Per non dimenticare – 19 settembre 1943, Boves: la prima strage nazista in Italia

 

Boves

 

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Per non dimenticare – 19 settembre 1943, Boves: la prima strage nazista in Italia

«Quel settembre “era buono per i funghi”. Il padrone del caffè Cernaia imbottigliava il dolcetto arrivato da Dogliani; nella calzoleria Borello si preparavano gli zoccoli, per i giorni di fango e di neve. Le cose di sempre in un villaggio piemontese che non aveva capito la guerra e neppure la confusione, dopo la disfatta; vissuto per secoli nel suo quieto sogno di alberi, di fontane, di vicende e di commerci minimi; costretto ora a esprimere in poche ore, in una luce rossastra, tutta la capacità umana di soffrire». Quel villaggio, descritto così sul sito dell’Associazione partigiani (Anpi) di Lissone, è Boves nel settembre del 1943: un piccolo paese dell’Italia profonda, diecimila anime comprese le frazioni montane, conosciuto solo dai suoi abitanti, poco distante da Cuneo, che si ritrovò di colpo nella Storia con la esse maiuscola, la Storia cattiva, quella che uccide e brucia e distrugge. Boves fu il teatro della prima strage compiuta in Italia dai nazisti, 24 civili trucidati, 350 case date alle fiamme, eseguita il 19 settembre del 1943 per punire gli italiani traditori dell’8 settembre e terrorizzare chi aveva in animo di unirsi o comunque sostenere le prime bande partigiane che già si erano costituite sulle montagne.

Boves era sconosciuta ma Cuneo non era una città qualsiasi, almeno per la nascente Resistenza italiana. Era il luogo di nascita e lavoro di Tancredi Achille Giuseppe Olimpio Galimberti, un avvocato che nel 1943 aveva 37 anni e che tutti conoscevano come «Duccio», il soprannome con cui sarebbe passato alla storia d’Italia. Il 26 luglio 1943, il giorno dopo la caduta di Mussolini, Galimberti, da tempo militante clandestino del Partito d’Azione, si era affacciato al balcone del suo studio nella centralissima piazza Vittorio (oggi piazza Galimberti) e aveva tenuto un comizio improvvisato per celebrare la fine del regime fascista: «La guerra continua – disse – fino alla cacciata dell’ultimo tedesco e alla scomparsa delle ultime vestigia del fascismo». La riunione fu dispersa a colpi di manganello dalla polizia e lo stesso Galimberti fu denunciato e poi colpito da un mandato d’arresto, revocato dopo tre settimane. Insomma, «la camicia non era più nera/ma il fascismo restava padron», come avrebbero poi cantato i partigiani giellisti nella Badoglieide, la canzone satirica contro il nuovo capo del Governo, Pietro Badoglio, composta da Nuto Revelli e Dante Livio Bianco di cui vi abbiamo parlato qui. Lo studio di Galimberti divenne il principale centro di reclutamento e organizzazione delle brigate partigiane di Giustizia e Libertà, il braccio armato dell’omonimo movimento politico fondato a Parigi dai fratelli Carlo e Nello Rosselli e confluito poi nel Partito d’Azione, di cui «Duccio» fu capo e ideologo fino alla cattura da parte dei fascisti e alla morte nel dicembre 1944.

Il terreno di coltura dell’antifascismo, dunque, nelle valli cuneesi non era scarso nè infertile. Così sulle pendici della Bisalta, il monte che sovrasta Boves, si costituiscono da subito le prime bande. Una delle più importanti è quella guidata da Ignazio Vian, un ex sottotenente della Gaf (la Guardia alla frontiera, la polizia di confine del regime) di 26 anni che nemmeno un anno dopo, nel luglio 1944, sarà catturato, torturato e impiccato dai fascisti a Torino. Le prime azioni provocano una reazione dei tedeschi, che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e il voltafaccia dell’Italia stanno procedendo in fretta alla cattura e all’internamento del  Regio esercito allo sbando e all’occupazione dell’Italia centro-settentrionale. Il 16 settembre compare a Boves un proclama del “generale” Joachim Peiper, comandante delle truppe tedesche operanti in zona, in cui si minacciano rappresaglie contro chi aiuta le formazioni composte dai militari italiani, ai quali non viene riconosciuto lo status di combattenti regolari. In realtà Peiper, 29 anni, non è un generale ma uno Sturbannfuehrer, ossia un maggiore, delle SS appartenenti alla divisione corazzata Leibstandarte Adolf Hitler, nata dall’espansione della guardia del corpo del dittatore tedesco. Insomma, i più nazisti dei nazisti, veterani del Fronte orientale, combattenti irriducibili e feroci.

Il 19 settembre, una domenica, una Fiat 1100 con due SS arriva a Boves alle 10 del mattino e incrocia un gruppo di partigiani venuti in paese per rifornirsi di pane. I tedeschi si lasciano catturare senza opporre resistenza e vengono portati via insieme alla loro auto. Verso mezzogiorno un reparto di SS attacca le posizioni della formazione di Vian e viene respinto. Uno scontro piccolo e breve, dove cadono un partigiano, l’ex marinaio Domenico Burlando di Genova, e un soldato tedesco, il cui cadavere viene abbandonato dai commilitoni in ritirata. Alle 13 arriva a Boves il grosso del reparto tedesco, comandato dallo stesso Peiper. Si cerca il commissario prefettizio, ma è introvabile. Allora i tedeschi convocano il parroco Don Giuseppe Bernardi (46 anni) e un industriale della zona, l’ingegnere Antonio Vassallo. Li incaricano di andare dai partigiani e farsi restituire i due soldati prigionieri, l’auto e anche il cadavere del caduto. Solo così si potrà evitare la rappresaglia nei confronti del paese. I due accettano e chiedono a Peiper un impegno scritto. La risposta è sprezzante: la parola di un ufficiale tedesco vale gli scritti di tutti gli italiani, dice più o meno Peiper (sulle parole esatte i testimoni sono discordi). I due partono dopo le 14 con un’auto pubblica, una Lancia Augusta, guidata da Vittorio Luigi Dalmasso (qui, al minuto 6:08, citato come testimone in un filmato della cineteca Rai) e assolvono la loro missione: i due soldati, cui non è stato torto un capello, vengono riconsegnati e così l’auto e la salma del tedesco morto. La Fiat e la Lancia rientrano a Boves alle 15 e 15 circa.

Sembra finita ma non è così. Don Bernardi e Vassallo vengono trattenuti e guardati a vista vicino al monumento ai caduti, in piazza Italia. Parte la rappresaglia: piccoli gruppi di SS percorrono la città bruciando e uccidendo. Per fortuna molti abitanti sono già fuggiti. Ma non sono pochi i vecchi e i malati che non hanno potuto scappare e cadono sotto il piombo: alla fine le vittime saranno 24, compreso un sacerdote, il viceparroco Antonio Ghibaudo. Il suo parroco subisce la stessa sorte: don Bernardi e Vassallo vengono portati in giro a vedere la distruzione del loro paese, poi vengono fucilati. I loro cadaveri saranno ritrovati carbonizzati. Secondo alcune fonti erano ancora vivi quando le fiamme li avvolsero, ma in proposito non c’è certezza. Intanto Peiper bombarda con l’artiglieria le posizioni partigiane. Le bande rimarranno attive in zona e nelle altre valli del Cuneese fino alla fine della guerra. Tanto che Boves sarà di nuovo attaccata durante un rastrellamento tra il dicembre 1943 e il gennaio 1944: altri 59 morti tra partigiani e civili.

Dopo la guerra due avvocati italiani tentarono di portare in giudizio a Stoccarda gli autori della strage, a cominciare da Peiper, ma il processo non fu mai celebrato. L’ufficiale venne condannato a morte per la strage di decine di prigionieri americani (circa 80) a Malmedy, in Belgio, durante l’offensiva delle Ardenne di fine 1944. La sentenza fu commutata nel carcere a vita ma Peiper fu poi rilasciato nel 1956. Morì nel luglio del 1976 in un incendio scoppiato nella sua casa francese di Travers, in Borgogna, dove viveva sotto falso nome. Secondo alcune ricostruzioni, il rogo sarebbe stato doloso, appiccato da ex partigiani francesi comunisti che avevano scoperto la vera identità della vittima. La figlia di Antonio Vassallo, Liliana, che a 18 anni dovette riconoscere la salma carbonizzata del padre, è stata per tutta la vita professoressa di lettere nelle scuole medie della zona tra Boves e Mondovì ed è morta nel giugno del 2012. Per Don Bernardi e Don Ghibaudo è stato avviato nel 2013 il processo di beatificazione.

fonte: http://pochestorie.corriere.it/2018/09/21/boves-1991943-la-prima-strage-nazista-in-italia/