Ci hanno tolto dalle tasche 31 miliardi per salvare Mps & C. ed altri 17 per le banche venete… E siamo nella merda fino al collo. In Islanda, invece, dove hanno politici onesti e capaci, prima hanno sbattuto in galera i banchieri che hanno provocato la crisi, poi hanno rimborsano i cittadini con i soldi ricavati vendendo una banca !!

 

Islanda

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Ci hanno tolto dalle tasche 31 miliardi per salvare Mps & C. ed altri 17 per le banche venete… E siamo nella merda fino al collo. In Islanda, invece, dove hanno politici onesti e capaci, prima hanno sbattuto in galera i banchieri che hanno provocato la crisi, poi hanno rimborsano i cittadini con i soldi ricavati vendendo una banca !!

 

Il conto del salvataggio “31 miliardi alle banche”

Il costo del salvatggio delle banche in crisi arriva a 31 miliardi di euro. E adesso anche quelle venete sono sull’orlo del fallimento

Come ricostruisce su LaStampa Stefano Caselli, docente di economia in Bocconi, sarebbe questo il conto monstre da pagare per eviatre un vero e proprio collasso. I numeri per il momento restano provvisori. Di fatto la valanga è cominciata nel 2015 con un intervento mirato per salvare 4 piccoli istituti del Centro Italia. Il primo caso riguarda però Mps. Il salvataggio è costato 8,8 miliardi, soldi questi pagati dai contribuenti e da alcuni investitori. Poi i 5,3 miliardi per salvare Banca Marche, Etruira, CariFerrara e CariChieti, poi acquistate da Ubi Banca e Bper. A questo caso si aggiunge anche la grande crisi delle banche venete. E anche lì il fondo statale ha aperto i rubinetti con 3,5 miliardi di euro. Fondo che però non è bastato e adesso gli istituti di fatto si trovano sull’orlo del fallimento. Adesso è facile da dire – dice Caselli a LaStampa-. Di certo il tema della vendita dei crediti non performanti è stato sottostimato. Forse la nostra presenza a Bruxelles non è stata così decisiva. Ma che si dovesse intervenire con soldi pubblici io come altri osservatori lo sosteniamo da anni”.

tratto da: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/conto-salvataggio-31-miliardi-banche-1412782.html

A questi si sono poi aggiunti 17 e forse più miliardi per salvare le banche venete….

E in Islanda, invece, come hanno fatto…?

DI CLAIRE BERNISH – theantimedia.org

Per cominciare l’Islanda ha sbattuto in galera i banchieri corrotti per il loro diretto coinvolgimento nella crisi finanziaria del 2008.

Ora tutti gli Islandesi riceveranno una rendita dalla vendita di una delle tre più grandi banche d’Islanda, Islandbanki.

Se il Ministro delle Finanze Bjarni Benediktsson riuscirà nel suo intento – e probabilmente ce la farà – gli Islandesi riceveranno 30.000 corone dopo che il governo prenderà possesso della banca. Islandbanki diventerà la seconda delle tre più grandi banche sotto il controllo dello stato.

“Sto semplicemente dicendo che il governo prenderà una data porzione, il 5%, e semplicemente la distribuirà alla gente di questa nazione”, ha affermato.

Dato che gli Islandesi hanno preso il controllo del loro Governo, effettivamente controllano le banche. Benediktsson crede che ciò porterà capitale straniero nella nazione e infine spingerà l’economia – la quale, tra l’altro, è l’unica ad essersi totalmente ripresa dalla crisi del 2008. L’Islanda è persino riuscita a ripagare in toto il suo enorme debito al FMI – in anticipo rispetto alla data prevista.

Guðlaugur Þór Þórðarson, vicecapo della Commissione sul Budget, ha spiegato che questa manovra faciliterà l’alleggerimento del controllo dei capitali, benché non fosse convinto che il controllo statale fosse la soluzione più ideale. L’ex Ministro delle Finanze Steingrìmur J. Sigfùsson è dalla parte di Þórðarson, sostenendo in uno show radio “non dovremmo lasciare le banche nelle mani di folli” e che l’Islanda beneficerà da un cambio di vedute separando “le banche commerciali da quelle d’investimento”.

I piani non sono ancora stati preparati con precisione per quando avverranno la presa di possesso e il conseguente pagamento a tutti i cittadini, ma l’approccio rivoluzionario dell’Islanda al crollo finanziario mondiale del 2008 di certo merita tutta l’attenzione che si è guadagnato.

L’Islanda ha di recente sbattuto in galera il suo ventiseiesimo banchiere – 74 anni di detenzione sommando tutte le pene comminate – per aver causato il caos finanziario. I banchieri criminali statunitensi sono stati ricompensati per le loro frodi e le manipolazioni del mercato con un enorme salvataggio a spese dei contribuenti.

Claire Bernish

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Fonte: http://theantimedia.org/

 

 

Ricordate sempre che la Brexit doveva essere la catastrofe per il Regno Unito? Allora leggete quest’altra: l’Euro scaricato da 80 banche centrali di tutto il mondo, meglio la Sterlina!

Brexit

 

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LONDRA – E’ passato quasi un anno da quando gli elettori britannici hanno deciso di uscire dalla UE e tale decisione, lungi dal danneggiare l’economica britannica, l’ha rafforzata enormemente visto che ha tassi di crescita che i paesi dell’eurozona possono solo sognare. La crescita del Pil del Regno Unito per il 2017 è prevista vicinissima al 2%, contro la migliore della zona euto, quella tedesca, che non ci arriverà neppure per sbaglio. Al massimo, la Germania segnerà un +1,7%. Per non dire dell’indice di crescita dei consumi, che è balzato a +3% con in testa il mercato automobilistico in crescita di quasi il 4%.

Ma se tutto questo non bastasse per spiegare che la Brexit è la chiave di volta di una crescita senza precedenti dell’economia e della società britannica, adesso un’altra notizia conferma la forza e la resilienza del Regno Unito. Una notizia che non farà piacere a chi “ama” l’euro.

Nei giorni scorsi il Financial Time ha pubblicato un sondaggio fatto dal colosso bancario multinazionale HSBC e dalla rivista delle banche centrali Central Banking il quale rivela che ben 80 banche centrali a livello mondiale stanno riducendo la loro esposizione in euro e aumentando quella in sterline.

I motivi dell’abbandono dell’euro sono da ricercarsi nei tassi d’interesse negativi legale alle politiche di quantitative easing della BCE, nella bassa crescita delle economie dell’eurozona e nell’instabilita’ politica della stessa.

Il fatto che il governo britannico abbia avviato le negoziazioni per uscire dalla UE non ha affatto influito sulle decisione dei banchieri centrali, i quali vedono nella Gran Bretagna una nazione e un mercato con ottime prospettive di lungo periodo e come alternativa migliore all’area euro.

Il 71% degli intervistati ha dichiarato che le sterlina e’ un investimento attraente nel lungo periodo e anzi per loro la Brexit significa avere un’opportunita’ in piu’ per diversificare i loro investimenti.

Questa rivelazione e’ importantissima visto che gli intervistati gestiscono qualcosa come l’equivalente di 6mila miliardi di euro di riserve e quindi la loro opinione molto negativa sull’euro dovrebbe far tacere tutti coloro che si ostinano a difendere la moneta unica nonostante i suoi fallimenti.

Tale sondaggio spiega il recente aumento della sterlina sull’euro che si e’ rivalutata del 2,63% e nei prossimi mesi non sono da escludere altre sorprese specie se la Grecia dichiarerà il default sui prestiti fatti dalla troika.

Questa notizia e’ stata riportata dal Financial Times, da Russia Today e da qualche altro blog finanziario ma e’ stata completamente censurata in Italia perche’ sarebbe parecchio scomoda per la nostra classe politica che vuole far credere agli italiani che l’euro sia stato un enorme successo.

Noi ovviamente non ci stiamo e abbiamo riportato questa notizia perche’ vogliamo che gli italiani sappiano la verita’.

fonti:

http://www.wallstreetitalia.com/euro-scaricato-da-80-banche-centrali-meglio-la-sterlina/

http://www.ilnord.it/c-5254_NOTIZIA_BOMBA_CENSURATA_IN_ITALIA_80_BANCHE_CENTRALI_DI_TUTTO_IL_MONDO_IN_FUGA_DALLEURO_SOSTITUITO_DALLA_STERLINA

Sappiamo tutti che le lobby, per mantenere il loro potere, sono culo e camicia con la Politica – Ecco l’ultimissima: la lobby del tabacco arruola il figlio di Mattarella!

lobby

 

 

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Sappiamo tutti che le lobby, per mantenere il loro potere, sono culo e camicia con la Politica – Ecco l’ultimissima: la lobby del tabacco arruola il figlio di Mattarella!

 

La lobby del tabacco arruola Mattarella figlio

da Il Fatto Quotidiano

 

Nel mondo del tabacco le decisioni politiche determinano i profitti dei colossi in perenne guerra fra di loro. Sarà per questo che qualcuno ricorre ai servizi di chi conosce bene gli ambienti ministeriali per averli frequentati a lungo. Come Bernardo Giorgio Mattarella, primo dei tre figli del presidente della Repubblica. A lui si è rivolta la British American Tobacco che gli ha commissionato un dettagliato parere legale che da settimane gira nel ministero del Tesoro dove i tecnici lavorano a un incremento delle accise sulle bionde per contribuire alla manovra correttiva da 3,4 miliardi chiesta da Bruxelles.

Mattarella l’ha consegnato il 5 ottobre. Fino al 2 ottobre è stato capo dell’ufficio legislativo del ministero della Funzione pubblica di Marianna Madia di cui poi è diventato consulente dal 4 novembre a titolo gratuito (l’incarico è scaduto a marzo). Cosa dice il parere? Che il Tesoro non può alzare le tasse sulle sigarette oltre un certo limite senza fare una legge. Bat, infatti, non vuole un incremento dell’imposta minima, che colpirebbe i suoi marchi. Il parere le dà man forte, complicando la vita ai tecnici ministeriali.

IL CALIBRO del personaggio spiega perché il colosso inglese abbia richiesto i suoi servigi. Classe 1968, Mattarella Jr si è laureato in Giurisprudenza a Palermo con 110 e lode, master in Legge a Berkeley, ordinario di Diritto amministrativo a soli 35 anni. Vanta circa 300 pubblicazioni e ottime frequentazioni anche nel mondo che gravita intorno all’ex presidente Giorgio Napolitano: è stato assistente dell’ex giudice costituzionale Sabino Cassesse, amico di Napolitano e siede insieme al figlio Giulio nella fondazione Astrid guidata da Franco Bassanini e nell’Irpa, il centro studi sulla pubblica amministrazione fondato da Cassese.

Accreditato di grande competenza, già componente di Commissioni di studio e di indagine ministeriali, nel 2013 – governo Letta – viene nominato capo dell’Ufficio legislativo del ministero dell’Istruzione. Caduto Letta, viene chiamato alla Funzione pubblica da Marianna Madia. Da lì ha curato la riforma della Pa. Professore ordinario in aspettativa a Siena, è approdato alla Luiss, l’università della Confindustria a Roma.

TRE GIORNI DOPO l’uscita dal ministero, firma il parere come “Ordinario di Diritto amministrativo alla Luiss”e spiega che gli è stato richiesto dalla Bat, insomma, una consulenza accademica. Tema: l’interpretazione di alcuni commi del decreto legislativo 188 del 2014. È il testo che ha riordinato la disciplina fiscale dei tabacchi al centro di una guerra senza sconti tra le lobby delle bionde. Il decreto fissa tre imposte: una uguale per tutti, il carico fiscale minimo; e due proporzionali al prezzo, l’accisa e l’aliquota. Il nodo vero è la prima: essendo uguale per tutti, alzandola si colpiscono più quelli di fascia bassa, tipo le Lucky Strike e le Rothmans di Bat e meno i marchi di fascia alta come la Marlboro di Philip Morris, che infatti la caldeggia. Il decreto assegna al ministero dell’Economia il potere di modificare le imposte con un semplice decreto ministeriale, sentita l’Agenzia dei Monopoli: i valori di riferimento per le modifiche del 2015 sono quelli del 2014, e dal 2016 in poi quelli fissati “dall’ultima modifica”. In teoria, quindi, senza limiti.

Mattarella nel suo parere spiega invece che l’interpretazione più autentica è che valgono i limiti massimi fissati nel 2015 stenza in materia di diritto amministrativo” è stato conferito “il 28 settembre, a valersi con efficacia dal primo ottobre”, cioè quando Mattarella era formalmente ancora al ministero come capo dell’Ufficio legislativo. L’incarico per il parere è stato retribuito con 3.500 euro e “rientra in una più generale consulenza fino al 31 dicembre 2016”. Tutto legittimo visto che la legge Frattini sul conflitto d’interessi non dice nulla al riguardo, ma il caso arricchisce una già lunga lista composta da super esperti che vanno e vengono dai ministeri e poi lavorano anche per aziende private. In questo caso con un cognome di peso. Il Fatto ha provato per tutto il giorno ad avere la versione di Mattarella sull’opportunità di accettare la consulenza, senza però ottenere risposta.

LA ZAVORRA fiscale regressiva, che colpisce i marchi di gamma bassa, ora servirebbe allo Stato per non perdere gettito visto che il mercato è in calo e anche per fare cassa. Nell’ottobre scorso si studiava un incremento dell’onere minimo da 170 a 178-179 euro al chilo. Ora, nelle ipotesi al Tesoro, si è scesi a 175 euro e si studia se inserire il tutto nel decreto della manovra correttiva. Probabile che il parere portato da Bat abbia influito. Sul decreto del 2014 le lobby diedero battaglia senza risparmiare colpi: testi che apparivano e scomparivano nei pre-Consigli dei ministri, emendamenti e cavilli infilati all’ultimo e via dicendo. A ottobre, in piena guerra, Matteo Renzi andò a inaugurare lo stabilimento bolognese di Philip Morris che chiedeva un rialzo stellare del carico fiscale minimo. Bat è risultata invece il principale finanziatore della Fondazione Open, la cassaforte politica del renzismo che paga gli eventi come la Leopolda. Poi c’è la guerra dei pareri legali.

Dai soldi alla Fondazione di Renzi agli show in fabbrica: le industrie che vivono di politica

Pressioni – I produttori di sigarette lottano fino all’ultimo emendamento sulle tasse

Poche lobby, come quella del tabacco, vivono dei rapporti con la politica. Dalle accise lo Stato ricava ogni anno circa 14 miliardi di euro, una cifra che lo rende un settore delicatissimo. La lista dei punti di contatto tra i due mondi è lunga, ed è cresciuta soprattutto con il governo di Matteo Renzi, che si è trovato a discutere nel 2014 un decreto che ha riordinato, su input di una direttiva europea, l’intero mondo dei tabacchi.

LA GUERRA di lobby è stata furiosa, e ogni cosa fa gioco. La sfida è sempre stata tra colossi come Philip Morris, che chiedono di alzare l’accisa minima, e quelli come British american tobacco o Imperial tobacco che hanno marchi di fascia bassa di prezzo e quindi vengono colpiti di più.

Bat, per dire, ha versato 150 mila euro alla renziana fondazione Open, i primi 100 mila dopo il primo luglio 2014. Qualche settimana prima il premier aveva incontrato Nicandro Durante, il gran capo di Bat: era la vigilia di approvazione del decreto, poi slittato a più riprese. Già a fine 2013 Philip Morris era riuscita a far comparire in un collegato alla manovra un super aumento dell’imposta minima che penalizzava i concorrenti, poi saltato.

A ottobre 2014, in piena guerra di lobby, Renzi va alla posa della prima pietra, con uno show senza precedenti, dello stabilimento bolognese da “600 posti di lavoro e 500 milioni di investimento” dove Philip Morris produce la sua sigaretta di nuova generazione (che otterrà uno sconto del 50% sull’accisa). Nel colosso americano, peraltro, siede come direttore non esecutivo anche Sergio Marchionne, con cui Renzi vanta una solida amicizia.

Nei vari pre-consigli dei ministri compaiono testi che poi cambiano all’ultimo, segnale di una certa confusione negli uffici legislativi dove succede di tutto. Anche sui testi che riguardano i “prodotti di nuova generazione” i commi appaiono e scompaiono. Ma la lista, come detto, è lunga. Il Fatto, per esempio, ha rivelato che a luglio scorso la Bat ha finanziato con 17.324 euro un incontro organizzato a luglio dall’associazione Ares presieduta dal sottosegretario dem al Tesoro Pier Paolo Baretta, che tra le sue deleghe ha quella dei giochi ma non quella del tabacco.

AL TAVOLO, peraltro, c’erano personaggi illustri come l’ex sottosegretario Vieri Ceriani, consigliere del ministro Pier Carlo Padoan, vero esperto della materia.

L’Italia con la Lira era una delle prime potenze mondiali. La Germania ci stava dietro, ma ci ha sorpassati grazie all’Euro… Ecco tutta la verità…

 

Lira

 

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L’Italia con la Lira era una delle prime potenze mondiali. La Germania ci stava dietro, ma ci ha sorpassati grazie all’Euro… Ecco tutta la verità…

 

Così Paolo Becchi smaschera i tedeschi: “Così con la Lira li rovinavamo”…!

Secondo molti economisti l’ euro fu costruito sulla base di due principi : la stabilità dei prezzi che assieme all’ equilibrio di bilancio avrebbe dovuto favorire la crescita economica e l’ idea che l’ adozione di una moneta unica avrebbe contribuito alla convergenza della crescita nei diversi Paesi che l’ avessero adottata e del reddito pro-capite. Non vi è dubbio che questi siano i principi “liberisti”, per dare loro la caratterizzazione ideologica che li contraddistingue, posti a fondamento del Trattato di Maastricht, ma sono economicamente validi?

Innanzitutto occorre sottolineare che non c’ è una correlazione positiva tra equilibrio di bilancio e crescita. I principi di Maastricht si fondano su un presupposto che non trova riscontro nell’ analisi economica, ovvero che ridotti livelli di deficit sul Pil aiutino la crescita. Basti pensare a come è stato individuato il criterio del limite del 3% sul Pil, deciso «in meno di un’ ora e senza nessuna base teorica», come racconta il suo inventore, il francese Guy Abeille. Quel parametro del 3% è stato del resto ampiamente contestato. In secondo luogo va osservato che con la lira il reddito procapite dal 1968-1998 era cresciuto del 104%. Dal 1999 (anno in cui viene fissato il cambio irreversibile con l’ euro di 1936,27 lire), al 2016 è invece calato dello 0,75%.

Non è su questo che intendo insistere dal momento che oggi molti ammettono che nessuno di questi due principi si è realizzato. Ma allora è lecito chiedersi: perché quei principi dovevano essere giusti se in pratica sono stati così clamorosamente smentiti dai fatti? L’ idea che spesso si avanza è che i principi fossero buoni e i cattivi siamo stati noi italiani, che non siamo stati abbastanza bravi ad applicarli. Ora, se con il cambio fisso un Paese rinuncia all’ opzione della svalutazione, ci deve essere una contropartita in termini di redistribuzione fiscale. Se questa viene a mancare non c’ è nulla in caso di crisi che possa impedirgli di subire un tracollo che porterà, alla fine, all’ emigrazione come unica alternativa alla povertà o alla fame. Sono cose nella letteratura ampiamente ribadite da validi economisti che mettevano in discussione il modo in cui si intendeva procedere all’ introduzione della moneta unica. E invece abbiamo condiviso la moneta ma non il debito, e questo ci è costato circa 35 miliardi di euro all’ anno.

Se noi oggi ci troviamo con la povertà crescente questo è dovuto proprio alla costruzione dell’ euro. Per molti invece la colpa continua ad essere non dell’ euro, ma del fatto che noi italiani non siamo stati in grado di accettare le «nuove sfide poste dalla globalizzazione». Mettiamo banalmente a confronto la produzione industriale dell’ Italia e della Germania, prima e dopo l’ introduzione della moneta unica. Prima l’ Italia aveva una produzione industriale superiore a quella tedesca e in crescita tra gli anni 1992-1995, proprio grazie alla svalutazione della lira. Dopo l’ euro, dal 2002 in poi, inizia il sorpasso della Germania nei confronti dell’ Italia, e il meccanismo è dovuto ai differenziali di inflazione più bassi della Germania con i quali ha acquisito competitività rispetto alle nostre merci. L’ Italia nei primi anni dell’ euro aveva un’ inflazione più alta della Germania, e impossibilitata ad operare una svalutazione del cambio, che le avrebbe consentito di recuperare il terreno perduto nei confronti della produzione industriale tedesca, ha cominciato il suo declino industriale. Prima dell’ euro eravamo superiori alla Germania, dopo l’ euro ha prevalso invece la Germania che ha sfruttato una moneta fortemente sottovalutata. Mi pare dunque evidente che sia proprio la fissità del cambio ad aver prodotto i problemi che abbiamo oggi.

Ritornando alla lira potremmo svalutare la nostra moneta, e dunque tornare ad essere competitivi, ma ecco pronta la replica: svalutando crescerà l’ inflazione. Vale forse la pena soffermarsi su questo punto. La svalutazione è un deprezzamento del tasso di cambio nominale verso un’ altra valuta; l’ inflazione è l’ aumento annuale di un determinato paniere di beni scelto dall’ Istat come riferimento. È una fake non più tanto news sostenere che il deprezzamento dell’ uno (il cambio) porti all’incremento dell’ altra (l’ inflazione). Non c’ è nessuna evidenza empirica che dimostri che una svalutazione del cambio comporti necessariamente un aumento dell’ inflazione. A questo proposito basta citare la svalutazione della lira verso il marco del 1992, quando era legata ancora allo Sme, l’ accordo di cambi fissi dell’ epoca. Prima del 1992 il cambio fisso era di 750 lire per marco; dal 1992 al 1995 la lira svaluta del 50% verso il marco, ma l’ inflazione addirittura scende dal 5,2% del 1992 al 4,1% del 1994, per poi ritornare al 5,2% del 1995. Come si vede la svalutazione di per sé non ha prodotto l’ incremento dei prezzi e lo stesso può dirsi anche per la svalutazione giapponese del 2012 o quelle di Gran Bretagna e Svezia del 2008.

Su quella svalutazione della lira rispetto al marco è davvero illuminante un discorso tenuto al parlamento tedesco nel 1998 da Ingrid Matthäus-Maier, ai tempi responsabile della politica fiscale della SPD: «Dobbiamo spiegare ai cittadini l’ euro in maniera più comprensibile. Mi ricordo di un caso nel mio collegio elettorale nel 1994. Pochi giorni dopo la svalutazione della lira stavo visitando l’ acciaieria Klöckner -Mannstaedt. Il morale era terra. Dobbiamo licenziare lavoratori, mi dicevano. La lira è andata giù. Cinque giorni dopo gli italiani avevano cancellato tutti gli ordini a quest’ acciaieria tedesca. A causa della svalutazione della lira avrebbero dovuto pagare le fatture in marchi, per farlo servivano molte più lire di quante non sarebbero state necessarie prima. In seguito hanno deciso di spostare tutti gli ordini verso altri paesi. Questi esempi concreti ci mostrano che le turbolenze valutarie sono pericolose anche per il nostro Paese. Per questa ragione l’ euro è una buona cosa, soprattutto per noi». Effettivamente qui la spiegazione dei vantaggi dell’ euro per i tedeschi è chiarissima. Il cambio fisso ci ha sempre danneggiato, con l’ euro ci sta distruggendo.

Tanto per ricordarvelo – l’unico che si è ribellato è stato Papa Francesco: “Hanno salvato le banche facendo pagare il prezzo ai deboli” !!

Papa Francesco

 

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Tanto per ricordarvelo – l’unico che si è ribellato è stato Papa Francesco: “Hanno salvato le banche facendo pagare il prezzo ai deboli” !!

 

Attualissimo Papa Francesco.

Attaccò il sistema in tempi non sospetti (o quasi) scagliandosi contro il salvataggio delle Banche sulla pelle della Gente.

Sono passati mesi è queste parole sono più che mai valide ed attuali.

Ricordatevi sepre che Renzi e la Boschi “Hanno salvato le banche facendo pagare il prezzo ai deboli”

RICORDIAMOCELO QUANDO ANDREMO A VOTARE (se mai ci andremo) !!

by Eles

 

No al “paradigma consumista”. E ancora: “L’esaurimento delle risorse non può essere un pretesto per le guerre”. Sono alcune delle parole dell’enciclica di Papa Francesco che contiene un doppio appello a “proteggere la casa comune”, controllando surriscaldamento climatico e altri danni ambientali, ma anche cambiare modello di sviluppo, per i “poveri”, e “per uno sviluppo sostenibile e integrale”. Mentre biasima il fatto che i popoli abbiamo “pagato il prezzo del salvataggio delle banche”.

Doppio appello a cura del creato e cambio modello di sviluppo – Il Papa nella enciclica “Laudato si’” appena pubblicata rivolge un doppio appello, a “proteggere la casa comune”, controllando surriscaldamento climatico e altri danni ambientali, ma anche cambiare modello di sviluppo, per i “poveri”, e “per uno sviluppo sostenibile e integrale”.

Popoli hanno pagato prezzo salvataggio banche – Il Papa nella enciclica “Laudato si’” appena pubblicata rivolge un doppio appello, a “proteggere la casa comune”, controllando surriscaldamento climatico e altri danni ambientali, ma anche cambiare modello di sviluppo, per i “poveri”, e “per uno sviluppo sostenibile e integrale”.

Come dire ‘Non uccidere’ se popoli non hanno cibo – “Cosa significa il comandamento ‘non uccidere’ quando un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per ‘sopravvivere’?”. Lo scrive il Papa nella enciclica, citando un documento dei vescovi della Nuova Zelanda.

(ANSA)