L’allarme dei Magistrati: la riforma penale approvata al Senato serve per salvare i corrotti. Più impuniti e processi bloccati! …Ma perchè, avevate qualche dubbio?

 

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L’allarme dei Magistrati: la riforma penale approvata al Senato serve per salvare i corrotti. Più impuniti e processi bloccati! …Ma perchè, avevate qualche dubbio?

 

“Così il governo salva i corrotti: più impuniti, processi bloccati” (Antonella Mascali)

Il magistrato antimafia, autore con Davigo del libro “Giustizialisti” (prossimamente in edicola con il Fatto), critica il ddl penale.

Il segretario dell’Anm Francesco Minisci ieri con il Fatto ha evidenziato che nella riforma penale, approvata al Senato e tornata alla Camera, c’è un limite superiore, rispetto a quello definito dalla Cassazione, per quanto riguarda il trojan, l’intrusore informatico che permette di accendere il microfono di un computer. Il limite è stato ampliato dal governo che ha la delega per i decreti attuativi in materia di intercettazioni.

Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto a Messina, è un magistrato antimafia da sempre in prima linea. Con lui entriamo nel dettaglio per capire le conseguenze sulle indagini: “È indubbio che il governo vada molto oltre nel limitare l’utilizzo dell’intrusore informatico. La Cassazione ha delimitato l’uso per la criminalità organizzata mafiosa, terroristica e semplice, invece, nel ddl penale, l’uso del trojan si prevede esclusivamente per mafia e terrorismo, salvo che si stia compiendo un reato”.

Ci può fare un esempio?

Non potremo più usare, a differenza di oggi, l’intrusore informatico per tutti i reati commessi dai colletti bianchi in forma associata: corruzioni, peculato, truffe. E i casi di questo genere in cui ci imbattiamo sono moltissimi.

Perché il trojan per voi pubblici ministeri e polizia giudiziaria è uno strumento di indagine così importante?

Perché, a differenza dei reati di mafia e terrorismo, dove spesso ci si avvale di collaboratori di giustizia e di altre fonti, in Italia i reati di corruzione e più in generale dei colletti bianchi, sono reati per i quali non esistono né denunce né testimonianze. Quindi, diventa fondamentale la captazione anche attraverso il computer per ascoltare le conversazioni di chi ha commesso questi reati in forma associata.

Anche perché molti corrotti e corruttori hanno imparato a non parlare al telefono…

È proprio così. Possiamo dire che con questo limite presente nel disegno di legge si potrebbe chiudere l’ultimo varco dal quale accedere per avere le prove di molti reati dei colletti bianchi. E questo perché in Italia contro la corruzione non si possono fare operazioni sotto copertura e non c’è, per questo tipo di reati, un regime premiale adeguato nei confronti di chi volesse collaborare. Inoltre, con la delega, il governo impone un altro limite.

Dica.

Non si possono utilizzare le intercettazioni con il captatore informatico se, per esempio, durante un’indagine per mafia, mi imbatto in un altro reato. Si introduce, così, una disparità rispetto alle intercettazioni telefoniche e ambientali che hanno valore di prova anche per altri reati, se un pm li scopre durante uno stesso procedimento.

Se la riforma fosse già stata legge, la sua indagine sui cosiddetti corsi d’oro in Sicilia che fine avrebbe fatto?

Avremmo perso qualche prova perché abbiamo usato il captatore informatico ed era contestato il reato di associazione per delinquere semplice e non mafiosa.

Cosa pensa di questa riforma nel suo complesso?

Rende più difficile il funzionamento della giustizia fino a mettere in ginocchio le procure se si guarda all’obbligo di definire le richieste di rinvio a giudizio o archiviazione entro i 3 mesi dalla fine di un’indagine, pena l’avocazione alle procure generali che hanno molti meno magistrati. Così si sottrae tempo alle indagini più delicate.

Qual è la logica del legislatore?

Una logica non c’è. L’effetto è sicuramente quello di rendere la giustizia impraticabile e i cittadini che la vedranno funzionare ancora peggio se la prenderanno, probabilmente, con i magistrati, sbagliando obiettivo perché i magistrati devono applicare le leggi approvate dal Parlamento.

Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 20/03/2017.

Disabili, il fondo non autosufficienze tagliato. “50 milioni concessi poi negati” …ma il Governo si difende: “i disabili sono solo delle merdacce, mica sono Banche”!!!

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Disabili, il fondo non autosufficienze tagliato. “50 milioni concessi poi negati” …ma il Governo si difende: “i disabili sono solo delle merdacce, mica sono Banche”!!!

“i disabili sono solo delle merdacce, non sono mica Banche”!!!

No, è vero, nessuno al Governo ha usato queste parole… Ma questo significa poco, visto che come si sono comportati è anche peggio di quello che rappresentiamo con un po’ di vivacità nel nostro titolo!

Leggiamo infatti da Il Fatto Quotidiano:

“I tagli al Fondo non autosufficienze e a quello per le politiche sociali sono inaccettabili, un atto gravissimo e umilante che colpisce le persone con disabilità e le fasce più deboli della popolazione”. A dirlo è il presidente della Fand (Federazione associazioni nazionali disabili), Franco Bettoni, che si dice “pronto alla mobilitazione” contro un provvedimento ritenuto del “tutto ingiusto e inaspettato”. “E’ un atto politico più che operativo. Le recenti conquiste delle associazioni delle persone con disabilità sono state annullate”, rincara il direttore responsabile di HandyLex.org, Carlo Giacobini. Che aggiunge: “I soldi in più erano arrivati al termine di presìdi e proteste e dopo un impegno concreto del ministro Poletti. Lo stesso Parlamento lo aveva approvato. Ora in altri tavoli e in altri contesti quella conquista viene azzerata“.

Bettoni spiega a Ilfattoquotidiano.it che “è evidente che la riduzione del Fondo per le non autosufficienze siglata lo scorso 23 febbraio avrà un impatto negativo sulla vita delle tante persone disabili e delle loro famiglie che tramite l’accesso a quelle risorse possono contare, ad oggi, su erogazioni monetarie mensili aggiuntive che coprono, ad esempio, l’assistenza domiciliare necessaria a garantire una soddisfacente qualità di vita”. Non solo: “Al di là delle ricadute negative sui cittadini che sono certe e che condanneranno molte persone alla povertà e all’emarginazione, il segnale giunto dal governo Gentiloni è certamente negativo rispetto alla strutturazione dei livelli essenziali di assistenza in una logica di garanzia di diritti certi”. Per di più ieri il Senato ha approvato il disegno di legge che introduce un sostegno “universale” per gli indigenti, del quale però di fatto potrà beneficiare solo una piccola percentuale degli italiani in condizione di povertà.

Questi tagli condanneranno molte persone con disabilità alla povertà e all’emarginazione

La sforbiciata è prevista dall’intesa tra Stato e Regioni sul contributo degli enti locali all’equilibrio di bilancio. I risparmi imposti alle Amministrazioni regionali, spiega la Fand, andranno a incidere pesantemente sul welfare, visto che si prevede che “per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica” il Fondo per la non autosufficienza e quello sulle politiche sociali vengano tagliati rispettivamente a quota 450 milioni e 99,7 milioni di euro. Il primo scende quindi al livello cui era stato portato con l’ultima legge di Bilancio, perdendo i 50 milioni aggiuntivi promessi lo scorso novembre dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti ai malati di Sla e sbloccati il 22 febbraio. L’incremento era stato inserito nel decreto legge sul Sud. “Il fatto è di una gravità inaudita e quel che ancor più sconcerta – afferma Bettoni – è il fatto che la Fand che, in questi mesi, ha partecipato ad incontri e confronti con il ministro del Lavoro proprio per arrivare ad un aumento del Fondo per la non autosufficienza, non abbia ricevuto alcuna informativa al riguardo e ne sia venuta a conoscenza per altri canali; questo atteggiamento certamente non giova ed anzi mette in discussione la qualità dei rapporti fino ad oggi intercorsi con gli organismi istituzionali”.

Nessuna informativa alle associazioni che hanno partecipato agli incontri con il ministro del Lavoro
Per la Fand il governo guidato da Paolo Gentiloni, con questa mossa, fa un passo indietro rispetto al recente passato lasciando “terribilmente senza parole” le associazioni dei disabili. “Mi sento comunque in dovere di rimarcare l’assoluta buona fede e correttezza del ministro Poletti – sottolinea il numero uno della Fand che riunisce organizzazioni di persone con deficit sensoriali, disabilità intellettive, disturbi del comportamento e autismo – Ma nonostante la parola del ministro è stato ridotto per scelte certamente non sue, poiché artefici della manovra risultano viceversa essere gli assessori al bilancio ed i presidenti delle Regioni ed il ministero dell’Economia“. Queste politiche “sono sbagliate e inopportune, e non solo feriscono i più vulnerabili, negando diritti ed inclusione sociale, ma paralizzano l’Italia. È puro autolesionismo tagliare in maniera incisiva questi fondi anziché utilizzarli come un formidabile investimento per creare sviluppo, innovazione e buona occupazione. Per tali ragioni, come Fand stiamo valutando tutte le possibili iniziative per contrastare questa grave scelta politica, sia chiedendo un confronto diretto con il Presidente del Consiglio dei ministri e con il ministro dell’Economia, sia organizzando, se del caso, una ampia mobilitazione del mondo della disabilità, oggi così pesantemente colpito”, conclude Bettoni. “Certo ci sono degli effetti sui cittadini interessati dai servizi che quel Fondo dovrebbe garantire, ci sono anche dei risvolti più subdoli e che avranno un impatto più significativo sulle reali politiche sociali in questo paese”, aggiunge Giacobini. Secondo uno dei maggiori esperti italiani sulle leggi che riguardano i disabili ci sono due questioni. “La prima è un segnale forte: il Fondo è stato incrementato proprio di 50 milioni di euro grazie ad un’azione di pressione molto sentita di organizzazioni di persone con grave disabilità. Quei soldi sono arrivati al termine di presìdi e proteste e dopo un impegno concreto del ministro Poletti. Lo stesso Parlamento lo aveva approvato. Ora in altri tavoli e in altri contesti quella conquista viene azzerata e, a ben vedere, anche umiliata“. E il clima di sfiducia che ne deriva è deleterio per i successivi confronti tra istituzioni e associazioni.

Serve un Piano generale per garantire un livello omogeneo di servizi su tutto il territorio nazionale
“L’altro elemento politico riguarda lo specifico Tavolo per la non autosufficienza e il piano che questo tavolo dovrebbe elaborare. Ricordiamo che al tavolo partecipano sia le organizzazioni delle persone con disabilità ma anche i sindacati, i ministeri competenti, le Regioni. Un’occasione unica per giungere finalmente alla definizione di livelli essenziali delle prestazioni per le persone con maggiore necessità di assistenza intensiva… ma non solo”. “Per raggiungere questo traguardo e questa pianificazione è necessario che vi sia un pensiero condiviso ma anche che le risorse messe a disposizione, anche progressivamente, siano certe oltre che adeguate. È evidente, quindi, che in questi giorni ci si interroghi sulla reale futura cogenza di un Piano che garantisca un livello omogeneo di servizi su tutto il territorio nazionale. E lo stesso Tavolo rischia di produrre indicazioni poi vanificate in altri luoghi”. Sullo sfondo, evidenzia Giacobini, rimangono molti dubbi e ombre sulla decisione concordata dagli assessori al bilancio delle Regioni e dal Mef (intesa Stato Regioni del 23 febbraio): perché colpire proprio il sociale e non altro?

Il Fondo nazionale per la non autosufficienza è stato istituito nel 2006 con il preciso intento di fornire sostegno a persone con disabilità grave e gravissima, oltre che ad anziani non autosufficienti al fine di favorirne una dignitosa permanenza presso il proprio domicilio e per garantire, su tutto il territorio nazionale, l’attuazione di Livelli essenziali delle prestazioni assistenziali. Il Fondo in sostanza è destinato a finanziare contributi, voucher, prestazioni o servizi per le persone non autosufficienti gravi (nella misura del 60%) o gravissime (nella misura del 40%). Viene ripartito annualmente tra le Regioni e ciascun ente stabilisce poi i criteri con cui erogare concretamente i fondi alle persone e come ripartirlo fra Comuni ed Aziende sanitarie locali.

 

Renzi a Porta a Porta: l’inchiesta Tempa Rossa è finita in una bolla si sapone. NON E’ VERO: i Pm hanno chiesto il rinvio a giudizio di ben 58 persone, tra cui importanti esponenti Pd, e di 10 società oltre l’Eni. RENZI MENTE. Ma la cosa più squallida è che lo fa con la complicità di Bruno Vespa (che non può essere così bestia da non sapere) che invece di fare il giornalista fa il lecchino a spese nostre!

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Porta a Porta

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Renzi a Porta a Porta: l’inchiesta Tempa Rossa è finita in una bolla si sapone. NON E’ VERO: i Pm hanno chiesto il rinvio a giudizio di ben 58 persone, tra cui importanti esponenti Pd, e di 10 società oltre l’Eni. RENZI MENTE. Ma la cosa più squallida è che lo fa con la complicità di Bruno Vespa (che non può essere così bestia da non sapere) che invece di fare il giornalista fa il lecchino a spese nostre!

La schifosa pagliacciata su Tempa Rossa a Porta a Porta? ce la racconta Piernicola Pedicini – Portavoce M5S al Parlamento Europeo

PETROLIO IN BASILICATA, RENZI COLPISCE ANCORA.
A PORTA A PORTA DICHIARA: L’INCHIESTA TEMPA ROSSA È FINITA IN UNA BOLLA DI SAPONE.
L’ex premier è in ginocchio, ma non si toglie il vizio di mentire.
L’inchiesta #TempaRossa (#Trivellopoli) non è finita in una bolla di sapone, ma è in forte evoluzione. Renzi deve sapere che i Pm dell’Antimafia di #Potenzahanno chiesto il rinvio a giudizio di ben 58 persone e 10 società, tra cui un consigliere regionale #Pd, un ex sindaco Pd e l’#Eni.
Siccome vuole giustificare il ministro Lotti che non si dimette per lo scandalo #Consip, fa finta di non sapere che, a seguito dell’inchiesta Trivellopoli, la ministro Guidi si è dimessa e, insieme ai ministri Boschi e Delrio e al sottosegretario De Filippo, è stata ascoltata dall’Antimafia, perché erano stati riscontrati dei comportamenti molto gravi.
Pertanto, anche se sul piano giudiziario i Pm hanno ritenuto che non c’erano elementi per indagare i tre ministri e De Filippo, Renzi sa bene che, a causa delle responsabilità politiche, etiche e morali, le dimissioni della Guidi erano giuste e sacrosante e le posizioni degli altri membri del governo restano agli atti con dei forti punti interrogativi.
La Basilicata sta subendo una devastazione a causa delle trivelle e il procedimento giudiziario in corso potrebbe essere un modo per fermare lo scempio, quindi dico all’ideatore della legge Sblocca Italia, di smetterla di parlare a vanvera della Basilicata. Prima ha detto che non temeva i Comitatini lucani, ora ha mentito sull’inchiesta Trivellopoli che secondo lui sarebbe finita.
È il momento di finirla e di prendere atto che gli Italiani sono stufi delle sue furbate e della sua arroganza.

Facciamo due conti: 20 miliardi per le banche, 1 miliardo per i poveri… Ecco a Voi il Governo Renzi-Gentiloni…!

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Facciamo due conti: 20 miliardi per le banche, 1 miliardo per i poveri… Ecco a Voi il Governo Renzi-Gentiloni…!

Il ddl povertà approvato in Senato dalla maggioranza è una presa in giro colossale, che non a caso arriva alla fine della legislatura. Il Governo Gentiloni tenta di salvare la faccia con un bluff, inseguendo il reddito di cittadinanza del M5S.
Il risultato è un obbrobrio: una rivisitazione della social card di Berlusconi e niente più!

Gentiloni copia la Social Card di Berlusconi

Il ddl povertà approvato ieri in Senato dalla maggioranza è una presa in giro colossale, che non a caso arriva alla fine della legislatura. Il Governo Gentiloni tenta di salvare la faccia con un bluff, inseguendo il reddito di cittadinanza del M5S. Il risultato è un obbrobrio: una rivisitazione della social card di Berlusconi e niente più.

Vengono stanziate risorse insufficienti fregandosene di milioni di italiani in difficoltà. La povertà non si combatte con l’elemosina, ma con un piano che al sostegno al reddito affianchi il reinserimento lavorativo. Il nostro reddito di cittadinanza prevede 15 miliardi di euro per aiutare i nuclei famigliari in difficoltà e 2 miliardi per rilanciare i centri per l’impiego. Reddito e lavoro.

C’è anche la truffa. Il ddl povertà è una legge delega: quindi in realtà nonostante i titoli dei giornali nulla è stato fatto! Ci saranno effetti reali solo con i successivi decreti legislativi se ci saranno. Ad oggi è un annuncio, un provvedimento in bianco che non dice nulla. Sappiamo solo una cosa: le risorse stanziate non bastano. Eppure i soldi ci sono. Gentiloni come primo atto ha creato 20 miliardi di nuovo debito a favore delle banche (compresa quella del Pd). E ora ne mette uno per i poveri perchè non ci sono i soldi? A chi vuol darla a bere?

Secondo le prime indiscrezioni, a beneficiare del miliardo stanziato dal Governo sarebbero soltanto alcune famiglie con figli minori o quelle con un membro under 55, escludendo così i pensionati e i giovani. Eppure più di 1 milione e mezzo di pensionati percepiscono una pensione inferiore a 500 euro al mese, negli ultimi anni 400 mila pensionati hanno abbandonano il nostro Paese per andare all’estero a cercare una vita dignitosa, la disoccupazione giovanile è intorno al 40% (in alcune regioni del Sud addirittura si avvicina al 60%), oltre 100 mila persone, soprattutto giovani, abbandonano ogni anno il nostro Paese.

Se oggi si parla di contrasto alla povertà è solo grazie alla battaglia portata avanti dal MoVimento 5 Stelle che ha sempre detto che NESSUNO DEVE RIMANERE INDIETRO. La soluzione però non è quella dell’elemosina a fini elettorali e propagandistici. La soluzione è il reddito di cittadinanza, primo e principale pilastro del nostro programma di governo. Un reddito che al sostegno affiancherà risorse per riavviare al lavoro i disoccupati, nell’ottica di un grande piano di rilancio economico e industriale. Tutto il resto sono elemosine elettorali.

20 miliardi per le banche, 1 per i poveri #GentiloniNonMiFreghi

di MoVimento 5 Stelle

Il ddl povertà approvato ieri in Senato dalla maggioranza è una presa in giro colossale, che non a caso arriva alla fine della legislatura. Il Governo Gentiloni tenta di salvare la faccia con un bluff, inseguendo il reddito di cittadinanza del M5S. Il risultato è un obbrobrio: una rivisitazione della social card di Berlusconi e niente più. Vengono stanziate risorse insufficienti fregandosene di milioni di italiani in difficoltà. La povertà non si combatte con l’elemosina, ma con un piano che al sostegno al reddito affianchi il reinserimento lavorativo. Il nostro reddito di cittadinanza prevede 15 miliardi di euro per aiutare i nuclei famigliari in difficoltà e 2 miliardi per rilanciare i centri per l’impiego. Reddito e lavoro.

C’è anche la truffa. Il ddl povertà è una legge delega: quindi in realtà nonostante i titoli dei giornali nulla è stato fatto! Ci saranno effetti reali solo con i successivi decreti legislativi se ci saranno. Ad oggi è un annuncio, un provvedimento in bianco che non dice nulla. Sappiamo solo una cosa: le risorse stanziate non bastano. Eppure i soldi ci sono. Gentiloni come primo atto ha creato 20 miliardi di nuovo debito a favore delle banche (compresa quella del Pd). E ora ne mette uno per i poveri perchè non ci sono i soldi? A chi vuol darla a bere?

Secondo le prime indiscrezioni, a beneficiare del miliardo stanziato dal Governo sarebbero soltanto alcune famiglie con figli minori o quelle con un membro under 55, escludendo così i pensionati e i giovani. Eppure più di 1 milione e mezzo di pensionati percepiscono una pensione inferiore a 500 euro al mese, negli ultimi anni 400 mila pensionati hanno abbandonano il nostro Paese per andare all’estero a cercare una vita dignitosa, la disoccupazione giovanile è intorno al 40% (in alcune regioni del Sud addirittura si avvicina al 60%), oltre 100 mila persone, soprattutto giovani, abbandonano ogni anno il nostro Paese.

Se oggi si parla di contrasto alla povertà è solo grazie alla battaglia portata avanti dal MoVimento 5 Stelle che ha sempre detto che NESSUNO DEVE RIMANERE INDIETRO. La soluzione però non è quella dell’elemosina a fini elettorali e propagandistici. La soluzione è il reddito di cittadinanza, primo e principale pilastro del nostro programma di governo. Un reddito che al sostegno affiancherà risorse per riavviare al lavoro i disoccupati, nell’ottica di un grande piano di rilancio economico e industriale. Tutto il resto sono elemosine elettorali. #GentiloniNonMiFreghi

 

 

fonti:

htps://giornalecchismo.com/2017/03/10/gentiloni-copia-la-social-card-di-berlusconi/

https://www.facebook.com/INDIGNADOS-ITALIA-150928878308556/

http://www.beppegrillo.it/2017/03/20_miliardi_per_le_banche_1_per_i_poveri_gentiloninonmifreghi.html

 

I risultati dei mille giorni di Renzi cominciano a farsi sentire: stangata su disabili e poveri per coprire i bonus e le mance dell’ebetino…!

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I risultati dei mille giorni di Renzi cominciano a farsi sentire: stangata su disabili e poveri per coprire i bonus e le mance dell’ebetino…!

 

Stangata su disabili e poveri per coprire i bonus e le mance

Il sistema – I tagli del triennio renziano costringono le Regioni a sforbiciare i fondi sociali. Gli 80 euro pagati dai meno abbienti.

Con una mano dare, con l’altra togliere, e quando scoppia il casino fare finta di indignarsi. Sono giorni in cui il governo dà il meglio di sé su una delle tante eredità lasciate da Matteo Renzi: l’enorme mole di tagli imposti alle Regioni per finanziare le diverse misure varate nei tre anni di governo del fiorentino, che ora presentano il conto. Questa storia è incredibile per l’irresponsabilità mostrata dai suoi protagonisti.

Nei giorni scorsi si è scoperto che per effetto di un’intesa nella Conferenza Stato-Regioni è stato deciso un maxi-taglio ai fondi sociali che vengono trasferiti dal primo alle seconde. Tra questi: 50 milioni al fondo per la non autosufficienza (disabili, malati gravi e familiari che li assistono), che torna ai 450 stanziati a ottobre e 211 milioni a quello per le politiche speciali, che passa così da 311 a 99 milioni (-67%). Soldi che servono a finanziare, fra le altre cose, asili nido, misure di sostegno alle famiglie più povere, assistenza domiciliare e centri anti-violenza. Diverse associazioni si sono infuriate. Appresa la notizia – fornitagli da un’interrogazione della deputata Pd Donata Lenzi – il sottosegretario alle Politiche sociali Luigi Bobba (Pd) è cascato dal pero: “Il fatto è di una gravità inaudita. Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali non ha partecipato al confronto e questa assenza costituisce un’aggravante perché conferma come le scelte per la salute siano totalmente subordinate a fattori economici”. I fattori economici sono i tagli imposti dal governo di cui Bobba ha fatto parte, e distribuiti in accordo con quello in cui siede attualmente.

Nei suoi tre anni l’esecutivo Renzi ha imposto tagli sanguinosi alle Regioni per finanziare le diverse manovre e contenere il deficit. Un esempio su tutti: la misura più sbandierata, il “bonus Irpef”, i famosi 80 euro in busta paga è arrivata ad aprile 2014 con un decreto che per coprire i costi (10 miliardi l’anno) ha imposto un taglio alle Regioni di circa 12 miliardi nel 2014-2020. Parliamo della “più grande opera di redistribuzione salariale mai fatta in Italia” (Renzi). Funziona così: il governo vara la misura, la copre in parte con i tagli a Comuni e Regioni e, per queste ultime, gli lascia la scelta formale di dove tagliare.

Il 9 febbraio la Conferenza Stato-Regioni si è trovata così a dover ripartire i tagli del 2017 non ancora coperti: 2,7 miliardi. La proposta la fa il governo e poi parte la trattativa con le Regioni: se salta tutto, vengono tagliati tutti insieme. Il 23 febbraio si arriva all’accordo. Il Documento finale – firmato dal ministro agli Affari regionali Enrico Costa – elenca la provenienza dei tagli: ben 2,2 miliardi vengono proprio dal decreto sul Bonus Irpef del 2014. La stangata è pesante: 1,7 miliardi vengono sottratti al fondo enti territoriali dove le Regioni hanno versato i risparmi di spesa; altri 100 ai contributi per gli investimenti. Poi c’è la scure sul sociale: -485 milioni. Il fondo per l’erogazione gratuita dei libri scolastici alle famiglie bisognose perde 70 milioni (su 103), quello inquilini morosi incolpevoli altri 50, stessa cifra per i contributi all’edilizia scolastica mentre quella sanitaria perde 100 milioni (-50%). “Che esponenti del governo si meraviglino è allucinante – spiega Massimo Garavaglia, assessore in Lombardia e coordinatore per gli affari finanziari della Conferenza delle Regioni – Il documento è frutto di un lavoro fatto prima con il sottosegretario a Palazzo Chigi, Claudio De Vincenti poi con il suo successore, Maria Elena Boschi e infine siglato con il ministro Costa: la proposta è del governo, noi abbiamo solo limitato i danni”. I tagli, infatti, sono superiori ai trasferimenti e i governatori si sono dovuti impegnare a versare allo Stato gli avanzi di bilancio. Senza intesa, si perdevano tutti i fondi. “Solo le manovre 2014, 2015, 2016 hanno tagliato alle Regioni ordinarie 8,1 miliardi nel 2017 – continua Garavaglia –. Nel quadriennio 2016-2019 si arriva a 50”. Tra questi, quelli alla Sanità: 2 miliardi nel 2016, altri 1,5 nel 2017, a cui si sono aggiunti i 422 milioni che le Regioni speciali si sono rifiutate di subire. Quando a novembre 2015 i governatori si ribellarono all’ennesimo taglio, Renzi li convocò spiegando ironico: “Adesso ci divertiamo”. Passata la buriana, queste scelte presentano il conto, come i 3 miliardi tolti alle Province. Con l’intesa del governo, i fondi sociali che lo Stato gira alle Regioni vengono così tagliati del 40%. Tagli che colpiscono le fasce più deboli, le stesse che non hanno beneficiato degli 80 euro (non vanno agli incapienti), dell’abolizione dell’Imu prima casa o del taglio dell’Ires.

Il governo è tardivamente corso ai ripari. Oggi sarà approvata in Senato la legge delega per il contrasto alla povertà, che contiene il “Reddito di inclusione”: 400 euro mensili alle famiglie in estrema difficoltà con almeno un minore a carico.

Da Il Fatto Quotidiano del 09/03/2017.

Matteo Renzi si vanta di aver tagliato spesa pubblica di 25 miliardi. Ma un’economista del suo stesso staff lo sputtana: il taglio reale non supera 400 milioni. Ecco quello che i Tg non Vi dicono!

 

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Matteo Renzi si vanta di aver tagliato spesa pubblica di 25 miliardi. Ma un’economista del suo stesso staff lo sputtana: il taglio reale non supera 400 milioni. Ecco quello che i Tg non Vi dicono!

 

Matteo Renzi sostiene di avere utilizzato al massimo possibile le forbici della spending review, e di non avere più spazi a disposizione, perché nel solo 2016 avrebbe già tagliato la spesa pubblica di ben 25 miliardi. Come sempre il premier legge a modo suo cifre che spesso la realtà gli ributta in faccia, e lo fa sia per ragioni propagandistiche (Renzi è perennemente in campagna elettorale) che per la necessità di utilizzare la presunta buona pratica di fronte a quei cagnacci della commissione europea che non vogliono concedergli la flessibilità di finanza pubblica che ha chiesto. Di solito pochi fanno il controcanto alle sparate del premier italiano. La sorpresa è arrivata ieri da il Foglio. Perché a fare un puntuto contraddittorio a Renzi è stata una economista che è anche un’amica di famiglia, comeVeronica De Romanis. Una economista di primissimo piano che è anche la consorte di Lorenzo Bini Smaghi, il banchiere che spesso viene annoverato in cima alla lista dei potenti renziani. La De Romanis ha smentito il premier, ricordando come il taglio di spesa non sia affatto di 25 miliardi di euro, ma addirittura inferiore ai 400 milioni. Per farlo ha utilizzato un documento dello stesso governo Renzi sulla legge di stabilità 2016, scritto dalla Ragioneria generale dello Stato. Ecco quanto scrive la De Romanis: «I risparmi per 25 miliardi di euro realizzati nel 2016 – grazie a iniziative intraprese tra il 2014 e il 2015 e alla legge di Stabilità 2016 – hanno consentito di finanziare alcune delle misure a sostegno della crescita e dell’ occupazione».

I dettagli di queste misure non sono illustrati nella Nota, tuttavia una cosa è chiara: i tagli effettivi non possono essere 25 miliardi di euro dal momento che sono stati utilizzati per coprire incrementi di “altra” spesa pubblica. Per sapere a quanto ammontano i tagli “netti” per il 2016, anche in questo caso, bisogna andare sul sito del Mef. Nella tabella a pagina 4 del documento redatto dalla Ragioneria generale dello stato («La Manovra di Finanza Pubblica per il 2016-2018»), si evince che, per l’anno 2016, la cifra totale della «variazione netta delle spese» è pari a 360 milioni di euro, di cui 41 di spesa corrente e 319 di spesa in conto capitale». Da cosa deriva quella incredibile differenza? Da un particolare che Renzi omette nei suoi comizi: la spesa non è stata tagliata, ma semplicemente spostata da un capitolo all’ altro. La De Romanis è perfino tenera nel sottolinearlo, parlando di «qualificazione della spesa», ossia di un migliore utilizzo delle risorse pubbliche.

Che però escono dalle casse dello Stato, finanziate dalle entrate, esattamente come avveniva prima. «Quello che emerge dai dati è che il governo», scrive la De Romanis, «più che tagliare la spesa pubblica, l’ha spostata da un capitolo a un altro: una linea destinata a proseguire con l’implementazione della riforma della pubblica amministrazione. Del resto, che questo sarebbe stato l’approccio seguito lo aveva precisato lo stesso ministro della Funzione pubblica al momento della presentazione del ddl delega: «Non so quanti risparmi porterà la riforma della Pubblica Amministrazione e sono contenta di non saperlo perché l’ impostazione non è di spending review: non siamo partiti dai risparmi».

Insomma, tagliare non sembra essere una priorità. Ma tagliare la spesa è l’unica via per crescere, spiega l’economista: l’opposto da quanto sostenuto dal premier italiano. Lei cita «i paesi che nell’ultimo quinquennio hanno tagliato la spesa pubblica come l’Inghilterra (dal 48,8 al 43 per cento), la Spagna (dal 46 al 43,3 per cento) o l’Irlanda (dal 47,2 al 35,9 per cento) crescono, rispettivamente, del 2,3 per cento, del 3,2 per cento e del 6,9 per cento. L’Italia, che nello stesso periodo ha incrementato la spesa pubblica dal 49,9 al 50,7 per cento, è ferma allo 0,8 per cento». Un de profundis per le politiche economiche dell’esecutivo. Che fa ancora più male perché nasce in casa. Ma che non è diverso dall’analisi di altri osservatori tecnici.

spesa pubblica

fonte: http://www.grandecocomero.com/questa-donna-smaschera-le-balle-di-matteo-renzi-ecco-cosa-ha-avuto-il-coraggio-di-raccontare/

 

Matteo Renzi si vanta di aver tagliato spesa pubblica di 25 miliardi. Ma un’economista del suo stesso staff lo sputtana: il taglio reale non supera 400 milioni. Ecco quello che i Tg non Vi dicono!