Per non dimenticare – I Boschi hanno venduto le proprie azioni prima del crac di Banca Etruria. Mica come i 130.000 coglioni che ci hanno rimesso tutti i loro risparmi. Perchè loro sono loro, mentre voi non siete un cazzo !!

 

Boschi

 

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Per non dimenticare – I Boschi hanno venduto le proprie azioni prima del crac di Banca Etruria. Mica come i 130.000 coglioni che ci hanno rimesso tutti i loro risparmi. Perchè loro sono loro, mentre voi non siete un cazzo !!

 

Le cifre le ha fomite a memoria, senza nemmeno leggere gli appunti che si era preparata la notte prima, la stessa Maria Elena Boschi il giorno in cui si è difesa alla Camera dalla mozione di sfiducia presentata su Bancopoli dal Movimento 5 stelle. «Come è noto», ha spiegato il ministro dei Rapporti con il Parlamento, «io posseggo, o sarebbe meglio dire possedevo, 1.557 azioni di Banca Etruria che ho acquistato. Mio padre possiede, o meglio possedeva, 7.550 azioni di Banca Etruria, mia madre 2.013, mio fratello Emanuele 1.847 e mio fratello Pierfrancesco 347».

In quel discorso – si legge su “Libero” – c’era di sicuro un passaggio non corrispondente alla verità: la legge non consentiva a nessun membro della famiglia Boschi di nascondere le informazioni su quelle azioni. Non perché familiari di un membro del governo (lì possono invocare la legge sulla privacy), ma perché componenti il nucleo familiare di un «soggetto che svolge funzioni di amministrazione, di controllo o di direzione in un emittente quotato». Quindi quelle azioni non avrebbe dovuto rivelarle la Boschi in aula solo una volta messa spalle al muro sullo scandalo. Ma era obbligatorio rendere pubblico ogni acquisto e ogni vendita compiuto fra il 2011 quando papà Boschi è entrato nel consiglio di amministrazione della Banca popolare dell’Etruria.

In 15 giorni il titolo dell’Etruria mise a segno un rialzo record del 68%

Il momento della vendita di quelle azioni non è indifferente, al di là del fatto che nessuno può essere diventato ricco con quello. Ma in quel periodo ci sono stati due rialzi extra dei titoli. Il primo in seguito alla presentazione di un’offerta pubblica di acquisto dell’Etruria ufficializzato dalla Banca popolare di Vicenza a un euro per azione. Fu proprio il cda di cui Boschi era vicepresidente a respingere quella proposta senza mai motivarne le ragioni, e senza convocare una assemblea degli azionisti per fare approvare la decisione. Il titolo crollò. Si è poi ripreso solo nella seconda metà di gennaio 2015 proprio grazie alle prime voci sul decreto Renzi che trasformava in società per azioni le banche popolari. In 15 giorni il titolo dell’Etruriamise a segno un rialzo record del 68%, doppio a quello registrato dalla migliore delle altre banche popolari coinvolte.

Questa è l’Italia – L’autista di Falcone: “Scampato al tritolo di Capaci ma rottamato dalle istituzioni – Il nemico ero diventato io, mi misero a fare fotocopie”…!

Falcone

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Questa è l’Italia – L’autista di Falcone: “Scampato al tritolo di Capaci ma rottamato dalle istituzioni – Il nemico ero diventato io, mi misero a fare fotocopie”…!

 

L’autista di Falcone: “Scampato al tritolo di Capaci ma rottamato dalle istituzioni”

Giuseppe Costanza era con il giudice il 23 maggio 1992, giorno della strage: “Dopo mi misero a fare fotocopie”. In un libro il racconto del suo dramma

di SALVO PALAZZOLO – video di GIORGIO RUTA

“Al risveglio, dopo l’esplosione, pensavo di aver vissuto il giorno più brutto della mia vita, il 23 maggio 1992”. Giuseppe Costanza, l’autista del giudice Giovanni Falcone scampato alla strage di Capaci, scuote la testa. “No, mi sbagliavo. Non era quello il giorno più brutto della mia vita. Restare in vita è stato peggio. Quasi una disgrazia, una condanna. Perché dopo un anno di visite e ospedali, al lavoro non sapevano cosa farsene di me”.

L’uomo sopravvissuto al tritolo della mafia è rimasto schiacciato per anni dalla burocrazia del ministero della Giustizia. “Mi misero a fare fotocopie”, racconta. “Rinchiuso in fondo a un corridoio del palazzo di giustizia di Palermo, dentro un box. Era mortificante dopo otto anni passati in prima linea sempre accanto al giudice Falcone. Mi sentivo rinchiuso in una gabbia, per di più costretto a sopportare il mobbing di un capo ufficio a cui era chiaro che non andavo a genio”. In quei giorni, a Giuseppe Costanza non importava per niente di aver ricevuto una medaglia d’oro al valor civile. Lui voleva solo lavorare. “Non certo come autista – dice – non potevo più farlo, volevo essere assegnato in un ufficio in cui la mia esperienza potesse essere utile. Ad esempio, avrei potuto coordinare il parco auto del tribunale”. Ma gli dissero che era necessaria una qualifica più alta per quel lavoro. E gli spiegarono con pignola precisione burocratica che la promozione per meriti di servizio è prevista solo per il personale militare. “E che cosa ero stato io se non un militare? – sbotta – nell’auto blindata di Giovanni Falcone c’era una radio collegata con la sala operativa della questura, accanto a me c’era il giudice. E alla cintola portavo sempre una pistola con il colpo in canna”.

L’ultimo viaggio di Falcone, l’autista: “Io sopravvissuto alla strage, schiacciato dalla burocrazia” – guarda QUI il video

Venticinque anni dopo la strage di Capaci, l’uomo sopravvissuto a trecento chili di tritolo ha deciso di scrivere un libro per raccontare la sua odissea, prima nei gironi infernali accanto al suo giudice, poi, da solo, negli altri gironi terribili, quelli di una pubblica amministrazione ottusa. Stato di abbandono, si intitola il commuovente libro di Giuseppe Costanza (scritto assieme a Riccardo Tessarini, edizioni Minerva). La storia di un uomo semplice, che pensava di avere già vinto la sua battaglia con la vita, e poi invece scoprì che aveva ancora un altro nemico da sconfiggere. Un esercito di piccoli burocrati. “Dopo anni di lettere, proteste, piccole vittorie e ancora altre umiliazioni, nel 2004 sono stato dispensato dal servizio”, sussurra Costanza, come fosse una sconfitta, che lui continua a non accettare. “Pensavo di poter dare ancora tanto alle istituzioni, pensavo di poter dare un contributo importante nell’organizzazione di un servizio delicato come quello dell’autoparco del tribunale di Palermo, impegnato a stretto contatto con i servizi di scorta. Ma, evidentemente, mi sbagliavo. Mi hanno rottamato”.

Ora Giuseppe Costanza va in giro per le scuole di tutta Italia per parlare del suo giudice e degli anni difficili a Palermo. “C’eravamo sentiti telefonicamente la mattina di quel 23 maggio, per organizzare l’arrivo a Punta Raisi. Alle 17,45 sono all’aeroporto assieme alla scorta. Il giudice ha due borse nelle mani. “Strano”, penso. “Non ha il suo computer”. Lo portava sempre con sé, lo riempiva di annotazioni. Eppure, l’hanno trovato vuoto, ma questo l’ho saputo molto tempo dopo”. È uno dei misteri del 23 maggio, il computer portatile era rimasto nell’ufficio di Falcone, al ministero della Giustizia. “Quel pomeriggio – ricorda Costanza – Falcone è alla guida, accanto c’è la moglie, Francesca Morvillo. Io sono dietro. Gli dico: “Ecco il resto che le dovevo”. Mi aveva chiesto di comprare un cric. Mi guarda, sorride: “Aveva un pensiero – dice – non poteva aspettare più”. Era sereno, Giovanni Falcone, nel suo ultimo viaggio verso Palermo. “La settimana prima mi aveva detto: è fatta, sarò il nuovo procuratore nazionale antimafia. Quel pomeriggio doveva incontrare alcuni suoi colleghi, ma non gli hanno dato il tempo. E ancora mi chiedo chi l’abbia voluto fermare”. Presto, l’auto dell’ultimo viaggio di Falcone tornerà a Palermo. “Verrà sistemata fra i due palazzi di giustizia – spiega Costanza – non possiamo dimenticare”.

 

fonte: http://palermo.repubblica.it/cronaca/2017/04/10/news/l_autista_di_falcone_scampato_al_tritolo_di_capaci_ma_rottamato_dalle_istituzioni_-162606663/

Sempre più vergognosi – Ryder Cup, Lotti & C. ce l’hanno fatta! 3 volte hanno provato a far passare la norma ben nascosta in altre leggi e 3 volte scoperti, non si sono arresi. Ed al quarto tentativo, con la manovrina, sono riusciti a far pagare a NOI la gara di golf sul campo della famiglia Biagiotti!!

 

Ryder Cup

 

 

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Sempre più vergognosi – Ryder Cup, Lotti & C. ce l’hanno fatta! 3 volte hanno provato a far passare la norma ben nascosta in altre leggi e 3 volte scoperti, non si sono arresi. Ed al quarto tentativo, con la manovrina, sono riusciti a far pagare a NOI la gara di golf sul campo della famiglia Biagiotti!!

 

Ryder Cup di golf, Lotti ha mantenuto la promessa: garanzia statale inserita nella manovrina (ma senza la cifra)

Doveva arrivare entro Pasqua e così è stato: la fidejussione, già tre volte proposta e altrettante respinta, è stata inserita nel provvedimento approvato dal consiglio dei ministri. Ancora una volta in una legge di natura generale e non dedicato allo sport. Mistero sulle cifre: probabile che alla fine la garanzia sia di poco più di 50 milioni e non più 97, visto che nel frattempo la FederGolf ha chiuso l’accordo da 40 milioni con Infront per la copertura mediatica dell’evento che si terrà (ormai è quasi sicuro) a Roma nel 2022

 

Alla fine Luca Lotti ha mantenuto la promessa: la Ryder Cup 2022 ha avuto la sua garanzia. Doveva arrivare entro Pasqua e così è stato: la fidejussione, già tre volte proposta e respinta dal governo, è stata inserita nella cosiddetta “manovrina” approvata dal consiglio dei ministri. Ancora una volta un provvedimento di natura generale e non dedicato allo sport, come alcuni avevano auspicato: le coperture economiche per la FederGolf trovano posto accanto ai fondi per i terremotati e alle misure per gli enti locali. Ma anche di recente il ministro dello Sport aveva lasciato intendere ai suoi confidenti di ritenere che questa fosse la strada migliore. Forse per non mettere la firma su un provvedimento non troppo ben visto dall’opinione pubblica, o per evitare una discussione parlamentare pericolosa di questi tempi agitati per il Pd. E anche se a Palazzo Chigi non c’è più Matteo Renzi (che per primo aveva sposato la causa della manifestazione), al governo si augurano che questa sia davvero “la volta buona” per la Ryder.

Le voci si erano rincorse già negli ultimi giorni, rinvigorite anche dall’improvvida intervista della sottosegretaria ai Beni Culturali, Dorina Bianchi: l’affare della garanzia stava per andare in porto. La conferma è arrivata dal comunicato stampa del Consiglio dei ministri, che ha approvato il Def 2017 (Documento di economia e finanza) e la manovra correttiva imposta dall’Europa. Il decreto, ufficialmente “misure in favore degli enti locali e dei territori colpiti dal sisma”, è in realtà una vera e propria “finanziaria bis” da circa 3,4 miliardi di euro, con provvedimenti di ogni tipo. E nel capitolo delle “misure per lo sviluppo” ricompare la garanzia: si parla in generale di “disposizioni per la realizzazione del progetto sportivo Ryder Cup 2022”, ma si tratta chiaramente della fidejussione statale mancante alla Federazione del presidente Franco Chimenti e pretesa dalla società organizzatrice inglese. Proprio il rischio di perdere la manifestazione riconoscerebbe al provvedimento il carattere di “urgenza” necessario a rientrare in un decreto legge.

Per i dettagli bisogna aspettare il testo, dove potrebbe esserci un’altra sorpresa: la garanzia potrebbe anche ridursi, passando dai famosi 97 milioni di euro a circa 56 milioni. Intanto, infatti, il direttore generale del Comitato organizzatore, Gian Paolo Montali, ha firmato un accordo con l’advisor Infront per la cessione di tutti i diritti marketing, commerciali e televisivi della manifestazione, dal valore complessivo di 41 milioni di euro. Una cifra che va scalata dalla fidejussione, non si sa ancora se solo virtualmente o proprio nero su bianco, così da diminuire l’esposizione dello Stato, che comunque ha già stanziato 60 milioni (di soldi cash, però, non solo virtuali) per l’organizzazione del torneo fino al 2027. Il documento precisa anche che “l’escussione deve ritenersi a basso rischio” e che la garanzia “non potrà in ogni caso coprire i costi relativi agli interventi su infrastrutture private, né alcun altro costo sostenuto da soggetti diversi dalla Federazione Golf”; una clausola che nelle intenzioni dell’esecutivo dovrebbe servire ad attutire le polemiche.

In tutti questi mesi la Ryder è sempre rimasta in cima alle priorità del governo, Renzi o Gentiloni che fosse. A Palazzo Chigi c’era l’ex premier oggi candidato alla segreteria del Partito Democratico, quando nell’ultima legge di bilancio furono approvati (di nascosto) i finanziamenti alla FederGolf. E fu lui a tentare per due volte di far passare anche la garanzia, l’ultimo tassello necessario per il progetto, salvo rimbalzare contro l’opposizione del presidente della Commissione Bilancio alla Camera, Francesco Boccia. Così la patata bollente era passata al governo Gentiloni, affidata alle mani del ministro Lotti, uomo di raccordo fra i due esecutivi, che si era impegnato personalmente sulla vicenda. A lui si può imputare lo scivolone di febbraio, quando il governo aveva provato ad infilare la garanzia nel Decreto Salva-Banche con un improbabile emendamento firmato da un senatore italo-americano, anche questo respinto per inammissibilità dal presidente del Senato, Pietro Grasso.

Adesso siamo al quarto tentativo, quasi un record per una semplice fidejussione che il ministro giura essere “a basso rischio”: certo, nonostante Infront in ballo restano comunque una trentina di milioni, che il Comitato organizzatore conta di ricavare dall’incremento dei tesserati e che sono tutt’altro che scontati. Ma a questo si penserà in futuro. Il governo ci riprova con un provvedimento diverso ma molto simile al primo con cui già aveva fatto flop: la “manovrina” di aprile, dopo la manovra di novembre. Allora era saltato per questioni tecniche, ora evidentemente al Ministero sono convinti che questa sia la strada normativamente giusta da seguire. O almeno così hanno garantito alla Federazione, che aspetta con ansia la copertura che avrebbe dovuto arrivare molti mesi fa e che per poco non costava la revoca dell’assegnazione. Il decreto ha ricevuto il via libera del Consiglio dei Ministri, ma dovrà comunque approdare in Aula dopo Pasqua ed essere votata. Dopo mesi di polemiche e figuracce, però, in FederGolf e al Ministero dello Sport hanno tirato un sospiro di sollievo: la Ryder Cup è (quasi) salva.

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04/12/ryder-cup-di-golf-lotti-ha-mantenuto-la-promessa-garanzia-statale-inserita-nella-manovrina-ma-senza-la-cifra/3517405/

 

Pubblicato il Def, al di la delle belle parole: niente taglio all’Irpef, tasse in aumento, solo 1,2 miliardi per i poveri, ma 10 miliardi per le banche ci sono…!

 

Def

 

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Pubblicato il Def, al di la delle belle parole: niente taglio all’Irpef, tasse in aumento, solo 1,2 miliardi per i poveri, ma 10 miliardi per le banche ci sono…!

 

Def, sparisce il calo Irpef ma resta il taglio del cuneo. Dieci miliardi per le banche

Pubblicato il testo del Documento di Economia e Finanza. La sforbiciata delle aliquote scompare dalle priorità del governo, ma l’obiettivo resta ridurre le tasse sul lavoro. Pressione fiscale in crescita dal 2018 per l’aumento dell’Iva della clausola di salvaguardia, ma il governo si impegna a sterilizzarla e prenota già 16 miliardi per la Legge di Bilancio. Nella manovrina salgono le accise su giochi e sigarette.

Sparisce il taglio delle aliquote Irpef tra gli obiettivi principali fissati dal governo, mentre resta prioritaria la riduzione del cuneo fiscale. È quanto emerge dal testo del Documento di Economia e Finanza, pubblicato dal Ministero dell’Economia questo pomeriggio. Il nuovo Programma Nazionale di Riforma, uno dei tre macrocapitoli di cui si compone il Def, indica ora come “cruciale il taglio del cuneo fiscale per ridurre il costo del lavoro e aumentare parallelamente il reddito disponibile dei lavoratori”. La riduzione delle aliquote era l’ultimo tassello del piano triennale di riduzione fiscale messo a punto dall’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi e che prevedeva, nel 2018, proprio un intervento sugli scaglioni Irpef.

A legislazione vigente inoltre, il governo prevede anche un aumento della pressione fiscale a partire dal prossimo anno: dal 42,3% del 2017 al 42,8% per il biennio 2018-2019. Un incremento imputabile però unicamente all’innalzamento delle aliquote Iva previsto dalla clausola di salvaguardia attualmente ancora in vigore. Clausole che però il governo si è impegnato a disinnescare con la prossima legge di bilancio.

Dal testo arriva un’indicazione importante sul dosser bancario. Secondo quanto previsto dal governo, ammonta infatti a 10 miliardi di euro la somma che l’esecutivo ha in programma di impiegare per la ricapitalizzazione delle banche in crisi. Non si tratta di nuove risorse ma di una quota, circa la metà, di quanto accantonato con il decreto salva-risparmio approvato a fine dicembre e convertito in legge a metà febbraio.

Meno incassi dalla privatizzazioni
Più prudenti rispetto ai Def precedenti le previsioni sui proventi da privatizzazioni. Per il periodo 2017-2020 il governo calcola incassi pari allo 0,3% del pil l’anno, pari a circa 5 miliardi. In calo rispetto allo 0,5% – 8,5 miliardi – stimato nel Documento di Economia e Finanza dello scorso anno o lo 0,7%  stimato nel 2014, nel primo Def varato dal governo Renzi.

Quadro macroeconomico programmatico
2016 2017 2018 2019 2020
PIL 0,9 1,1 1 1 1,1
TASSO DISOCCUPAZIONE 11,7 11,5 11,1 10,5 10
INDEBITAMENTO NETTO -2,4 -2,1 -1,2 -0,2 0
INDEBITAMENTO STRUTTURALE -1,2 -1,5 -0,7 0,1 0
DEBITO PUBBLICO 132,6 132,5 131 128,2 125,7
DEFLATORE DEL PIL 0,8 1,1 1,8 1,8 1,7

Deficit e Iva: già prenotati in manovra 16 miliardi
Dai numeri presenti nelle tabelle del governo si possono già trarre informazioni preziose sulla prossima Legge di Bilancio. L’ipoteca principale è rappresentata – come detto – dalla clausola di salvaguardia che prevede l’innalzamento delle aliquote Iva. Un onere che vale circa 19,7 miliardi e che grazie agli effetti permanenti della manovra correttiva scende così a 14,6 miliardi. Parallelamente il governo nel quadro programmatico, che incorpora quindi gli interventi legislativi in programma, fissa un obiettivo di deficit di un decimo di punto inferiore al tendenziale, dall’1,3% all’1,2%, pari ad altri 1,7 miliardi. Se il governo volesse quindi sterilizzare gli aumenti Iva come promesso e mantenere gli stessi target di deficit dovrebbe reperire per la Legge di Bilancio 16,3 miliardi di euro.

Pressione fiscale in salita dal prossimo anno
La pressione fiscale – secondo quanto indicato nelle tabelle del Def – scende al 42,3%, nel 2017 dal 42,9 del 2016, per poi risalire al 42,8% nel 2018 e 2019. Al netto del bonus di 80 euro la pressione fiscale scende dal 42,3% del 2016 al 41,8% nel 2017, per poi salire al 42,2% nel 2018 e al 42,3% nel 2019.

Sul fronte della spending review il governo programma tagli per almeno un miliardo l’anno. “Dal lato della spesa, anche sulla scorta della riforma della procedura di formazione del bilancio, si attuerà una nuova revisione della spesa”, si legge nel testo. “Le Amministrazioni centrali dello Stato contribuiranno al conseguimento degli obiettivi programmatici con almeno un miliardo di risparmi di spesa all’anno”.

Quanto alle prospettive di crescita, il governo non esclude un ritocco al rialzo delle stime. “Il miglioramento dei dati economici e
delle aspettative nelle economie avanzate, Italia compresa, potrebbe giustificare una significativa revisione al rialzo della previsione di crescita del Pil per il 2017”, si legge nelle premesse.

Per la lotta alla povertà il governo le risorse stanziate dal governo  ammontano complessivamente a 1,2 miliardi nel 2017 e 1,7 nel 2018. Tre gli ambiti di intervento: il varo del reddito di inclusione, il riordino delle prestazioni assistenziali e il rafforzamento e coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali.

Più soldi per gli statali
La promessa fatta dal governo ai sindacati è di un aumento medio in busta paga di 85 euro lordi al mese per tutti gli Statali. E martedì il consiglio dei ministri ha confermato che stanzierà 2,8 miliardi per il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici, bloccato da otto anni. Novità anche sul fronte delle assunzioni della Pubblica amministrazione: il turnover nei Comuni sopra i 10mila abitanti viene aumentato dal 25 al 75% e dal 2018 potrebbe salire fino al 90% per quelle amministrazioni che raggiungono il pareggio di bilancio.

Saltano revisione del catasto e legge “anti scorrerie”
Nel pacchetto invece non figurano due norme di cui si era parlato nelle scorse settimane. La prima, rinviata per l’ennesima volta, è la riforma del catasto, che avrebbe dovuto rivedere le categorie delle abitazioni e riformulare i valori patrimoniali degli immobili, con conseguente variazione del carico fiscale. La seconda è la legge “anti scorrerie” proposta dal ministro Calenda che avrebbe introdotto obblighi informativi maggiorati per i soci rilevanti delle società quotate italiane. Dopo essere saltata dalla legge concorrenza, la norma subisce così un nuovo stop.

In cantiere: incentivi produttività e reddito di inclusione
Alcune misure, come da natura del Def, s Iono state mercoledì sono accennate e andranno ora tradotte in pratica. In cantiere c’è ad esempio l’estensione dei premi di produttività alle piccole e medie imprese e il decreto delegato sul reddito di inclusione per le famiglie in povertà. Mentre rispunta la “tassa Airbnb”, una trattenuta del 21% che gli intermediari (anche digitali) dovrebbero applicare alla fonte sui redditi da locazione.

La manovrina: aumento per le sigarette, nuovi fondi per il terremoto
Si sa, quando bisogna far quadrare i conti pubblici è sempre ai vizi che si guarda. E la manovrina di correzione chiesta dalla Commissione, pari allo 0,2% del Pil, non fa eccezione. Aumenteranno le accise su sigarette e tabacchi, così come la cosiddetta “tassa sulla fortuna” il prelievo fiscale sulle vincite da giochi e lotterie, dal Superenalotto ai Gratta e vinci. Lo split payment, il meccanismo anti evasione che consente al committente di girare direttamente all’Erario l’Iva dovuta dai suoi fornitori, viene esteso anche alle società pubbliche e a tutte le quotate. Si tratta di misure strutturali, come ha spiegato il ministro Padoan, cioè che avranno effetto non solo per il 2017 ma anche per gli anni successivi. Ancora da definire invece i tagli alla spesa, ai trasferimenti dei ministeri e alle agevolazioni fiscali.

La manovrina crea un fondo del valore di un miliardo l’anno, per tre anni, per sostenere le zone del Centro Italia colpite dai terremoti di agosto e di settembre. Le risorse dovrebbero da una parte andare a finanziare la ricostruzione di infrastrutture, edifici pubblici e privati, e dall’altra sostenere le imprese del territorio, creando delle “no tax area” (definite “Zone franche urbane”) all’interno delle quali le piccole e piccolissime aziende saranno esentate per due anni dal versare tasse e contributi. Una soluzione già adottata dopo i sismi de l’Aquila e dell’Emilia.

 

 

fonte: http://www.repubblica.it/economia/2017/04/12/news/tasse_statali_e_terremoto_ecco_le_misure_di_def_e_manovrina-162803536/

Ci hanno tolto dalle tasche 31 miliardi per salvare Mps & C. ed altri 17 per le banche venete… E siamo nella merda fino al collo. In Islanda, invece, dove hanno politici onesti e capaci, prima hanno sbattuto in galera i banchieri che hanno provocato la crisi, poi hanno rimborsano i cittadini con i soldi ricavati vendendo una banca !!

 

Islanda

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Ci hanno tolto dalle tasche 31 miliardi per salvare Mps & C. ed altri 17 per le banche venete… E siamo nella merda fino al collo. In Islanda, invece, dove hanno politici onesti e capaci, prima hanno sbattuto in galera i banchieri che hanno provocato la crisi, poi hanno rimborsano i cittadini con i soldi ricavati vendendo una banca !!

 

Il conto del salvataggio “31 miliardi alle banche”

Il costo del salvatggio delle banche in crisi arriva a 31 miliardi di euro. E adesso anche quelle venete sono sull’orlo del fallimento

Come ricostruisce su LaStampa Stefano Caselli, docente di economia in Bocconi, sarebbe questo il conto monstre da pagare per eviatre un vero e proprio collasso. I numeri per il momento restano provvisori. Di fatto la valanga è cominciata nel 2015 con un intervento mirato per salvare 4 piccoli istituti del Centro Italia. Il primo caso riguarda però Mps. Il salvataggio è costato 8,8 miliardi, soldi questi pagati dai contribuenti e da alcuni investitori. Poi i 5,3 miliardi per salvare Banca Marche, Etruira, CariFerrara e CariChieti, poi acquistate da Ubi Banca e Bper. A questo caso si aggiunge anche la grande crisi delle banche venete. E anche lì il fondo statale ha aperto i rubinetti con 3,5 miliardi di euro. Fondo che però non è bastato e adesso gli istituti di fatto si trovano sull’orlo del fallimento. Adesso è facile da dire – dice Caselli a LaStampa-. Di certo il tema della vendita dei crediti non performanti è stato sottostimato. Forse la nostra presenza a Bruxelles non è stata così decisiva. Ma che si dovesse intervenire con soldi pubblici io come altri osservatori lo sosteniamo da anni”.

tratto da: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/conto-salvataggio-31-miliardi-banche-1412782.html

A questi si sono poi aggiunti 17 e forse più miliardi per salvare le banche venete….

E in Islanda, invece, come hanno fatto…?

DI CLAIRE BERNISH – theantimedia.org

Per cominciare l’Islanda ha sbattuto in galera i banchieri corrotti per il loro diretto coinvolgimento nella crisi finanziaria del 2008.

Ora tutti gli Islandesi riceveranno una rendita dalla vendita di una delle tre più grandi banche d’Islanda, Islandbanki.

Se il Ministro delle Finanze Bjarni Benediktsson riuscirà nel suo intento – e probabilmente ce la farà – gli Islandesi riceveranno 30.000 corone dopo che il governo prenderà possesso della banca. Islandbanki diventerà la seconda delle tre più grandi banche sotto il controllo dello stato.

“Sto semplicemente dicendo che il governo prenderà una data porzione, il 5%, e semplicemente la distribuirà alla gente di questa nazione”, ha affermato.

Dato che gli Islandesi hanno preso il controllo del loro Governo, effettivamente controllano le banche. Benediktsson crede che ciò porterà capitale straniero nella nazione e infine spingerà l’economia – la quale, tra l’altro, è l’unica ad essersi totalmente ripresa dalla crisi del 2008. L’Islanda è persino riuscita a ripagare in toto il suo enorme debito al FMI – in anticipo rispetto alla data prevista.

Guðlaugur Þór Þórðarson, vicecapo della Commissione sul Budget, ha spiegato che questa manovra faciliterà l’alleggerimento del controllo dei capitali, benché non fosse convinto che il controllo statale fosse la soluzione più ideale. L’ex Ministro delle Finanze Steingrìmur J. Sigfùsson è dalla parte di Þórðarson, sostenendo in uno show radio “non dovremmo lasciare le banche nelle mani di folli” e che l’Islanda beneficerà da un cambio di vedute separando “le banche commerciali da quelle d’investimento”.

I piani non sono ancora stati preparati con precisione per quando avverranno la presa di possesso e il conseguente pagamento a tutti i cittadini, ma l’approccio rivoluzionario dell’Islanda al crollo finanziario mondiale del 2008 di certo merita tutta l’attenzione che si è guadagnato.

L’Islanda ha di recente sbattuto in galera il suo ventiseiesimo banchiere – 74 anni di detenzione sommando tutte le pene comminate – per aver causato il caos finanziario. I banchieri criminali statunitensi sono stati ricompensati per le loro frodi e le manipolazioni del mercato con un enorme salvataggio a spese dei contribuenti.

Claire Bernish

…………………..

Fonte: http://theantimedia.org/

 

 

Il condannato Berlusconi torna in campo e, come al solito, torna a circondarsi di gente degna: il Senatore D’Alì salvato per PRESCRIZIONE dal concorso esterno alla MAFIA? Subito una poltrona da Sindaco a Trapani!!

Berlusconi

 

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Il condannato Berlusconi torna in campo e, come al solito, torna a circondarsi di gente degna: il Senatore D’Alì salvato per PRESCRIZIONE dal concorso esterno alla MAFIA? Subito una poltrona da Sindaco a Trapani!!

 

Nel settembre del 2016 la corte d’appello di Palermo ha confermato l’assoluzione in primo grado, dichiarando prescritte le accuse per le contestazioni precedenti al gennaio del 1994, nei confronti dell’esponente di Forza Italia. In attesa della Cassazione l’ex sottosegretario all’Interno si candida come primo cittadino nella sua città. Nelle motivazioni del processo di secondo grado i giudici spiegano che “le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia hanno confermato la piena disponibilità di D’Alì nei confronti dei massimi esponenti di Cosa nostra trapanese”

Per la corte d’appello di Palermo ha contribuito al rafforzamento di Cosa nostra almeno fino al 1994. E lo ha fatto “con coscienza e volontà“. Una serie di collaboratori di giustizia, invece, parlano della sua “piena disponibilità nei confronti dei massimi esponenti della mafia trapanese”. Una disponibilità che non è legata ad alcun patto siglato con i padrini, i quali, in ogni caso, gli hanno dato il loro “appoggio elettorale” ai tempi della prima candidatura al Senato.

Il tempo, però, deve essere alleato di Antonio D’Alì, senatore di Forza Italia da ventidue anni, lungamente accusato dai magistrati di concorso esterno a Cosa nostra. È il tempo che ha garantito all’ex sottosegretario all’Interno di mettersi in salvo dall’eventuale condanna a 7 anni e 4 mesi chiesta dalla procura generale di Palermo. E infatti nel settembre del 2016 i giudici della corte d’appello del capoluogo siciliano hanno confermato quanto già deciso dai colleghi del primo grado: D’Alì va prescritto per i fatti precedenti al gennaio del 1994, assolto per quelli successivi. Una situazione processuale sulla quale adesso dovrà esprimersi la corte di Cassazione, alla quale la procura generale del capoluogo siciliano ha fatto ricorso.

Trapani, città berlusconiana – Nel frattempo, però, il senatore ha deciso di dare una scossa alla sua vita politica: si è candidato sindaco della sua città in vista delle elezioni amministrative del giugno prossimo. La notizia era nell’aria da settimane, anzi mesi. Si rincorreva inafferrabile tra i vicoli che dal porto s’infilano verso il centro storico, spinta da un vento che da queste parti soffia da due mari. E alla fine è proprio da un hotel sul lungomare che quella voce ha acquistato i crismi dell’ufficialità. “Trapani è ferma da dieci anni“, ha sentenziato il senatore di Forza Italia, presentando la sua candidatura. E sorvolando su un fatto fondamentale: Trapani, la città ferma da dieci anni, è amministrata dal partito di D’Alì da venti. Prima con una coalizione di centrodestra, poi con i due mandati del suo ex sodale Girolamo Fazio (candidato a sua volta dopo 5 anni di stop), quindi con l’attuale sindaco Vito Damiano. A scegliere, appoggiare e infine bruciare ogni primo cittadino era sempre lui: Antonio D’Alì, l’amico di Silvio Berlusconi tornato alla base dopo un rapido tradimento al seguito di Angelino Alfano.

Il senatore scende in campo – “Trapani è ferma da dieci anni da quando in città portammo l’America’s Cup. Quell’evento avrebbe dovuto rappresentare un punto di partenza e invece la città è ferma da allora”, insiste su livesicilia.it il senatore, il portamento tipico di chi in Sicilia viene da una nobile famiglia e un volto ben rasato orfano della storica barbetta ben curata. L’ha tagliata definitivamente nel 2013: un fioretto da onorare in caso di assoluzione, aveva detto. E in effetti il parlamentare siciliano dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa è stato assolto. Solo per il periodo successivo al gennaio del 1994, però. Perché per il periodo precedente, i giudici parlano di una “accertata condotta illecita“. “Visto che la Cassazione dovrà esprimersi soltanto sulla legittimità delle sentenze, vorrei sottolineare che per tutto il periodo che va dal 1994 in poi, non è stata trovata alcuna prova reale a carico del senatore. Lui evidentemente ritiene di avere la coscienza pulita: per questo si candida”, dice l’avvocato Gino Bosco, legale di D’Alì. E per il periodo precedente, invece, quello sui cui è scattata la prescrizione? “L’unico fatto riconosciuto a D’Alì – continua l’avvocato – è lontano nel tempo ed è stato ricostruito soprattutto grazie alla nostra attività difensiva. La corte gli ha dato un’interpretazione assolutamente diversa da quella nostra, ma riconosco che quando certi cognomi vengono pronunciati in un’aula di giustizia i magistrati possano dargli un valore che magari in altri contesti non avrebbero”.

Il terreno di Riina e quella vendita fittizia –  A quali cognomi si riferisce l’avvocato? Sono i magistrati della corte d’appello di Palermo a spiegarlo nelle motivazioni della sentenza depositate nel dicembre del 2016. “È provato nel presente procedimento che Matteo Messina Denaro predispose e tradusse in atto un’operazione volta a far conseguire la titolarità del fondo sito in contrada Zangara a Francesco Geraci, nonostante reale proprietario ne fosse il Riina. Necessità di creare una provvista che potesse giustificare l’acquisto da parte dello stesso Francesco Geraci”, annotano i giudici Daniela Borsellino, Enzo Agate e Michele Calvisi. In pratica Messina Denaro voleva donare a Riina un terreno in contrada Zangara, di proprietà della famiglia D’Alì. Lo stesso fondo dove suo padre – lo storico boss di Castelvetrano, Francesco Messina Denaro – lavorava come campiere. Solo che per evitare possibili futuri sequestri ai danni di Riina, l’ultima primula rossa di Cosa nostra chiese ad uno dei suoi fedelissimi, in quel momento incensurato, di acquistare formalmente quel terreno da D’Alì. Si trattava, però, di un acquisto fasullo visto che – per i giudici – il futuro senatore restituì poi ai mafiosi i soldi incassati dalla cessione del terreno.

“Agì in maniera cosciente e volontaria” – “D’Alì – spiegano i giudici – acconsentì ad operare il trasferimento fittizio del bene senza mai relazionarsi con Francesco Geraci essendo ben consapevole che si trattasse soltanto di un prestanome e si fece trovare pronto a restituire il denaro in prima persona o per il tramite del fratello, ogniqualvolta Matteo Messina Denaro invitò gli stessi Geraci a presentarsi presso la Banca Sicula. L’anomalia di queste restituzioni dimostra che Antonio D’Alì agì in maniera cosciente e volontaria, comprendendo che il proprio fatto era volto alla realizzazione dell’operazione architettata dai massimi esponenti di Cosa nostra e volendovi prestare il proprio contributo”.

I voti per il senatore – Una vicenda, quella della cessione fasulla del terreno, che per i magistrati è “la cartina di tornasole del rapporto, ritenuto comprovato dal primo giudice, intrattenuto dall’imputato con i vertici dell’associazione mafiosa almeno fino al 1994 essendo stato lo stesso ampiamente illustrato dalle concordi dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia che hanno confermato la piena disponibilità di D’Alì nei confronti dei massimi esponenti di Cosa nostra trapanese, che gli consenti, peraltro di ottenere dagli stessi l’appoggio elettorale in occasione delle consultazioni del 1994, quando venne eletto senatore”.

E la piovra votò Forza Italia – Nelle 65 pagine di motivazioni della sentenza d’appello, poi, i giudici ricordano le dichiarazioni di Tullio Cannella, “il quale ha espressamente affermato che Vincenzo Virga (il boss mafioso di Trapani, ndr) aveva dapprima indicato Antonio D’Alì tra le persone da coinvolgere nella nascita di Sicilia Libera“, e cioè il partito direttamente emanazione di Cosa nostra ideato da Leoluca Bagarella. Poi dopo il fallimento del progetto di Sicilia Libera, “sempre Virga decise di convogliare i propri voti su Forza Italia, rendendo evidente l’appoggio elettorale che poi l’imputato ricevette una volta inserito in lista per l’elezione al Senato. Tanto è vero che tale appoggio è coerente pure con quanto affermato da Vincenzo Sinacori e Antonio Giuffrè, i quali hanno dato atto in quegli anni del rapporto fiduciario instaurato da D’Alì con i massimi esponenti di Cosa nostra”.

I D’Alì e i Messina Denaro – Nelle carte un passaggio è dedicato alle dichiarazioni di Maria Antonietta Aula, l’ex moglie del senatore che aveva raccontato al Fatto Quotidiano dei rapporti tra i marito e la famiglia Messina Denaro, ritenuta però inattendibile dai giudici del processo di primo grado. “La deposizione della Aula è stata improntata alla massima genuinità e lealtà, non potendosi condividere il giudizio di inattendibilità espresso dal primo giudice, per le discrasie rilevate con altre fonti di prova che appaiono, invero, di scarsa rilevanza processuale”, scrivono invece i magistrati della corte d’appello. I quali poi ripercorrono i passaggi fondamentali dei ricordi della Aula. “Quando si sposò Rosalia, figlia di Francesco Messina Denaro, con Filippo Guttadauro (noto esponente dell’associazione mafiosa), Antonio D’Alì e la Aula (ancora fidanzati) presenziarono, mentre al matrimonio della Aula e dell’imputato la famiglia Messina Denaro e i coniugi Guttadauro non furono invitati ma fecero pervenire ugualmente un regalo ed, in occasione della morte del padre della Aula, i predetti inviarono un telegramma di condoglianze”.

I voti della mafia non sono reato –  Solo che dopo l’episodio della falsa vendita del terreno di D’Alì agli uomini di Cosa nostra i giudici non hanno riscontrato più alcun reato. “L’accertata condotta illecita posta in essere dall’imputato in occasione della compravendita del fondo non risulta seguita da alcuna condotta che possa essere significativamente assunta come sintomatica della volontà dell’imputato di permanere, sia pure come extraneus, nell’associazione mafiosa, fornendo un contributo al rafforzamento della stessa”. Neanche l’appoggio elettorale “fornito all’imputato dall’associazione mafiosa in occasione delle elezioni al Senato del 1994, anche in considerazione della preponderante vittoria delle forze politiche di centrodestra non assurge di per sé ad elemento sintomatico di un patto elettorale politico-mafioso che consentisse, da un canto, all’odierno imputato di raggiungere lo scranno del Senato attraverso l’appoggio degli esponenti di Cosa nostra”. Come dire: visto che i berlusconiani presero una valanga di voti, D’Alì non aveva bisogno di siglare un patto con i mafiosi, che lo votarono di loro spontanea volontà.

Prescritto e innocente – Poi dopo l’elezione a Palazzo Madama nel 1994, “appoggiata elettoralmente dall’associazione mafiosa”, per i giudici non è provato che D’Alì continuò ad avere dei legami con Cosa nostra, dopo la sua entrata in Senato. “Le condotte oggetto di contestazione non risultano essere compiutamente comprovate per mancanza di adeguati e specifici riscontri, negli interventi fatti da D’Alì, nella sua veste istituzionale, successivamente al 1994 appare difficile ipotizzare che lo stesso abbia inteso avvantaggiare l’associazione mafiosa piuttosto che taluni imprenditori che soltanto in epoca successiva sono stati condannati per associazione mafiosa”. È per questo motivo che D’Alì è stato assolto. E adesso si candida a guidare la sua città.

 

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04/11/trapani-il-senatore-dali-candidato-sindaco-dopo-prescrizione-per-concorso-esterno-rafforzava-la-mafia-fino-al-1994/3493540/

Fisco – La presa per i fondelli delle detrazioni: Su spese scolastiche il beneficio è di soli 100 Euro. Ma se regali soldi ai partiti può risparmiarne 7.800 Euro!

 

Fisco

 

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Fisco – La presa per i fondelli delle detrazioni: Su spese scolastiche il beneficio è di soli 100 Euro. Ma se regali soldi ai partiti può risparmiarne 7.800 Euro!

Fisco, la beffa delle detrazioni: “Su spese scolastiche beneficio di soli 100 euro. Chi dona ai partiti può risparmiarne 7.800”

Dal primo documento congiunto di Entrate e Caf emerge che per l’asilo nido, per esempio, le famiglie possono detrarre il 19% di una cifra massima pari a 632 euro. Esclusi dagli sgravi “libri scolastici, strumenti musicali, materiale di cancelleria, viaggi ferroviari”. Elio Lannutti, presidente Adusbef: “Agevolazioni misere rispetto al resto dell’Unione”. Vantaggi molto più consistenti per ristrutturazioni immobiliari e erogazioni alla politica.

Per la prima volta Agenzia delle entrate e Caf hanno un documento congiunto per le detrazioni della “stagione dichiarativa 2017”. All’interno c’è persino ildettagliato elenco della documentazione da allegare per ottenere i vantaggi fiscali con le nuove agevolazioni per i contribuenti: si va dalle gite scolastiche alle bici elettriche per i disabili per finire con i vantaggi sulle ristrutturazioni immobiliari. Manna dal cielo per i cittadini. Se non fosse che, a dispetto degli slogan, per alcune voci gli importi detraibili sono veramente bassi. Così le 324 pagine della guida finiscono per raccontare ai contribuenti quanto il governo sia avaro con le famiglie e concentrato sostanzialmente sul sostegno al mattone. Ma, in compenso, sappia essere più mite e benevolo per le erogazioni liberali a favore dei partiti politici. “La guida è una tappa storica nel rapporto fra Agenzia e cittadini”, spiega Stefania Trombetta, responsabile affari legali Cgil e coordinatrice del gruppo consulta Caf che ha partecipato alla redazione del documento. “Finalmente sarà più facile ed accessibile reperire le informazioni necessarie per ottenere le detrazioni”, conclude, precisando che si tratta “di agevolazioni la cui entità è decisa per legge in parlamento”.

E’ la politica infatti che sceglie cosa e quanto far detrarre ai cittadini. “E nella maggior parte dei casi per i contribuenti le agevolazioni concesse alle famiglie sono una miseria rispetto al resto dell’Unione. Le politiche degli ultimi tre governi non hanno fatto altro che penalizzare le famiglie invece di incentivarle in un Paese che sta drammaticamente invecchiando“, denuncia Elio Lannutti, presidente dell’Adusbef. Qualche esempio? Da quest’anno nelle linee guida 2017 fanno capolino agevolazioni per gite e mense scolastiche, corsi di lingua e di teatro, oltre a spese per la frequenza scolastica. Ma, su base annua, le cifre sono così esigue da far sorridere amaramente una famiglia italiana media. “La detrazione (19%, ndr) per le spese di frequenza sopra indicate è calcolata su un importo massimo di euro 564 per l’anno 2016 per alunno o studente”, spiega il documento dell’Agenzia. In pratica il beneficio annuo per il contribuente è di 107,16 euro per ogni figlio. Una somma che non copre neanche la mensa in unascuola pubblica. Figurarsi una gita scolastica, un corso d’inglese e di teatro che, per essere detraibili, devono peraltro essere preventivamente approvati dal consiglio scolastico. La situazione non è diversa per gli asili nido: la detraibilità è sempre al 19% su un importo massimo pari a 632 euro, cioè 120,08 euro annui corrispondenti a poco più di una decina di pacchi di pannolini per neonati.

Il fisco è un pochino meno avaro con gli universitari e gli studenti di istituti tecnici che possono detrarre per intero le tasse universitarie (sempre con aliquota al 19%). Ma considerato che far studiare un figlio all’università costa, alla fine, il piatto del contribuente piange sempre. Per i fuori sede, ad esempio, è possibile la detrazione dei canoni di locazione per 2.633 euro (spese escluse). Il punto però è che uno studente fuori sede a Roma per un monolocale da 30 metri quadrati in una zona universitaria paga circa 700 euro al mese, pari a 8.400 euro l’anno. Per le detrazioni delle tasse di università private viene mantenuta la griglia per area geografica e quella per facoltà. Ma per gli studenti che vanno all’estero, gli importi massimi da detrarre vengono calcolati sulla base del domicilio fiscale. Con il risultato che uno studente del Sud sarà fiscalmente “penalizzato” rispetto ad uno del Nord.

Quanto alle attività sportive (dai 5 ai 18 anni), l’Agenzia consente di detrarre poco meno di 40 euro (il 19% di 210 euro), una somma che copre a stento un paio di mesi di ginnastica. Sono esclusi dagli sgravi “libri scolastici, strumenti musicali, materiale di cancelleria, viaggi ferroviari, vitto e alloggio necessarie per consentire la frequenza della scuola”. Ma anche se fossero inclusi, sarebbero necessari importi rilevanti per sostenere le famiglie che per uno studente della scuola media spende attorno ai 300 euro. Per il riscatto degli anni universitari ai fini pensionistici per i familiari a carico, l’esborso è completamente detraibile al 19 per cento. Ma il costo del riscatto, calcolabile sul sito dell’Inps, è così elevato da invitare il contribuente a pensarci due volte vista anche la possibilità concreta di una riforma del sistema pensionistico.

Il parlamento è invece decisamente più generoso con le detrazioni sulle erogazioni liberali ai partiti politici “anche se effettuate dai candidati e dagli eletti alle cariche pubbliche”. Dall’imposta lorda si detrae il 26 per cento su un contributo che può raggiungere i 30mila euro. Detta in altri termini, il politico che dona 30mila euro al suo partito potrà detrarre ben 7.800 euro. A patto naturalmente che la “donazione” non venga versata in contanti e sia a favore di un partito politico nazionale iscritto al registro nazionale.

La cifra fa decisamente impallidire, al confronto, il sostegno per le spese sostenute per badanti assunte per l’assistenza a persone non autosufficienti. Possono essere detratte spese (19%) nel limite massimo di 2.100 euro anche se il lavoratore è stato assunto via agenzia interinale o cooperativa di servizi. In questo caso, però, bisognerà munirsi di apposita certificazione. Per quanto riguarda invece i disabili, la circolare ha chiarito che potranno essere detratte (con aliquota al 19%) per intero le spese per acquisto di biciclette elettriche se esiste “un collegamento funzionale tra la bicicletta con motore elettrico ausiliario e la menomazione” certificato da un medico Asl.

Come di consueto, le detrazioni più imponenti riguardano gli immobili, i mutui (con differenze a seconda dell’anno in cui il contratto è stato stipulato) e le ristrutturazioni. Incluse le intermediazioni detraibili al 19% a patto che “il relativo importo sia indicato nell’atto di cessione dell’immobile” e per una cifra non superiore a mille euro. Si va dal 65% per le detrazioni di spese finalizzate al risparmio energetico, al 36% per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio (elevato, dal 2013, al 50%) per un limite di spesa agevolabile aumentato da 48mila a 96mila euro a partire dal 26 giugno 2012. Resta poi il bonus mobili in caso di ristrutturazioni (per un importo massimo di 10mila euro) e anche quello per arredi, nato per agevolare le nuove famiglie per una cifra massima di 16mila euro. Quanto basta per arredare una nuova casa, e con detrazioni di certo più consistenti di quelle che toccheranno alla coppia per un futuro figlio.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04/10/fisco-la-beffa-delle-detrazioni-su-spese-scolastiche-beneficio-di-soli-100-euro-chi-dona-ai-partiti-puo-risparmiarne-7-800/3506687/

Ricapitoliamo: Trump bombarda la Siria perchè ha ammazzato i bambini che lui non vuole accogliere in America perché sono terroristi. Giusto?

 

Trump

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Ricapitoliamo: Trump bombarda la Siria perchè ha ammazzato i bambini che lui non vuole accogliere in America perché sono terroristi. Giusto?

Ricapitoliamo:

Trump bombarda la Siria perchè ha ammazzato i bambini che lui non vuole accogliere in America perché sono terroristi. Giusto?

Assad ha ammazzato i bambini con il gas: è un assassino. Trump li ha ammazzati con i missili (perchè ne sono morti di civili e bambini, eccome, anche se questo i tg non lo dicono) ed è il paladino della giustizia. Quindi la differenza la fa il metodo con cui ammazzi?

Gli Stati Uniti si ergono a giudici del mondo. Proprio loro che sono stati gli UNICI ad aver usato armi nucleari contro la gente. Quelli che da SEMPRE hanno usato armi chimiche, napalm e uranio impoverito, quelli che sono in perenne guerra (224 anni di guerra su 241 che esiste come stato) quelli che hanno creato un paese dal più schifoso dei genocidi della storia del mondo, il massacro degli indiani. Ma proprio questi devono giudicare il mondo?

Non so, sono solo considerazioni.

Loro vogliono la guerra.

I nostri politici senza coglioni li seguono come cagnolini.

Tanto a rimetterci è sempre la Gente

by Eles

Siria – Il vicario apostolico di Aleppo: “L’attacco con armi chimiche? Una scusa, come tante che abbiamo già sentito in passato in Libia, in Iraq…”

Siria

 

 

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Siria – Il vicario apostolico di Aleppo: “L’attacco con armi chimiche? Una scusa, come tante che abbiamo già sentito in passato in Libia, in Iraq…”

 

Siria, il Vicario Apostolico di Aleppo: “L’attacco chimico solo una scusa”

Damasco, 8 apr – L’attacco con armi chimiche? “Una scusa, come tante che abbiamo già sentito in passato in Libia, in Iraq…”. Non lascia spazio a dubbi Georges Abou Khazen, dal 2013 Vicario Apostolico di Aleppo, che condanna duramente l’attacco missilistico americano alla base siriana di Shayrat.

Intervistato da La Stampa, Khazen usa parole pesanti nei confronti di Trump: “Chi è il presidente per decidere senza il Consiglio di Sicurezza Onu? Chi l’ha coronato arbitro e gendarme del mondo? E tutti i crimini commessi dagli Usa e dai francesi in Siria e in Iraq che hanno causato la morte di centinaia di civili ed il mondo non ha aperto bocca…”.

“La cosa che più mi sorprende e mi sconcerta – continua il Vicario – è che la sera prima l’ambasciatrice degli Stati Uniti intervenendo al Consiglio di Sicurezza ha detto che sull’attacco a Idlib ancora non c’era nulla di certo o di chiaro. All’alba del giorno dopo però è arrivato l’attacco! Perché? Perché non è venuta una commissione d’inchiesta come ha chiesto la Siria per sapere esattamente quello che è successo?”. Domande retoriche, alle quali egli stesso offre una risposta: “Gli Stati Uniti stanno occupando insieme all’Isis tutti giacimenti di petrolio e di gas in Siria. Da notare che pochissimi minuti dopo l’attacco americano è incominciato l’attacco dei jihadisti dello Stato Islamico e di al Nusra”.

Nicola Mattei
fonte: http://www.ilprimatonazionale.it/esteri/siria-vicario-apostolico-aleppo-lattacco-chimico-solo-scusa-61561/#mXt5C9CAXD0JJVte.99

Crisi, povertà, disoccupazione… tutta colpa di un debito pubblico abnorme: 130% del Pil… Sicuro? Il Giappone raggiunge il 250%, ma c’è la quasi piena occupazione e la produzione industriale è in piena cresciuta! Ma lì non hanno l’Euro…!

 

debito pubblico

 

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Crisi, povertà, disoccupazione… tutta colpa di un debito pubblico abnorme: 130% del Pil… Sicuro? Il Giappone raggiunge il 250%, ma c’è la quasi piena occupazione e la produzione industriale è in piena cresciuta! Ma lì non hanno l’Euro…!

 

In Giappone è quasi piena occupazione. Ma lì non hanno l’euro!

Il Giappone è ormai praticamente alla piena occupazione. Il tasso di disoccupazione è sceso dal 3% di gennaio al 2,8% a febbraio, il minimo da 22 anni. La disponibilità di posti rispetto alla domanda si è confermata al favorevole rapporto di 1,43: si sono dunque 143 posizioni disponibili per ogni 100 richieste.

Anche la produzione industriale vola. A febbraio è aumentata del 2% (il ritmo più’ veloce in otto mesi) rispetto al mese precedente, trainata da auto, macchinari e prodotti chimici, e ciò a fronte di previsioni del 1,2%.

 

 

Ricordiamo che il Giappone non solo ha sovranità monetaria, ma ha anche un rapporto debito pubblico/PIL ben oltre il 250% (noi in Italia, che siamo tacciati per puttanieri, spreconi e alcolizzati, lo abbiamo poco sopra il 130%)!

Insomma, loro hanno moneta sovrana e Banca Centrale prestatrice illimitata di ultima istanza; noi invece abbiamo l’euro, la BCE (che non funge da prestatrice di ultima istanza), economisti a libro paga del capitale internazionale e scribacchini di regime!

 

fonti:

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-03-31/giappone-la-piena-occupazione-074905.shtml?uuid=AE0TVxw

In Giappone è quasi piena occupazione. Ma lì non hanno l’euro! (di Giuseppe PALMA)