Aborto farmacologico, niente day hospital, ma tre, inutili strumentali giorni di ricovero per torturare fisicamente e psicologicamente le richiedenti. No, non è l’Inquisizione del medio evo, è la lega in Umbria… E voi donne, continuate a votare leva, vi raccomando!

 

Aborto

 

 

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Aborto farmacologico, niente day hospital, ma tre, inutili strumentali giorni di ricovero per torturare fisicamente e psicologicamente le richiedenti. No, non è l’Inquisizione del medio evo, è la lega in Umbria… E voi donne, continuate a votare leva, vi raccomando!

In un momento storico in cui si sta cercando di ridurre al minimo la pressione sugli ospedali e si è spiegato alle persone che più ce ne si tiene alla larga meglio è, la giunta di centrodestra a trazione leghista dell’Umbria ha deciso: le donne, per esercitare un loro diritto fondamentale quale è l’aborto, non potranno più usufruire del day hospital o del domicilio, ma dovranno affrontare tre giorni di ricovero. La presidente Donatella Tesei (lega, ovviamente) e la sua maggioranza hanno infatti abrogato la delibera della giunta precedente di centrosinistra, prendendosi il plauso dell’associazione Family Day dell’Umbria e dall’Associazione famiglie numerose, ma sollevando le critiche di realtà ben più competenti sul tema come la Società italiana di ginecologia e ostetricia.

La legge 194 in realtà prevede che l’aborto debba essere effettuato dietro ricovero ospedaliero ma dal 2009 si dà potere alle regioni di disciplinare la materia in modo autonomo, per costruire percorsi più idonei e rispettosi della libertà e dell’autodeterminazione delle donne. Oggi l’Umbria va però nella direzione opposta, giustificando il tutto con la volontà di “prendersi cura” e “sostenere” la donna, ma nella realtà mettendo quest’ultima in una condizione tutto tranne che ottimale.

Innanzitutto, c’è il fatto che se l’aborto può essere vissuto in modo più o meno traumatico a seconda del soggetto, di sicuro a livello di trauma c’è un ricovero forzato e inutile di più giorni quando tutto potrebbe risolversi in poche ore. Un elemento che peraltro erode la privacy della persona: la vita di tutti i giorni, il lavoro, le relazioni familiari difficilmente potranno essere tenute fuori da un pernottamento ospedaliero di questo tipo. L’interruzione di gravidanza si trasforma allora da fatto personale a pratica di dominio pubblico, da raccontare, da giustificare, da motivare nel dettaglio.

Che tutto questo avvenga poi in un momento di emergenza sanitaria, quando gli ospedali hanno già i loro problemi e quando il rischio di contagiarsi al loro interno è sicuramente più alto quanto più li si frequenta, rende la decisione umbra ancora più assurda. Nei mesi della pandemia la scelta più logica sarebbe dovuta essere quella di incentivare l’aborto farmacologico a domicilio, per tutelare realmente la donna ma anche il sistema sanitario stesso. Che la giunta di Tesei vada nella direzione opposta proprio ora, obbligando una donna a trascorrere più giorni in ospedale, suona come un deterrente all’aborto più che come una forma di supporto alla persona. D’altronde, in molte zone d’Italia si sono registrati in questi mesi crescite importanti di decessi anche non per coronavirus e la spiegazione che si è data, tra le altre, è stata la seguente: “paura di andare in ospedale”. Un sentimento che potrebbe riguardare anche chi volesse sottoporsi a un’interruzione di gravidanza, un’ansia amplificata dalla nuova linea umbra, che potrebbe spingere molte donne a tirarsi indietro non per una riflessione sulla gravidanza, ma sulle modalità di interruzione.-

Ma in generale, al di là della privacy o dei rischi sanitari, il problema, ancora una volta quando si parla di aborto, è sempre lo stesso. La pretesa di certa politica di decidere cosa sia giusto o sbagliato per le donne, di sentenziare sul loro corpo, di stabilire in che modo tutelare la persona senza realmente tenere in considerazione le necessità di quest’ultima. Ma soprattutto, la volontà di rendere a tutti i costi l’interruzione di gravidanza un momento doloroso, difficile, cosa ben rappresentata dai tre giorni di ricovero inutili ma necessari nella logica del centrodestra umbro, come sorta di colpa da espiare, in forma di detenzione, nell’etica retrograda dei fan del family day.

Tutto questo avviene peraltro in una regione che già non se la passava bene sull’argomento. In Umbria il 66% dei medici sono obiettori di coscienza e questo ha contribuito a un calo degli aborti nel corso degli anni. Piuttosto che intervenire su questo punto, eliminando gli ostacoli all’esercizio di un diritto sacrosanto, la giunta di centrodestra ha preferito metterne degli altri, rendendo ancora più difficile per le donne locali di decidere liberamente per il proprio corpo.

Fora donne votate lega, torniamo tutti nel medio evo…

Aborto farmacologico, Michela Murgia demolisce in diretta la governatrice leghista dell’Umbria Tesei

Non accennano a placarsi le polemiche sulla decisione dell’Umbria di cancellare la possibilità di ricorrere all’aborto farmacologico in day hospital, obbligando le donne al ricovero per tre giorni: l’ultima a parlarne, in ordine di tempo, è stata Michela Murgia che durante il Tg Zero su Radio Capital ha attaccato in diretta la governatrice leghista Donatella Tesei, collegata telefonicamente.

La presidente dell’Umbria, incalzata sulle polemiche generate dalla delibera della Giunta regionale dell’11 giugno, ha dichiarato che si è trattato di una scelta “per tutelare la salute della donna, perché comunque un’interruzione di gravidanza presenta dei rischi e la salute va tutelata prima e al di sopra di tutto”. A quel punto, Murgia ha chiesto a Tesei se ci sono evidenze “di donne che sono state male o che sono morte a casa perché non facevano il ricovero”. La governatrice ha detto di no, ma ha sottolineato che è una legge nazionale a chiedere il ricovero di tre giorni in caso di ricorso alla pillola abortiva. “E’ solo un consiglio – è intervenuta allora la conduttrice – mentre la Società di Ostetricia e Ginecologia consiglia il day hospital. Perché avete pensato che possa essere più tutelata la salute se mi avete detto che non ci sono evidenze del fatto che la donna corra più rischi a casa?”.

Murgia ha continuato a elencare i motivi per cui sarebbe meglio ripristinare anche in Umbria la possibilità di ricorrere all’aborto farmacologico in day hospital: “Ci sono situazioni – ha detto – in cui tre giorni di ricovero non sono possibili per prendere la pillola abortiva: ragazze rimaste incinte che non vogliono dirlo ai genitori, situazioni in cui il partner interferisce. Questa delibera limita la libertà di scelta delle donne. Lei crede che una donna non sia in grado di autodeterminarsi e di tutelare la propria salute in autonomia?”.

La discussione tra la conduttrice e la governatrice dell’Umbria è andata così avanti, con la prima che riportava le dichiarazioni degli specialisti e la seconda che invece giustificava l’azione della Regione sottolineando che la delibera è in linea con la legge nazionale. Ciò che è certo è che da ormai tre giorni, sui social e nei programmi radiotelevisivi non si fa che parlare d’altro: la procedura di somministrazione di Ru486 può essere fatta in day hospital o è meglio, come ha stabilito l’Umbria, un ricovero di tre giorni? Nel frattempo, il ministro della Salute Roberto Speranza ha chiesto un nuovo parere sulla questione al Consiglio superiore di sanità.

 

L’armata di burocrati raccomandati dalla Lega che controlla la sanità in Lombardia – I fedelissimi di Salvini ed i protetti di Fontana, Galli e di politici condannati per corruzione. L’antimafia svela le obbedienze politiche dei manager nella Regione travolta dall’emergenza…

 

Lombardia

 

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L’armata di burocrati raccomandati dalla Lega che controlla la sanità in Lombardia – I fedelissimi di Salvini ed i protetti di Fontana, Galli e di politici condannati per corruzione. L’antimafia svela le obbedienze politiche dei manager nella Regione travolta dall’emergenza…

Da L’Espresso:

Bravissimi, capacissimi, veri tecnici preparati e indipendenti? Grandi medici, ottimi manager o magari scienziati impermeabili alle pressioni politiche? No: fedelissimi della Lega. Anzi, dei capi-partito nazionali e regionali: Matteo Salvini, il governatore Attilio Fontana e il suo assessore Stefano Galli.

La Lombardia ha affrontato l’emergenza coronavirus con una classe dirigente sanitaria totalmente lottizzata dalla politica. La regione più colpita dall’epidemia rappresenta un caso da manuale di spartizione degli ospedali tra i partiti al potere. Medici, infermieri e operatori sanitari, gli eroi dei nostri giorni stremati dai sacrifici e falcidiati dal virus, sono lavoratori dipendenti e devono obbedire a loro: i direttori di nomina politica da oltre 10 mila euro netti al mese. E in Lombardia li comanda la Lega, che da anni controlla 24 delle 40 poltrone di vertice di un sistema sanitario regionale che ai cittadini costa 20 miliardi all’anno.

Tutti i particolari sulla lottizzazione degli ospedali sono scritti nero su bianco in un documento riservato, sequestrato dai magistrati antimafia di Milano cinque anni fa, recuperato dall’Espresso e finora mai pubblicato integralmente: la lista riservata dei direttori della sanità lombarda con la targa della Lega. Una specie di manuale Cencelli applicato agli ospedali e alle Asl, con nomi, cariche e sponsor politici. Rispetto alle normali mappe dei manager lottizzati, ricostruite in questi anni dai cronisti lombardi dopo ogni tornata di nomine, l’elenco confiscato ha diverse particolarità: è un documento interno alla Lega, scritto a mano per non lasciare tracce nei computer, e non si limita a indicare che il dirigente sanitario è stato scelto dal partito, ma specifica anche il suo padrino politico. La lista è ancora attualissima: la sanità lombarda è tuttora in mano a decine di questi direttori etichettati da anni come fedelissimi di Salvini o di altri big della Lega.

Uno dei manager più importanti è Marco Onofri, l’affermato cardiologo varesino che il governatore Fontana ha promosso dal gennaio 2019 a capo dell’Acss, l’agenzia di controllo di tutta la sanità lombarda. Cioè degli ispettori e tecnici responsabili della vigilanza e del coordinamento tra ospedali: compiti cruciali soprattutto in situazioni di emergenza. Nella lista dei lottizzati sequestrata nel 2015, Onofri compare con l’incarico dell’epoca, numero uno dell’azienda ospedaliera di Como, e come sponsor politico ha il «gruppo di Varese» della Lega, capeggiato proprio dall’allora sindaco Fontana. Che nel 2018 è diventato presidente della regione, ed è rimasto il suo santo protettore. Come raccontano le confidenze intercettate dall’antimafia di Milano, ancora una volta, nell’inchiesta che nel 2019 ha portato in carcere Nino Caianiello, l’eminenza grigia di Forza Italia a Varese, già allora pregiudicato per tangenti. Quando il governatore leghista gli anticipa che vuole promuovere proprio il dottor Onofri alla direzione centrale del sistema sanitario lombardo, è Caianiello a fargli cambiare idea: «Mettilo a fare il responsabile dell’agenzia del controllo. Onofri è un amico, persona competente… Ma tu alla sanità hai bisogno di uno tonico». Profezia avverata.

Come «fedelissimo di Salvini», nella lista leghista, è etichettato Walter Locatelli, che vent’anni fa fece il suo primo balzo da perito chimico responsabile del laboratorio di Treviglio, a direttore generale di Asl, da Lecco a Milano. Dopo un’irresistibile carriera in Lombardia, oggi Locatelli è il commissario straordinario del sistema sanitario della Liguria con il governatore di centrodestra Giovanni Toti.

Mara Azzi, per anni a capo dell’agenzia per la salute (Ats) di Bergamo, dal 2019 siede sulla poltrona di direttore generale a Pavia. Già nel 2012, intervistata dalla Gazzetta di Mantova, aveva ammesso: «Sì, sono in carico alla Lega Nord, punto e a capo». Nella lista sequestrata nel 2015 è però associata a due sponsor: «Stefano Galli e Lucchina». Il primo, professore e ideologo della Lega, era il capogruppo regionale del partito sotto il governatore Roberto Maroni: oggi, con Salvini leader, è l’assessore all’Autonomia della giunta Fontana. Che gli ha riconfermato fiducia anche dopo il coinvolgimento nell’inchiesta di Genova che più imbarazza la Lega: Galli, che respinge ogni accusa, figura infatti tra gli indagati per la sparizione di 46 dei 49 milioni della famosa truffa dei rimborsi elettorali dell’era Bossi. Il secondo, Claudio Lucchina, era il direttore generale di tutta la sanità lombarda sotto Roberto Formigoni, governatore ciellino per vent’anni, poi condannato per corruzioni milionarie in cambio di sussidi pubblici a due ospedali privati. In questi mesi difficili Mara Azzi ha difeso fino all’ultimo la linea lombarda sugli ospizi, da lei stessa illustrata il 26 marzo scorso ai preoccupati cronisti della Provincia Pavese: «Per gli ospiti delle residenze per anziani non sono previsti tamponi».

Il manuale della lottizzazione leghista collega al professore e assessore Galli, con una vistosa freccia, anche il manager Mauro Borelli, già direttore generale a Mantova. Dove si era segnalato per le sue richieste di donazioni alla Lega spedite su carta intestata dell’azienda sanitaria. Oggi Borelli è il responsabile degli ospedali bresciani di Chiari, Iseo, Rovato, Palazzolo e Orzinuovi, dove il virus ha fatto strage.

La genesi del sequestro giudiziario di questa mappa dei lottizzati è inquietante, ma a suo modo istruttiva: se la sanità è dominata da una politica predatoria, anche la corruzione e perfino la mafia possono entrare negli ospedali. In Lombardia lo si scopre nell’estate 2010, con la clamorosa retata (304 arresti tra Milano e Reggio Calabria) che porta in carcere anche il dottor Carlo Chiriaco: un complice della ’ndrangheta diventato direttore sanitario dell’Asl di Pavia, una capitale scientifica della medicina italiana. Da quella maxi-inchiesta partono molte altre indagini concatenate, che durano anni e svelano le tangenti dell’Expo di Milano e svariate corruzioni negli ospedali lombardi. Finché nel 2015, perquisendo un manager di comprovata fede leghista, l’antimafia trova la lista dei lottizzati. Scritta a mano, in stampatello, ma conservata accanto a un documento originale del “comitato ristretto” dell’assessorato alla Sanità: le “pagelle” dei direttori generali, con i punteggi per distribuire i bonus. Ma anche qui c’è un’aggiunta a penna: accanto a ogni nome c’è la sigla di un partito, Lega o Pdl. Unica eccezione, un tecnico di area Pd, prontamente silurato.

Dopo quella perquisizione, mentre l’Espresso pubblica le prime parziali indiscrezioni, nella sanità lombarda sembra cambiare tutto. Le indagini su Formigoni spezzano il ventennale predominio ciellino. E la Lega di Maroni annuncia una riforma della sanità. Basta raccomandati di partito, basta lottizzazioni: i direttori generali vanno selezionati «per merito e professionalità», con prove scritte e bocciature eccellenti. Nel gennaio 2016, però, una manina rimasta anonima rovina tutto: sul sito dell’agenzia regionale Arca viene pubblicato «per errore» l’elenco dei direttori generali appena nominati, con le bandiere dei partiti di riferimento. Quella mappa, pubblicata da Il Fatto Quotidiano, riconferma il manuale leghista, con qualche aggiunta: altri manager sono saliti sul carro della Lega.

L’esempio più vistoso interessa il primo ospedale milanese per le malattie infettive. Nella lista sequestrata nel 2015, che riportava i nominati del 2013, il nome di Alessandro Visconti, allora direttore dell’Icp-Mangiagalli, era associato a due sponsor: il ciellino Lucchina e il berlusconiano Gianstefano Frigerio. Un politico lombardo pluri-condannato come tesoriere di Tangentopoli per la Dc, poi eletto parlamentare con Forza Italia, quindi riarrestato e ricondannato per le tangenti dell’Expo. Già nella mappa del 2016, però, sul nome di Visconti sventola la bandiera della Lega, che lo ha portato in Regione come direttore della «programmazione strategica». Una bella carriera, per un manager che fino a pochi anni prima, come mostra il suo curriculum, si occupava di tutto fuorché di sanità: antifurti per automobili, compagnie aeree, ingegneria oleodinamica, valvole a sfera e calzature. Oggi Visconti, anche lui varesino, è da tre anni il numero uno degli ospedali milanesi Sacco, Buzzi e Fatenebenefratelli. Il Sacco, con l’istituto Spallanzani di Roma, è uno dei centri nazionali di riferimento per il Covid-19.

Con l’ultima tornata di nomine, decise nel dicembre 2018, la Lega ha conquistato 24 poltrone su 40, lasciandone solo 14 a Cl e Forza Italia, 2 a Fratelli d’Italia. E ha fatto nuovi acquisti. Come Walter Bergamaschi, nominato direttore dell’Ats di Milano, che comprende anche Lodi, dopo aver gestito la centrale regionale con Maroni. A Cremona, da Lodi, è arrivato Giuseppe Rossi, che non pubblica un curriculum aggiornato, ma ha un passato di ingegnere meccanico e chitarrista della band di Maroni. In un’altra provincia martoriata dal virus la Lega oggi schiera Claudio Sileo, promosso al vertice dell’Ats di Brescia grazie ai meriti acquisiti nella gestione del Pio Albergo Trivulzio.

Altri manager inseriti nella lista dei lottizzati del 2013-2015, invece, sono passati alla sanità privata. Danilo Gariboldi, ad esempio, era il direttore dell’ospedale bresciano di Chiari, accreditato come «fedelissimo di Salvini e Bruno Caparini», il grande amico di Umberto Bossi che è padre di Davide, per anni parlamentare e attuale assessore lombardo all’economia. Oggi Gariboldi è il vicedirettore sanitario della rinomata casa di cura privata La Madonnina di Milano. Mentre Gilberto Compagnoni, dopo aver diretto l’Asl di Cremona, sfidando le polemiche per le consulenze esterne da 250 mila euro affidate alla società informatica di Luca Morisi (lo spin doctor della propaganda su internet di Matteo Salvini), ora è il direttore sanitario dell’ospedale privato di Volta Mantovana.

Ma c’è anche chi è partito dagli ospedali lombardi per salire ancora più in alto. Cristina Cantù, immortalata nell’elenco del 2013-2015 come «fedelissima di Salvini e Maroni», ha diretto le Asl di Milano e Monza, diventando anche assessore alla Famiglia della giunta Maroni, che le ha dato pure la delega alle Pari opportunità, regalandole per alcuni mesi l’ebbrezza del triplo incarico. Eletta senatrice della Lega, è stata sottosegretario alla salute con il primo governo Conte. E oggi è vicepresidente della commissione sanità del Senato. Di salute, in effetti, se ne intende: nel 2015 ha cumulato le poltrone di manager a Monza e di responsabile dell’ufficio contratti del più famoso ospizio milanese, il Pio Albergo Trivulzio, carica mantenuta fino all’aprile 2019. La casa di riposo dove era nata Tangentopoli. E in questi mesi, sfortunatamente, è diventata il simbolo della catastrofe sanitaria in Lombardia.

fonte: https://m.espresso.repubblica.it/plus/articoli/2020/05/08/news/sanita-lombardia-lottizzata-1.348026?ncid=fcbklnkithpmg00000001&ref=fbph&fbclid=IwAR1i2wNmurPu1LbaBh6yJPXBvWJJlMsE356qweEScXYqvpXkbz4eSxKBkTI

L’assessore leghista Alessandro Coco: “Gli antifascisti sono delle m…., bisogna sparare ad altezza d’uomo contro chi protesta per l’uccisione di George Floyd”. Senza commenti!

 

 

Alessandro Coco

 

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L’assessore leghista Alessandro Coco: “Gli antifascisti sono delle m…., bisogna sparare ad altezza d’uomo contro chi protesta per l’uccisione di George Floyd”. Senza commenti!

Bufera sul leader leghista nel Catanese: “Gli antifascisti? Bisogna sparare”

L’affondo su Facebook del commissario del Carroccio ad Acireale. Pd all’attacco: “Si dimetta”

“Gli antifa sono mer…, negli Usa come Italia. Spero che Trump abbia il coraggio di trattarli come meritano, facendo sparare”. Ad Acireale, un grosso centro in provincia di Catania, è bufera sul consigliere comunale e commissario cittadino della Lega Alessandro Coco: in un commento pubblicato su Facebook, l’esponente del Carroccio ha scritto duri insulti contro gli antifascisti, augurandosi una repressione nel sangue delle proteste contro l’uccisione di George Floyd.

Il caso è stato sollevato dalla sezione locale del Partito democratico: “Commentando le proteste che in questi giorni stanno investendo gli Stati Uniti a seguito dell’omicidio di George Perry Floyd, brutalmente assassinato da un agente di polizia – scrivono il segretario Francesco Licciardello e alcuni esponenti della sua segreteria – si lascia andare al suo peggiore repertorio, mostrando la vera natura illiberale del suo pensiero quando auspica che le proteste dei movimenti americani vengano soffocate nel sangue. Sentire un qualsiasi cittadino esprimersi con questo gergo sarebbe inaccettabile, pensare che a tenere toni ed atteggiamenti simili sia un esponente delle istituzioni risulta insopportabile”. Il Partito democratico chiede dunque all’esponente leghista – eletto due anni fa con una lista civica dopo un passato nel Fronte della Gioventù e nel frattempo transitato sotto le insegne lumbard – di “ritirare quanto scritto, scusarsi con la città e magari, in un sussulto di dignità, rassegnare le dimissioni preservando il prestigio dell’istituzione e della città che rappresenta”. Poi Coco ha pubblicato, ancora su Facebook, una precisazione: “Chiedo scusa a tutti per le mie parole, assolutamente eccessive e inopportune – ha scritto – ero particolarmente scosso dalle notizie che arrivano dai miei amici e parenti negli Usa”. Con una postilla che peggiora la situazione: “Mia cugina – si spinge ad affermare il leader leghista – è terrorizzata in casa a Houston, non può uscire per paura di essere stuprata”.

fonte: https://palermo.repubblica.it/politica/2020/06/06/news/bufera_sul_leader_leghista_nel_catanese_gli_antifascisti_bisogna_sparare_-258576779/?fbclid=IwAR2KhZt-nUFfK4HLe5MHV1GZeoq_IG1-9OeXCpLK_MnYKxvdnrSBJXvDo_A

Grande lezione del consigliere leghista al Governo che non ha fatto altro che cazzeggiare pensando a chi stava in difficoltà: “Tutti pensano ai poveri, ma ai ricchi chi ci pensa?” – Carlo Pavan mette in luce il dramma di chi rischia di non poter più mettere a tavola caviale e champagne tutti i giorni!

 

Carlo Pavan

 

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Grande lezione del consigliere leghista al Governo che non ha fatto altro che cazzeggiare pensando a chi stava in difficoltà: “Tutti pensano ai poveri, ma ai ricchi chi ci pensa?” – Carlo Pavan mette in luce il dramma di chi rischia di non poter più mettere a tavola caviale e champagne tutti i giorni!

Attenzione, abbiamo il video politico dell’anno. In questo 2020 funestato dal coronavirus, ci è toccato ascoltare anche l’intervento del consigliere lega Udine Carlo Pavan, nella seduta consiliare che si è svolta nella città friulana lo scorso 18 maggio. Il video del suo intervento è stato diffuso solo in questi giorni ed è subito diventato virale.

Il consigliere è intervenuto per sottolineare alcuni punti relativi al modo di affrontare l’emergenza coronavirus dei suoi concittadini. La prima cosa che salta all’occhio è che i suoi guanti sono di due colori diversi, ma il punto non è questo.

Consigliere Lega Udine, Carlo Pavan e i fondi che vengono distribuiti solo ai poveri

Carlo Pavan, infatti, si lascia andare a un intervento surreale, in cui si lamenta della distribuzione dei fondi che dovrebbero dare sollievo nell’emergenza. «Quando si parla di supporto non c’è equità sociale e ve lo dimostro. Parlano tutti di dare fondi ai poveri – dice serissimo Pavan – e ai ricchi che pagano l’Imu chi ci pensa? Ci sono anche i ricchi a Udine, non soltanto i poveri. Ma mi sembra che i democratici nei loro interventi non prendano in considerazione questa mancanza di equità».

Consigliere Lega Udine e i poveri in fila a comprare l’iPhone con la tuta

Ma il consigliere della Lega non ha ancora dato il meglio di sé. Il suo deve essere stato vero e proprio risentimento nei confronti dei poveri, o dei presunti tali: «L’altro giorno mi hanno detto che da Mediaworld c’erano 200 persone in fila per l’iPhone nuovo a 600 euro. Mi chiedo: ma questi sono davvero poveri o finti poveri?». Vi state chiedendo come il consigliere leghista abbia stabilito con certezza che si trattasse di persone povere? Ha un metodo infallibile: «Erano tutti con la tuta. Io non ho niente contro quelli che stanno in tuta, ma non erano certo in giacca e cravatta».

Consigliere Lega Udine e il 2020 che è un anno bisestile

Insomma, questi fondi di supporto ai poveri proprio non gli scendono giù. Tant’è che alla fine si lascia andare a una previsione che, oltre ai cori di dissenso, ha anche scatenato qualche gesto di scongiuri. «Il 2020 è un anno bisestile. C’è stata l’acqua alta a Venezia, doveva arrivare il meteorite e poi c’è stato il coronavirus. Se dovesse arrivare qualche altra catastrofe e finiamo tutti i soldi, poi dove li prendiamo?».

«Se c’è una cosa che questa pandemia ci ha insegnato, è che il virus non fa distinzioni. Ricco, povero, bianco, giallo, nord, sud. Invece questo intervento del consigliere della Lega ci fa capire che neppure una pandemia è servita a renderci più umani, a scrollarci di dosso stereotipi da quattro soldi» – le parole, amare, sono della consigliera di minoranza Cinzia Pavan che ha reso virale il video del consigliere comunale della Lega di Udine sui social network.

Sipario.

Nota: se questa gente sta dove sta è perché qualche idiota, magari povero, la vota…!

 

 

“2 giugno non c’è un ca**o da festeggiare” – Indovinate un po’ chi è il grande patriota che lo ha detto…

 

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“2 giugno non c’è un ca**o da festeggiare” – Indovinate un po’ chi è il grande patriota che lo ha detto…

Matteo Salvini di patriottico non ha nulla. Il suo ‘Prima gli italiani’ va trattato esclusivamente per quello che è, uno slogan elettorale.

2 giugno, Festa della Repubblica nata dall’antifascismo. Matteo Salvini, dopo averlo annunciato a lungo, domani sarà in Piazza insieme a Fratelli d’Italia per una manifestazione “virtuale” e “patriottica”

Ma Salvini di patriottico non ha nulla. Il suo ‘Prima gli italiani’ va trattato esclusivamente per quello che è, uno slogan elettorale, e per capire chi è davvero Salvini e cosa è davvero la Lega basta fare un salto al 2 giugno del 2013.

“Notte serena amici. Oggi non c’è un cazzo da festeggiare” twittava il futuro Capitano degli italiani.

Questo è Matteo Salvini, e una cosa è rimasta identica, oltre la sua immancabile volgarità: l’incoerenza e l’ipocrisia sono ancora tutte lì.

E non dimenticate che Salvini, il Capitano Patriota, era quello che durante i mondiali organizzava dirette per gufare contro l’Italia…

La bocca sciacquatevela voi. La situazione in Lombardia è drammatica, smettete di nasconderlo!

 

Lombardia

 

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La bocca sciacquatevela voi. La situazione in Lombardia è drammatica, smettete di nasconderlo!

Matteo Salvini, con un lessico da stadio la domenica pomeriggio, ha invitato tutti a “sciacquarsi la bocca quando si parla della sanità lombarda”. Il messaggio che vuol far passare è quello di una regione che ha subito il disastro a causa di un destino inevitabile, e non per l’incompetenza dei suoi fedelissimi che la amministrano. Per il leader leghista sembrano non contare nulla i problemi con i tamponi, l’immobilismo di Fontana e Gallera sulle zone rosse, l’Ospedale in Fiera costruito senza seguire il parere degli esperti, le delibere che dislocavano gli anziani malati di COVID-19 nelle case di riposo, condannandoli a morte certa, né il fatto che anche ieri la Lombardia era l’unica regione d’Italia a far segnare un aumento degli attualmente positivi al coronavirus. per Salvini tutto si riduce al destino avverso, che ha trasformato la Lega in un partito di martiri in cui nessuno ha colpe. La realtà è che dovrebbe sciacquarsi la bocca chi è complice di questo disastro, ovvero il centro destra e la Lega in particolare, cultori e artefici del modello Lombardia. E sicuramente è complice chi tenta giorno dopo giorno di speculare e strumentalizzare il dramma di una regione per fini elettorali. Come quando nel mezzo della pandemia, l’11 aprile, la Regione Lombardia ha deciso di pagare una paginata di Repubblica insieme a Confindustria Lombardia, all’associazione degli ospedali privati (A.I.O.P.) e l’ARIS per dire che tutto stava filando per il meglio.

Lo sdegno di Salvini  è arrivato in seguito all’intervento del deputato del M5S Riccardo Ricciardi, che il 21 maggio alla Camera ha rischiato il linciaggio per aver fatto notare la sequenza di errori della regione Lombardia durante la gestione dell’emergenza sanitaria. Il suo discorso è stato impreciso in più punti – come per esempio la parte sui fondi pubblici usati per la costruzione dell’Ospedale in Fiera, che in realtà sono il frutto delle donazioni di privati. C’è chi ha addirittura letto nelle sue parole un attacco ai medici, agli infermieri e ai lombardi tutti, come Enrico Mentana, che su Facebook ha dato del “coglione” a Ricciardi senza giri di parole. Ma la vittoria dell’egocentrismo sul giornalismo in Italia è un’altra storia. In realtà il bersaglio dell’intervento del deputato Ricciardi era esclusivamente l’amministrazione leghista, e non di certo le vittime del COVID-19 o il personale sanitario della Lombardia.

La giunta leghista è stata travolta dall’emergenza, perché questa è stata amplificata da una serie di problemi strutturali creati dai suoi predecessori. Il sistema ospedaliero ha mostrato delle falle per quanto riguarda i posti letto di terapia intensiva: a febbraio 2020 erano 8,5 su 100mila abitanti, un numero inferiore ad altre regioni del Nord, come Emilia Romagna e Veneto. Inoltre il 30% delle terapie intensive era proprietà di strutture della sanità privata convenzionata, costringendo la regione a perdere tempo prezioso nella contrattazione con i gestori delle cliniche. I medici di base si sono poi trovati ad agire senza indicazioni regionali precise, dato che la delibera per la gestione sul territorio della COVID-19 è arrivata soltanto il 23 marzo, a un mese dall’individuazione del focolaio di Codogno.

Ma è lo scandalo delle Rsa a descrivere alla perfezione cosa non ha funzionato nel modello Lombardia della Lega. Il divieto di visite dei familiari nelle case di riposo è arrivato due settimane dopo l’esplosione dell’epidemia, ma pesa soprattutto la scelta della regione di ricoverare presso le Rsa i malati di Coronavirus, con l’intenzione di liberare posti letto nelle strutture sanitarie. Il risultato sono centinaia di morti. Tra indagini e perquisizioni, stanno venendo in superficie i dati: soltanto al Pio Albergo Trivulzio di Milano si contano 405 morti, mentre estendendo alle province di Milano e Lodi i decessi per COVID-19 nelle Rsa si arriva a 1.689. In tutta la regione, il tasso di mortalità ogni 100 residenti nelle case di riposo è del 6,7%, il peggiore d’Italia. Il forzista Giulio Gallera, assessore al Welfare, ha però commentato che che “erano le Ats ad avere il compito di fare sorveglianza”, e che rifarebbe tutto per il bene dei suoi concittadini. L’arte dello scaricabarile ha sempre il sopravvento, così come quella di chi finge che non sia successo niente: Salvini da settimane sta lodando il governo lombardo, arrivando a dire che “Attilio Fontana e la sua squadra decidono provvedimenti concreti e migliori di quelli ad oggi decisi dallo Stato”.

Ci vuole del fegato o una totale assenza di contatto con la realtà per lodare l’eccellenza di un modello che ha come ideatore Roberto Formigoni, ex governatore della Regione, con l’appoggio dell’allora Lega Nord, condannato in via definitiva a cinque anni e dieci mesi proprio per corruzione nel processo per il crac delle fondazioni Maugeri e San Raffaele. Se il passato non basta per consigliare cautela nelle lodi, non va meglio con la cronaca degli ultimi mesi. Mentre alcune regioni istituivano autonomamente nuove zone rosse, Fontana e Gallera tentennavano per le aree di Alzano e Nembro, ammettendo soltanto in seguito che in effetti avrebbero potuto farlo anche loro e limitare i danni. Inoltre, dalla regione più colpita d’Italia ci si aspettavano numeri maggiori di tamponi e test sierologici, ma questa non si è mai attrezzata per aumentare il numero dei suoi cittadini controllati ogni giorno. Il confronto è ancora più impietoso quando si prende a metro di paragone un’altra regione guidata dalla Lega, il Veneto di Luca Zaia che il 20 maggio ha dichiarato di non aver registrato nessun nuovo contagio, a differenza della Lombardia dove i casi continuano ad aumentare. Il motivo di questo risultato è che Zaia e la sua giunta hanno avuto l’umiltà di affidarsi alla scienza, e in particolar modo al consulente Andrea Crisanti, un virologo e microbiologo di eccellenza dell’Università di Padova. Umiltà che Fontana non ha mai avuto, con i risultati ora sotto gli occhi di tutti.

Quando gli esperti consigliavano a Fontana di usare diversamente i fondi destinati alla costruzione dell’Ospedale in Fiera, lui non ha ascoltato nessuno. In molti hanno sostenuto che non fosse una mossa logica costruire un polo con le terapie intensive distaccate dagli altri reparti ospedalieri, e che avrebbe dovuto usare quelle risorse per potenziare le strutture già esistenti, aumentando i posti in terapia intensiva. Il risultato è stato un ospedale che ha accolto meno di una trentina di pazienti in due mesi e che già rischia la chiusura, mentre la procura di Milano ha aperto un fascicolo sulle procedure attuate. Dei 21 milioni di euro raccolti dai privati, 17 sono stati indirizzati alla costruzione dell’ospedale e all’allestimento dei suoi 221 posti letto di terapia intensiva, poi inaugurati il 31 marzo con il più grande assembramento di tutta l’epidemia. Erano presenti centinaia di persone tra giornalisti, fotografi, politici, medici e ospiti vari, per una cerimonia che è sembrata una tappa della campagna elettorale di Fontana. Il tutto contravvenendo alle direttive nazionali e regionali sul distanziamento sociale. Lo stesso Guido Bertolaso, incaricato per la realizzazione dell’Ospedale, si è definito sconcertato per la piega che ha preso il progetto, scaricando le colpe sulla Regione Lombardia.

Certo, non ci si poteva aspettare un’analisi lucida da chi ha affrontato l’emergenza Coronavirus postando sui social notizie diffuse tramite WhatsApp e link da boomer complottista. Mentre Fontana e Gallera inanellavano un errore dopo l’altro, Matteo Salvini dava eco a immondizia mediatica senza fondamento scientifico, come le tesi sul COVID-19 creato in un laboratorio di Wuhan, oggi tornata in auge grazie al suo grande amico Donald Trump e al suo tentativo di deviare il dibattito pubblico dalla sua disastrosa gestione dell’emergenza negli Stati Uniti. Complottisimi a parte, la cronistoria delle sparate del leader leghista degli ultimi mesi è un ottovolante in cui ha detto tutto e il contrario di tutto. Il 27 febbraio, in pieno dibattito sulle zone rosse al Nord, è iniziata la prima campagna di Salvini dal motto “Apriamo tutto, l’Italia ha bisogno di ripartire”. Il virus era già arrivato in Italia, con la seguente istituzione a  Codogno della prima zona rossa e a seguire di altri comuni tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Quando poi il lockdown si è esteso a tutto il Paese, la giravolta di Salvini è stata drastica, con il “Chiudiamo tutto” che per giorni ha giganteggiato sulla sua pagina Facebook. Poi Salvini ha fiutato l’insofferenza degli italiani, provati da settimane di isolamento, e ha di nuovo cambiato idea. È sparita dalla sua immagine di copertina su Facebook la scritta “Chiudiamo tutto”, per celebrare il grande ritorno del “Riapriamo tutto”. Questo stile da Giorno della marmotta è il marchio di fabbrica di uno staff della comunicazione che conosce bene le dinamiche della comunicazione ai tempi dei social, quella per cui le parole di ieri sono già dimenticate e la velocità degli slogan polverizza la coerenza di ogni pensiero.

Quindi no, non dobbiamo sciacquarci la bocca quando parliamo degli errori della Lega in Lombardia, perché equivarrebbe a omettere la realtà dei fatti. Piuttosto Salvini, che in questi mesi si è concentrato più sulle preghierine da Barbara D’Urso e sui deliri pauperistici nel suo bilocale, dovrebbe avere la decenza di chiedere scusa per i disastri commessi dal suo partito ai danni dei cittadini lombardi, o avere il buongusto di tacere. Almeno una volta nella sua carriera.

fonte: https://thevision.com/politica/lombardia-salvini-pandemia/

Don Mariano Pili, parroco di Desulo: “Abbiamo sardi convertiti alla Lega e ci stiamo preoccupando di una che si converte all’Islam?

 

 

Silvia Romano

 

 

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Don Mariano Pili, parroco di Desulo: “Abbiamo sardi convertiti alla Lega e ci stiamo preoccupando di una che si converte all’Islam?

“Abbiamo sardi convertiti alla Lega e ci stiamo preoccupando di una che si converte all’Islam?”. Questo il post su Facebook di don Mariano Pili, parroco di Desulo, Comune nel nuorese. Il sacerdote interviene cosi’ sugli  attacchi che Silvia Romano sta ricevendo in queste ore, alcuni legati alla conversione religiosa della giovane cooperante italiana.

Una presa di posizione, anche politica, che non e’ piaciuta al vice capogruppo della Lega in Sardegna, Pierluigi Saiu: “Un sacerdote della mia provincia scrive una cosa stupida e pericolosa- l’attacco del consigliere, sempre via social-. Offensiva nei confronti di migliaia di sardi che come me votano Lega e votano Matteo Salvini. Mi fa specie che un uomo di Chiesa sia capace di tanto odio e non se ne vergogni, anzi lo esibisca. Mi preoccupa che un uomo di fede non trovi il tempo di condannare i terroristi islamici che hanno privato una donna della sua liberta’ per mesi. Uomini che hanno compiuto violenze in nome di un estremismo religioso che dovrebbe essere rifiutato. Anche da lui. Mi dispiace che un uomo di fede abbia smarrito il senso profondo del messaggio d’amore di Cristo”.

Spremono anche i malati. Esami a pagamento, senza un tetto massimo di prezzo, in strutture private – Ecco la sanità modello della Lombardia del duo Gallera-Fontana, dove la salute è un lusso ed il virus è un affare!

 

Lombardia

 

 

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Spremono anche i malati. Esami a pagamento, senza un tetto massimo di prezzo, in strutture private – Ecco la sanità modello della Lombardia del duo Gallera-Fontana, dove la salute è un lusso ed il virus è un affare!

La Regione Lombardia dà il via libera ai test sierologici nelle strutture sanitarie private. Gli esami saranno a pagamento, senza un tetto massimo di prezzo. Per il duo Gallera-Fontana la salute è un lusso

In Lombardia il duo Gallera-Fontana, la fantastica coppia che rifarebbe tutto allo stesso modo e che ha da ridire sulle decisioni di tutti gli altri, effettua l’ennesima giravolta e torna sui suoi passi: dopo avere negato per settimane la possibilità di effettuare privatamente test sierologici ora decide di dare il via libera a tutti gli istituti riconosciuti e accreditati dal Regione.

Quindi, che accade? Accade che privatamente, quindi a pagamento, ognuno potrà sottoporsi al test ematico per scoprire la propria eventuale positività. Ci si aspetterebbe, ovviamente, che la Regione metta in campo tutto ciò che serve per garantire l’accesso al test a tutti, per non farlo diventare un lusso che possono permettersi solo alcuni e invece sembra che rimarremo delusi. Niente. Nemmeno un prezzo massimo imposto dalla Regione. Sarà il mercato a stabilire il prezzo: scoprire se si è malati sarà quindi un servizio riservato solo ad alcuni. Una decisione perfettamente in linea, del resto, con l’interpretazione privatistica e escludente della sanità in Lombardia.

Ma non è finita qui: nel caso in cui un cittadino scopra (a sue spese) di essere malato non godrà di nessuna corsia preferenziale: dovrà mettersi in isolamento volontario e per avere un tampone (quindi per essere ufficialmente malato) dovrà rivolgersi al suo medico di base che dovrà rivolgersi all’Ats di riferimento che inserirà il paziente (badate bene, già ufficialmente positivo) nella lunga lista d’attesa per ottenere un tampone. Per darvi un’idea del punto in cui siamo in Regione Lombardia con i tamponi vi basti sapere che, lo dice lo stesso Gallera, al momento stanno verificando gli operatori sanitari e gli ospiti delle Rsa, roba che andava fatta mesi fa.

Non si tratta solo di una questione sanitaria, questo è un chiaro modo di come si vede il mondo e di come si ha intenzione di governarlo. Eccolo il modello lombardo: anche scoprire di essere malati costa e non garantisce di avere diritto alla cura.

(A proposito: la mozione di sfiducia a Gallera nel Consiglio Regionale ha goduto del non voto Italia Viva. Segnatevelo)

di Giulio Cavalli

fonte: https://www.giuliocavalli.net/2020/05/06/spremono-anche-i-malati/

 

Insomma, le Regioni con governatori di destra aprono prima solo per ripicca nei confronti di Conte. Certo che è un ragionamento responsabile! Tutto per creare il caos, nella speranza di raschiare qualche consenso. E tutto questo sulla pelle della gente!

 

Regioni

 

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Insomma, le Regioni con governatori di destra aprono prima solo per ripicca nei confronti di Conte. Certo che è un ragionamento responsabile! Tutto per creare il caos, nella speranza di raschiare qualche consenso. E tutto questo sulla pelle della gente!

C’è chi vuole il caos. Perchè se non hai idee, puoi raschiare qualche consenso solo se la gente è confusa… In mancanza del fumo negli occhi del nemico n. 1 del popolo italiano (i disperati sui barconi) appare chiara la nullità della lega e dei suoi compari.

Salvini e Meloni inanellano figure di merda una dietro l’altra, e la gente se ne sta rendendo conto…

Ed ecco il colpo di coda: aprire prima le regioni a guida di destra, contro ogni evidenza scientifica, contro il parere di medici e virologi…

Medici contro la presidente della Calabria Santelli: “Non ci ha consultato, l’avremo sconsigliata”

Un caso, quello della Calabria – Anche i medici non hanno preso bene la decisione della Presidente della Calabria Jole Santelli di consentire l’apertura di bar e ristoranti all’aperto nella sua regione. Neppure l’infettivologo Raffaele Bruno, direttore del reparto di “Malattie Infettive” del “San Matteo” di Pavia, che la governatrice ha voluto a tutti i costi come esperto della sua task force, sembra essere d’accordo con questa decisione. “La presidente non mi ha interpellato, ho appreso questa cosa dai giornali. Come medico, l’avrei vivamente sconsigliata”, ha detto a Cosenza Channel, mentre i medici calabresi hanno sottolineato che bisogna procedere con “la massima prudenza e una attenta gradualità di tempi e modi contraddetta invece dalla volontà di riaprire locali di ritrovo”.

E la Calabria, rispetto ad altre regioni a guida a destra è tra quelle messe meglio…

Un atto irresponsabile di cui, speriamo, qualcuno non se ne dovrà pentire amaramente…

25 aprile – Il consigliere leghista contro i partigiani: fateli festeggiare in piazza, magari si ammalano – Il vergognoso post di Francesco Lasaponara, poi rimosso come da tradizionale vigliaccheria dei fascisti…

25 aprile

 

 

 

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25 aprile – Il consigliere leghista contro i partigiani: fateli festeggiare in piazza, magari si ammalano – Il vergognoso post di Francesco Lasaponara, poi rimosso come da tradizionale vigliaccheria dei fascisti…

“Se anziani partigiani (più anziani sono e meglio è) e altri esponenti Anpi vogliono radunarsi per celebrare nonostante il virus perché fermarli? Anzi, andrebbero incoraggiati a farlo”, “ovviamente se poi dovessero ammalarsi dispiacerebbe molto a tutti ma è un rischio che va corso per qualcosa di più importante. E’ un rischio che dobbiamo assolutamente correre. Ne va del bene della nostra gente”. A scriverlo su Facebook (in un post che non risulta più visibile, ma che Repubblica ha potuto leggere) è Francesco Lasaponara, barese di nascita e forlivese di adozione, consigliere comunale leghista a Forlì, maggiore dell’Esercito, come si legge nel suo curriculum vitae, e insegnante nei corsi dell’European personnel recovery centre. E’ stato capitano nella Brigata Aeromobile Friuli di Bologna; precedentemente ha appartenuto al 66° reggimento aeromonile di Forlì, e ha preso parte fra 2011 e 2012 all’operazione Isaf in Afghanistan.

Lo scrive a ridosso delle celebrazioni del 25 aprile, condendo il suo testo con hashtag ingiuriosi nei confronti dei partigiani: “#liberacidalmale #tradimentoelibertà” e altri irriferibili. Gli anziani partigiani  andrebbero incoraggiati a scendere in strada, dice, “magari in qualche città con un sindaco dal cuore partigiANO” (le maiuscole offensive sono opera di Lasaponara, ndr) tipo ad esempio Milano. Ed è giusto che celebrino spalla a spalla con i propri compagni. Ovviamente poi se dovessero ammalarsi…” eccetera. E aggiunge: “Come cani che abbaiano vittoriosi sui cadaveri dei Leoni… ma i cani restano cani e i Leoni restano leoni”.

Arrivano le prime reazioni politiche. Daniele Valbonesi, segretario del Pd di Forlì, chiede”con forza le immediate dimissioni del consigliere comunale Francesco Lasaponara e una presa di distanza da parte del suo partito da quelle ignobili dichiarazioni”: “I Partigiani – scrive Valbonesi su Facebook – hanno combattuto anche per la sua libertà di esprimere, oggi, liberamente le proprie aberranti opinioni. Ma quelle frasi vanno ben oltre la libertà di espressione tutelata dalla Costituzione. Costituzione nata nelle montagne dove caddero i Partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati (Calamandrei). Una Costituzione che richiede rispetto per le istituzioni e che, in questo caso, è venuto gravemente a mancare”.
Anche secondo Silvia Piccinini, eletta per il M5s in Regione, Lasaponara “deve dimettersi. È inconcepibile che personaggi del genere continuino ad essere dei rappresentanti delle istituzioni, a qualsiasi livello. Purtroppo si tratta dell’ennesimo episodio di intolleranza che arriva da un esponente della Lega. Dopo l’omofobia adesso il loro nuovo bersaglio sembra essere diventata la Festa della Liberazione. A questo punto ci aspettiamo le immediate prese di distanze dei consiglieri regionali leghisti in Assemblea Legislativa”.

 

fonte: https://www.globalist.it/politics/2020/04/23/il-consigliere-leghista-contro-i-partigiani-fateli-festeggiare-in-piazza-magari-si-ammalano-2056815.html