L’intervista shock all’economista Nino Galloni: la Germania accettò l’Euro solo in cambio del fallimento dell’Italia! …all’epoca gli diedero del pazzo… Ed ora???

 

Nino Galloni

 

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L’intervista shock all’economista Nino Galloni: la Germania accettò l’Euro solo in cambio del fallimento dell’Italia! …all’epoca gli diedero del pazzo… Ed ora???

LA GERMANIA ACCETTÒ L’EURO IN CAMBIO DEL FALLIMENTO DELL’ITALIA. INTERVISTA SHOCK

Se ascoltate questa intervista in video, vi renderete conto della mostruosità del progetto che ha demolito l’Italia (industriale) a partire dalla fine degli anni ’80.

In sintesi (poi voi potete vedervi con calma il video a riguardo), l’Italia voleva cambiare la sua economia in meglio, affinché fosse più competitiva e meno dipendente dall’Europa. Poi la Germania si è riunita, e Kohl fece un accordo con Mitterand. La Francia avrebbe appoggiato l’unificazione tedesca, ma in cambio la Germania avrebbe dovuto rinunciare al marco.

La Germania accettò, ma come contropartita ulteriore chiese alla Francia un progetto di deindustrializzazione dell’Italia, poiché se l’Italia si fosse mantenuta forte dal punto di vista produttivo-industriale, l’accordo tra Kohl e Mitterrand sarebbe rimasto lettera morta e la Germania avrebbe pagato pesantemente sia la rinuncia al marco che la sua riunificazione.

Da qui la svendita dei nostri gioielli alla fine degli anni ’80, sotto una duplice pressione: esterna (l’abbiamo letta) e interna, di quegli affaristi cioè che con la privatizzazione a prezzi di saldo avrebbero fatto un bel po’ di grassi affari alle spalle della collettività. Beh, che dire? Il funzionario ha confermato di fatto quanto già fu dichiarato da Visco e Prodi. Ci hanno letteralmente fregato e continuano a fotterci.

Infatti un’Italia fuori dall’euro, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura a molti, incluse Francia e Germania che temevano le nostre esportazioni prezzate in lire. Ma Berlino ha consapevolmente gestito la globalizzazione: le serviva un euro deprezzato, così oggi è in surplus nei confronti di tutti i paesi, tranne la Russia da cui compra l’energia. Era un disegno razionale, serviva l’Italia dentro la moneta unica proprio perché era debole. In cambio di questo vantaggio sull’export la Germania avrebbe dovuto pensare al bene della zona euro nel suo complesso,ma così non è stato,ci hanno distrutto e ora ci lasciano marcire in eurozona,dopo essere stati usati…

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ESTRATTO DAL MINUTO 19:05

Nel 1982/83 io ero funzionario del Ministero del Bilancio e feci uno studio. Lo feci vedere al Ministro, facendogli presente che questo sistema avrebbe rovinato il Paese perché il debito pubblico, nel giro di 5/6 anni, avrebbe superato il prodotto interno lordo, e la disoccupazione giovanile avrebbe superato il 50%. Ne parlai anche col Ministro del Tesoro, che era Beniamino Andreatta, e con alcuni dell’ufficio studi della Banca d’Italia. Tutti quanti concordarono sul fatto che la mia analisi era esagerata e che non era possibile che il debito pubblico superasse il PIL, perché allora il sistema sarebbe saltato. E io dissi: scusate, se il debito è un fondo e il PIL è un flusso, non c’è nessun problema. Se io oggi, per farvi un esempio, con 50mila euro di reddito della mia famiglia vado a chiedere un prestito di 200, 250mila euro alla banca, me lo danno. Quindi anche un rapporto di 4/5 volte rispetto al PIL è sostenibile. Se è sostenibile per una famiglia, che tutto sommato non ha la forza di uno Stato, perché uno Stato, se supera il 100% del PIL, dovrebbe vivere chissà quali catastrofi? Allora dissero che le preoccupazioni sulla disoccupazione giovanile erano esagerate… Insomma: litigammo, me ne andrai dall’amministrazione e andai a fare altri lavori.

Nel 1989 ebbi uno scambio con l’allora incaricato Presidente del Consiglio che era Giulio Andreotti, il quale mi disse: “Dobbiamo cambiare l’economia italiana perché così non può andare avanti, ci dia una mano”. Io mi misi a disposizione e mi fecero incontrare con il suo braccio destro il quale, come è noto, mi chiese “Che cosa devo fare per cambiare l’economia di questo Paese”? Dissi: “Guardi, lei si faccia nominare dal prossimo Governo al Ministero del Bilancio e mi metta in mano tutta la struttura. Al resto ci penso io”. Poi me ne andai, pensando insomma che non sarebbe successo niente. E invece mi chiamò, dopo qualche settimana, e mi disse: “Guardi, sono Ministro del Bilancio” e mi mise a capo di tutta la struttura. Per cui io, nell’autunno del 1989 cominciai a cambiare l’economia di questo Paese. Nel senso perlomeno di rallentare il processo dell’Europa. Poi io ho avuto la buona scuola di Federico Caffè.. non ero un euroscettico, però non ero neanche un euroestremista. Insomma, pensavo che l’Italia dovesse anche guardare all’Europa, ma con i suoi tempi, le sue caratteristiche, le sue peculiarità, per cercare di recuperare un po’ di sovranità monetaria etc.

In effetti io lì lavorai due o tre mesi e poi successe l’inferno. Arrivarono al Ministro del Tesoro, Giulio Carli, telefonate dalla Banca d’Italia, dalla Fondazione Agnelli, dalla Confindusitra e, nientedimeno, da un certo Helmut Kohl, il quale era venuto a sapere che c’era questo oscuro funzionario del Ministero del Bilancio che stava cambiando le carte degli accordi. Nel frattempo, però, lo stesso Andreotti stava cambiando idea. Quando mi chiamò, nell’estate dell’89, volevano cambiare. Non volevano fare quello che poi fu fatto. Lui stesso andava in giro dicendo che le rivendicazioni della Germania erano una sciocchezza. Dopo qualche mese ci fu l’accordo tra Kohl e Mitterrand in cui Kohl, in cambio dell’appoggio di Mitterrand per la riunificazione tedesca, rinunciava al marco e quindi accettava la prospettiva dell’euro, accettava cioè di arrivare a una moneta comune che proteggesse la Francia.

Ma quest’accordo prevedeva anche la deindustrializzazione dell’Italia. Perché se l’Italia si manteneva così forte dal punto di vista produttivo – industriale, quell’accordo tra Kohl e Mitterrand sarebbe rimasto un accordo così, per modo di dire. C’erano fondamentalmente, contro la spesa pubblica, contro la classe politica del tempo, contro la sovranità monetaria – per quello che comporta – due correnti. Una era interessata soprattutto ai grandi business delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni. Hanno guadagnato distruggendo l’industria pubblica: c’erano aziende che venivano vendute al loro valore di magazzino, e quindi come andavano in borsa ovviamente alzavano la loro quotazione. Poi c’erano gli altri, che erano magari in buona fede, cioè avevano l’obiettivo di moralizzare il Paese. E hanno sbagliato. In entrambi i casi la contropartita è stata negativa: abbiamo perso quel’abbrivio strategico che avevamo nell’ambito della nostra industria. Quindi in sostanza la nostra classe dirigente ha accettato una prospettiva di deindustrializzazione del nostro Paese.

Il Video:

 

Di Bandabassotti

Il malessere del modello tedesco – La ricchezza della Germania è solo una fake news

 

Germania

 

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Il malessere del modello tedesco – La ricchezza della Germania è solo una fake news

di Emanuel Pietrobon

Viaggio nella Germania che ha subito gli effetti della globalizzazione, dell’immigrazione selvaggia e della denazificazione.

La propaganda europeista da anni martella le opinioni pubbliche dei 28 veicolando la (falsa) convinzione che la Germania sia il più grande successo dell’Eurozona e che le sue ricette applicate in società ed economia dovrebbero essere assunte a modelli di riferimento per l’intera comunità europea. La realtà non corrisponde esattamente ai racconti del Comitato Ventotene e basterebbe uno sguardo, neanche tanto approfondito, alla situazione interna del paese per capire che si tratta di uno dei più grandi miti costruiti dalla fabbrica di fake news, insieme a quello svedese.

Secondo un’inchiesta del Der Spiegel del 2012, la ricetta economica tedesca basata su un modello neomercantilista fortemente dipendente dalla politica esportatrice verso territori extracomunitari che ha reso possibile al paese di diventare la prima potenza economica d’Europa sarebbe un finto successo perché ha arricchito una piccola parte della popolazione a fronte dell’impoverimento di milioni di tedeschi.

Infatti, da anni gli stipendi di operai generici e dipendenti base sono bloccati, caratterizzati da contratti precari con poche possibilità di regolarizzazione a tempo indeterminato e bonus (di qualsiasi tipo) nulli; inoltre la paga mensile media per diverse mansioni è lentamente diminuita sotto la soglia dei 800 euro e figure professionali come cuochi, camerieri e insegnanti percepiscono stipendi inferiori a quelli del 2003.

Marzahn è uno dei simboli di quella Germania volutamente dimenticata e assassinata dalla globalizzazione: palazzi di recente costruzione e aree giochi nascondono un tasso di disoccupazione doppio rispetto alla media nazionale, la metà della popolazione vive di sussidi statali e criminalità dilagante

La causa di tutto ciò? L’inchiesta accusa le politiche neoliberiste che hanno deregolamentato il mercato del lavoro tedesco nel nome della flessibilità, comportando un generale abbassamento dei salari e una precarizzazione dei rapporti di lavoro: oltre 900mila i cosiddetti “precari” nel 2012 rispetto ai 300mila del 2003. Nel 2015, il Paritätische Gesamtverband, un’associazione attiva nel sociale, denunciava in un rapporto il ritorno della povertà nel paese ai livelli del pre-unificazione: 12 milioni e 500mila degli 80 milioni di cittadini guadagnavano meno di 540 euro al mese, vivendo in stato di povertà. Una situazione, a detta dell’associazione, causata dai tagli alle politiche di tutela del lavoro. Nello stesso anno, secondo il Destatis, l’ufficio di statistica tedesco, erano oltre 3 milioni i poor worker, ossia quei lavoratori in soglia di povertà per via dello stipendio non allineato al costo della vita. E che dire della situazione sociale? Tanto è stato scritto sugli stupri di massa del capodanno di Colonia del 2016 operati da bande di immigrati, specialmente medio-orientali e balcanici – parte di essi richiedenti asilo, rifugiati umanitari e profughi, e da allora la Germania è stata sconvolta da diversi attentati a matrice islamista; eventi che hanno giocato un ruolo fondamentale nell’ascesa di partiti antisistema come Alternativ für deutschland alle recenti elezioni.

Il modello d’integrazione tedesco forse non è mai stato capace di germanizzare i non autoctoni, ed oggi più che mai mostra la vastità delle sue falle tra attentati terroristici, proliferazione di ghetti e no-go zones. Secondo una ricerca del Gatestone Institute, nel 2016 soltanto 34mila rifugiati, su oltre un milione di entrati nel paese tra il 2014 e il 2015, avevano trovato un’occupazione regolare, con contratto e tutele sindacali. Dati confermati, in parte, anche dalla Bundesagentur für Arbeit, l’Agenzia federale del lavoro, che nello stesso anno denunciava che dei 2 milioni e 500mila abitanti del paese senza occupazione, il 43,1% era straniero o tedesco naturalizzato. La stessa agenzia nel rapporto approfondiva le cause della situazione occupazionale tra etnie, sottolineando l’importanza giocata dal diverso background culturale nelle possibilità di trovare un’occupazione, o quantomeno una soddisfacente, ed integrarsi meglio nella società. Un’inchiesta del Wall Street Journal dello stesso anno ha invece portato alla luce il fallimento del progetto di inserimento dei profughi nel mondo della grande imprenditoria tedesca, tanto auspicato dal governo Merkel nel 2015. Tra i casi più clamorosi Deutsche Post, che ha offerto 1000 posti di lavoro a rifugiati ricevendo solo 235 domande di partecipazione, e Continental AG che ha avviato un percorso formativo con finalità d’assunzione per 50 rifugiati, terminato soltanto da 15 degli aspiranti.

In Germania, durante le celebrazioni del capodanno 2016, specialmente a Colonia, hanno avuto luogo delle violenze di massa operate da bande organizzate di profughi, richiedenti asilo e immigrati mediorientali e balcanici, al termine delle quali circa 2mila persone sono state vittime di stupri, aggressioni e rapine

Se la situazione lavorativa dei nuovi tedeschi è drammatica, quella vissuta dai tedeschi è tragica stando al rapporto “Sulla criminalità nel contesto della migrazione” della BKA, la polizia federale tedesca, coprente reati compiuti da stranieri, richiedenti asilo e profughi nel periodo 2013-17. Nel 2016, questa categoria di persone si sarebbe macchiata di 3404 reati sessuali (su un totale di 6100 denunciati) unamedia di 9 al giorno; un aumento vertiginoso considerando i 559 crimini a sfondo sessuale del 2013, per una media di 2 al giorno. Secondo il rapporto le principali nazionalità protagoniste di tali reati sarebbero in ordine: Siria, Afganistan e Pakistan. Alla luce di questi numeri, forse non è un caso che in occasione delle celebrazioni del nuovo anno, le autorità berlinesi abbiano deciso di realizzare zone di sicurezza per le donne a Pariser Platz, suscitando scalpore in Occidente, ma ottenendo consensi nel paese.

Un capitolo a parte andrebbe dedicato alla salute mentale dei tedeschi. Secondo una ricerca dell’OCSE sull’utilizzo e abuso di farmaci nei paesi sviluppati, in Germania il numero di coloro che consumano antidepressivi con assiduità è aumentato del 46% tra il 2007 ed il 2011, facendo del paese uno dei più afflitti dal problema della farmacodipendenza dietro la regione scandinava. Dati sorprendenti anche secondo l’organizzazione che aveva associato l’incremento nell’uso di questi farmaci alla recente crisi economica, salvo poi dover fare marcia indietro leggendo i numeri di Germania e paesi scandinavi, in cui l’abuso è andato crescendo senza sosta, quindi apparentemente slegato ai cicli economici. Il tema dell’utilizzo di antidepressivi in Germania ha attirato l’attenzione di diversi studiosi e centri di ricerca. Secondo un’inchiesta del 2015 di Deutsche Welle, la principale emittente pubblica tedesca, in Germania la media dei consumatori di antidepressivi è aumentata dai 52 ogni 1000 abitanti del 2000 ai 104 del 2012 – la media europea è stabile a 56 ogni 1000 abitanti.

Nonostante il trend economico positivo, in Germania l’uso di psicofarmaci è andato aumentando vertiginosamente negli ultimi 17 anni, come denunciato dall’Ocse, posizionandosi ai primi posti tra i paesi sviluppati, dietro solo alle nazioni scandinave

L’emittente, riprendo i dati forniti dall’Ocse e dalla Techniker Krankenkasse, un’importante compagnia tedesca di assicurazione sanitaria, ha portato alla luce diversi dati: tra il 2000 e il 2013 sono aumentati del 2% i lavoratori assicurati a cui sono stati prescritti antidepressivi, gli antidepressivi sono prescritti ad un tasso due volte maggiore alle donne rispetto che agli uomini, i lavoratori in età matura prendono più antidepressivi rispetto a quelli più giovani e l’uso di antidepressivi è più frequente tra operatori dei servizi sociali, precari ed operai. L’indagine si conclude con l’opinione del dottor Malek Bajbouj, professore di neuropsichiatria all’ospedale universitario di Berlino, secondo il quale nel paese non è in corso alcuna epidemia di abuso da psicofarmaci, ma si tratterebbe piuttosto di un aumento legato alla maggiore accettazione sociale dei trattamenti farmacologici e alla minore stigmatizzazione di coloro che ne fanno uso.

La Germania è, quindi, anche questo: un palazzo in rovina che viene costantemente riverniciato e ammodernato superficialmente in modo tale da nasconderne le crepe e renderne gradevole l’aspetto, ma destinato a soccombere sul proprio peso, un gigante d’argilla che ha deciso di rimediare alla crisi demografica dando luogo ad una politica migratoria che ha fatto entrare nel paese oltre un milione di persone nel solo 2015 salvo poi ricorrere a ripari impacciati e miopi ai primi segnali di instabilità sociale. Un paese che ha perso la bussola ma che continua a guidare il resto della squadra, l’Ue, verso la stessa, tragica sorte.

Fonte: L’INTELLETTUALE DISSIDENTE

F-35…? Anche la Germania dice NO… Una lezione ai nostri politici disposti a bruciare 100 milioni (di soldi nostri) pur di scodinzolare intorno al padrone americano

F-35

 

 

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F-35…? Anche la Germania dice NO… Una lezione ai nostri politici disposti a bruciare 100 milioni (di soldi nostri) pur di scodinzolare intorno al padrone americano

 

F-35 per la Luftwaffe? Il “nein” di Berlino è una lezione per l’Italia

Il Ministero della Difesa tedesco ha reso noto che, come previsto da tempo, il velivolo Panavia Tornado verrà sostituito nei ranghi della Luftwaffe dall’Eurofighter Typhoon e non dal Lockheed Martin F-35 Lightning, come aveva auspicato all’inizio di novembre il capo di stato maggiore dell’aeronautica, il tenente generale Karl Muellner.

Parlando alla conferenza IQPC International Fighter a Berlino, il generale Muellner disse che l’F-35 permetterebbe alla Germania di raggiungere tre obiettivi primari per la sua sostituzione con il Tornado: soddisferebbe i requisiti militari della Luftwaffe, rafforzerebbe la cooperazione europea attraverso l’interoperabilità e contribuirebbe a bilanciare il surplus commerciale della Germania con gli Stati Uniti.

 Sottolineando come il successiore del Tornado dovrebbe avere capacità di combattere altri aerei, interdizione, soppressione delle difese  aeree (SEAD), supporto aereo ravvicinato (CAS), ricognizione tattica, guerra elettronica e missioni di deterrenza nucleare, Muellner aveva dichiarato che “la Luftwaffe considera la capacità dell’F-35 come il punto di riferimento … e penso di essermi espresso abbastanza chiaramente su quale sia il favorito della Luftwaffe”.

Una dichiarazione che ha avuto ampia eco sui media, certo superiore a quella con cui l’opzione del velivolo statunitense è stata decisamente respinta dal vice ministro della Difesa Ralf Brauksiepe.

“La visione indicata del capo della forza aerea che l’F-35 Lightning II è un successore particolarmente adatto al Tornado non è la posizione del governo federale” che, come è noto da tempo, intende sostituire i Tornado con gli Eurofighter Typhoon tra il 2025 e il 2030 quando gli ultimi Tornado dovrebbero venire ritirati dal servizio.

La Germania punta quindi a incentrare i suoi reparti aerei da combattimento su un solo velivolo (come del resto fa anche la Francia con i Dassault Rafale) di produzione nazionale all’interno del consorzio Eurofighter (Germania, Italia, Spagna e Gran Bretagna).  Una scelta coerente con la necessità di concentrare gli stanziamenti su prodotti dell’industria nazionale, con i progetti di difesa europea e con il varo del programma franco-tedesco per lo sviluppo di un nuovo velivolo di Quinta generazione annunciato nel luglio scorso.

Anche alla luce di questi fatti appare sempre più paradossale la scelta italiana di dotarsi degli F-35 (gli unici davvero necessari sono gli F-35B per la Marina e destinati all’imbarco sulla portaerei Cavour che può imbarcare solo aerei a decollo corto e atterraggio verticale), i cui costi sono da tempo fuori controllo e che porteranno la nostra Aeronautica a schierare due macchine (Typhoon e Lightning II) estremamente costose anche in termini di gestione a fronte di bilanci della Difesa sempre più scarni.

Oltre a lasciare ancora a lungo l’Italia in posizione di sudditanza nei confronti degli USA, la cui politica è sempre più palesemente ostile all’Europa e dove il “buy american” impedisce la penetrazione negli USA di prodotti italiani ed europei della Difesa, l’acquisizione dell’F-35 rappresenta un suicidio industriale anche a fronte degli scarsi ritorni tecnologici, compensazioni e posti di lavoro determinati dal programma dell’aereo statunitense.

Per sostenere l’industria, potenzialità di export del made in Italy e occupazione meglio sarebbe acquisire altre due dozzine di nuovi Typhoon per rimpiazzare i Tornado e almeno altrettanti M-346FA (versione da combattimento dell’addestratore M-346 Master – nella foto sotto) per sostituire gli AMX Acol promuovendo così sul mercato il caccia leggero di Leonardo.

Una scelta che certo comprometterebbe i 4 miliardi spesi negli ultimi 20 anni per il programma F-35, che potrebbero in parte venire recuperati cedendo ad altri acquirenti i pochi  F-35A già ordinati o consegnati e negoziando con gli Usa il mantenimento alla FACO di Cameri gli stabilimenti per la manutenzione degli F-35B della Marina e per gli F-35A di altri Paesi NATO e dell’Usaf dislocati in Europa.

Certo l’F-35 vanta capacità indubbiamente avanzate ma non è detto che all’Italia serva davvero un aereo semi-stealth da “first strike” (anche nucleare, con le bombe B-61-11 statunitensi basate a Ghedi) ) dal momento che, per scelta politica di Roma, neppure gli aerei da combattimento in servizio oggi vengono impiegati per azioni di attacco, ovviamente con l’esclusione dei conflitti in cui Washington ci ha “ordinato” di farlo (Kosovo, Libia e Afghanistan).

I potenziali nemici che presumibilmente dovremo affrontare sono alla portata dei Typhoon (che infatti imbarcano già i missili da crociera MBDA Storm Shadow), a meno che non si voglia continuare a seguire la delirante politica anglo-americana di contrapposizione alla Russia che domina gli ambenti NATO.

Inoltre che senso ha blaterare tanto di difesa europea se poi, per giunta in tempi di “vacche magre”, si comprano aerei e tecnologie americane invece di svilupparne di proprie?

Tenuto conto anche delle scarse risorse finanziarie disponibili per la Difesa, una scelta all’insegna del “buy italian” è dunque quanto mai necessaria se davvero si vuole impedire il collasso o la svendita agli stranieri dell’industria nazionale, che con la rinuncia all’F-35 potrebbe disporre anche di risorse utili alla ricerca hi-tech per affiancare (in un ruolo non troppo subalterno) i franco-tedeschi nel programma per un nuovo cacciabombardiere europeo di Quinta generazione, accedendo anche ai fondi messi recentemente a disposizione dalla Ue per i programmi di difesa comune.

Un’occasione da non perdere per mantenere l’Italia nella ristretta cerchia dei produttori di aerei da combattimento.

 

fonte: http://www.analisidifesa.it/2017/12/f-35-per-la-luftwaffe-il-nein-di-berlino-e-una-lezione-per-litalia/

Per rinfrescarvi la memoria – Dalla Germania l’allucinante ricetta per l’Italia: “L’ITALIA VA CURATA DA NOI TEDESCHI COL PUGNO DI FERRO”

 

Germania

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Per rinfrescarvi la memoria, Vi riproponiamo questo articolo dell’anno scorso, più che mai attuale.

Dalla Germania l’allucinante ricetta per l’Italia: “L’ITALIA VA CURATA DA NOI TEDESCHI COL PUGNO DI FERRO”

 

FRANKFURTER ALLGEMEINE ZEITUNG: ”L’ITALIA VA CURATA DA NOI TEDESCHI COL PUGNO DI FERRO CONTRO L’EGOCENTRISMO ITALIANO”

BERLINO – La stampa italiana non ne parla, ma quella tedesca invece lo mette in prima pagina sul principale quotidiano di Germania, l’autorevole Frankfurter Allgemeine Zeitung: “E’ il momento di ripensare il rapporto coi politici italiani, così non si può continuare”.

Lo scrive oggi la Frankfurter Allgemeine Zeitung in un editoriale intitolato “L’egocentrismo italiano”, che parte dalla proposta del candidato cancelliere della Spd, Martin Schulz, di aumentare i fondi tedeschi all’Unione europea, in quanto Berlino trae vantaggio dalla Ue. Niente di più sbagliato, secondo la Faz.

“Dal punto di vista di Roma cio’ ha l’effetto di una capitolazione di fronte alla retorica ricattatoria dell’Italia, che vuole piu’ soldi da Bruxelles e Berlino”, nota nell’editoriale il giornale. “Ogni accenno ai vantaggi della Germania rafforza al momento i politici italiani nei loro giudizi anti-tedeschi, che non hanno nessun fondamento” secondo il quotidiano che da sempre rappresenta la voce ufficiosa della cancelliera Merkel.

“La retorica anti-tedesca e anti-europea viene vista come portatrice di voti dai politici italiani come Renzi, Berlusconi, Salvini e Grillo – continua il duro editoriale -. Cio’ che viene propagato da questi leader e dai loro sostenitori suona assurdo dalla prospettiva tedesca. Ad esempio che solo la Germania avrebbe beneficiato dell’euro e la crescita italiana sarebbe ostacolata solo dall’austerity tedesca”.

“I politici tedeschi rispondono con parole diplomatiche, poche critiche e qualche elogio. Ma al posto di una superficiale diplomazia, conviene occuparsi piu’ a fondo dell’Italia e discutere molto di piu’ e piu’ approfonditamente degli argomenti sulle politiche economiche sbagliate dell’Italia”. Parole come pietre.

“Se gli italiani non vogliono guardare in faccia i fatti, allora devono essere altri a parlarne e a farglieli guardare. Soprattutto bisogna ricordare ai politici italiani che nel 1998, con l’ingresso nell’Unione monetaria, l’Italia e’ stata salvata dal default, cosi’ come nel 2011 tramite le garanzie per il debito italiano con nuovi fondi salva-Stati”.

Il fatto che l’Italia fosse in bancarotta nel 1998, però, è una vera e propria invenzione della Faz. Al contrario, il debito pubblico italiano era la metà esatta di quello di oggi e il potere d’acquisto della lira in Italia era il doppio di quello attuale con l’euro. Un esempio per tutti: il valore degli immobili. Sul finire degli anni Novanta, con 200 milioni di lire si acquistava il medesimo appartamento che con l’introduzione dell’euro verrà a costare 200.000 euro, che al cambio sono circa 400 milioni.

Ma la Frankfurter Allgemeine Zeitung non vuole guardare la verità e accusa: “Il Paese scivola verso una nuova crisi, con alti debiti, tassi che saliranno presto e un apparato statale e un sistema economico che necessitano di riforme e dal voto del 2018 non uscira’ probabilmente un governo in grado di agire. Con l’idealismo europeo di un Martin Schulz non e’ possibile purtroppo curare quest’Italia”.

La “cura” tedesca dell’Italia è un antico vizio che hanno a Berlino. E questo articolo chiarisce che la Germania vuole a tutti i costi devastare il nostro Paese riducendolo a una colonia piena di miserabili.

Redazione Milano

tratto da: http://www.stopeuro.news/frankfurter-allgemeine-zeitung-litalia-va-curata-da-noi-tedeschi-col-pugno-di-ferro-contro-legocentrismo-italiano/

Il fantastico editoriale di Marco Travaglio: Benvenuti in Culonia

Marco Travaglio

 

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Il fantastico editoriale di Marco Travaglio: Benvenuti in Culonia

Ci sono giornate che cominciano uggiose e non inducono proprio al buonumore. Poi giunge notizia che Antonio Tajani, a nome di FI e dunque di B., si è molto congratulato con la Merkel per il suo quarto cancellierato e ha rivelato che lei e Silvio hanno appena avuto “due lunghi e approfonditi incontri, non sono mai stati così vicini”, e uno subito si rianima. Siccome siamo un Paese senza memoria che confida nella smemoratezza altrui, ecco un breve riepilogo dei rapporti bilaterali Berlino-Arcore.

Quand’era premier, sinceramente offeso dall’intollerabile serietà della Cancelliera, B. le provò tutte per sbeffeggiarla e umiliarla: una volta le fece il cucù, un’altra la lasciò per mezz’ora sotto il sole mentre lui era al telefono (“con Erdogan”, disse poi, essendo un madrelingua turco) e così via. Lei lo ripagò il 23 ottobre 2011 con la famosa risata in duo con Sarkozy, e chissà se sapeva che un anno prima il Fatto aveva riferito una voce ricorrente in Transatlantico: i fedelissimi di B. erano terrorizzati che uscissero, dalle procure di Milano o Napoli o Bari, intercettazioni compromettenti fra lui, i suoi papponi e le sue escort. Compromettenti non per l’attività di puttaniere, che anzi faceva punteggio. Ma per l’abitudine a catechizzare, nelle cene eleganti pre-bungabunga, le papigirl sulle sue mosse diplomatiche ai vertici internazionali, e a condire il tutto con sapidi aneddoti e soprannomi. Purtroppo quello della Merkel era “culona inchiavabile”.

Le intercettazioni poi non uscirono (o non c’erano, o furono stralciate per irrilevanza penale), ma chi lo conosceva giurava che il Gran Simpatico la chiamava così, amichevolmente, con tutti. Infatti la stessa voce fu raccolta da Selvaggia Lucarelli nel suo blog. L’indiscrezione, rimbalzata sui giornali tedeschi, da Bild a Die Welt, cadde nel più impenetrabile silenzio dell’entourage berlusconiano: nessun commento né smentita. Poi, un anno più tardi, subito dopo la risata Merkel-Sarkozy, B. perse la maggioranza e si dimise. Poi prese ad accusare apertamente la Merkel, in combutta con Sarkò, Obama, Napolitano e il mago Otelma, di aver congiurato contro il suo governo, in quello che doveva essere, se non andiamo errati, il quarto o il quinto “golpe” ai suoi danni dal ’94. Lo ribadì papale papale nel gennaio 2013 a Servizio Pubblico, accusando il governo tedesco di aver aizzato la Deutsche Bank a vendere titoli di Stato italiani per far schizzare lo spread. La Costamagna gli mostrò una lettera di smentita della banca tedesca, ma lui rispose che allora sarà stata la Bundesbank (finiva sempre per bank).

Intanto i suoi giornali, parlando con cognizione di causa e sapendo di far cosa gradita al Capo, avevano iniziato a chiamare la Merkel con quel grazioso vezzeggiativo. Cominciò Libero di Belpietro: “Angela è davvero una culona. Il primo a dirlo fu Kohl” (27.11.2011). Proseguì il Giornale di Sallusti: “La caduta di Berlusconi: è stata la culona” (31.12.2011). E così via, anche a sproposito, persino negli eventi sportivi. Tipo quando la nostra Nazionale eliminò la Germania agli Europei 2012: “Ciao ciao culona” (il Giornale, 29.6.12). “Vaffanmerkel”, “Due calci nel culone” (Libero, 29.6.12). Angela perdeva 10 chili? “Merkel a dieta: anche lei si vede culona” (Libero, 7.5.2014). Così, dando ormai la cosa per fatto notorio, un giornalista della Bbc, Jeremy Paxman, pose a B. la domanda che nessun collega italiano aveva mai osato fare: “Scusi, è vero che ha definito Angela Merkel ‘culona inchiavabile’?”. L’interrogativo sortì sul Lord Brummel brianzolo l’effetto del gas paralizzante: una lunga, interminabile paresi, tipo fermo-immagine (il tempo per l’interprete di riaversi dallo choc e trovare le parole per tradurre un’espressione non proprio tipica del linguaggio politico diplomatico), seguita dal moto ondulatorio e sussultorio della mano destra che faceva cenno di passare alla domanda successiva. Deborah Bergamini, la sventurata portavoce, dovette vergare una nota ufficiale per smentire qualsivoglia imbarazzo, incolpare la Bbc di un taglio politico, precisare che nella versione integrale B. smentiva di aver mai insultato Merkel o altri, spiegare l’apparente paralisi con la vigile attesa della traduzione.

Da: Il Fatto Quotidiano del 28/09/2017.

 

Per rinfrescarVi la memoria – L’Euro è la moneta unica tedesca. Senza l’Euro lo Stato Italiano risparmierebbe 8 miliardi l’anno. Lo dicono quei “complottisti” del Centro Studi Mediobanca!

 

Euro

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Per rinfrescarVi la memoria – L’Euro è la moneta unica tedesca. Senza l’Euro lo Stato Italiano risparmierebbe 8 miliardi l’anno. Lo dicono quei “complottisti” del Centro Studi Mediobanca!

Finalmente il re è nudo: qualcuno ha avuto il coraggio di dire apertamente che l’euro non è altro che un marco mascherato che serve unicamente alla Germania per portare avanti le sue politiche predatorie ai danni delle altre nazioni, così come teorizzato fin dal lontano 1700 dagli economisti mercantilisti.

Serviva l’arrivo di Trump alla presidenza degli USA, perché venisse squarciato definitivamente l’ipocrita velo che circonda la falsa moneta unica europea. Diciamo falsa, perché l’euro NON è una moneta unica, ma un semplice e ben più fallimentare rapporto di cambi fissi tra monete diverse. Detto in altra forma, non è vero che la lira, il franco francese, il marco, non esistono più: sono semplicemente spariti dalla circolazione, ma rimangono sostanzialmente operativi e sottostanti all’euro. Infatti, perché vi sia una vera moneta unica, servirebbe un unico debito pubblico europeo, una sola politica fiscale ed una politica redistributiva tra aree avvantaggiate e svantaggiate del territorio.

Se questo non avviene, come appunto nell’eurozona, siamo semplicemente in presenza di un rapporto di cambi fissi come quello tentato anni fa dall’argentina che aveva agganciato il valore del peso al dollaro. Il risultato fu un drammatico squilibrio nella bilancia dei pagamenti e la conseguente bancarotta del paese sudamericano. Esattamente quello che sta accadendo ai paesi “deboli” dell’area euro rispetto alla “forte” Germania che, proprio in virtù di questo fatto, li invade dei propri prodotti e non importa i loro.

L’accusa mossa dagli americani è quella di un euro che incarna il marco tedesco, troppo debole rispetto alla reale forza dell’economia tedesca, che in tal modo esporta eccessivamente negli Usa e negli altri paesi della zona euro.

Ora, se l’euro dovesse rafforzarsi sul dollaro, le economie più deboli, ed in particolare quella italiana, verrebbero travolte ed annientate, in quanto non riuscirebbero più ad esportare nemmeno quel poco che stanno facendo ora e con i consumi interni rasi al suolo dalle politiche di austerità imposte dalla Germania, l’unica strada sarebbe quella della bancarotta.

E questo gli americani, ed in particolare il nuovo ambasciatore presso la Ue, Theodore Roosvelt Malloch lo sanno benissimo, tanto da dichiarare che la Ue e l’euro potrebbero non durare altri 18 mesi.

Infatti l’unica salvezza per l’Italia, in uno scenario di rafforzamento dell’euro, sarebbe quello di uscire dalla moneta unica, ridenominare il debito nella nuova moneta (chiamiamolo ducato per non confonderlo con la vecchia lira) e dotarsi di una piena e compiuta sovranità monetaria, ovvero con la banca centrale prestatrice di ultima istanza (nulla di straordinario: la Banca d’Inghilterra, quella del Giappone e della maggioranza delle nazioni al mondo sono prestatrici di ultima istanza, ovvero acquistano titoli di stato del proprio paese stampando moneta).

Uno scenario già valutato dal centro studi di Mediobanca, che non è propriamente l’ultimo arrivato, il quale quantifica in 8 miliardi di euro di risparmio un’uscita dell’Italia dall’euro.

E per i cittadini, sarebbero pianti e stridor di denti? Vediamo di sfatare subito qualche bufala degli economisti à la carte, tipo la benzina a 15 euro il litro in caso di uscita dall’euro.

La moneta unica si è svalutata di circa il 30% rispetto al dollaro, che è la valuta con cui si pagano le materie prime a livello internazionale, che è all’incirca quanto si potrebbe svalutare la nuova moneta italiana. Ebbene, dovete forse fare il pieno con la carriola di euro o fare la spesa con un tir di banconote a causa dell’iper inflazione paventata dagli “economisti studiati”? No, anzi, il paese rimane tutt’ora in deflazione, ovvero i prezzi calano anziché salire.

Per calmierare i prezzi sarebbe sufficiente agire sulla fiscalità, riducendo accise ed imposte, in particolare quelle sui combustibili e l’IVA, portandola dal 22 al 18% ad esempio.

Viceversa, una moneta svalutata renderebbe i nostri prodotti più convenienti sui mercati internazionali e sul mercato interno, rendendo più difficile per i tedeschi vendere le loro macchine da noi e più conveniente per loro trascorrere da noi le ferie.

Rischio di dazi e ritorsioni da parte dei tedeschi? Imporre dazi sui prodotti provenienti da altri paesi, per loro che sono esportatori netti, sarebbe un boomerang micidiale. La loro economia si regge sulle esportazioni ed è evidente che se loro mettessero dazi sulle importazioni di prodotti americani o italiani, il giorno dopo scatterebbe la ritorsione contro di loro e sarebbero appunto loro ad avere la peggio.

Il punto, ora, è uno solo: si può puntare ad un’uscita ordinata dal rapporto di cambi fissi chiamato euro ed a smantellare progressivamente il mostro Ue per tornare ad una situazione più equilibrata, oppure si può tirare la corda fino a spezzarla, riducendo il continente europeo ad un cumulo di macerie.

Nel secolo scorso i tedeschi ci sono riusciti già due volte, non vorremmo che in occasione del centenario della fine della prima guerra mondiale, il governo tedesco che verrà a formarsi dopo le elezioni politiche di autunno, riuscisse nell’impresa di fare il tris. Per questo motivo diviene fondamentale che i popoli europei votino massicciamente i movimenti nazionalisti che vogliono liberarsi dal quarto reich e che la Germania venga messa nelle condizioni almeno di non nuocere.

Luca Campolongo

Fonti:

http://www.ilgiornale.it/news/economia/futuro-ambasciatore-usa-bruxelles-leuro-ha-diciotto-mesi-1356347.html

http://www.ilgiornale.it/news/politica/col-paese-fuori-dalleuro-si-risparmiano-8-miliardi-1356188.html

http://www.ilnord.it/c-5171_LEURO_E_LA_MONETA_UNICA_TEDESCA_SENZA_LEURO_LO_STATO_ITALIANO_RISPAMIERA_8_MILIARDI_LANNO_CENTRO_STUDI_MEDIOBANCA

Ecco il vero piano della Germania: comprare l’Italia prima che crolli l’Euro!

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Articolo di 2 anni fa, ma oggi più che mai attuale

Ecco il vero piano della Germania: comprare l’Italia prima che crolli l’Euro!

La Germania è interessata ad acquisire nel Belpaese i competitor delle proprie grandi aziende, non per investire con/in esse ma semplicemente per eliminare un avversario (pls check); questo verrà provato a breve con lo svuotamento delle attività italiane delle aziende acquisite, prima di tutto in termini di manodopera e di investimenti (nell’arco di circa un triennio); la Germania deve acquistare quel che resta delle imprese italiane – maggior competitor manifatturiero della Germania – prima che l’euro si rompa, onde ovviare alla innegabile competizione della italiana a seguito della svalutazione competitiva che seguirà.

Ecco, questa è in pillole la teoria che Mitt Dolcino ha propugnato nei suoi interventi degli scorsi tre anni; forse bisognerebbe ponderare se avesse/avrà o meno ragione, l’acquisto di Italcementi – il più grande cementiere del sud Europa – è un boccone Angela Merkelenorme. Di più, un vero banco di prova. Vero che su questo sito si era preconizzata l’acquisizione in passato di Enel da parte dei tedeschi. Altrettanto vero che tale “piece of news” pare fosse informazione accurata, peccato che da una parte l’acquirente in pectore tedesco si stia letteralmente liquefacendo a seguito dei suoi enormi errori manageriali e dei pessimi (relativi al settore) risultati di bilancio (…); dall’altra il duo “governo/Ad di Enel” [bravissimo] hanno saputo tessere una tela ramificatissima e pregevolissima che, anche grazie a supporti esterni (Usa, vedasi l’accordo con Ge per il rinnovabile in Nord America) e all’astuzia del governo con le Tlc in fibra allocate al gigante elettrico, ha esteso le coperture della golden share [e della geopolitica che conta] alla nostra multinazionale dell’energia.

Ma ciò non toglie che quello di Italcementi sia un vero simbolo, un passo decisivo nel piano egemonico tedesco, certamente – si teme – solo il primo di una serie: la Germania, avendo compreso che l’euro è destinato a crollare, deve comprare ora le aziende che le fanno concorrenza, soprattutto nella manifattura e soprattutto nel suo settore di elezione, quello primario (cemento, acciaio, energia, autotrazione, chimica etc. ma non nell’oil in quanto ne fu esclusa dopo la sconfitta nell’ultima guerra). O al limite farle chiudere/sperare che chiudano, come la Riva Acciai competitore della iper-problematica ThyssenKrupp (il crollo di Riva a fine del 2011 ha prima di tutto salvato il gigante tedesco dell’acciaio; coincidenza delle coincidenze è che il crollo del nostro gruppo siderurgico sia coinciso con l’alba del governo di Mario Monti e del golpe contro un primo ministro italiano Idemocraticamente eletto, considero il Professore certamente un affiliato o quasi dell’ordoliberismo tedesco, per non dire molto di più).

E – lo ripeterò fino allo sfinimento – la Germania deve acquisire i propri competitor in Ue indeboliti dalla crisi prima che l’euro si rompa, con il fine di evitare che la svalutazione competitiva italiana spiazzi i suoi giganti nazionali. Ben inteso, sarà facile verificare che Heidelberg ha acquisto Italcementi per farla chiudere o comunque per ridimensionarla, eliminando un competitor. Per altro solo l’aspetto fiscale – tasse molto più basse in Germania che in Italia – giustificherebbe la chiusura della maggioranza delle filiali italiane rispetto a quelle meno tassate/vessate in Germania. Verificate gente, verificate se quanto stiamo asserendo si trasformerà in realtà: in particolare occhio all’occupazione di Italcementi nei prossimi tre/quattro anni ed ai tagli che seguiranno, facile prevedere che finirà come Acciai Speciali Terni simboleggiata nel disastro di Torino, bassi investimenti e chiusura progressiva (speriamo che questa volta almeno si eviti la tragedia). Credetemi, questa storia la conosco davvero bene e non temo – purtroppo – smentita nella visione proposta.

E in tutto questo tristissimo epilogo, i nostri politici fanno grande fatica a riconoscere la grave realtà che ci aspetta; questo è l’aspetto più irritante. E soprattutto, a vedere l’ormai evidente protervia tedesca, un piano ben congegnato. Attenti, politici: se la disoccupazione dovesse esplodere per colpa diretta dei tedeschi, stile abbattimento/forte ridimensionamento di Italcementi da parte di Heidelberg, penso che questa volta rischierete davvero di pagarla di fronte ai cittadini, soprattutto vis a vis con le maestranze esodate in forza ad esempio degli effetti del Jobs Act. E ai giovani intraprendenti dico: andatevene da questo paese, se la politica permette che gli stranieri che ci impongono il rigore ci comprino i nostri grandi gruppi a valle all’indebolimento preventivo causato dall’austerity, per voi non c’è futuro. E probabilmente nemmeno per i giovani politici; aspettate per credere, sono pronto a scommettere che da qui a qualche anno saranno loro i responsabili del disastro. Ben inteso, fosse per me chiederei a Mario Monti di emigrare…

Leggi dalla fonte originale Libreidee.org

Non solo l’Olocausto: il primo genocidio del XX secolo? Sempre loro, i tedeschi!

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Non solo l’Olocausto: il primo genocidio del XX secolo? Sempre loro, i tedeschi!

 

Prima dell’Olocausto: ecco il PRIMO genocidio dei tedeschi caduto nel dimenticatoio

Anni prima dell’infausto Olocausto degli ebrei messo in atto dai nazisti, i tedeschi si sono sporcati le mani di sangue nell’Africa meridionale, commettendo quello che viene considerato il primo genocidio del XX secolo. Di quello che è successo in Namibia la storia non ne parla, in pochi sono a conoscenza della brutalità con cui due delle più grandi tribù autoctone sono state violentate e uccise. È nel cuore del continente nero che i tedeschi hanno costruito i primi campi di concentramento e dove sono stati intrapresi i i primi studi razziali, consultati poi dallo stesso Hitler durante la sua folle dittatura.

Nell’arco di pochi decenni l’Africa è passata dall’essere un continente sconosciuto ad uno completamente dominato dalle nazioni europee.

I tedeschi si aggregarono alla corsa europea verso l’Africa, alla conquista di luoghi da dominare per estendere i propri confini e da cui estrarre preziose materie prime.

La Germania riuscì ad accaparrarsi un vasto territorio sulla costa sud-occidentale, compreso tra l’Angola dei portoghesi e il Sud Africa degli inglesi. La Namibiaall’epoca era una terra popolata da numerose tribù rivali tra loro, le più potenti quella degli Herero e dei Nama.

I tedeschi cercarono di imporsi nel territorio, ma le potenti tribù riuscirono a contrastare le angherie e la prepotenza dei bianchi.

A differenza di tutte le altre nazioni europee, che in Africa sono riuscite a sottomettere e schiavizzare senza troppi ostacoli le esistenti popolazioni, i tedeschi dovettero scendere a compromessi con i capi delle tribù. Spesso i contratti andavano anche a scapito della stessa Germania, che era costretta ad accontentarsi di piccoli terreni a ridosso del deserto.

Ovviamente per i bianchi era una situazione scomoda e disonorevole: i rapporti si fecero sempre più tesi ed entrambe le parti si armarono per la guerra.

L’amministrazione della colonia passo da Ernst Heinrich Göring (in foto), padre di Herman, militare e politico nelle prima file naziste, al generale tedesco Lothar von Trotha: le sue intenzioni erano ben chiare riassunte in queste sue parole: “Pulirò le tribù ribelli con fiumi di sangue e flussi di denaro. Solo portando a termine questa pulizia potrà emergere qualcosa di nuovo”.

Quando la guerra esplose, fu brutale. I tedeschi iniziarono ad occupare i terreni più fertili, uccidendo i proprietari e coloro che provarono a rientrarne in possesso. Le donne furono violentate, gli uomini schiavizzati nei lavori agricoli o domestici.

Nonostante una prima resistenza da parte dei capi tribù Herero, i tedeschi guidati da von Trotha riuscirono presto ad annientare il nemico nella Battaglia di Waterberg dell’11 agosto 1904.

La tattica tedesca adottata per combattere gli Herero fu strategica.

Von Trotha bloccò le tribù ostili su tre lati, lasciandone solo un libero: quello che dava sul deserto infuocato. Decine di migliaia Herero cercarono di sfuggire ai colpi dei bianchi proprio verso le dune in cui, come era prevedibile, trovarono la morte per il caldo, la sete e la fame.

L’esercito tedesco formò una barriera umana atta a colpire qualsiasi Herero avesse tentato di tornare indietro dal deserto, in cerca di acqua.

Si stava svolgendo il genocidio degli Herero: decine di migliaia di civili morirono di fame e di sete nella sabbia del deserto.

Dall’altra parte, soltanto una ventina di soldati tedeschi morirono durante tutta l’operazione.

Fiero della vittoria, von Trotha parlò al suo popolo: “Tutti gli Herero devono lasciare questa terra. Se si rifiuteranno li convinceremo con potenti armi. Ogni Herero, con o senza armi, trovato all’interno dei confini tedeschi sarà ucciso. Non ci saranno prigionieri, solo vittime. Questa è la mia decisione sulla sorte della tribù Herero”.

Subito dopo la dichiarazione del generale, i tedeschi incrementarono la violenza delle loro azioni: uccisioni e violenze sessuali ripetute erano all’ordine del giorno.

In quegli anni i bambini nati dalle violenze furono innumerevoli.

La popolazione Herero fu raggiunta dagli studiosi tedeschi per indagare la superiorità della razza ariana.

Furono pubblicati numerosi studi secondo i quali era evidente che i bambini nati dalle violenza sessuali erano superiori agli Herero puri ma ancora inferiori agli ariani. Le stesse ricerche furono consultate da Hitler durante la sua permanenza in carcere nel 1923-25: alla lettura degli studi seguì la scrittura del Mein Kampf, pubblicato nel 1925.

I numeri risultanti dal genocidio sono terribili: dai 100.000 individui prima della colonizzazione tedesca, i sopravvissuti nel 1907 ammontavano solo a 15.000 circa.

Molti storici moderni considerano l’uccisione dei popoli della Namidia ad opera dei tedeschi, il primo genocidio del XX secolo: tuttavia non ci fu mai alcun riconoscimento ufficiale da parte di nessun paese, neanche dalla vicina Sud Africa, al corrente dei massacri in atto tra il 1904 e il 1907, o tanto meno dalla Germania.

La popolazione Herero oggi è una popolazione senza passato, senza giustizia per le migliaia di civili uccise per la difesa della loro terra e della loro libertà.

fonte: http://www.buzzstory.net/buzz/prima-dellolocausto-ecco-il-primo-genocidio-dei-tedeschi-caduto-nel-dimenticatoio/?utm_content=bufferc5ae8&utm_medium=social&utm_source=facebook.com&utm_campaign=buffer

Crisi Greca, ecco quanto ha guadagnato Berlino!

 

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Crisi Greca, ecco quanto ha guadagnato Berlino!

La grave crisi che ha colpito la Grecia ha fruttato, alla Germania, 1,34 miliardi di euro. In che modo? Grazie a crediti e acquisti di bond di Atene. Il dato è stato diffuso dal ministero delle Finanze tedesco, in risposta a un’interrogazione dei Verdi. Come scrive la Sueddeutsche Zeitung il guadagno per i prestiti della banca statale Kfw è stato di 393 milioni, mentre per l’acquisto di titoli di Stato dalla Bce i profitti dal 2015 ammontano a ben 952 milioni.

Sven-Christian Kindler (esponente dei Verdi) ha duramente criticato il comportamento tedesco nei confronti della Grecia: “Sarà anche legale che la Germania guadagni sulla crisi della Grecia, ma non è legittimo nel senso morale della solidarietà”. In altre parole, dopo aver bacchettato per anni un Paese, costringendolo a sacrifici durissimi per ottenere il tanto agognato “salvataggio”, si scopre che Berlino ha guadagnato dalle lacrime e sangue di Atene.

Intanto oggi si apprende che la Commissione Ue ha raccomandato al Consiglio di chiudere la procedura per deficit pubblico eccessivo. È la notizia a lungo attesa sia da Atene che nelle altre capitali, il segnale (questa l’interpretazione corrente) che i programmi di salvataggio all’insegna dell’austerità danno frutti. “Questa tappa è il risultato degli sforzi considerevoli fatti dal paese in questi anni per consolidare le finanze pubbliche e dei progressi compiuti per attuare il programma concordato”, indica la Commissione europea. Così resteranno solo tre paesi sotto procedura per deficit eccessivo: Francia, Spagna e Regno Unito.

La Grecia, però, ha chiesto altri soldi, stavolta al Fondo monetario internazionale. Il governo di Atene ha inviato all’Fmi una richiesta per un perstito da 1,6 miliardi di euro, proponendo in cambio la realizzazione di una serie di riforme, comprese la limitazione del diritto di sciopero e la liberalizzazione di varie professioni. A scriverlo è il quotidiano ellenico Kathimerini. Tra gli impegni dell’esecutivo, anche quello di adottare nuove misure di austerità nel caso non vengano raggiunti gli obiettivi finanziari del terzo pacchetto di salvataggio, oltre a quello di porre un tetto ai contratti a tempo determinato nel settore pubblico per gli anni 2017 e 2018.

 

fonte: http://www.ilgiornale.it/news/mondo/germania-ha-guadagnato-crisi-grecia-ecco-quanto-1419385.html

Per non dimenticare – La Germania si oppone alla parziale cancellazione del debito Greco – Ora, per farvi capire bene cosa significa “essere carogne nell’anima” – Vi invitiamo a leggere questo: QUANDO LA GRECIA CANCELLÒ I DEBITI DELLA GERMANIA

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Per non dimenticare, Vi riproponiamo questo nostro articolo dell’anno scorso…

La Germania si oppone alla parziale cancellazione del debito Greco – Ora, per farvi capire bene cosa significa “essere carogne nell’anima” – Vi invitiamo a leggere questo: QUANDO LA GRECIA CANCELLÒ I DEBITI DELLA GERMANIA

Leggiamo da ZEROHEDGE.COM

L’insolvente Grecia, che settimana scorsa ha votato per ulteriore austerità, sperando così di poter ricevere fondi europei per ripagare la BCE, si è di nuovo impelagata in negoziazioni sul proprio debito. Proprio all’ultimo, però, il ministro delle finanze europeo ha dato parere negativo.

I ministri delle finanze dell’area euro si sono riuniti oggi a Bruxelles con la speranza, soprattutto i greci, di tornare a casa con un accordo firmato. Non si è però rotta l’impasse sulla riduzione del debito ellenico, si è solo rinviata la discussione a luglio.

“L’Eurogruppo ha tenuto una discussione approfondita sulla sostenibilità del debito pubblico greco, ma non ha raggiunto un accordo”, ha dichiarato Jeroen Dijsselbloem, ministro delle finanze olandese, che presiede le riunioni con i suoi pari europei e che ancora non  ha raggiunto una soluzionee, dato che il suo collega tedesco Schauble ha negato ogni possibile concessione.

…Ma questi tedeschi quanto sono carogne? Per capirlo basta leggere questo:

Quando la Grecia cancellò i Debiti della Germania

Sembra che in Europa stia avvenendo un braccio di ferro. O, per meglio dire, uno scontro alla Davide contro Golia. E’ lo scontro tra Grecia e Germania. I fatti sono sotti gli occhi di tutti. Un nuovo governo è stato eletto nel paese ellenico, e questo governo vuole darci un taglio con l’austerity e, insieme a questa, anche ai debiti contratti negli ultimi anni.

Che il pagamento del debito, nei modi e nei tempi prospettati dai falchi del rigore, possa causare l’ennesima catastrofe economica e sociale in Grecia è ormai palese a tutti. Anche con tutto lo spirito di sacrificio e il masochismo possibile, il debito non potrà mai essere saldato, questa un’idea che si sta affacciando.

E quindi, tanto vale procedere con una ristrutturazione, che vuol dire cancellare parte degli oneri.

La Germania sta gridando allo scandalo, richiamando la Grecia ai patti, inchiodandola alle sue responsabilità. Nella sua concezione dei rapporti tra paesi dell’Unione Europea è impossibile concedere una tale grazia.

Eppure, non dovrebbe sembrarle così strano. La Germania infatti fa finta di non sapere, o di non ricordare, che è stata essa stessa ad usufruire di un taglio del debito, per giunta non una ma due volte. E in un contesto molto meno favorevole. Non si può dire che la Germania di allora meritasse tali agevolazioni più di quanto lo meriti oggi la Grecia.

Le date da tenere a mente sono il 1953 e il 1990.

Nel 1953, con gli accordi di Londra, alla Germania fu condonato buona parte del debito contratto dal 1919 al 1945. Nel 1990, gli furono condonate le riparazioni di guerra che il Paese tedesco doveva versare per le tragedie causate durante il secondo conflitto mondiale.

Lunga la lista dei paesi che, con queste importanti concessioni, aiutarono Berlino. La Grecia, innanzitutto, ma anche: Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia.

Il motivo per cui la ristrutturazione fu concessa è, alla fine, la stessa che giustifica la richiesta ellenica oggi: la crisi economica. La Germania nel 1953 era in ginocchio, la Grecia lo è ora. Anzi, addirittura nel 1990 il taglio fu giustificato da uno scopo politico: che la riunificazione della Repubblica Federale Tedesca e della Repubblica Democratica avvenisse senza intoppi.

La Germania doveva restituire una montagna di denaro: circa 60 miliardi di marchi. Una metà consisteva nei debiti del primo dopoguerra, l’altra metà nelle riparazioni di guerra. La prima tranche fu ridotta del 50% nel 1953, mentre il restante 50% venne restituito in trent’anni, pesando veramente poco sull’economia tedesca che, dopo solo qualche anno, era già ripartita. La seconda tranche doveva essere restituita a riunificazione avvenuta, ma per i motivi descritti poco sopra fu oggetto di rinuncia da parte dei creditori.

La Grecia sta soffocando in mezzo ai debiti, ma a differenza della Germania miracolata non ha causato nessuna guerra che giustificasse un tale accanimento “esattoriale”. Dunque, perché non scendere a un compromesso?

 

By Eles