Come il capitalismo sta sfruttando il cambiamento climatico per fare soldi

 

 

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Come il capitalismo sta sfruttando il cambiamento climatico per fare soldi

Il 2019 è stato il secondo anno più caldo mai registrato nella storia. Più ci si avvicina ai Poli e più gli effetti sono drammatici: al Circolo Polare Artico il livello di surriscaldamento può essere anche doppio rispetto alle nostre latitudini, perché senza neve solo il 5% dell’energia solare viene riflessa, contro il normale 85-95%. Le immagini satellitari della Groenlandia raccolte tra il 1992 e il 2018 hanno evidenziato un ritmo di scioglimento dei ghiacci nella regione di molto superiore alle previsioni. Nella finestra temporale considerata la Groenlandia ha perso circa 3.800 miliardi di tonnellate di ghiacciai – riporta uno studio pubblicato su Nature – con un conseguente innalzamento globale del livello dei mari di circa 10 millimetri. Entro il 2100 le acque potrebbero ancora salire tra i 50 e i 120 millimetri: per tante specie animali questo significa la scomparsa del loro habitat e la condanna a morte per fame, mentre per il Pianeta conoscerà un meteo imprevedibile. Per 400 milioni di persone ogni anno il rischio di essere vittime di alluvioni e allagamenti diventerà sempre più concreto. Ma davanti a questo scenario molti preferiscono pensare ai vantaggi e ai guadagni nello sfruttare la regione Artica, dove si trova il 40% delle risorse globali di idrocarburi rimaste.

La Groenlandia – fino a ora dipendente dai fondi provenienti dalla Danimarca, da cui è solo parzialmente autonoma – è oggi, per armatori e compagnie di estrazione, il nuovo Eldorado. Il disgelo in questa terra inospitale consente un più facile accesso a terre rare e giacimenti di gas. La Groenlandia sarà sempre di più un punto nevralgico nei commerci mondiali tra Europa e Asia lungo le rotte del Polo Nord. Quella che è stata battezzata Northern sea route è un’alternativa sempre più allettante al passaggio per il Canale di Suez: fino al 30-40% più corta di quest’ultimo – dove ogni anno transitano 18mila imbarcazioni – dura solo una decina di giorni. Se il ritmo di scioglimento dei ghiacci continuerà a quello attuale, a breve sentiremo anche parlare della rotta transpolare, di ben due terzi più breve rispetto a quella di Suez.

La Russia, grazie alla sua posizione, è già pronta ad approfittarne: fornirà le infrastrutture e le navi rompighiaccio con la prospettiva di imporre tariffe per il passaggio. Nel 2014 l’ambasciatore russo per gli affari artici Anton Vasiliev, al convegno Arctic Frontiers – che riunisce politici, ricercatori, società civile e rappresentanti delle popolazioni indigene del Nord – ha promesso la costruzione di tre navi rompighiaccio a propulsione atomica e cinque a diesel, oltre a dieci centri di ricerca e soccorso e alla ristrutturazione di altrettanti porti che si affacciano sull’Oceano Artico. Anche gli altri Paesi che vi si affacciano vogliono la loro parte di profitto, approfittando della Convenzione Onu sul diritto del mare. Secondo la carta, gli Stati costieri possono rivendicare porzioni di crosta continentale sommersa secondo criteri scientifici. La Norvegia ha così ottenuto vasti territori nel mare di Barents, nel mar di Norvegia e nel bacino occidentale di Nansen, concedendo varie licenze di esplorazione, anche all’Eni. Nel frattempo, i cavi sottomarini per la fibra ottica vengono tirati dalla Finlandia al Giappone, per connettere anche l’estremo nord alla rete globale.

Se la Northern sea route riduce il consumo di energia per il trasporto, provoca però un aumento dell’inquinamento nel fragile ecosistema artico, contribuendo a sua volta ad accelerare lo scioglimento dei ghiacci, senza contare il rischio di perdite di carburante e il problema dello smaltimento delle scorie. Nonostante le preoccupazioni delle popolazioni indigene coinvolte, tra cui gli Inuit della Groenlandia e i Sami della Lapponia, sono in troppi a concordare con l’opinione dell’ex premier groenlandese Aleqa Hammond, che riconosce come “In Groenlandia i vantaggi dell’effetto serra sono maggiori degli svantaggi”. Tradotto, meglio guadagnare ora che preoccuparsi dei disastri ambientali – e, quindi, sociali, economici e sanitari – di domani.

Nel caso della Groenlandia, lo sfruttamento delle risorse può essere la chiave economica per permettersi l’indipendenza dalla Danimarca. Una ghiotta prospettiva di arricchimento per un Paese funestato da disoccupazione, alcolismo, violenza domestica e suicidi giovanili. Aqqaluk Lynge, tra i fondatori del partito Ataqatigiit al governo fino al 2013, ha riassunto: “Se vuoi diventare ricco devi pagare un prezzo”. E se al suo partito questa opzione non piaceva, le cose sono cambiate nel 2013 con il nuovo governo del partito Siumut, che ha revocato i precedenti divieti di attività mineraria sull’isola. “La decisione che abbiamo preso […] avrà enormi conseguenze sullo stile di vita e la cultura indigena. Ma alla fine supereremo tutto. Siamo vulnerabili, ma sappiamo adattarci”, sono state le parole di Hammond. In questo modo la Groenlandia si è aperta alle speculazioni di investitori stranieri, compagnie asiatiche e multinazionali: nel sud del Paese, a Kvanefjeld, esiste già una miniera di terre rare e uranio gestita da un consorzio sino-australiano, mentre altri progetti da miliardi di dollari sono in fase di discussione e costruzione.

Anche il settore agricolo rischia di essere stravolto dal surriscaldamento globale, e a guadagnarci saranno le nazioni più fredde (Russia e Canada in primis, oltre alla Scandinavia), dove aumento delle temperature e prolungamento della stagione di crescita garantiscono raccolti più ricchi e la sopravvivenza di specie animali un tempo inadatte ai climi più rigidi. In Canada, per esempio, sempre più coltivatori piantano granturco: se oggi la “fascia del mais” è negli Stati Uniti, tra Iowa, Illinois e Indiana, in 50 anni potrebbe spostarsi nella Baia di Hudson, in Canada, che nel frattempo investe sulla coltivazione della soia. Cambia anche la geografia del vino: mentre in Italia, Spagna e Francia meridionale i raccolti sono già minacciati da siccità prolungate ed eventi atmosferici estremi – e secondo uno studio le aree vitivinicole più note entro il 2050 potrebbero ridurre le aree di produzione tra il 20 e il 70% – nell’Europa centro-settentrionale si iniziano a piantare vigneti dove fino a qualche anno fa sarebbe stato impossibile. Se l’irregolarità del meteo deve preoccupare tutti, per il momento del climate change beneficiano i viticoltori tedeschi, sulle cui terre il clima garantisce la crescita di uve gustose e zuccherine. Il periodo della vendemmia cade sempre prima e qualcuno ha già provato a piantare uve Riesling in Norvegia. E le raccoglie mature, tanto che l’ipotesi di una bottiglia di vino scandinavo non è più fantascienza. Da noi, invece, presto le estati saranno troppo secche perché l’uva cresca senza irrigazione artificiale, rendendola in molti casi insostenibile sui piani economico e ambientale. Ovviamente gli eventi atmosferici estremi possono vanificare da un momento all’altro i vantaggi ottenuti, ma ancora una volta vince la filosofia di approfittare dei guadagni a breve termine piuttosto che preoccuparsi delle prospettive future.

Nemmeno il terziario si lascia scappare l’occasione fornita dal climate change a un’altra delle grande industrie del XXI secolo: il turismo. È in espansione il last chance tourism, l’ultima occasione di visitare luoghi incontaminati, una delle ghiotte opportunità derivate dallo scioglimento dei ghiacci artici. L’Islanda è da qualche anno presa d’assalto da un turismo spinto dal fenomeno Game of Thrones, con gruppi di sprovveduti che chiedono a che ora viene accesa l’aurora boreale, come racconta lo scrittore Hallgrímur Helgason. Ma se il boom del turismo islandese mostra già segni di declino e il Paese si preoccupa di come sostituire la fonte di reddito che l’ha aiutato a risollevarsi dalla bancarotta, i tour operato guardano a nord. Le navi da crociera progettate per l’Egeo, il Mediterraneo o i mari tropicali si avventurano lungo le coste della Groenlandia e delle isole Svalbard. Questa ricerca delle emozioni forti per compiacere i turisti, arrivando a sfiorare gli iceberg, aumenta però il rischio di incidenti gravi in un’area dove i soccorsi possono impiegare anche tre ore a raggiungere una nave in avaria, sempre che le comunicazioni funzionino.

Chi ha solo da perdere per l’emergenza climatica sono come sempre i più poveri. Il climate change infatti allarga il gap tra gli Stati ricchi e in via di sviluppo del mondo, che è maggiore del 25% di quanto sarebbe senza il surriscaldamento globale. La fascia tropicale africana e la più colpita, con un Pil pro capite fino al 40% più basso di come sarebbe stato senza l’aumento delle temperature. Tra il 1961 e il 2010, tutti i Paesi responsabili di meno di 10 tonnellate di anidride carbonica pro capite di emissioni storiche globali hanno sofferto gli effetti del cambiamento climatico con una riduzione del Pil pro capite del 27%. Negli stessi anni, quattro dei 19 Paesi colpevoli di oltre 300 tonnellate di anidride pro capite hanno conosciuto un aumento del Pil pro capite del 13%. Sul lungo periodo il climate change non può che danneggiare tutti, ma le sue disastrose conseguenze per ora non sembrano preoccupare gli investitori, mossi solo dalle possibilità di guadagno a breve termine. Ancora una volta, l’avidità di un ristretto gruppo di persone, sta condannando il futuro di tutto il Pianeta e dei suoi sette miliardi di abitanti.

di Silvia su The Vision
fonte: https://thevision.com/habitat/capitalismo-cambiamento-climatico/

Terra dei Fuochi, Di Maio: “Sembra incredibile, ma ci rimproverano di non stare facendo in 5 mesi quello che gli altri non hanno fatto in 20 anni”

 

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Terra dei Fuochi, Di Maio: “Sembra incredibile, ma ci rimproverano di non stare facendo in 5 mesi quello che gli altri non hanno fatto in 20 anni”

“Sembra incredibile, ma ci rimproverano di non stare facendo in 5 mesi quello che gli altri non hanno fatto in 20 anni”.

Lo ha scritto il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio in un post pubblicato sulla propria pagina Facebook.

“Ma nessun problema,” ha proseguito il vicepremier “accettiamo di buon grado la sfida di fare in pochi mesi quello che gli altri o non hanno fatto o hanno contribuito a peggiorare. Se il protocollo che abbiamo firmato oggi lo avessero firmato 10 anni fa, oggi staremmo tutti molto meglio”.

“Quando nella Terra dei fuochi abbiamo iniziato a combattere combustione e interramento,” ha ricordato Di Maio “si sono inventati la combustione degli impianti, e magari poi la camorra se ne inventerà un’altra ancora. Ma noi non dobbiamo darle respiro: i camorristi dovranno morire di fame”.

“Ero certo che nominando Sergio Costa ministro dell’Ambiente” ha spiegato “avremmo avuto la sicurezza di sapere come affrontare la Terra dei Fuochi. Girando la faccia dall’altra parte l’abbiamo creata anche un po’ noi la Terra dei Fuochi, ma ora basta. Adesso dovete chiedere a tutti gli Enti pubblici di rispettare quello che c’è scritto nel Protocollo, da cittadini responsabili e informati”.

“Noi non vi lasceremo mai soli, non fatelo nemmeno voi. Oggi il presidente Giuseppe Conte ha spiegato ad Aurora che il governo non ha la bacchetta magica, ma lei gli ha dato una grande risposta: ‘Non c’è bisogno della bacchetta magica, la bacchetta magica dobbiamo essere noi’. Impariamo a memoria la lezione di questa piccola grande donna,” ha concluso Di Maio.

Ieri il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, a margine della riunione con gli altri ministri, ha scritto su Facebook:

“Lo abbiamo promesso e lo stiamo facendo: abbiamo portato in terra dei fuochi il nostro piano operativo per affrontare fin dalla radice il dramma dei roghi tossici, che lasciano nell’angoscia migliaia di cittadini. Sono più di 25 azioni che vedono coinvolti tra gli altri ministri Alfonso Bonafede Luigi Di Maio Barbara Lezzi Giulia Grillo e proprio con loro lo abbiamo portato questa sera sul palco a Caivano per dire a tutti i cittadini che combattono contro l’inquinamento che non sono soli”.

tratto da: https://www.silenziefalsita.it/2018/11/20/terra-dei-fuochi-di-maio-sembra-incredibile-ma-ci-rimproverano-di-non-stare-facendo-in-5-mesi-quello-che-gli-altri-non-hanno-fatto-in-20-anni/

La farsa del Ministro della Sanità Lorenzin: “le uova italiane sono sicure” …Mi dicono che non è vero…!

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La farsa del Ministro della Sanità Lorenzin: “le uova italiane sono sicure” …Mi dicono che non è vero…!

Lorenzin: “le uova italiane sono sicure”. Mi dicono che non è vero

Beatrice Lorenzin mi ricorda Alighiero Noschese (per i più giovani, un imitatore degli anni ’70) in uno dei suoi famosi sketch in cui il comico imitava il giornalista Rai Mario Pastore. Leggeva una notizia, poi squillava il telefono, ascoltava le indicazioni dalla regia e poi diceva: “mi dicono che non è vero”. Ed è proprio così, la Ministra Lorenzin sul caso delle uova al Fipronil ha dato notizie false senza farsi grandi problemi nel momento in cui è stata smentita dai fatti (e dai Nas).

Che un Ministero ci racconti che va tutto bene e il giorno dopo venga smentito però è un bel po’ preoccupante. Sì perché il Ministero in questione è quello della Salute, la nostra.
La realtà è che il caso delle uova al Fipronil che sta travolgendo man mano tutta Europa non lascia immune l’Italia, checchè ne dica la Lorenzin.

Infatti mentre lei dichiarava che le uova prodotte in Italia (ed i loro derivati) sono perfettamente sane, che le uova contaminate “non ci sono”, “non ci sono casi in Italia, “abbiamo già fatto i controlli”, “le uova italiane sono sicure”, parallelamente succede che i controlli a tappeto sulle aziende produttrici italiane dicono esattamente il contrario.
Allora, davanti all’evidenza dei fatti il Ministero della nostra Salute comincia timidamente ad ammettere che alcune uova sono state trovate, ma provenienti dall’estero.
Quindi passiamo alla tesi numero due, ovvero che in effetti ce n’è qualcuno ma viene dall’estero. Nel frattempo però i Nas continuano il loro lavoro e si scopre che alcune aziende italiane hanno prodotto e distribuito uova al Fipronil.
I sequestri, ad oggi, cifre alla mano, sono pari a oltre 90 mila chili di uova, e siamo solo all’inizio.
Da notare che la cosa non riguarda una specifica regione ma si estende dall’Emilia Romagna alla Campania, passando per le Marche. Per ora.

Quindi la sostanza è che ci siamo dentro fino al collo come altri paesi europei.
La Lorenzin nei suoi proclami si dimentica che produrre alimenti attraverso l’utilizzo diretto o indiretto di sostanze tossiche per l’uomo è un reato. Si dimentica che qui siamo di fronte ad un’ipotesi di attività fraudolenta che si estende in lungo e in largo in Europa e che coinvolge anche il nostro Paese.
Il ruolo del suo Ministero, per l’appunto della salute, è in primis quello di tutelare i cittadini, di fare prevenzione, di dare indicazioni chiare, di essere prudente e non superficiale.

La Ministra deve ammettere la situazione per quella che è, deve richiedere con forza in Europa il rafforzamento delle attività antifrode e l’inasprimento delle pene per chi attenta alla nostra salute. Oppure cambi mestiere.

fonte: http://marcozullo.it/lorenzin-le-uova-italiane-sono-sicure-mi-dicono-che-non-e-vero/

Ricapitoliamo: il tizio che dopo il fallimento del referendum sulle trivelle ci fece CIAONE, oggi organizza una fiaccolata per l’ambiente. È idiota lui o pensa che lo siamo noi?

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Ricapitoliamo: il tizio che dopo il fallimento del referendum sulle trivelle ci fece CIAONE, oggi organizza una fiaccolata per l’ambiente. È idiota lui o pensa che lo siamo noi?

 

Milano, fiaccolata per difesa clima

(ANSA) – MILANO, 6 GIU – Si è conclusa a Milano la fiaccolata in difesa degli accordi di Parigi sul clima organizzata dal Pd in piazza della Scala, come in tante altre piazze italiane, a cui ha partecipato anche il segretario dei democratici Matteo Renzi. “Milano in questo momento è ambiente. La città è consapevole dei suoi limiti ma anche delle cose belle e noi vogliamo essere leader anche in questo tema” ha detto il sindaco di Milano Beppe Sala intervenendo alla fiaccolata. “Noi ci crediamo, che sinistra e Milano devono essere paladini di questa battaglia – ha aggiunto Sala -. Viviamo in una splendida città che ha i problemi delle città contemporanee, ma la partecipazione attiva dei cittadini è straordinaria e abbiamo costruito un percorso, anche attraverso il patto per Milano, per muoverci in un modo più sostenibile”. Il 22 aprile 2016 all’Onu – ha detto Renzi – “da premier, ho firmato il patto sul clima di Parigi e l’idea che qualcuno lo metta in discussione fa male non a noi ma ai nostri figli”.

…………….

Ricordiamo che oltre al famoso “ciaone”, vi è l’appoggio incondizionato manifestato da Renzi del nostro Governo al TTIP, poi accantonato per la protesta degli ambientalisti di tutta Europa, o l’ultimo SI agli OGM della nostra ministra Lorenzin…

È idiota lui o pensa che lo siamo noi?

Di sicuro è idiota chi lo segue in maglietta gialla. O almeno ha una passione morbosa per essere preso per il culo…

by Eles

Incredibile ma vero: l’Italia ha pagato 330 milioni in multe UE…! Quasi tutte per l’ambiente …Tutte per l’incapacità dei nostri politici! Perchè non le detraiamo dai loro stipendi d’oro?

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Incredibile ma vero: l’Italia ha pagato 330 milioni in multe UE…! Quasi tutte per l’ambiente …Tutte per l’incapacità dei nostri politici! Perchè non le detraiamo dai loro stipendi d’oro?

 

C’è voluta un’interrogazione del M5S, a prima firma Claudia Mannino, perché il Governo italiano si decidesse finalmente a rendere pubbliche le multe salatissime pagate in seguito alle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

Il sottosegretario per le Politiche e gli Affari Europei, Sandro Gozi, rispondendo a un nostro atto di sindacato ispettivo ha così certificato pubblicamente che, al 21 marzo 2017, il nostro Paese ha pagato ben 329.22 milioni di euro alla Commissione europea.

Le somme pagate dall’Italia sono così suddivise: 141 milioni di euro per la sentenza “discariche abusive“; 86,12 milioni di euro per la sentenza “rifiuti in Campania”; 42 milioni di euro per la sentenza “Venezia e Chioggia” e 60,1 milioni di euro per la sentenza “contratti formazione lavoro”. Aggiungiamo come per le prime tre sentenze l’Italia non abbia ancora ottemperato a quanto disposto dalla Corte, quindi la somma totale di circa 330 milioni è destinata a crescere dal momento che le multe prevedono non solo una somma forfettaria ma anche una ulteriore penalità semestrale o giornaliera.

Il sottosegretario Gozi, nella risposta all’interrogazione, sottolinea come la lotta del Governo alla riduzione delle infrazioni abbia portato buoni risultati, dimentica però che a fronte di una apprezzabile diminuzione dei contenziosi, vi è un aumento delle multe pagate dall’Italia, che sono raddoppiate dal 2015 ad oggi.

Il danno insomma aumenta mese dopo mese, e per questo continuiamo a chiederci: come è possibile che non esista una sentenza della Corte dei Conti per far pagare queste ingenti multe ai veri responsabili, e non ai cittadini?