elezioni”, insomma pretende “una giustizia prêt-à-porter”, anche perché al processo sarà condanna sicura. Se il Corriere l’avesse sbattuto in prima pagina con uno stentoreo “Sala chiede di essere giudicato dopo il voto”. Se La Stampa l’avesse accusato di tramare per non “finire alla sbarra prima delle elezioni”. Se Il Messaggero gli avesse montato titoloni cubitali tipo “Sala a processo dopo il voto”, “In caso di condanna sarà sospeso dal prefetto”, o gli avesse appioppato l’oracolo di Ghedini “Se rinuncia all’udienza non dev’essere messo bene”. Se il Giornale avesse denunciato la sua “furbata”. Se Il Dubbio, per quanto clandestino, gli avesse appiccicato il sapido calembour “Sala anticipa il processo per evitare il processo…”.

Sai le risate, povero Beppe. Invece niente. Due trafiletti visibili solo al microscopio elettronico, e via. Perché? Perché Virginia è donna, direbbe certamente la Boschi. O magari – Dio non voglia – perché la Raggi è dei 5Stelle e Sala è del Pd? Noi ci rifiutiamo anche soltanto di pensarlo. E voi?

Travaglio vs Boschi: “Ha mentito – in un Paese serio la sua carriera politica finirebbe oggi!” …Ma a Travaglio sfugge un piccolo dettaglio: NON SIAMO IN UN PAESE SERIO…!

 

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Travaglio vs Boschi: “Ha mentito – in un Paese serio la sua carriera politica finirebbe oggi!” …Ma a Travaglio sfugge un piccolo dettaglio: NON SIAMO IN UN PAESE SERIO…!

Boschi vs Travaglio: “Lei mi odia”. “Ha mentito e in un Paese serio la sua carriera politica finirebbe oggi”

Polemica rovente a Otto e Mezzo (La7) tra la sottosegretaria Maria Elena Boschi e il direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, in merito alla vicenda della Banca Etruria. Boschi accusa: “Il dottor Travaglio non contesta nel merito quello che faccio e non faccio per la mia attività politica, che a lui non piace. E’ noto, lo scrive sul suo giornale ogni due giorni e lo ha detto anche qui, dove spesso è ospite. Non può trasformare l’odio verso di me in una battaglia politica. Lui mi odia? Va bene, ma cerchi almeno di rispettare la verità dei fatti”. Gruber chiede a Travaglio se vuole chiarire i suoi “sentimenti” di antipatia, come ha denunciato Boschi. Travaglio ride e puntualizza: “Dei miei sentimenti non frega nulla a nessuno. Io faccio il giornalista, critico i politici quando penso che facciano male, li elogio quando penso che facciano bene. Era Berlusconi ad aver introdotto le categorie dell’amore e dell’odio in politica. A me dei politici non importa niente né in un senso, né nell’altro. Li giudico per quello che fanno”. Travaglio poi elenca i motivi per cui l’ex ministro Boschi ha mentito. E chiosa: “La Boschi sulla vicenda Etruria non avrebbe dovuto mettere becco. In un Paese serio la sua carriera politica finirebbe oggi

 

fonte: Il Fatto Quotidiano

Il fantastico editoriale di Marco Travaglio: Benvenuti in Culonia

Marco Travaglio

 

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Il fantastico editoriale di Marco Travaglio: Benvenuti in Culonia

Ci sono giornate che cominciano uggiose e non inducono proprio al buonumore. Poi giunge notizia che Antonio Tajani, a nome di FI e dunque di B., si è molto congratulato con la Merkel per il suo quarto cancellierato e ha rivelato che lei e Silvio hanno appena avuto “due lunghi e approfonditi incontri, non sono mai stati così vicini”, e uno subito si rianima. Siccome siamo un Paese senza memoria che confida nella smemoratezza altrui, ecco un breve riepilogo dei rapporti bilaterali Berlino-Arcore.

Quand’era premier, sinceramente offeso dall’intollerabile serietà della Cancelliera, B. le provò tutte per sbeffeggiarla e umiliarla: una volta le fece il cucù, un’altra la lasciò per mezz’ora sotto il sole mentre lui era al telefono (“con Erdogan”, disse poi, essendo un madrelingua turco) e così via. Lei lo ripagò il 23 ottobre 2011 con la famosa risata in duo con Sarkozy, e chissà se sapeva che un anno prima il Fatto aveva riferito una voce ricorrente in Transatlantico: i fedelissimi di B. erano terrorizzati che uscissero, dalle procure di Milano o Napoli o Bari, intercettazioni compromettenti fra lui, i suoi papponi e le sue escort. Compromettenti non per l’attività di puttaniere, che anzi faceva punteggio. Ma per l’abitudine a catechizzare, nelle cene eleganti pre-bungabunga, le papigirl sulle sue mosse diplomatiche ai vertici internazionali, e a condire il tutto con sapidi aneddoti e soprannomi. Purtroppo quello della Merkel era “culona inchiavabile”.

Le intercettazioni poi non uscirono (o non c’erano, o furono stralciate per irrilevanza penale), ma chi lo conosceva giurava che il Gran Simpatico la chiamava così, amichevolmente, con tutti. Infatti la stessa voce fu raccolta da Selvaggia Lucarelli nel suo blog. L’indiscrezione, rimbalzata sui giornali tedeschi, da Bild a Die Welt, cadde nel più impenetrabile silenzio dell’entourage berlusconiano: nessun commento né smentita. Poi, un anno più tardi, subito dopo la risata Merkel-Sarkozy, B. perse la maggioranza e si dimise. Poi prese ad accusare apertamente la Merkel, in combutta con Sarkò, Obama, Napolitano e il mago Otelma, di aver congiurato contro il suo governo, in quello che doveva essere, se non andiamo errati, il quarto o il quinto “golpe” ai suoi danni dal ’94. Lo ribadì papale papale nel gennaio 2013 a Servizio Pubblico, accusando il governo tedesco di aver aizzato la Deutsche Bank a vendere titoli di Stato italiani per far schizzare lo spread. La Costamagna gli mostrò una lettera di smentita della banca tedesca, ma lui rispose che allora sarà stata la Bundesbank (finiva sempre per bank).

Intanto i suoi giornali, parlando con cognizione di causa e sapendo di far cosa gradita al Capo, avevano iniziato a chiamare la Merkel con quel grazioso vezzeggiativo. Cominciò Libero di Belpietro: “Angela è davvero una culona. Il primo a dirlo fu Kohl” (27.11.2011). Proseguì il Giornale di Sallusti: “La caduta di Berlusconi: è stata la culona” (31.12.2011). E così via, anche a sproposito, persino negli eventi sportivi. Tipo quando la nostra Nazionale eliminò la Germania agli Europei 2012: “Ciao ciao culona” (il Giornale, 29.6.12). “Vaffanmerkel”, “Due calci nel culone” (Libero, 29.6.12). Angela perdeva 10 chili? “Merkel a dieta: anche lei si vede culona” (Libero, 7.5.2014). Così, dando ormai la cosa per fatto notorio, un giornalista della Bbc, Jeremy Paxman, pose a B. la domanda che nessun collega italiano aveva mai osato fare: “Scusi, è vero che ha definito Angela Merkel ‘culona inchiavabile’?”. L’interrogativo sortì sul Lord Brummel brianzolo l’effetto del gas paralizzante: una lunga, interminabile paresi, tipo fermo-immagine (il tempo per l’interprete di riaversi dallo choc e trovare le parole per tradurre un’espressione non proprio tipica del linguaggio politico diplomatico), seguita dal moto ondulatorio e sussultorio della mano destra che faceva cenno di passare alla domanda successiva. Deborah Bergamini, la sventurata portavoce, dovette vergare una nota ufficiale per smentire qualsivoglia imbarazzo, incolpare la Bbc di un taglio politico, precisare che nella versione integrale B. smentiva di aver mai insultato Merkel o altri, spiegare l’apparente paralisi con la vigile attesa della traduzione.

Da: Il Fatto Quotidiano del 28/09/2017.

 

Fantastico Marco Travaglio: “Vieni avanti, aretina”

 

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Fantastico Marco Travaglio: “Vieni avanti, aretina”

 

Vieni avanti, aretina di Marco Travaglio

Siccome torna di moda il fascismo con la legge Fiano e con la pretesa della Boldrini di cancellare ogni traccia del Ventennio dall’architettura (speriamo non anche nel resto della cultura e nella legislazione, sennò questi bruciano pure i quadri e i libri dei futuristi, le opere di Gentile e il Codice Rocco, aboliscono le pensioni e magari rimandano pure le zanzare nelle paludi pontine per farle ribonificare da Nichi Vendola), quindi vale tutto, noi ci stiamo appassionando agli etruschi. Non a quelli antichi sepolti nelle necropoli, molto apprezzati da Alberto Sordi e dalla moglie buzzicona durante le “vacanze intelligenti”, perché “magnavano da vivi e pure da morti”. Ma a quelli contemporanei, riuniti attorno al desco di Banca Etruria tanto caro alla famiglia Boschi, che quanto ad appetito non hanno nulla da invidiare agli antenati – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale di oggi 13 luglio 2017, dal titolo “Vieni avanti, aretina”.

La passione nasce dalla lettura di un passaggio del libro di Renzi, che prima insulta Ferruccio De Bortoli per il suo famoso scoop su Etruria, poi sembra smentire Maria Elena Boschi. Noi, che apprezziamo e stimiamo la statista aretina, eravamo rimasti al suo solenne giuramento del 18.12.2015 alla Camera dei Deputati, che su quella base respinse la mozione di sfiducia: “Non c’è alcun conflitto d’interessi né favoritismo né corsia preferenziale: non ho tutelato la mia famiglia, ma solo le istituzioni… Si dimostri che ho favorito mio padre o che son venuta meno ai miei doveri istituzionali e sarò la prima a lasciare l’incarico”. Giuramento poi sbugiardato da alcune notizie.

1) Nel marzo 2014 -rivela il nostro Giorgio Meletti, mai smentito dalla Boschi né da alcun altro – cioè un mese dopo la nascita del governo Renzi, Maria Elena e Pier Luigi Boschi (membro del Cda di Etruria) ricevono nella loro villa di Laterina il presidente e l’ad di Veneto Banca, Flavio Trinca e Vincenzo Consoli, giunti da Treviso per incontrare la neoministra, presente anche il presidente di Etruria Giuseppe Fornasari. Tema della riunione segreta: come resistere, con l’appoggio del nuovo governo, alle richieste di Bankitalia affinché Etruria e Veneto Banca si trovino un salvatore. A maggio papà Boschi diventa vicepresidente col neopresidente Lorenzo Rosi. I due bussano a tutte le porte, compresa quella del massone e bancarottiere Flavio Carboni, ma invano.

2) Nel gennaio 2015 – rivela De Bortoli- un mese prima del commissariamento di Etruria chiesto da Bankitalia al governo, la Boschi chiama disperata l’allora Ad di Unicredit, Gianfranco Ghizzoni, e gli chiede di acquistare una a caso delle tante banche che stanno per fallire: quella vicepresieduta da suo padre. Tant’è vero che Ghizzoni – come rivelano i nostri Stefano Feltri e Carlo Tecce – non ignora la richiesta della ministra, ma la inoltra al vicedirettore Marina Natale perché ne valuti la fattibilità. Poi il parere della Natale è negativo e Unicredit si tira fuori. La Boschi smentirà la notizia e annuncerà querela a De Bortoli (mai fatta). Ma l’ex Ad Ghizzoni non smentirà un bel nulla, anzi si dirà pronto a parlare se un pm o una commissione parlamentare lo scioglieranno dal patto di riservatezza con la sua ex banca.

3) Il 3 febbraio 2015 – rivela ancora Meletti sul Fatto – manca una settimana al commissariamento di Etruria. Il governo Renzi ha appena varato il decreto che riforma le banche popolari (Etruria inclusa), imponendo loro di trasformarsi in Spa più grandi. Il Dg di Veneto Banca, Consoli, chiama papà Boschi, ancora alla spasmodica ricerca di un salvatore della banca (e anche di se stesso). Consoli, ansioso di ben figurare con Palazzo Chigi, è disponibile e fa una telefonata (intercettata dai pm che indagano sull’istituto veneto). A chi? All’amico Pier Luigi Boschi, che promette: “Domani in serata se ne parla, io ne parlo con mia figlia, col presidente (Renzi, ndr) domani e ci si sente in serata”. Anche su questa notizia, dalla Boschi neppure una risposta alle domande inviate via mail dal Fatto il 20 giugno. Ora però, al posto della ministra muta, parla il segretario chiacchierone, proprio mentre il governo con dentro la Boschi cancella dal decreto banche un proprio emendamento che poteva portare all’interdizione del solito babbo. Renzi scrive nel suo libro del “presunto scoop” di De Bortoli (che insulta con pezzi di articoli del suo nuovo spirito guida, Giuliano Ferrara) e lo riassume così: “Il ministro Boschi avrebbe richiesto un non meglio precisato impegno a… Ghizzoni per studiare il salvataggio di Banca Etruria e delle altre banche a rischio liquidazione”(ma è una balla: secondo De Bortoli,la Boschi chiese solo di Etruria). Poi commenta: “Come se non fosse evidente… che tutti gli ad delle banche… conoscevano perfettamente la difficile situazione di alcune popolari… Chiedere a Ghizzoni di studiare il dossier Etruria sarebbe stato come minimo ridondante visto che era un dossier che stavano studiando tutti… Non c’era bisogno che lo dicessero Ghizzoni o Boschi”.

Quindi Renzi ci sta dicendo, alla sua maniera obliqua, che la Boschi chiamò Ghizzoni con un atto “ridondante” ma “normale”? E a quale titolo, se non quello di figlia di suo padre (opportunamente rimosso da Renzi), visto che era titolare delle Riforme e dei Rapporti col Parlamento, non con le banche, tant’è che i ministri economici non sapevano nulla della sua iniziativa? Dunque il putribondo De Bortoli ha scritto la verità? E gli annunci di querela? E il giuramento al Parlamento di non essersi mai occupata di Etruria? E il conflitto d’interessi? Dire che è normale che un ministro chiami un banchiere per salvare la banca vicepresieduta dal babbo è come dire che è normale che B. faccia leggi sulle sue tv e i suoi processi. O, già che c’era, voleva dirci pure questo in vista del Renzusconi prossimo venturo?

Articolo intero su Il Fatto Quotidiano