Perché siamo diventati POVERI – Analisi e spiegazione Economica in 6 passi – Tutta la verità su come stanno distruggendo la Tua vita e quella dei Tuoi figli…!

POVERI

 

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Perché siamo diventati POVERI – Analisi e spiegazione Economica in 6 passi – Tutta la verità su come stanno distruggendo la Tua vita e quella dei Tuoi figli…!

 

Perché siamo diventati POVERI – Analisi e spiegazione Economica in 6 passi

 

Passo 1: Cambio del modello economico.

Partiamo da una lettura rovesciata della storia economica: e se non ci fosse stata nessuna crisi nel 2007?

E infatti, non c’è stata nessuna crisi. C’è stato un cambiamento pianificato e deliberato di sistema economico. A livello europeo, l’adesione al modello unico di pensiero economico neo liberista ha portato all’ingresso nell’Euro.

Taluni sostengono sia stata la nostra salvezza; noi riteniamo sia stata la nostra sciagura.

Senza molti discorsi, è sufficiente guardare la produzione industriale, vero motore della ricchezza di un Paese. Si guardi il grafico, di produzione del Centro Studi WIN the BANK.

Osservate la direzione del rapporto tra produzione italiana e tedesca dal 1970 ai giorni nostri; in verde è il trend quando operiamo in un sistema di cambi flessibili, in rosso quando entriamo prima nel sistema monetario europeo e poi definitivamente nell’Euro, cioè in un sistema a cambi fissi.

 

Passo 2: Crollo di risparmi e investimenti

I posti di lavoro sono creati direttamente – lo si dimentica sempre – solo dagli imprenditori. Tutte le altre misura di politica economica (compresi i posti di lavoro creati dallo Stato) dipendono indirettamente da questo. Quando, come conseguenza di cambiamenti pianificati di modello economico, si genera una “crisi”, questa è una conseguenza e non una causa.

Sul telegiornale ogni giorno, da anni, parlano di indicatori stupidi basati sui sondaggi, come la fiducia dei risparmiatori, la propensione alla spesa e via discorrendo, con tanto di filmati di rito sui negozi del centro.

Scempiaggini: ciò che conta sono il tasso di risparmio e di investimento.

La povertà – con politiche del governo di austerità, cioè pro cicliche – innesca un circolo vizioso di altra povertà.

Andamento e rapporto tra Risparmio ed Investimento

 

 

Passo 3: Differenziale di fatica

Questo mette in moto ciò che definisco un “differenziale di fatica”. Quando Paesi adatti a modelli economici differenti vengono costretti da una visione scorretta a competere nello stesso modello con la scusa della “globalizzazione”, gli effetti sono che alcuni lavorano molto più degli altri, per potersi permettere molto di meno.

Semplicemente, il loro motore non è adatto a quel combustibile e la resa è molto più bassa.

In altri termini, è una concorrenza sleale a livello non di impresa ma di Stato.Sarebbe come far correre alcuni liberi e altri dentro a un sacco. Come se non bastasse, nella retorica neo liberista che occupa tutti i principali organi di informazione si parla da anni di menzogne come la “spesa pubblica improduttiva” o la “mancanza di produttività degli italiani” o ancora la “scarsa propensione al lavoro dei popoli del sud”.

In realtà, vi stanno deridendo, perché le cose non stanno affatto così, come dimostra questo grafico elaborato dal Centro Studi WIN the BANK.

 

Passo 4: Divaricazione tra produzione e salario

Tutto questo fa parte di un disegno mondiale, molto più ampio.
Per comprenderlo, occorre ampliare lo sguardo e guardare cosa sia successo dalla fine del XIX secolo ai giorni nostri. Nel grafico, si nota l’effetto di quella che noi chiamiamodivaricazione tra produzione e salario dei lavoratori dipendenti.

Ore medie lavorate dai principali Stati Europei in base al reddito.

 

Passo 5: Distribuzione di ricchezza e povertà

Ora, torniamo ad accorciare lo sguardo solo a ciò che succede da quando le due curve del grafico precedente iniziano a divergere, cioè dagli inizi degli anni ’50 del XX Secolo.

Ecco quale è il disegno del pensiero unico internazionale; fare divergere la retta rossa e quella blu, cioè il tasso di crescita di ricchezza dei ricchi e dei poveri.

Riprendiamo la domanda della slide: è un trend equo e sostenibile?

Per rispondere, si tratta di capire dove ci sta portando questo trend.

Il grafico rappresenta la distribuzione di ricchezza e povertà dal 1949 ad oggi

 

Passo 6: Concentrazione della ricchezza

Nei decenni che vanno dalla fine della seconda guerra mondiale fino ai primi anni ’80, gli italiani erano un popolo sostanzialmente benestante, con un sistema di welfare crescente e con tassi di ricchezza crescenti, dimostrati dall’aumento dei tassi del risparmio delle famiglie, documentati in altri nostri articoli.

Lentamente, negli scorsi decenni, le politiche delle privatizzazioni, della globalizzazione, della perdita della sovranità monetaria e dell’introduzione di politiche di austerità sono stati i quattro cavalieri dell’Apocalisse economica del nostro Paese.

Ma il disegno è mondiale e il nostro piccolo Stato non è in grado di contrastarlo, soprattutto perché alcuni nostri governanti hanno venduto la propria anima alla carriera internazionale, facendo compiere negli scorsi decenni scelte anti democratiche (poiché non condivise né votate dalla gente), come spiegato in altri articoli.

Ma qual è il disegno mondiale del pensiero unico in Economia?

E’ concentrare la ricchezza nelle mani di pochi; per la precisione, ricchi e ricchissimi.

Questo disegno è volto a far ridurre la classe media e sostituirla con una classe crescente di poveri.

Perché?

Perché i poveri sono deboli e accetteranno l’elemosina, rappresentata da varie forme di sussidio di Stato, diversamente denominate nei decenni; negli anni ’80 era il voto di scambio, domani sarà il reddito di cittadinanza (entrambe versioni diverse del panem et circenses di latina memoria).

In questo modo, i poveri accetteranno nuove forme elemosina dei ricchi, consentendo loro di attuare tutte le manovre di politica economica, poiché il solo uomo che può essere libero è l’uomo che si sostenta da solo con il proprio lavoro, ben retribuito e stabile.

Solo chi ha un lavoro adeguatamente retribuito è libero.

 

Conclusione

Non siamo diventati poveri perché siamo più stupidi dei nostri genitori, perché lavoriamo meno, siamo più spendaccioni o meno orientati allo studio, al risparmio e alla fatica.

Queste sono le retoriche di sistema, che attraverso il controllo dei principali organi di informazione tende ad attuare un meccanismo di condizionamento collettivo: il senso di colpa. Se ti senti in colpa, ti faranno accettare le politiche di “rigore” che aumenteranno il divario tra la ricchezza di ricchi e poveri. Il vecchio “divide et impera” dei latini viene usato ancora oggi; si creano messaggi di scontro generazionale, conditi con altri messaggi di contrapposizione generazionale.

Si convincono gli anziani che si devono pagar le medicine perché ormai sono un lusso e i giovani ad avere un lavoro precario, per colpa degli sprechi delle pensioni dei genitori. Si racconta ai ragazzi che oggi non hanno un lavoro per gli sperperi dei padri che hanno avuto cose che “non potevano permettersi”.

Si parla continuamente di sprechi, di tagli e di austerità; recentemente l’Unione Europea arriva addirittura a parlare di contenimento degli anni di didattica nelle scuole superiori con l’incredibile motivazione del taglio della spesa e del risparmio. Come se investire sulla cultura delle future generazioni sia un costo e non una ricchezza da coltivare.

Tanti ci chiedono cosa si possa fare

A livello generale, l’unica risposta democratica può essere quella dell’esercizio del diritto di voto e protesta, ed esula dagli scopi di questo blog, che non tratta di politica. Noi vi abbiamo fornito una diversa chiave di lettura della storia economica; a voi credere alla nostra o a quella ufficiale, e trarre vostre libere conclusioni.

A livello personale, noi non possiamo dar risposte concrete a tutti ma solo a una nicchia di persone composte da liberi professionisti e imprenditori. La nostra riposta operativa e concreta, per il ristretto ambito della nostra competenza, sta nella volontà individuale di uscire dal disegno della povertà. Siamo convinti che, una volta compreso che sia del tutto inutile piangersi addosso, pubblicare aforismi su Facebook e attendere l’aiuto dello Stato o l’ ”uscita dalla crisi” (perché non è una crisi ma un cambiamento deliberato e pianificato di sistema economico), un libero professionista e un imprenditore abbiano in mano le sorti della propria vita.

Le soluzioni – tuttavia – si cercano una volta acquisita la consapevolezza.

 

L’unica vera barriera è quella mentale, data dallo scetticismo, la sfiducia, il sospetto, la diffidenza e la paura.

Fonte malvezzieuropei

 

L’intervista shock all’economista Nino Galloni: la Germania accettò l’Euro solo in cambio del fallimento dell’Italia! …all’epoca gli diedero del pazzo… Ed ora???

 

Nino Galloni

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

L’intervista shock all’economista Nino Galloni: la Germania accettò l’Euro solo in cambio del fallimento dell’Italia! …all’epoca gli diedero del pazzo… Ed ora???

LA GERMANIA ACCETTÒ L’EURO IN CAMBIO DEL FALLIMENTO DELL’ITALIA. INTERVISTA SHOCK

Se ascoltate questa intervista in video, vi renderete conto della mostruosità del progetto che ha demolito l’Italia (industriale) a partire dalla fine degli anni ’80.

In sintesi (poi voi potete vedervi con calma il video a riguardo), l’Italia voleva cambiare la sua economia in meglio, affinché fosse più competitiva e meno dipendente dall’Europa. Poi la Germania si è riunita, e Kohl fece un accordo con Mitterand. La Francia avrebbe appoggiato l’unificazione tedesca, ma in cambio la Germania avrebbe dovuto rinunciare al marco.

La Germania accettò, ma come contropartita ulteriore chiese alla Francia un progetto di deindustrializzazione dell’Italia, poiché se l’Italia si fosse mantenuta forte dal punto di vista produttivo-industriale, l’accordo tra Kohl e Mitterrand sarebbe rimasto lettera morta e la Germania avrebbe pagato pesantemente sia la rinuncia al marco che la sua riunificazione.

Da qui la svendita dei nostri gioielli alla fine degli anni ’80, sotto una duplice pressione: esterna (l’abbiamo letta) e interna, di quegli affaristi cioè che con la privatizzazione a prezzi di saldo avrebbero fatto un bel po’ di grassi affari alle spalle della collettività. Beh, che dire? Il funzionario ha confermato di fatto quanto già fu dichiarato da Visco e Prodi. Ci hanno letteralmente fregato e continuano a fotterci.

Infatti un’Italia fuori dall’euro, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura a molti, incluse Francia e Germania che temevano le nostre esportazioni prezzate in lire. Ma Berlino ha consapevolmente gestito la globalizzazione: le serviva un euro deprezzato, così oggi è in surplus nei confronti di tutti i paesi, tranne la Russia da cui compra l’energia. Era un disegno razionale, serviva l’Italia dentro la moneta unica proprio perché era debole. In cambio di questo vantaggio sull’export la Germania avrebbe dovuto pensare al bene della zona euro nel suo complesso,ma così non è stato,ci hanno distrutto e ora ci lasciano marcire in eurozona,dopo essere stati usati…

***********

ESTRATTO DAL MINUTO 19:05

Nel 1982/83 io ero funzionario del Ministero del Bilancio e feci uno studio. Lo feci vedere al Ministro, facendogli presente che questo sistema avrebbe rovinato il Paese perché il debito pubblico, nel giro di 5/6 anni, avrebbe superato il prodotto interno lordo, e la disoccupazione giovanile avrebbe superato il 50%. Ne parlai anche col Ministro del Tesoro, che era Beniamino Andreatta, e con alcuni dell’ufficio studi della Banca d’Italia. Tutti quanti concordarono sul fatto che la mia analisi era esagerata e che non era possibile che il debito pubblico superasse il PIL, perché allora il sistema sarebbe saltato. E io dissi: scusate, se il debito è un fondo e il PIL è un flusso, non c’è nessun problema. Se io oggi, per farvi un esempio, con 50mila euro di reddito della mia famiglia vado a chiedere un prestito di 200, 250mila euro alla banca, me lo danno. Quindi anche un rapporto di 4/5 volte rispetto al PIL è sostenibile. Se è sostenibile per una famiglia, che tutto sommato non ha la forza di uno Stato, perché uno Stato, se supera il 100% del PIL, dovrebbe vivere chissà quali catastrofi? Allora dissero che le preoccupazioni sulla disoccupazione giovanile erano esagerate… Insomma: litigammo, me ne andrai dall’amministrazione e andai a fare altri lavori.

Nel 1989 ebbi uno scambio con l’allora incaricato Presidente del Consiglio che era Giulio Andreotti, il quale mi disse: “Dobbiamo cambiare l’economia italiana perché così non può andare avanti, ci dia una mano”. Io mi misi a disposizione e mi fecero incontrare con il suo braccio destro il quale, come è noto, mi chiese “Che cosa devo fare per cambiare l’economia di questo Paese”? Dissi: “Guardi, lei si faccia nominare dal prossimo Governo al Ministero del Bilancio e mi metta in mano tutta la struttura. Al resto ci penso io”. Poi me ne andai, pensando insomma che non sarebbe successo niente. E invece mi chiamò, dopo qualche settimana, e mi disse: “Guardi, sono Ministro del Bilancio” e mi mise a capo di tutta la struttura. Per cui io, nell’autunno del 1989 cominciai a cambiare l’economia di questo Paese. Nel senso perlomeno di rallentare il processo dell’Europa. Poi io ho avuto la buona scuola di Federico Caffè.. non ero un euroscettico, però non ero neanche un euroestremista. Insomma, pensavo che l’Italia dovesse anche guardare all’Europa, ma con i suoi tempi, le sue caratteristiche, le sue peculiarità, per cercare di recuperare un po’ di sovranità monetaria etc.

In effetti io lì lavorai due o tre mesi e poi successe l’inferno. Arrivarono al Ministro del Tesoro, Giulio Carli, telefonate dalla Banca d’Italia, dalla Fondazione Agnelli, dalla Confindusitra e, nientedimeno, da un certo Helmut Kohl, il quale era venuto a sapere che c’era questo oscuro funzionario del Ministero del Bilancio che stava cambiando le carte degli accordi. Nel frattempo, però, lo stesso Andreotti stava cambiando idea. Quando mi chiamò, nell’estate dell’89, volevano cambiare. Non volevano fare quello che poi fu fatto. Lui stesso andava in giro dicendo che le rivendicazioni della Germania erano una sciocchezza. Dopo qualche mese ci fu l’accordo tra Kohl e Mitterrand in cui Kohl, in cambio dell’appoggio di Mitterrand per la riunificazione tedesca, rinunciava al marco e quindi accettava la prospettiva dell’euro, accettava cioè di arrivare a una moneta comune che proteggesse la Francia.

Ma quest’accordo prevedeva anche la deindustrializzazione dell’Italia. Perché se l’Italia si manteneva così forte dal punto di vista produttivo – industriale, quell’accordo tra Kohl e Mitterrand sarebbe rimasto un accordo così, per modo di dire. C’erano fondamentalmente, contro la spesa pubblica, contro la classe politica del tempo, contro la sovranità monetaria – per quello che comporta – due correnti. Una era interessata soprattutto ai grandi business delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni. Hanno guadagnato distruggendo l’industria pubblica: c’erano aziende che venivano vendute al loro valore di magazzino, e quindi come andavano in borsa ovviamente alzavano la loro quotazione. Poi c’erano gli altri, che erano magari in buona fede, cioè avevano l’obiettivo di moralizzare il Paese. E hanno sbagliato. In entrambi i casi la contropartita è stata negativa: abbiamo perso quel’abbrivio strategico che avevamo nell’ambito della nostra industria. Quindi in sostanza la nostra classe dirigente ha accettato una prospettiva di deindustrializzazione del nostro Paese.

Il Video:

 

Di Bandabassotti

Accadde Oggi – Il 15 maggio di 13 anni fa Giorgio Napolitano inizia il mandato come 11° Presidente della Repubblica Italiana – Sì Napolitano, quello che lanciava moniti e firmava qualunque porcata e che ora non molla i suoi privilegi: 880.000 Euro l’anno solo di pensione!!

 

Giorgio Napolitano

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Accadde Oggi – Il 15 maggio di 13 anni fa Giorgio Napolitano inizia il mandato come 11° Presidente della Repubblica Italiana – Sì Napolitano, quello che lanciava moniti e firmava qualunque porcata e che ora non molla i suoi privilegi: 880.000 Euro l’anno solo di pensione!

16 maggio 2016 – L’inizio del mandato di Giorgio Napolitano come 11° Presidente della Repubblica Italiana. Tra moniti e firme di leggi improbabili, ha fatto la storia del Paese… In negativo.

Da Il Fatto Quotidiano:

Napolitano, pensione dorata: chauffeur, maggiordomo. E ufficio da 100 mq

Nonostante i tagli annunciati nel 2007, per i presidenti emeriti della Repubblica rimane una lunga lista di benefit: una segreteria di almeno una decina di persone, un assistente “alla persona”, una serie di linee telefoniche dedicate. Ridurre i privilegi? Il suo ufficio stampa: “Ha avuto impegni tali da non consentirgli di deliberare sulla materia”

Avrà di che consolarsi con il trattamento straordinario che lo aspetta: segreteria, guardarobiere, scorta. Con le dimissioni e l’uscita anticipata dal Quirinale, Giorgio Napolitano perderà la suprema carica, con un annuncio in arrivo probabilmente il 14 gennaio, ma non certo i servizi e i confort che hanno scandito la sua vita quirinalizia. Per lui, come da regolamenti in vigore, non si lesineranno mezzi e benefit, a cominciare dai telefoni satellitari, i collegamenti televisivi e telematici, lo staff nutritissimo e persino l’«addetto alla persona», sì, avete capito bene, proprio l’assistente-inserviente che alla corte inglese di Buckingam Palace più prosaicamente definirebbero “maggiordomo”. Insomma, un trattamento da vero monarca repubblicano al quale è riservato pure il diritto ad utilizzare un’auto con autista, privilegio che spetta anche alle vedove o ai primogeniti degli ex presidenti. Davvero niente male. E se ne era accorto lo stesso Napolitano che, nel 2007, tra le polemiche per le spese quirinalizie e le rivelazioni dei giornali sul trattamento degli ex annunciò tagli solenni. Ma, come Ilfattoquotidiano.it ha potuto verificare, quelle sforbiciate non sono mai arrivate e anche lui potrà dunque tranquillamente continuare a godere di sorprendenti agi e privilegi tra le compassate stanze di Palazzo Madama.

BENTORNATO, PRESIDENTE – Lasciato il Quirinale, Napolitano assumerà infatti le vesti di senatore a vita, carica che ha già ricoperto per pochi mesi dal 23 settembre 2005, quando fu nominato dal suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi, fino alla sua elezione al Colle il 15 maggio 2006. Al Senato, dove insieme allo stesso Ciampi formerà la gloriosa coppia degli ex capi di Stato, Napolitano si sistemerà in una location diversa da quella che lo aveva ospitato per poco più di sette mesi prima di trasferirsi al Quirinale. Il suo vecchio ufficio, infatti, è stato nel frattempo assegnato ad un altro senatore a vita: quel Mario Monti da lui stesso nominato poco tempo prima di diventare presidente del Consiglio. Così, per Napolitano si sono dovuti tirare a lucido gli oltre cento metri quadrati degli uffici di Palazzo Giustiniani con vista su San Ivo a suo tempo occupati da un altro ex illustre inquilino del Colle, il defunto Oscar Luigi Scalfaro.

BENEFIT A VITA – Un “buen retiro” dorato che, allo stipendio dovuto ai comuni senatori eletti, circa 15mila euro mensili netti, tra indennità, rimborsi e ammennicoli vari, sommerà anche una lunga serie di benefit a carico del bilancio della presidenza della Repubblica. Documenti alla mano, si scopre infatti che in forza di un vecchio decreto del 1998 a ciascun presidente emerito spetta innanzitutto il diritto ad utilizzare un dipendente della carriera di concetto o esecutiva del segretariato generale del Quirinale con funzioni di segretario distaccato nel suo nuovo staff. Altri due dipendenti del Colle possono invece essere trasferiti presso la sua abitazione privata romana di via dei Serpenti, con mansioni l’uno di guardarobiere e l’altro di addetto alla persona. Poi ci sono le cosidette “risorse strumentali”: un telefono cellulare o satellitare, un fax e un’altra connessione urbana ultraprotetta, una linea dedicata per il collegamento con il centralino del Quirinale, un’altra per quello con la batteria del Viminale e un allacciamento diretto con gli uffici dei servizi di sicurezza del ministero degli Interni, predisposti in duplicato presso lo studio e l’appartamento privato dell’ex presidente; quindi, collegamenti telematici (anche in questo caso doppi), consultazione delle agenzie di stampa e banche dati, oltre a connessioni televisive a bassa frequenza per la trasmissione dei lavori di Camera e Senato; per ultima, non poteva mancare, ecco l’auto con telefono e chauffeur riservata, vai a capire perché, pure alla vedova o al primogenito dell’ex capo di Stato. E non è finita.

PAGA IL SENATO – Una volta traslocato dal colle del Quirinale agli uffici del Senato, a Napolitano, come a tutti i presidenti emeriti della Repubblica, spettano altre cospicue dotazioni. Ci sono quelle della presidenza del Consiglio, mobilitata per l’utilizzo di treni, navi e aerei; ma ci sono soprattutto le altre poste a carico di Palazzo Madama. Si tratta di una munitissima segreteria composta da una decina di unità: un capo ufficio, tre funzionari, due addetti ai lavori esecutivi, altri due a quelle ausiliari e, a scelta, addirittura un consigliere diplomatico o militare. Una pletora di persone alla quale obbligatoriamente si aggiungono gli agenti di pubblica sicurezza e i carabinieri addetti alla scorta e alle postazioni previste presso le abitazioni private del presidente. A conti fatti, una trentina di persone che forniranno i loro servizi nell’arco delle 24 ore. Non spetta, invece, agli ex inquilini del Colle alcuna liquidazione, assimilabile al Tfr dei comuni lavoratori o all’assegno previsto per i parlamentari non rieletti. Interpellato dal ilFattoquotidiano.it, l’ufficio stampa del Quirinale spiega che «al momento della cessazione dell’incarico di presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano non riceverà alcuna indennità di fine mandato». L’attuale capo dello Stato, aggiungono dal Colle, «ha maturato 38 anni di contributi ma non ha mai beneficiato né beneficerà del vitalizio previsto per gli ex parlamentari in quanto incompatibile dapprima con l’assegno percepito in qualità di eurodeputato (Napolitano lo è stato dal 1999 al 2004, ndr), poi con quello di presidente della Repubblica e, infine, anche con quello di senatore a vita, carica che tornerà a rivestire una volta lasciato il Quirinale».

CHI SPENDING DI PIU’ – Quanto ai tagli ai privilegi degli ex capi di Stato annunciati qualche anno fa, i comunicatori del Colle spiegano a ilfattoquotidiano.it che «il mandato di Napolitano è stato finora caratterizzato da impegni tali da non consentirgli di deliberare sulla materia, ma qualora dovesse decidere di farlo prima della cessazione del suo incarico non intende fare della sua determinazione oggetto di campagna promozionale». Anche per ragioni di opportunità rispetto all’operato dei suoi predecessori. E, in ogni caso, «non è detto che, una volta esaurito il mandato, Napolitano si avvarrà indiscriminatamente delle prerogative previste per gli ex presidenti della Repubblica».
Insomma, prerogative rinunciabili ma solo se l’avente diritto vorrà.

 

Marcello Foa: casa e risparmi, entro 5 anni ci porteranno via tutto

 

Marcello Foa

 

.

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Marcello Foa: casa e risparmi, entro 5 anni ci porteranno via tutto

 

Oggi credo che nelle nostre società ci sia questa percezione molto netta: o le cose cambiano nei prossimi cinque anni, oppure andremo a compromettere le conquiste economiche, sociali e anche private che noi – italiani ed europei in generale – abbiamo costruito negli ultimi 60-70 anni. Nel suo blog, Panagiotis Grigoriou descrive per filo e per segno le operazioni di ingegneria sociale che stanno applicando alla Grecia. In Grecia, i giornalisti della Tv pubblica erano i più accaniti sostenitori delle riforme che Bruxelles proponeva. Che fine hanno fatto? Hanno chiuso la Tv pubblica, sono tutti disoccupati. Andate a chiedere alla classe media greca: si illudeva, per il fatto di avere qualche centinaio di migliaia di euro in tasca, l’alloggio ad Atene che valeva 700.000 euro, la casetta sull’isola. “Che cosa può accadermi?”, pesava: “Ho abbastanza grasso”. Andate a chiedere a loro: è rimasto ben poco. Il punto è che le logiche della gestione del potere indicano che la rotta scelta da un certo establishment europeo sta portando verso una società neo-feudale, purtroppo, in cui c’è una piccola, vera casta, molto privilegiata, e gli altri diventano servi della gleba.

Puoi essere di destra o di sinistra, ma questo ti colpirà in ogni caso. Puoi essere liberista o meno, liberale o socialdemocratico: ti colpisce. Il Fondo Monetario Internazionale ha appena detto: attenzione, per rilanciare l’Italia bisogna andare a tassare le proprietà immobiliari e le ricchezze. Ed è molto significativo, il fatto che l’abbia detto in questo momento. Indica una rotta: significa che queste élite non hanno capito qual è il cuore del problema, vogliono continuare a perseguire il loro programma – che è aberrante, perché ci renderà tutti molto più poveri, e ci toglierà quella libertà che abbiamo conquistato. A questo non bisogna arrendersi, e per questo noi combattiamo. Per questo è molto importante capire i meccanismi dell’informazione e del condizionamento sociale e psicologico, perché è la cosa che più di ogni altra “loro” temono. Le “fake news” sono semplicemente un pretesto per imporre la censura, tenetelo a mente: e questo messaggio non deve passare, perché – se passa – non ci saremo neppure più noi a cercare di spiegarvi come vanno le cose. Questo è quello che vogliono.

La polemica su Facebook e Cambridge Analytica? E’ un puro pretesto: sapevamo tutti che Facebook usa e manipola i dati che noi gentilmente gli diamo. Quando li manipolava Obama andava benissimo, se invece li usa Trump allora scoppia il casino, perché si sono resi conto che il meccanismo che avevano creato era uscito dal loro controllo e quindi stanno cercando di riportarlo sotto quel controllo. Tutto questo bisogna denunciarlo con forza. Implica una lotta continua di informazione, anche una lotta politica, bisogna mantenere gli occhi aperti e la voglia di non arrendersi. Io continuo a credere che sia possibile che ci sia tutto sommato anche un “karma” che ci può aiutare, perché alla fine il “karma” è assolutamente dalla nostra parte. E questa è una ragione molto valida, per continuare ad andare avanti.

(Marcello Foa, dichiarazioni conclusive della conferenza “Gli stregoni della notizia” promossa a Roma il 21 aprile 2018 da “L’Intellettuale Dissidente” a dall’associazione “Asimmetrie”, ripresa da “ByoBlu” nel video “Verso una censura violenta e drammatica”. Protagonisti dell’incontro, insieme a Foa, due economisti: il marxista Vladimiro Giacché e il keynesiano Alberto Bagnai, ora eletto senatore con la Lega. Foa è autore del saggio “Gli stregoni della notizia, atto secondo”, ovvero “Come si fabbrica informazione al servizio dei governi”, editore Guerini e Associati, 293 pagine, euro 21,50).

 

 

tratto da: http://www.libreidee.org/2018/04/foa-casa-e-risparmi-entro-5-anni-ci-porteranno-via-tutto/

Così Amazon uccide la dignità dei lavoratori e l’economia locale

 

Amazon

 

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Così Amazon uccide la dignità dei lavoratori e l’economia locale

Sfruttamento dei lavoratori, aumento della povertà, crisi dei piccoli negozianti, impoverimento dell’economia locale. Massimo Angelini riassume le drammatiche conseguenze legate alla crescita del colosso dell’ecommerce e invita tutti a dissociarsi da quello che oggi si presenta come il monopolio in più rapida espansione e commercialmente più aggressivo. Italia che Cambia sostiene la sua iniziativa “Amazon addio”.

“Amazon addio”. Questo il nome dell’iniziativa lanciata da Massimo Angelini e rilanciata da Comune-info contro la più grande Internet company al mondo, una delle più grandi società del pianeta.

“Amazon – scrive Massimo Angelini – sta guadagnando una posizione di monopolio mondiale straordinaria e pericolosa: la sua crescita, accompagnata da una progressiva concentrazione e automazione dei processi di distribuzione, sempre più di frequente viene associata:
– alla chiusura di negozi e librerie, e alla conseguente perdita di posti di lavoro;
– a una riduzione della qualità del lavoro, sempre più misurato, controllato, malpagato, precario, e meno tutelato;
– all’elusione della tassazione nei paesi dove opera, compresa l’Italia”.

“In questo scenario – si legge ancora – chiude il piccolo commercio, si perdono posti di lavoro, si erodono garanzie per quelli che restano, si mette a rischio la posizione dei lavoratori del commercio e della logistica, ma anche quella dei produttori ai quali, in progresso di tempo e crescendo la posizione di monopolio, più facilmente il prezzo di uscita delle merci potrà essere imposto al ribasso.

Mentre alcuni si compiacciono dell’efficienza, della comodità e del relativo risparmio – perché è vero che i prodotti inviati attraverso Amazon arrivano presto e spesso sono venduti a un prezzo ribassato – c’è una parte di mondo che diventa più povero, meno tutelato, ricattabile: se a un risparmio di tempo e denaro individuali corrisponde un maggior costo sociale (oltre che personale) in termini di dignità dei lavoratori e posti di lavoro, allora il bilancio è certamente negativo. E lo è per tutti, anche per chi persegue i soli propri interessi individuali, perché una società più povera, in termini economici, morali, di sicurezza è un costo per tutti”.

“Poiché i monopoli – tutti – generano maggiore povertà, favoriscono la concentrazione dei capitali e contribuiscono ad allargare la forbice che separa una minoranza progressivamente più ridotta e più ricca da una maggioranza più allargata e sempre più povera, proponiamo un gesto di resistenza e di schieramento a partire dalla dissociazione da quello che oggi si presenta come il monopolio in più ampia e rapida espansione e commercialmente più aggressivo: Amazon”.

 

tratto da: https://www.pressenza.com/it/2018/04/cosi-amazon-uccide-la-dignita-dei-lavoratori-leconomia-locale/

Banche armate: gli istituti di credito italiani fanno sempre più soldi grazie alle guerre

Banche

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Banche armate: gli istituti di credito italiani fanno sempre più soldi grazie alle guerre

Da una parte piangono crisi e chiedono salvataggi da parte dello stato (a spese dei cittadini) dall’altra hanno abbandonato ogni remora etica nei loro affari e puntano ad accumulare denaro in ogni modo. Soprattutto traendo guadagni dalle operazioni di import/export legate agli armamenti. È questa la realtà sul mondo bancario.

AFFARI QUASI RADDOPPIATI IN UN ANNO. I numeri degli affari del mondo bancario nel settore degli armamenti fanno impressione. In un solo anno il valore delle transazioni bancarie legate al commercio di armamenti è passato dai 4 miliardi del 2015 ai 7,2 miliardi del 2016 (+80%), frutto di 14.134 transazioni, rispetto alle 12.456 dell’anno precedente. Un boom inarrestabile se si osserva la crescita rispetto a soli due anni fa: +179% (2,5 miliardi di euro, nel 2014). Questo quanto svelato da un’inchiesta della rivista Nigrizia, che ha incrociato i dati resi pubblici dall’ultima “Relazione al parlamento sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”.

UNICREDIT LA PEGGIORE, TRA MOLTE SORPRESE. Le banche coinvolte sono moltissime, incluse quelle “popolari” che per statuto dovrebbero concentrare il loro impegno a favore del territorio in cui operano, A guidare la classifica è Unicredit, con oltre 2,1 miliardi di euro con una crescita del 356%rispetto al 2015 (474 milioni di euro), seguono la Deutsche bank (oltre un miliardo di euro di movimenti nel settore) e l’inglese Barclays ( 771 milioni). Queste tre banche, da sole, rappresentano il 57% degli interessi bancari nel mercato delle armi. Non trascurabili comunque gli affari nel settore delle banche italiane di dimensioni medio-piccole, nei primi 15 posti figurano infatti: Banca Popolare di Sondrio, il Banco Popolare, la Banca popolare dell’Emilia Romagna e la Banca popolare dell’Etruria. Ma il record di crescita nel triste settore del business delle guerre spetta al misconosciuta Banca Valsabbina, istituto di credito del bresciano che nel 2016 ha visto aumentare le sue transazioni armate sono cresciute del 763,8% passando dai 42,7 milioni di euro del 2015, ai 369 circa dell’anno scorso.

SERVE RISVEGLIARE L’ATTENZIONE SUL TEMA. Diverse le ragioni di questo boom. Impossibile non ricollegarlo almeno in parte alla generale crescita del settore degli armamenti italiani del mondo. Nel 2016 le esportazioni italiane nel settore hanno infatti superato i 14,6 miliardi di euro, con un aumento dell’85,7% rispetto al 2015. Un business tanto più immorale considerando il fatto che queste armi sono state cedute anche a regimi autoritari come Qatar, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Ma secondo gli osservatori la crescita delle “banche armate” va ricollegata anche al minor interesse pubblico verso il tema, visto che quando, nei primi anni del ‘2000, si era creato un vasto movimento civile contro il fenomeno molti dei maggiori istituti di credito avevano messo a punto nuovi regolamenti interni più rigorosi sul tema, prontamente disattesi non appena la pressione pubblica è scemata.

COSA SI PUÒ FARE PER NON ESSERE COMPLICI. Se è vero che in generale regna indifferenza sul tema, è altrettanto evidente che la mancanza di informazioni rende molto difficile anche per i cittadini più consci prendere contromisure. In Italia esiste da tempo la Campagna Banche Armate che sul proprio sito internet rende pubblico anche l’elenco degli istituti di credito che non generano profitto sul business degli armamenti, invitando i cittadini a trasferire qui i loro conti corrente. Un altro metodo, inoltre, può essere quello di inviare una mail di protesta alla propria banca, nel caso essa figuri tra quelle “armate”, sempre seguendo i metodi spiegati nel sito internet della Campagna. Ogni mail è ovviamente solo una goccia, ma si sa che è l’insieme delle gocce stesse a fare l’oceano…

 

tratto da: http://www.dolcevitaonline.it/banche-armate-gli-istituti-di-credito-italiani-fanno-sempre-piu-soldi-grazie-alle-guerre/

I soldati italiani in Niger a proteggere l’uranio dei francesi… Ma “loro” Vi prendono per i fondelli chiamandola “missione di pace”…!

 

Niger

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

I soldati italiani in Niger a proteggere l’uranio dei francesi… Ma “loro” Vi prendono per i fondelli chiamandola “missione di pace”…!

 

Soldi e uranio, col rischio di finire in mezzo a una guerra. L’Italia in Niger con 500 soldati, su invito della Francia? Motivo ufficiale: fermare, nel Sahel, la tratta dei migranti e il fondamentalismo islamico. Ma attenzione: il Niger ha appena ottenuto, dalla conferenza parigina dei donatori, un super-finanziamento da 23 miliardi di dollari. Un pacchetto di aiuti, come si dice in gergo, “allo sviluppo e alla sicurezza”, i cui appalti sono destinati a imprese europee. «Di sicuro vedremo quindi imprese italiane su quel campo, per non parlare della fornitura di armi necessaria alla “stabilizzazione”», scrive il blog “Senza Soste”, che mette a fuoco anche l’altra possibile motivazione della strana missione italiana, annunciata da Gentiloni dal ponte di una portaerei. «Il punto è che in Niger, oltre ai 23 miliardi di dollari in aiuti che andranno trasformati in appalti, c’è qualcosa che vale, come sempre, una spedizione militare: qualcosa di serio, come quel tipico prodotto da green economy che è l’uranio». Non è certo una novità: proprio per l’uranio destinato al nucleare fu montato, nel 2002, il caso Nigergate. «In poche parole, si scrive Niger e si legge uranio. Stiamo parlando del quinto produttore di uranio al mondo ma con una popolazione, di venti milioni di persone, stimata tra le dieci più povere del pianeta».

In Niger c’è anche Arlit, una delle capitali mondiali della produzione di uranio impoverito, continua il newsmagazine. E’ proprio il pericolosissimo materiale «che provocò la morte dei soldati italiani al ritorno dalle missioni coloniali in Kosovo, Afghanistan e Jugoslavia (340 morti, 4000 malati, una strage silenziata al massimo dai media, con D’Alema e Mattarella, all’epoca ministro della difesa, che in materia negarono l’impossibile)». Ma in Niger, continua “Senza Soste”, «se si scrive uranio si legge Areva, una multinazionale francese a proprietà pubblica, con un proprio distinto grattacielo al quartiere parigino della Défense». Il campo si fa quindi più chiaro: resta in mano francese lo sfuttamento e l’export dell’uranio del Niger, i cui proventi non vanno certo ad una popolazione ben al di sotto del livello di povertà. «L’export di uranio del Niger, oltre a non fruttare niente per il popolo di quel paese e inquinarne pesantemente le acque, fornisce energia per il 50 per cento della popolazione francese». E’ evidente quindi che «lo sviluppo drammaticamente ineguale in Niger è un affare interno della Francia». Ma anche esterno, «perchè nella fornitura di energia atomica in Ue, che è circa un terzo di quella complessiva, l’uranio permette alla Francia di essere la principale produttrice di energia del continente, con una quota del 17,1% sulla produzione totale Ue e davanti a Germania (15,3%) e Regno Unito (in calo, ma al 13,9%)».

Così è tutto più chiaro, scrive “Senza Soste”: «Gli scafisti di un paese senza sbocco al mare c’entrano poco, se non come fake news all’amatriciana». L’Italia? Forse potrebbe ricavarne, in cambio, anche una quota di energia. Ma, al netto degli eventuali appalti per Roma – una possibile fetta dei 23 miliardi concessi in “aiuti” – il blog segnala che le nostre truppe saranno inserite in un disegno, interamente francese, di ristrutturazione “coloniale” dell’area, dopo la crisi apertasi nel 2011 per Areva, costretta a rivedere una serie di reattori dopo il disastro giapponese di Fukushima. Il 2011, ricorda la “Bbc”, è anche l’anno del cosiddetto “uranium-gate”, che coinvolge l’Areva in fenomeni di corruzione in Niger, con fondi neri finiti in Russia e in Libano, fuori dal controllo di Parigi. Altro obiettivo, per la Francia: contrastare la presenza della Cina sul terreno: «E visto che in Africa i cinesi non esistono, sul piano militare, non c’è niente di meglio che ristrutturare Areva dall’interno e far valere la propria presenza sul campo in termini di truppe, con l’aiuto dell’Italia». Il rischio? La guerriglia: dopo la sollevazione dei Tuareg che ha minacciato proprio le miniere di uranio, si è già fatta sentire una guerriglia definita “islamista”, che ha già colpito siti francesi nel 2013.

«Secondo fonti africane in lingua inglese, la guerra dell’uranio in Niger sembra essere appena cominciata: una guerra con gli Usa che forniscono i droni, mentre la Francia e l’Italia sono sul campo – la prima a difendere i propri interessi diretti, la seconda a supporto», cercando di rimediare appalti o magari una posizione privilegiata nella produzione di energia. Gruppi islamisti? In un articolo seguito all’uccisione di quattro soldati americani nell’area, il “Guardian” parla di gruppi in grado di colpire ma difficili da identificare, «in una delle più remote e caotiche zone di guerra del pianeta». Ed è in questo tipo di zona che la Francia vuol rimettere ordine, con l’aiuto italiano, anche per fronteggiare la minacciosa concorrenza del Kazakhstan, super-produttore di uranio. «Se ne può stare certi: le mosse legate al Niger vedranno un piano di decisione politico, su più capitali dell’Occidente, e uno legato alla situazione sui mercati finanziari. Poi si potrà raccontare degli scafisti, dei progressi contro la guerriglia islamista», a beneficio dei grandi media e del loro pubblico ignaro. Non a caso, è già partito il ritornello degli “aiuti” per fronteggiare la devastante emergenza-siccità che sta flagellando l’area. «Per evitare tragedie nel Sahel, legate alla fuga dai territori, basterebbe intervenire sulle crisi idriche, favorendo le naturali economie locali, e non immaginare di creare fortezze da fantascienza».

Se però andiamo a vedere la vastità della crisi idrica che tocca il Niger, aggiunge “Senza Soste”, vediamo che non comprende solo quel paese ma anche tutta la grande fascia sub-sahariana, dalla Mauritania all’Eritrea. E spesso, le zone toccate dalla crisi idrica coincidono con quelle interessate dalla cosiddetta guerriglia islamica: è il caso del Mali, oggetto di intervento francese a inizio 2013. «Parigi interviene, quando la crisi economica e politica precipita, per “stabilizzare” economia e situazione politica del paese e far valere gli interessi francesi. La novità è che, stavolta, interviene anche l’Italia», coinvolta anche nell’intricato dopoguerra in Libia. Riusciranno a pesare sulla crisi, i maxi-appalti in arrivo? «A essere cinici – scrive “Senza Soste” – con 150 milioni annui, e qualche cerimonia militare, l’Italia si dovrebbe garantire un po’ di appalti, per una cifra magari 20 o 30 volte superiore, per le proprie imprese dal settore infrastrutture a quello della fornitura». Secondo Gianandrea Gaiani di “Analisi Difesa”, non è né garantito l’affrancamento dalla subalternità militare a Parigi, già evidenziatosi con la crisi libica del 2011, né il processo di razionalizzazione dei flussi migratori. La politica italiana? Considera “naturale” «l’assenza di qualsiasi visione strategica sull’Africa, continente la cui sinergia tra miseria e boom demografico è ottima candidata ad essere un futuro problema per l’Europa».

 

fonte: http://www.libreidee.org/2018/01/soldati-italiani-in-niger-a-proteggere-luranio-dei-francesi/

 

Il triste suicidio di una grande nazione

 

suicidio

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Il triste suicidio di una grande nazione

Un sistema economico in cui prevale l’offerta di impieghi sulla domanda di lavoratori va immediatamente corretto, incoraggiando la nascita di nuove imprese che possano soddisfare l’offerta.

Più imprese nascono, più i lavoratori hanno forza contrattuale individuale perché possono proporre i loro talenti al migliore offerente. I lavoratori che non hanno talenti di alto valore sono costretti a studiare e specializzarsi per migliorare le personali capacità professionali e renderle più pregiate, incremento di valore che si traduce in paghe più elevate perché la professionalità più è alta, più è ambita dalle imprese. Ecco cosa rende una nazione più ricca e più giusta. Ora facciamo mente locale sulla cultura che ha ingessato questo paese da metà anni ‘70 in avanti. Abbiamo creato un clima favorevole alla nascita di nuove aziende? Abbiamo stimolato la competizione economica e individuale incoraggiando l’ambizione al miglioramento e all’arricchimento, frutto dell’eccellenza e non della furberia? Abbiamo responsabilizzato le generazioni di giovani che si sono succedute, garantendogli l’accesso all’istruzione ma costringendole a sudarsi il pezzo di carta?

Abbiamo fatto l’esatto contrario, e nel giro di trenta/quarant’anni l’Italia si è spenta da tutti i punti di vista, morale, economico, imprenditoriale e umano. Abbiamo dato la caccia al titolare della “fabbrichetta” accusato di essere evasore fiscale e sfruttatore degli operai e le fabbrichette hanno chiuso. Abbiamo trasformato scuole e università in diplomifici perché si è stabilito che concludere il ciclo di studi è un “diritto civile”.

Abbiamo tacciato di spietato darwinismo sociale concetti come ambizione e desiderio di emergere, e ci ritroviamo a discutere leggi e provvedimenti che ristabiliscano la meritocrazia a norma di legge. Un professionista che guadagna molti soldi perché i suoi clienti gli pagano i suoi servizi non deve dare troppo nell’occhio, mentre un burocrate di stato che guadagna più di Obama è intoccabile.

Un sindacalista che ha lavorato in azienda metà di un lavoratore comune, grazie ai “distacchi sindacali” pagati fior di quattrini, può andare in pensione prima e con una rendita mensile incomparabilmente più alta. E nessuno protesta. Ma questa deriva, non ce l’hanno imposta con le truppe di occupazione, l’abbiamo assorbita, ci abbiamo sguazzato e ora che il fiume è quasi in secca e i pesci boccheggiano, invochiamo ancora più Stato che ci garantisca ossigeno per vivere.

(Mauro Gargaglione)

fonte: http://zapping2017.myblog.it/2018/01/20/incubo-peste-suina-cresce-lallarme-in-europa/

Ecco la ripresa di Padoan, Renzi & C. – Call center: paga di 33 centesimi l’ora. Fanno circa 92 Euro al mese. Ma se vai al bagno ci sono tagli.

 

Call center

 

.

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Ecco la ripresa di Padoan, Renzi & C. – Call center: paga di 33 centesimi l’ora. Fanno circa 92 Euro al mese. Ma se vai al bagno ci sono tagli.

 

Call center: Slc, 33 centesimi l’ora, tagli a chi va al bagno

Denuncia alla Procura di Taranto dopo stipendio mensile di 92 euro

Un bonifico di 92 euro per un mese di lavoro e tagli alla retribuzione in caso di assenza anche di soli tre minuti dalla postazione per andare alla toilette. Con la conseguenze che i compensi scendevano anche a 33 centesimi l’ora. E’ quanto denuncia la Slc Cgil di Taranto, che ha scoperto e denunciato un call center che avrebbe sfruttato le lavoratrici. Sette di queste si sono rivolte al sindacato, al quale hanno raccontato la propria storia. Un esposto è stato presentato alla Procura della Repubblica di Taranto.

fonte: http://www.ansa.it/puglia/notizie/2017/12/19/call-center-slcpaga-da-033-euro-lora_6feabec1-9720-4166-8202-7e613bfda26d.html

Cosa potrebbe accadere se usciamo dall’Euro? Ce lo spiega l’Islanda che senza Euro si è liberata della crisi ed ora ha un PIL che cresce del 3% l’anno !!

 

Euro

 

.

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Cosa potrebbe accadere se usciamo dall’Euro? Ce lo spiega l’Islanda che senza Euro si è liberata della crisi ed ora ha un PIL che cresce del 3% l’anno !!

C’era un paese che aveva nei confronti delle potenti banche estere un debito di diversi miliardi, pari a decine di migliaia di euro di debito a carico di ciascun cittadino! Le banche creditrici, appoggiate dal governo, hanno proposto misure drastiche a carico dei cittadini, che ciascun cittadino avrebbe dovuto pagare con tasse e/o minori servizi, qualcosa come 100 euro al mese per 15 anni! I cittadini sfiduciarono il governo, si fece strada l’idea che non era giusto che tutti dovessero pagare per errori e ruberie commessi da un manipolo di banchieri e politici, decisero poi di fare un referendum che con oltre il 90% dei consensi stabilì che non si dovesse pagare il debito.
Nazionalizzarono quindi le banche (prima private) che avevano portato a questo disastro economico e, tramite Internet, decisero di riscrivere la Costituzione (prevedendo anche che l’economia fosse al servizio del cittadino e non viceversa). Per riscrivere la nuova costituzione vennero scelti dei cittadini che dovevano essere maggiorenni, avere l’appoggio di almeno 30 persone e NON AVERE LA TESSERA di ALCUN PARTITO!Chiunque poteva seguire i progressi della Costituzione davanti ai propri occhi. Le riunioni del Consiglio erano trasmesse in streaming online e chiunque poteva commentare le bozze e lanciare da casa le proprie proposte. Veniva così ribaltato il concetto per cui le basi di una nazione vanno poste in stanze buie e segrete, per mano di pochi saggi. Sembra una favola vero? Ma non lo è affatto!
Nonostante tutto, a sentire i parassiti di Bruxelles la decisione dell’Islanda di rimanere fuori dall’Unione Europea sarebbe un errore colossale visto che tale rifiuto condannerebbe i cittadini islandesi a decenni di povertà, declino e bassissima crescita economica, ma per loro sfortuna la matematica non è un’opinione e i dati recentemente rilasciati dall’istituto di statistica islandese danno un quadro completamente diverso.
E così mentre i paesi dell’area euro sono ancora impantanati in una recessione senza fine, per quest’anno l’economia islandese è destinata a crescere del 2.7%, nel 2015 del 3.3% e tra il 2016 e 2018 la crescita annua dovrebbe oscillare tra il 2.5 e il 2.9%.
A trascinare tale crescita è l’aumento dei consumi privati che quest’anno dovrebbe salire del 3.9% e del 4% nel 2015 per poi mantenersi al 3% annuo fino al 2018.
Quindi, mentre gli italiani sono costretti a rinunciare anche all’acquisto di beni essenziali come pasta e pane, i cittadini islandesi possono permettersi di spendere qualcosina in più – si fa per dire, vero? – visto che non devono sottostare ai diktat della BCE e della Merkel.
Però c’è anche un altro motivo dietro alla crescita dei consumi, ed è legato alla decisione del governo islandese di condonare parte dei mutui detenuti dalle famiglie islandesi.
Infatti, come sopra citato,subito dopo la bancarotta delle tre principali banche islandesi il governo decise nazionalizzare queste banche e ridurre parte dei mutui ad esse dovute – tagliando di molto gli interessi sui prestiti concessi – così da dare un pò di ossigeno alle famiglie islandesi colpite dalla crisi.
Tale decisione all’epoca fu fortemente criticata dalle agenzie di rating – e dalle banche straniere che perdevano lauti “guadagni” usurai – ma i politici islandesi se ne sono altamente fregati e adesso gli effetti benefici di tale decisione cominciano a farsi sentire.
Quello che sta succedendo in Islanda è un esempio da manuale su come vada gestito un paese per farlo uscire dalla crisi finanziaria, ma ovviamente la stampa di regime italiana ha censurato questa storia perché la verità dà fastidio ai parassiti di Bruxelles e ai loro burattini del governo Renzi, ad iniziare dal ministro dell’Economia Padoan.
by Eles
fonte: http://siamolagente2016.blogspot.it/2017/03/cosa-potrebbe-accadere-se-usciamo.html