Rita Borsellino: “Deve pentirsi qualche uomo delle istituzioni”

Borsellino

 

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Rita Borsellino: “Deve pentirsi qualche uomo delle istituzioni”

“La verità c’è e la sanno in tanti”. La sorella del magistrato ucciso in via D’Amelio ricorda una frase della nipote Fiammetta “che non si è sentita perché non aveva il microfono”


“25 di giustizia negata: in quale Paese e perché soprattutto? Vogliamo sapere chi non vuole che si sappia questa verità perché la verità c’è e la sanno in tanti, in tanti…”.

Parole di Rita Borsellino, sorella di Paolo, che commentando ai microfondi di Sky tg 24 l’intervist rilasciata dalla nipote, Fiammetta Borsellino, al Corriere, aggiunge un particolare:

“Fiammetta, quando ci fu la diretta del 23 Maggio, ha detto una cosa che non si è sentita perché non aveva il microfono. Rispondendo alla battuta di Grasso che disse che ci dobbiamo aspettare un altro pentito, mia nipote ha risposto che il pentito lo vogliamo nelle istituzioni. E aveva ragione. Perché nelle istituzioni non parla nessuno”?

(qui il video con queste dichiarazioni). 

Dell’Utri dal carcere: “Io sono un prigioniero politico”…Ma era più credibile quell’altro “mafioso” che chiedeva una morte dignitosa

Dell’Utri

 

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Dell’Utri dal carcere: “Io sono un prigioniero politico”…Ma era più credibile quell’altro “mafioso” che chiedeva una morte dignitosa

Dell’Utri dal carcere tifa larghe intese: “Sarebbe auspicabile un patto nazionale Pd-Fi. Io sono un prigioniero politico”

L’ex senatore di Forza Italia, condannato in via definitiva a sette anni per concorso esterno a Cosa nostra, torna a parlare direttamente da Rebibbia. “Se non ci fosse Berlusconi? L’unica via è Renzi. Sarebbe auspicabile un patto intelligente ma non è possibile: il Paese non lo capisce. I 5 Stelle? Per me sono un mistero”, ha detto l’ex parlamentare intervistato da In Onda

Un governo a larghe intese, nato da un “patto intelligente” tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi? “Sarebbe auspicabile, solo che il Paese non lo capirebbe”. Parola di Marcello Dell’Utri, l’ex senatore e fondatore di Forza Italia, condannato in via definitiva a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa nostra, che è tornato a parlare direttamente dal carcere di Rebibbia. “Io non sono un detenuto come gli altri, ma un detenuto politico, anzi un prigioniero politico: è la parola che più mi si addice”, dice l’ex senatore intervistato da David Parenzo di In Onda su La7.

Il fondatore di Forza Italia ha incontrato il giornalista con due bende ben in vista sulle braccia, frutto di una recente operazione chirurgica. “La mia cardiopatia è incompatibile con la detenzione”, sentenzia Dell’Utri che –  come anticipato dal ilfattoquotidiano.it nel settembre scorso – punta ad ottenere gli arresti domiciliari per motivi di salute: sul suo caso il tribunale del riesame si esprimerà il prossimo 13 luglio.

Intervistato da Parenzo (con il direttore del fattoquotidiano.itPeter Gomez, collegato con lo studio dalla redazione di Milano) Dell’Utri ha parlato di un po’ di tutto, anche del nostro giornale. “Sul Fatto Quotidiano ho fatto una battaglia: non lo vendevano qui in carcere. Ho fatto una domanda alla direzione: non mi hanno risposto. L’ho fatta un’altra volta: anche qui niente.  Non avendo ricevuto risposta ho scritto al direttore del giornale chiedendo d’intervenire. Io non sono un estimatore del Fatto ma un lettore sì“, ha raccontato l’ex senatore spiegando di vedere anche la televisione in cella. “Ho la tv con tutti i canali importanti ma non mi diverte guardarla. Mi piace guardare la pubblicità, che è lo specchio dei tempi”, dice Dell’Utri fondatore ed ex presidente diPublitalia ’80.

Ovviamente l’uomo che fondò Forza Italia nel lontano 1993 continua a seguire la politica anche da detenuto. “Il dibattito politico mi diverte. I 5 Stelle? Non rispondo, per me sono un mistero. Ci sono due partiti: chi non vota e chi vota i 5 Stelle. Come governano? Diciamo che governano è termine generico per loro. Berlusconi è incredibile: non si spezza mai. Se non ci fosse Berlusconi? L’unica via è Renzi. All’inizio l’ho visto bene ma poi ha deluso”, sono alcuni dei concetti espressi da Dell’Utri, che poi ha auspicato un governo a larghe intese.  “Sarebbe auspicabile un patto nazionale intelligente ma non è possibile: il Paese non lo capisce”.

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07/05/dellutri-dal-carcere-tifa-larghe-intese-sarebbe-auspicabile-un-patto-nazionale-pd-fi-io-sono-un-prigioniero-politico/3710358/

Dopo Riina anche Dell’Utri. non lasciamolo morire in carcere, diamogli una morte dignitosa… certo che la MAFIA logora…!!

Dell'Utri

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Dopo Riina anche Dell’Utri. non lasciamolo morire in carcere, diamogli una morte dignitosa… certo che la MAFIA logora…!!

 

Scrivi a firmaperdellutri@iltempo.it per chiedere che Marcello Dell’Utri abbia la sospensione della pena per motivi di salute…

L’accorato appello de Il Tempo che corre in soccorso del condannato per concorso esterno in associazione mafiosa!

Secondo i giudici: “Dell’Utri mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa nostra” ed era “Socialmente pericoloso”

Certo che la MAFIA logora…

Leggi l’articolo de il Tempo:

Vogliono lasciar morire Dell’Utri in cella. Firma anche tu per chiedere la sospensione della pena

Però senza MAI dimenticare che stanno parlando di un MAFIOSO…!

 

by Eles

 

 

 

 

Ingroia: “Berlusconi dovrebbe essere di nuovo indagato: CONCORSO IN STRAGE”…!!

 

Ingroia

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Ingroia: “Berlusconi dovrebbe essere di nuovo indagato: CONCORSO IN STRAGE”…!!

L’intervista di Antonio Ingroia a Il Fatto quotidiano di oggi:

Dottor Ingroia, quale sarebbe dunque il ruolo di Berlusconi nella stagione del ricatto allo Stato secondo le parole di Graviano?
Dalle parole intercettate sembra emergere con chiarezza che il capomafia di Brancaccio tra il ‘91 e il ‘94, data del suo arresto, ebbe rapporti con Berlusconi. Ma anche che dietro alle stragi di mafia di quegli anni ci furono mandanti politici. Immagino che le conversazioni captate dalle microspie della Dia siano oggi materia di approfondimento per le procure di Caltanissetta e Firenze che indagano sulle stragi ‘92-‘93 e debbano determinare la riapertura delle indagini per concorso in strage nei confronti di Silvio Berlusconi.

Nella prima fase dell’indagine sulla Trattativa, che lei stesso coordinò, il pool Stato-mafia aveva ipotizzato che Berlusconi fosse solo il destinatario finale del ricatto allo Stato. Ora la posizione dell`ex Cavaliere potrebbe cambiare?
Certamente c’è un importantissimo elemento nuovo, la cui attendibilità va rigorosamente verificata. Se la ‘cortesia’ di cui parla Graviano, che Berlusconi gli avrebbe chiesto poco prima di scendere in campo, fosse da collegare alle stragi, come sembra dalle notizie di stampa, sarebbe difficile affermare che l’ex Cavaliere è stato solo una vittima del ricatto allo Stato, cosa avvenuta nel 1994, al momento della sua nomina come presidente del Consiglio. Se fosse stato addirittura complice delle stragi che furono strumento della Trattativa, Berlusconi dovrebbe essere considerato complice anche della Trattativa. Ovviamente stiamo parlando di elementi sufficienti per un`iscrizione nel registro notizie di reato, ma tutto andrebbe verificato ed approfondito.

Gianfranco Micciché ha definito le esternazioni di Graviano “minchiate” e si è rammaricato del fatto che alcuni pm (“pochi per la verità”, ha aggiunto) attribuiscano credibilità ad un mafioso pluriergastolano. Lei che ne pensa?
Chi, davanti a esternazioni così gravi, chiare ed eloquenti, risponde in questo modo o non capisce nulla o ha paura di quelle rivelazioni. Il capomafia di Brancaccio, che non si è mai pentito ed è considerato un irriducibile, fa riferimento ad incontri, pranzi, cene, accordi e, alla fine, ad un tradimento. Nessuno, meglio di lui, poteva confermare, e potrebbe farlo in modo più completo se decidesse di rispondere alle domande dei pm, tutta la ricostruzione dell`indagine trattativa Stato-mafia ipotizzata dalla procura di Palermo.

Il 41 bis si conferma l`incubo del boss detenuto. Graviano appare combattuto tra la rabbia maturata in 24 anni di reclusione e la speranza che prima o poi qualcosa possa ancora accedere. Il boss sembra tuttora in attesa di un “segnale”. Ma cosa potrebbe accadere?
Alcuni segnali che Graviano da anni invia, così come altri boss in carcere, Riina compreso, mi sembrano inequivoci. L`esercito dei boss mafiosi al 41 bis è impaziente. La cambiale è scaduta e vogliono portare all`incasso il loro silenzio prima che sia troppo tardi. È una pentola in ebollizione da tempo e potrebbe scoppiare da un momento all`altro. Con esiti imprevedibili.

Eppure lo stesso Graviano dice che il processo sulla Trattativa “è in corso e non ne parla nessuno”…
Questo processo non piace a nessuno. Ed è questa la ragione per cui io prima, e Nino Di Matteo poi, siamo stati tanto duramente attaccati e tanto ferocemente osteggiati.

Pensa che le intercettazioni di Graviano provocheranno ripercussioni politiche?
In un Paese normale le Procure di Palermo, Firenze e Caltanissetta all`unisono avrebbero iniziato a indagare Berlusconi, la politica lo avrebbe messo in un angolo e si sarebbe aperta una commissione d`inchiesta. Per molto meno Donald Trump rischia l’impeachment. Qui il segretario del Pd Matteo Renzi, un altro ex premier, considera il suo predecessore Silvio Berlusconi un `padre della Patria`, tanto da voler stringere accordi con lui. Questa è l`Italia di oggi.

Ancora una presa di posizione VERGOGNOSA del Pd: bocciata la proposta del M5S di eliminare i vitalizi ai condannati in via definitiva per MAFIA e CORRUZIONE… Ricordatevi che chi andrà a votare questa gente è COMPLICE

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Ancora una presa di posizione VERGOGNOSA del Pd: bocciata la proposta del M5S di eliminare i vitalizi ai condannati in via definitiva per MAFIA e CORRUZIONE… Ricordatevi che chi andrà a votare questa gente è COMPLICE

 

Nuti: “Pd tutela quelli di corrotti e mafiosi”

“Un assurdo privilegio – sostiene – dato che corrotti e mafiosi non dovrebbero ricevere nessun tipo di pensione per aver ricoperto in passato incarichi elettivi pubblici di alcun genere. Si vede, pero’, che il Pd non la pensa in questo modo, dato che ha bocciato il mio emendamento, salvaguardando amici e compari.

“Il Pd tutela il vitalizio di chi si macchia di gravissimi reati, come corruzione e mafia, o l’indennità di chi viene arrestato”. Cosi’ Riccardo Nuti, deputato ex M5S e ora nel gruppo Misto, che si e’ visto bocciare un emendamento alla legge sui vitalizi in commissione Affari Costituzionali, che prevedeva l’abolizione del privilegio per i condannati in via definitiva per corruzione o mafia, e la sospensione per chi invece e’ stato condannato in primo o secondo grado. “Un assurdo privilegio – sostiene – dato che corrotti e mafiosi non dovrebbero ricevere nessun tipo di pensione per aver ricoperto in passato incarichi elettivi pubblici di alcun genere. Si vede, pero’, che il Pd non la pensa in questo modo, dato che ha bocciato il mio emendamento, salvaguardando amici e compari. Come se non bastasse con la collega Claudia Mannino e Giulia Di Vita abbiamo presentato un secondo emendamento per chiedere la sospensione dell’indennità parlamentare per tutti coloro che fossero stati raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere o ai domiciliari autorizzata dal Parlamento. Ma anche qui – accusa – il Pd ha dato il peggio di se’, bocciando anche questo emendamento. Insomma, non c’e’ fine al peggio”.
Secondo il deputato Nuti, “siamo dinanzi, ancora una volta, alla demagogia di questo governo, in perfetto ‘stile Renzi’. Si faranno senz’altro vanto di aver ‘provato’ ad abolire i vitalizi. Ma la realtà, e loro lo sanno, e’ che la legge non verrà mai approvata, dovendo andare ancora al Senato. Intanto, i mafiosi e i corrotti possono gia’ ringraziare chi ha avuto il coraggio e l’indecenza di bocciare questi emendamenti”.

fonte: http://www.corrierequotidiano.it/1.65182/politica/lazio-roma/1097/nuti-pd-tutela-quelli-di-corrotti-e-mafiosi

Diceva un fesso che in questi giorni stiamo ricordando “segui i soldi e troverai la mafia”… Così semplice, ma nessuno capisce. Per esempio l’Isis: incassa 3 mln al giorno per la vendita di petrolio di contrabbando (anche in Europa). Sarebbe semplice bloccare questo flusso per stroncarla, ma…

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Diceva un fesso che in questi giorni stiamo ricordando “segui i soldi e troverai la mafia”… Così semplice, ma nessuno capisce. Per esempio l’Isis: incassa 3 mln al giorno per la vendita di petrolio di contrabbando (anche in Europa). Sarebbe semplice bloccare questo flusso per stroncarla, ma…

 

“L’Isis vende petrolio anche agli europei”
Secondo l’ambasciatrice Ue in Iraq alcuni paesi dell’Unione avrebbero comprato greggio contrabbandato. Dal traffico il Califfato guadagna oltre 3 milioni di dollari al giorno.

Mentre con straordinaria consapevolezza cinematica la coalizione di trenta paesi comincia a bombardare l’Is (Islamic State, come loro si chiamano, Isis come si chiamavano prima e come li chiama ancora chi non vuole riconoscere il loro pseudo stato, Daish come lo chiamano i nemici con un improvvisato acronimo arabo, il Califfato come s’intitolerebbe se fosse un serial tv…) si dice “pronta a tutto per fermarli”. Viene da chiedersi se è proprio così. All’inizio di settembre un alto funzionario europeo ha ammesso che alcuni (non specificati) paesi europei hanno comprato petrolio dall’Is.

Nel prequel della storia, l’allora Isis era armato e aiutato da molti paesi occidentali, dalla Turchia e dai paesi del Golfo. Paul Pillar ha appena spiegato su nationalinterst.org una verità che è stata a lungo davanti agli occhi di chi voleva vedere: che i soldi e le armi inviati a quella fantomatica ed elusiva entità nota come “I ribelli siriani moderati”, finivano immancabilmente nelle mani degli estremisti. Pillar, veterano della Cia e membro della Brooking Institution, ha scritto con grande realismo riguardo all’atteggiamento dell’amministrazione americana: “Non c’è modo di quadrare il cerchio sconfiggendo l’Isis senza aiutare di fatto quello stesso regime siriano che vorremmo abbattere”.

Così ieri è partita la distruzione dell’Is, ma per davvero? Difficilmente i bombardamenti da soli riusciranno a cancellare il regno islamico del Califfo. Servirebbero le truppe di terra ma quelle nessuno vuole mandarle: troppi soldi da sborsare in tempi di crisi cronica, troppe bare da accogliere in tempi di governi impopolari. E poi il ventre molle del “mostro” Is non è la forza militare, è il suo tesoro. Secondo uno studio dell’Iraq Energy Institute il Califfo vende il petrolio dei pozzi confiscati in Siria e in Iraq per 40 dollari al barile al mercato nero. Con 30 mila barili di petrolio al giorno in Iraq e 50 mila in Siria, guadagna 1,2 milioni di dollari al giorno nel primo caso e 2 nel secondo. Fa 97 milioni al mese a cui si devono aggiungere i proventi delle tasse e del pizzo prelevato dalle attività produttive all’interno del Califfato e il grande fiume di dollari che arriva dai finanziatori privati nei paesi del Golfo e probabilmente dalla Turchia.

Colpire il tesoro dell’Is, (“follow the money”) sarebbe probabilmente meno spettacolare dei bombardamenti ma più efficace nell’indebolire gli estremisti, che appartengono alla stessa scuola teologica islamica dell’Arabia Saudita. Gli americani su queste cose li immaginiamo fulminei ed efficienti come in un romanzo di Tom Clancy, e invece vanno al rallentatore. Il New York Times qualche giorno fa raccontava le difficoltà dei funzionari dell’amministrazione Obama nel convincere la Turchia, partner Nato, a smantellare il network del contrabbando di greggio.

Ma dall’Europa sulla testa dell’Is non arrivano soltanto bombe, piovono anche soldi. La signora Jana Hybášková, ceka, ambasciatrice europea in Iraq, ha detto all’inizio di settembre durante un briefing della Commissione Affari Esteri del parlamento europeo che “alcuni paesi europei hanno comprato petrolio dall’Isis”. L’ambasciatrice non ha voluto precisare a quali paesi si riferisse. Dietro al traffico rispunta il nome della Turchia che ospiterebbe la principale rete di contrabbando ma anche quelli della Giordania e del Kurdistan iracheno, peraltro molto legato ad Ankara.

Scandaloso – Sanità, ecco come la Lega Nord riesce a far felice in un colpo solo mafia e CL, il tutto, ovviamente, sulla pelle della Gente!

 

Sanità

 

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Scandaloso – Sanità, ecco come la Lega Nord riesce a far felice in un colpo solo mafia e CL, il tutto, ovviamente, sulla pelle della Gente!

 

Regione Lombardia: sei malato? Non chiamare il medico, ora c’è il gestore

 

Il titolo, purtroppo, non è uno scherzo, ma è quello che sta avvenendo in Regione Lombardia.

Per ora riguarda una sola Regione ma, se dovesse realizzarsi, è probabile che in pochi anni troverà estimatori anche in molte altre parti d’Italia. E’ una vicenda (volutamente) complicata ma proverò a spiegarla nel modo più semplice possibile, convinto che ognuno abbia diritto di essere pienamente informato su quello che riguarda il presente e il futuro della sua salute.

Con due delibere, la n. 6164 del 3 gennaio e la n. 6551 del 4 maggio 2017, la giunta regionale lombarda, senza nemmeno una discussione in Consiglio regionale, sta modificando totalmente l’assistenza sanitaria in Lombardia e cancellando alcuni dei pilastri fondativi della legge di riforma sanitaria la n. 833 del ’78.

La non costituzionalità di tali delibere è stata sollevata attraverso un ricorso al Tar dall’Unione Medici Italiani ed un altro ricorso è in arrivo da Medicina Democratica. Gli Ordini dei medici di Milano e della Lombardia sono insorti: la giunta regionale si è limitata ad inserire qualche modifica di facciata proseguendo a vele spiegate verso una terza delibera attuativa attesa in questi giorni.

La vicenda riguarda, secondo le stime della Regione, circa 3.350.000 cittadini “pazienti cronici e fragili” che sono stati suddivisi in tre livelli a seconda della gravità della loro condizione clinica. Costoro riceveranno in autunno una lettera attraverso la quale la Regione li inviterà a scegliersi un gestore (la delibera usa proprio questo termine) al quale affidare, attraverso un “Patto di Cura”, un atto formale con validità giuridica, la gestione della propria salute. Il gestore potrà essere loro consigliato dal medico di base o scelto autonomamente da uno specifico elenco.

Il gestore, seguendo gli indirizzi dettati dalla Regione, predisporrà il Piano di Assistenza Individuale (Pai) prevedendo le visite, gli esami e gli interventi ritenuti da lui necessari; “il medico di medicina generale (Mmg) può eventualmente integrare il Pai, provvedendo a darne informativa al Gestore, ma non modificarlo essendo il Pai in capo al Gestore”.

La Regione ha individuato 65 malattie, per le quali ha stabilito un corrispettivo economico da attribuire al gestore a secondo della patologia presentata da ogni persona da lui gestita. Se il gestore riuscirà a spendere meno della cifra attribuitagli dalla Regione potrà mantenere per sé una quota dell’avanzo, eventualmente da condividere con il Mmg che ha creato il contatto. Il gestore non deve per forza essere un medico, può essere un ente anche privato e deve avere una precisa conformazione giuridica e societaria e può gestire fino a… 200.000 persone.

E’ facile immaginare che nelle scelte dei gestori conterà maggiormente il possibile guadagno piuttosto che la piena tutela della salute del paziente, il quale potrà cambiare gestore ma solo dopo un anno. Scomparirà ogni personalizzazione del percorso terapeutico e ogni rapporto personale tipico della relazione con il medico curante. Per una società che gestirà 100/200.000 Pai (Piani di Assistenza) ogni cittadino è un numero asettico potenziale produttore di guadagno.

Il Mmg viene quindi privato di qualunque ruolo, sostituito da un manager e da una società; ed è questa una delle ragioni che ha fatto scendere sul piede di guerra i camici bianchi. Se avesse potuto la Lombardia avrebbe cancellato la figura dei Mmg, ma per ora una Regione non può modificare i pilastri di una legge nazionale come la legge 833. Ma all’orizzonte c’è il referendum sull’autonomia regionale voluto dal presidente leghista, un referendum consultivo ma che verrà fortemente enfatizzato. Ci sentiremo dire che l’autonomia da Roma permetterà di rendere pienamente operativa questa “eccellente riforma regionale”. Di bufale sulla sanità ne abbiamo già sentite molte, da Renzi alla Lorenzin e questa non sarà l’ultima.

Una “legge eccezionale”, sosterrà la Regione, perché eviterà che cittadini malati, in maggioranza anziani, debbano impazzire con le ricette, le telefonate interminabili ai centralini regionali per fissare le visite, le code agli sportelli, le liste di attesa ecc. ecc.

La Regione Lombardia non dirà che tutti questi disagi sono stati costruiti ad arte, prima da Roberto Formigoni e poi da Roberto Maroni, per spingere i cittadini verso la sanità privata che li aspetta con gioia per lucrare ulteriormente sulla loro pelle. Se il Tar non cancellerà queste delibere e se le organizzazione della società civile non si ribelleranno è forte il rischio che molti nostri concittadini accetteranno quasi con riconoscenza il piano della Regione; salvo poi accorgersi che ad essere trascurata sarà proprio la loro salute. Ma allora sarà troppo tardi.

Scritto in collaborazione con Albarosa Rai

 

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/15/regione-lombardia-sei-malato-non-chiamare-il-medico-ora-ce-il-gestore/3586471/

Questa è l’Italia – L’autista di Falcone: “Scampato al tritolo di Capaci ma rottamato dalle istituzioni – Il nemico ero diventato io, mi misero a fare fotocopie”…!

Falcone

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Questa è l’Italia – L’autista di Falcone: “Scampato al tritolo di Capaci ma rottamato dalle istituzioni – Il nemico ero diventato io, mi misero a fare fotocopie”…!

 

L’autista di Falcone: “Scampato al tritolo di Capaci ma rottamato dalle istituzioni”

Giuseppe Costanza era con il giudice il 23 maggio 1992, giorno della strage: “Dopo mi misero a fare fotocopie”. In un libro il racconto del suo dramma

di SALVO PALAZZOLO – video di GIORGIO RUTA

“Al risveglio, dopo l’esplosione, pensavo di aver vissuto il giorno più brutto della mia vita, il 23 maggio 1992”. Giuseppe Costanza, l’autista del giudice Giovanni Falcone scampato alla strage di Capaci, scuote la testa. “No, mi sbagliavo. Non era quello il giorno più brutto della mia vita. Restare in vita è stato peggio. Quasi una disgrazia, una condanna. Perché dopo un anno di visite e ospedali, al lavoro non sapevano cosa farsene di me”.

L’uomo sopravvissuto al tritolo della mafia è rimasto schiacciato per anni dalla burocrazia del ministero della Giustizia. “Mi misero a fare fotocopie”, racconta. “Rinchiuso in fondo a un corridoio del palazzo di giustizia di Palermo, dentro un box. Era mortificante dopo otto anni passati in prima linea sempre accanto al giudice Falcone. Mi sentivo rinchiuso in una gabbia, per di più costretto a sopportare il mobbing di un capo ufficio a cui era chiaro che non andavo a genio”. In quei giorni, a Giuseppe Costanza non importava per niente di aver ricevuto una medaglia d’oro al valor civile. Lui voleva solo lavorare. “Non certo come autista – dice – non potevo più farlo, volevo essere assegnato in un ufficio in cui la mia esperienza potesse essere utile. Ad esempio, avrei potuto coordinare il parco auto del tribunale”. Ma gli dissero che era necessaria una qualifica più alta per quel lavoro. E gli spiegarono con pignola precisione burocratica che la promozione per meriti di servizio è prevista solo per il personale militare. “E che cosa ero stato io se non un militare? – sbotta – nell’auto blindata di Giovanni Falcone c’era una radio collegata con la sala operativa della questura, accanto a me c’era il giudice. E alla cintola portavo sempre una pistola con il colpo in canna”.

L’ultimo viaggio di Falcone, l’autista: “Io sopravvissuto alla strage, schiacciato dalla burocrazia” – guarda QUI il video

Venticinque anni dopo la strage di Capaci, l’uomo sopravvissuto a trecento chili di tritolo ha deciso di scrivere un libro per raccontare la sua odissea, prima nei gironi infernali accanto al suo giudice, poi, da solo, negli altri gironi terribili, quelli di una pubblica amministrazione ottusa. Stato di abbandono, si intitola il commuovente libro di Giuseppe Costanza (scritto assieme a Riccardo Tessarini, edizioni Minerva). La storia di un uomo semplice, che pensava di avere già vinto la sua battaglia con la vita, e poi invece scoprì che aveva ancora un altro nemico da sconfiggere. Un esercito di piccoli burocrati. “Dopo anni di lettere, proteste, piccole vittorie e ancora altre umiliazioni, nel 2004 sono stato dispensato dal servizio”, sussurra Costanza, come fosse una sconfitta, che lui continua a non accettare. “Pensavo di poter dare ancora tanto alle istituzioni, pensavo di poter dare un contributo importante nell’organizzazione di un servizio delicato come quello dell’autoparco del tribunale di Palermo, impegnato a stretto contatto con i servizi di scorta. Ma, evidentemente, mi sbagliavo. Mi hanno rottamato”.

Ora Giuseppe Costanza va in giro per le scuole di tutta Italia per parlare del suo giudice e degli anni difficili a Palermo. “C’eravamo sentiti telefonicamente la mattina di quel 23 maggio, per organizzare l’arrivo a Punta Raisi. Alle 17,45 sono all’aeroporto assieme alla scorta. Il giudice ha due borse nelle mani. “Strano”, penso. “Non ha il suo computer”. Lo portava sempre con sé, lo riempiva di annotazioni. Eppure, l’hanno trovato vuoto, ma questo l’ho saputo molto tempo dopo”. È uno dei misteri del 23 maggio, il computer portatile era rimasto nell’ufficio di Falcone, al ministero della Giustizia. “Quel pomeriggio – ricorda Costanza – Falcone è alla guida, accanto c’è la moglie, Francesca Morvillo. Io sono dietro. Gli dico: “Ecco il resto che le dovevo”. Mi aveva chiesto di comprare un cric. Mi guarda, sorride: “Aveva un pensiero – dice – non poteva aspettare più”. Era sereno, Giovanni Falcone, nel suo ultimo viaggio verso Palermo. “La settimana prima mi aveva detto: è fatta, sarò il nuovo procuratore nazionale antimafia. Quel pomeriggio doveva incontrare alcuni suoi colleghi, ma non gli hanno dato il tempo. E ancora mi chiedo chi l’abbia voluto fermare”. Presto, l’auto dell’ultimo viaggio di Falcone tornerà a Palermo. “Verrà sistemata fra i due palazzi di giustizia – spiega Costanza – non possiamo dimenticare”.

 

fonte: http://palermo.repubblica.it/cronaca/2017/04/10/news/l_autista_di_falcone_scampato_al_tritolo_di_capaci_ma_rottamato_dalle_istituzioni_-162606663/

Il condannato Berlusconi torna in campo e, come al solito, torna a circondarsi di gente degna: il Senatore D’Alì salvato per PRESCRIZIONE dal concorso esterno alla MAFIA? Subito una poltrona da Sindaco a Trapani!!

Berlusconi

 

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Il condannato Berlusconi torna in campo e, come al solito, torna a circondarsi di gente degna: il Senatore D’Alì salvato per PRESCRIZIONE dal concorso esterno alla MAFIA? Subito una poltrona da Sindaco a Trapani!!

 

Nel settembre del 2016 la corte d’appello di Palermo ha confermato l’assoluzione in primo grado, dichiarando prescritte le accuse per le contestazioni precedenti al gennaio del 1994, nei confronti dell’esponente di Forza Italia. In attesa della Cassazione l’ex sottosegretario all’Interno si candida come primo cittadino nella sua città. Nelle motivazioni del processo di secondo grado i giudici spiegano che “le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia hanno confermato la piena disponibilità di D’Alì nei confronti dei massimi esponenti di Cosa nostra trapanese”

Per la corte d’appello di Palermo ha contribuito al rafforzamento di Cosa nostra almeno fino al 1994. E lo ha fatto “con coscienza e volontà“. Una serie di collaboratori di giustizia, invece, parlano della sua “piena disponibilità nei confronti dei massimi esponenti della mafia trapanese”. Una disponibilità che non è legata ad alcun patto siglato con i padrini, i quali, in ogni caso, gli hanno dato il loro “appoggio elettorale” ai tempi della prima candidatura al Senato.

Il tempo, però, deve essere alleato di Antonio D’Alì, senatore di Forza Italia da ventidue anni, lungamente accusato dai magistrati di concorso esterno a Cosa nostra. È il tempo che ha garantito all’ex sottosegretario all’Interno di mettersi in salvo dall’eventuale condanna a 7 anni e 4 mesi chiesta dalla procura generale di Palermo. E infatti nel settembre del 2016 i giudici della corte d’appello del capoluogo siciliano hanno confermato quanto già deciso dai colleghi del primo grado: D’Alì va prescritto per i fatti precedenti al gennaio del 1994, assolto per quelli successivi. Una situazione processuale sulla quale adesso dovrà esprimersi la corte di Cassazione, alla quale la procura generale del capoluogo siciliano ha fatto ricorso.

Trapani, città berlusconiana – Nel frattempo, però, il senatore ha deciso di dare una scossa alla sua vita politica: si è candidato sindaco della sua città in vista delle elezioni amministrative del giugno prossimo. La notizia era nell’aria da settimane, anzi mesi. Si rincorreva inafferrabile tra i vicoli che dal porto s’infilano verso il centro storico, spinta da un vento che da queste parti soffia da due mari. E alla fine è proprio da un hotel sul lungomare che quella voce ha acquistato i crismi dell’ufficialità. “Trapani è ferma da dieci anni“, ha sentenziato il senatore di Forza Italia, presentando la sua candidatura. E sorvolando su un fatto fondamentale: Trapani, la città ferma da dieci anni, è amministrata dal partito di D’Alì da venti. Prima con una coalizione di centrodestra, poi con i due mandati del suo ex sodale Girolamo Fazio (candidato a sua volta dopo 5 anni di stop), quindi con l’attuale sindaco Vito Damiano. A scegliere, appoggiare e infine bruciare ogni primo cittadino era sempre lui: Antonio D’Alì, l’amico di Silvio Berlusconi tornato alla base dopo un rapido tradimento al seguito di Angelino Alfano.

Il senatore scende in campo – “Trapani è ferma da dieci anni da quando in città portammo l’America’s Cup. Quell’evento avrebbe dovuto rappresentare un punto di partenza e invece la città è ferma da allora”, insiste su livesicilia.it il senatore, il portamento tipico di chi in Sicilia viene da una nobile famiglia e un volto ben rasato orfano della storica barbetta ben curata. L’ha tagliata definitivamente nel 2013: un fioretto da onorare in caso di assoluzione, aveva detto. E in effetti il parlamentare siciliano dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa è stato assolto. Solo per il periodo successivo al gennaio del 1994, però. Perché per il periodo precedente, i giudici parlano di una “accertata condotta illecita“. “Visto che la Cassazione dovrà esprimersi soltanto sulla legittimità delle sentenze, vorrei sottolineare che per tutto il periodo che va dal 1994 in poi, non è stata trovata alcuna prova reale a carico del senatore. Lui evidentemente ritiene di avere la coscienza pulita: per questo si candida”, dice l’avvocato Gino Bosco, legale di D’Alì. E per il periodo precedente, invece, quello sui cui è scattata la prescrizione? “L’unico fatto riconosciuto a D’Alì – continua l’avvocato – è lontano nel tempo ed è stato ricostruito soprattutto grazie alla nostra attività difensiva. La corte gli ha dato un’interpretazione assolutamente diversa da quella nostra, ma riconosco che quando certi cognomi vengono pronunciati in un’aula di giustizia i magistrati possano dargli un valore che magari in altri contesti non avrebbero”.

Il terreno di Riina e quella vendita fittizia –  A quali cognomi si riferisce l’avvocato? Sono i magistrati della corte d’appello di Palermo a spiegarlo nelle motivazioni della sentenza depositate nel dicembre del 2016. “È provato nel presente procedimento che Matteo Messina Denaro predispose e tradusse in atto un’operazione volta a far conseguire la titolarità del fondo sito in contrada Zangara a Francesco Geraci, nonostante reale proprietario ne fosse il Riina. Necessità di creare una provvista che potesse giustificare l’acquisto da parte dello stesso Francesco Geraci”, annotano i giudici Daniela Borsellino, Enzo Agate e Michele Calvisi. In pratica Messina Denaro voleva donare a Riina un terreno in contrada Zangara, di proprietà della famiglia D’Alì. Lo stesso fondo dove suo padre – lo storico boss di Castelvetrano, Francesco Messina Denaro – lavorava come campiere. Solo che per evitare possibili futuri sequestri ai danni di Riina, l’ultima primula rossa di Cosa nostra chiese ad uno dei suoi fedelissimi, in quel momento incensurato, di acquistare formalmente quel terreno da D’Alì. Si trattava, però, di un acquisto fasullo visto che – per i giudici – il futuro senatore restituì poi ai mafiosi i soldi incassati dalla cessione del terreno.

“Agì in maniera cosciente e volontaria” – “D’Alì – spiegano i giudici – acconsentì ad operare il trasferimento fittizio del bene senza mai relazionarsi con Francesco Geraci essendo ben consapevole che si trattasse soltanto di un prestanome e si fece trovare pronto a restituire il denaro in prima persona o per il tramite del fratello, ogniqualvolta Matteo Messina Denaro invitò gli stessi Geraci a presentarsi presso la Banca Sicula. L’anomalia di queste restituzioni dimostra che Antonio D’Alì agì in maniera cosciente e volontaria, comprendendo che il proprio fatto era volto alla realizzazione dell’operazione architettata dai massimi esponenti di Cosa nostra e volendovi prestare il proprio contributo”.

I voti per il senatore – Una vicenda, quella della cessione fasulla del terreno, che per i magistrati è “la cartina di tornasole del rapporto, ritenuto comprovato dal primo giudice, intrattenuto dall’imputato con i vertici dell’associazione mafiosa almeno fino al 1994 essendo stato lo stesso ampiamente illustrato dalle concordi dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia che hanno confermato la piena disponibilità di D’Alì nei confronti dei massimi esponenti di Cosa nostra trapanese, che gli consenti, peraltro di ottenere dagli stessi l’appoggio elettorale in occasione delle consultazioni del 1994, quando venne eletto senatore”.

E la piovra votò Forza Italia – Nelle 65 pagine di motivazioni della sentenza d’appello, poi, i giudici ricordano le dichiarazioni di Tullio Cannella, “il quale ha espressamente affermato che Vincenzo Virga (il boss mafioso di Trapani, ndr) aveva dapprima indicato Antonio D’Alì tra le persone da coinvolgere nella nascita di Sicilia Libera“, e cioè il partito direttamente emanazione di Cosa nostra ideato da Leoluca Bagarella. Poi dopo il fallimento del progetto di Sicilia Libera, “sempre Virga decise di convogliare i propri voti su Forza Italia, rendendo evidente l’appoggio elettorale che poi l’imputato ricevette una volta inserito in lista per l’elezione al Senato. Tanto è vero che tale appoggio è coerente pure con quanto affermato da Vincenzo Sinacori e Antonio Giuffrè, i quali hanno dato atto in quegli anni del rapporto fiduciario instaurato da D’Alì con i massimi esponenti di Cosa nostra”.

I D’Alì e i Messina Denaro – Nelle carte un passaggio è dedicato alle dichiarazioni di Maria Antonietta Aula, l’ex moglie del senatore che aveva raccontato al Fatto Quotidiano dei rapporti tra i marito e la famiglia Messina Denaro, ritenuta però inattendibile dai giudici del processo di primo grado. “La deposizione della Aula è stata improntata alla massima genuinità e lealtà, non potendosi condividere il giudizio di inattendibilità espresso dal primo giudice, per le discrasie rilevate con altre fonti di prova che appaiono, invero, di scarsa rilevanza processuale”, scrivono invece i magistrati della corte d’appello. I quali poi ripercorrono i passaggi fondamentali dei ricordi della Aula. “Quando si sposò Rosalia, figlia di Francesco Messina Denaro, con Filippo Guttadauro (noto esponente dell’associazione mafiosa), Antonio D’Alì e la Aula (ancora fidanzati) presenziarono, mentre al matrimonio della Aula e dell’imputato la famiglia Messina Denaro e i coniugi Guttadauro non furono invitati ma fecero pervenire ugualmente un regalo ed, in occasione della morte del padre della Aula, i predetti inviarono un telegramma di condoglianze”.

I voti della mafia non sono reato –  Solo che dopo l’episodio della falsa vendita del terreno di D’Alì agli uomini di Cosa nostra i giudici non hanno riscontrato più alcun reato. “L’accertata condotta illecita posta in essere dall’imputato in occasione della compravendita del fondo non risulta seguita da alcuna condotta che possa essere significativamente assunta come sintomatica della volontà dell’imputato di permanere, sia pure come extraneus, nell’associazione mafiosa, fornendo un contributo al rafforzamento della stessa”. Neanche l’appoggio elettorale “fornito all’imputato dall’associazione mafiosa in occasione delle elezioni al Senato del 1994, anche in considerazione della preponderante vittoria delle forze politiche di centrodestra non assurge di per sé ad elemento sintomatico di un patto elettorale politico-mafioso che consentisse, da un canto, all’odierno imputato di raggiungere lo scranno del Senato attraverso l’appoggio degli esponenti di Cosa nostra”. Come dire: visto che i berlusconiani presero una valanga di voti, D’Alì non aveva bisogno di siglare un patto con i mafiosi, che lo votarono di loro spontanea volontà.

Prescritto e innocente – Poi dopo l’elezione a Palazzo Madama nel 1994, “appoggiata elettoralmente dall’associazione mafiosa”, per i giudici non è provato che D’Alì continuò ad avere dei legami con Cosa nostra, dopo la sua entrata in Senato. “Le condotte oggetto di contestazione non risultano essere compiutamente comprovate per mancanza di adeguati e specifici riscontri, negli interventi fatti da D’Alì, nella sua veste istituzionale, successivamente al 1994 appare difficile ipotizzare che lo stesso abbia inteso avvantaggiare l’associazione mafiosa piuttosto che taluni imprenditori che soltanto in epoca successiva sono stati condannati per associazione mafiosa”. È per questo motivo che D’Alì è stato assolto. E adesso si candida a guidare la sua città.

 

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04/11/trapani-il-senatore-dali-candidato-sindaco-dopo-prescrizione-per-concorso-esterno-rafforzava-la-mafia-fino-al-1994/3493540/

Bagheria, i boss rinunciarono agli appalti: “il sindaco è inavvicinabile” …ma capita solo se il “Sindaco” è cinquestelle!!!

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Bagheria, i boss rinunciarono agli appalti: “il sindaco è inavvicinabile” …ma capita solo se il “Sindaco” è cinquestelle !!!

Lo leggiamo nientepopodimeno che su La Repubblica:

Bagheria, “il sindaco è inavvicinabile”. E i boss rinunciarono agli appalti

«Il sindaco grillino di Bagheria era inavvicinabile, per questa ragione la famiglia mafiosa aveva deciso di non occuparsi più di appalti al Comune ». L’ultimo pentito di Cosa nostra, Pasquale Di Salvo, l’ex poliziotto della scorta del giudice Falcone diventato imprenditore di mafia, depone in trasferta al processo “Panta Rei”, a Milano. Racconta di aver fatto parte della famiglia mafiosa di Bagheria, parla degli affari conclusi col Comune nel settore dei rifiuti. «Ma negli anni scorsi», precisa. «Con l’arrivo di Patrizio Cinque la situazione era cambiata, perché era davvero inavvicinabile. Io avevo da riscuotere un credito lecito nei confronti del Comune, neanche quello fu possibile recuperare».
Di Salvo parla anche di estorsioni. Spiega che i supermercati Conad di Bagheria, ma anche quelli di Palermo, sono «messi a posto» con i clan, ovvero pagano il pizzo. In tempi di crisi per l’organizzazione mafiosa, sempre alla ricerca di liquidità per sostenere le famiglie dei detenuti, il clan di Bagheria aveva intensificato l’imposizione dei ricatti. Un gran lavoro per il clan: «Eravamo rimasti in tre al vertice», aggiunge Di Salvo. «Io, Nicola Testa e Carmelo D’Amico». I blitz dei carabinieri del comando provinciale avevano falcidiato le fila dell’organizzazione.

Di Salvo è finito in manette nell’ambito dell’ultima operazione disposta dalla direzione distrettuale antimafia, nel dicembre del 2015. Assieme a lui, 37 presunti mafiosi di Palermo centro e Bagheria. Adesso, nell’aula bunker dell’Ucciardone è in corso il rito abbreviato per molti degli indagati, davanti al giudice Nicola Aiello. A Milano, le sostitute procuratrici Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco hanno citato anche l’ex boss del Borgo Vecchio Giuseppe Tantillo, pure lui oggi collaboratore di giustizia. Conferma le accuse contro la moglie del boss Tommaso Lo Presti, Teresa Marino, addetta a risistemare le finanze in crisi del clan di Porta Nuova.

Tantillo racconta anche di essere stato investito di un compito molto particolare, quello di rimproverare alcuni ultras del Borgo Vecchio che a detta di qualcuno «si comportavano male sugli spalti con le tifoserie di altri quartieri». Una questione che stava per degenerare, fu necessario l’intervento di un esponente mafioso come Tantillo per riportare ordine.
Anche Repubblica, ferocemente antigrillina, deve ammettere quest’altro grande segnale dei cinquestelle…
Nemici della Mafia …mentre i comuni retti dal Pd e dalle forze di destra sono commissariati per collusione…!