Io, iscritto al PCI di Berlinguer, vi spiego perché ho votato 5 Stelle

 

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Io, iscritto al PCI di Berlinguer, vi spiego perché ho votato 5 Stelle

“Non risultano, per il momento, clientele strutturate, né rapporti con la criminalità organizzata facenti capo al M5S: perciò i voti dati a questo partito, qualunque giudizio se ne voglia dare, devono essere considerati voti d’opinione. Il patto secolare tra il padronato del Nord e il notabilato del Sud ha perduto uno dei contraenti”

di Massimo Finocchiaro

Una volta Enrico Berlinguer partecipò a un’assemblea della mia sezione. Era la fine primavera del 1979. Una settimana prima le elezioni erano andate male, e il segretario del partito voleva rendersi conto di persona di cosa non avesse funzionato. Ma non venne per parlare, se avesse voluto l’avrebbe fatto davanti a molte migliaia di persone in piazza. No, restò lì in sezione per tre ore ad ascoltare pazientemente gli interventi dei militanti, e alla fine ringraziò tutti, anche quelli che erano stati più critici nei confronti della linea politica del momento (il “compromesso storico”).

Erano tempi drammatici: Cosa nostra e le BR avevano alzato il tiro sulle istituzioni che, come avremmo saputo dopo, erano insidiate dall’interno dalle trame di Gelli; capo del governo era un Andreotti sodale dei mafiosi e Craxi stava trasformando il vecchio e glorioso Psi in un comitato d’affari sporchi.

Eppure l’Italia non deragliò: c’era il PCI (È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all’opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell’Italia e delle sue povere istituzioni democratiche. Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico…).

Certo, non era un partito perfetto, il PCI. Starci dentro qualche volta non era facile. E non è che i comunisti fossero uomini e donne necessariamente e antropologicamente diversi e migliori degli altri, come si è constatato molti anni dopo. Piuttosto, la differenza stava a mio modo di vedere in un modello politico di rappresentanza che quel partito incarnava, in una tradizione, in un’etica e un’intelligenza collettive che facevano premio sulle possibili debolezze dei singoli.

Per questo, almeno fino a un certo momento storico, i comunisti sembravano e spesso erano veramente irriducibili al sistema di relazioni informali che ha sempre detenuto il potere in Italia. In questo, e non in capziose accuse di immaturità democratica, stava del resto il fondamento della diffidenza (il famoso “fattore K”) che il resto del mondo politico riservava al PCI.

Ma bando alle nostalgie. Come tutte le cose umane, il PCI aveva avuto un inizio, e avrebbe dovuto per forza avere una fine, prima o poi. A poco a poco, se non altro per ragioni anagrafiche, la generazione di dirigenti formata negli anni durissimi della lotta clandestina, della guerra di Spagna, della Resistenza, dovette cedere il passo a una nuova leva. La quale cominciò a frequentare i salotti buoni, a guardare le quotazioni di Borsa e a chiedersi se valeva la pena di continuare a chiamarsi comunisti.

Qualcuno dice che questa trasformazione sbloccò infine il sistema politico, rendendo possibile la stagione di Mani Pulite. Può darsi. A che prezzo, però. Quella che avrebbe potuto essere un’occasione storica di rigenerazione del Paese fu perduta, perché quando Silvio Berlusconi decise di “scendere in campo” si trovò di fronte non “i comunisti”, come diceva lui, ma solo la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto.

E Berlusconi vinse, e avendo già guastato il calcio e le tv libere (una volta si chiamavano così), continuò a guastare quel che di buono era rimasto in Italia, compresi i suoi avversari. Il resto è infatti una storia di progressiva perdita, da parte del principale partito della sinistra, di identità e di valori, di distacco dal mondo del lavoro, perfino di mutazione antropologica, coi militanti generosi di sé per il partito e per l’idea ineluttabilmente scacciati da piccoli arrivisti alla ricerca di opportunità personali.

Per me, il punto di di non ritorno fu l’aggressione alla Serbia, nel 1999, da parte del governo guidato da Massimo D’Alema. Mortificata platealmente la Costituzione della Repubblica nello spirito e nella lettera, mi sentii mortificato anch’io, e abbandonai un partito che non mi rappresentava più.

Ho perciò guardato da fuori le successive vicende di quella parte politica, sempre più estraneo e deluso, nella speranza di una resipiscenza che non veniva mai, fino alla fusione con gli ex democristiani nel Partito Democratico, che ai miei occhi ne ha reso definitiva la fuoriuscita dall’alveo della sinistra.

Proprio in quel torno di tempo, la notizia delle scorrerie in politica di Beppe Grillo mi aveva incuriosito, e così cominciai a frequentare il famoso blog. Mi feci l’idea che l’ambizione iniziale fosse limitata alla costituzione di un movimento del due o tre per cento, sul modello del partito radicale di Pannella, ma con l’accento su temi ambientali e legalitari più che sui diritti civili; e che l’obiettivo fosse di piazzare qua e là nei Consigli comunali o provinciali un paio di rompicoglioni che facessero un po’ di casino.

La novità era senza dubbio nel metodo, e cioè nell’uso della rete per strutturare e coordinare i gruppi locali, che aveva tra l’altro il grande vantaggio di azzerare i costi di organizzazione e l’effetto collaterale di rivolgersi soprattutto ai più giovani.

Le prime prove elettorali del M5S non furono un successo travolgente, ma ci furono comunque degli eletti e lì cominciarono i problemi. Per quanto Grillo avesse dato prova di intuito, audacia, capacità di comunicazione, e anche di serietà (chi è più serio di un comico di professione?), e contasse sulle doti organizzative di Casaleggio, il nascente movimento mi sembrava oscillare tra l’illusione della democrazia diretta e la realtà di una gestione che definire dispotica è poco.

Qualcuno ricorderà le intemerate contro quel paio di militanti che avevano (nientedimeno!) accettato di partecipare a un talk show, o il trattamento riservato a Pizzarotti, primo sindaco del M5S. Comunque la cosa che mi colpì di più fu la canea urlante dei frequentatori del blog, gente apparentemente incapace di accettare un confronto civile per argomenti e non per slogan, ultras della curva più che militanti politici. Anche se, devo ammettere, questo fenomeno è diventato da un po’ di tempo ubiquitario, e in fondo il mezzo è il messaggio.

A partire dalle voto regionale siciliano del 2013, per il M5S comincia un’altra storia, e precisamente quella di un movimento di massa che cresce da un’elezione all’altra, conquista città importanti come Roma e Torino, e si candida seriamente alla guida del governo. Un successo inizialmente imprevisto, che ha certamente spiazzato Grillo, il quale non credo si prospettasse veramente la presa del potere e meno che mai nutrisse propositi di dominio personale, come dimostra il suo “passo di lato”.

E da quando è diventato un partito di massa, il M5S è anche diventato “populista”. Non mi figuro esattamente cosa voglia dire “populista” nell’attuale linguaggio politico, ma ho una teoria in proposito.

Molti anni fa fu coniato l’aggettivo “qualunquista”, con riferimento al Movimento dell’Uomo Qualunque, partito di destra presente alle elezioni dal 1946 a 1949. Col tempo, tale qualificazione perdette l’attribuzione originaria e venne di moda usarla (da sinistra) per liquidare con disprezzo una qualsiasi posizione politica altrui con cui ci si trovasse in disaccordo.

Oggi, solo le persone molto anziane e gli amanti del vintage dicono ancora “qualunquista”. Gli altri preferiscono ormai l’aggettivo “populista”, con lo stesso identico generico (e inutile) significato. La riprova è che viene usato per accomunare movimenti politici antitetici come quello fondato da Grillo e la Lega ex-Nord.

Non credo che il M5S sia definibile qualunquista o populista. Piuttosto mi pare un fenomeno magmatico nel quale si agitano pulsioni prepolitiche a volte confuse, ma anche uno straordinario esperimento sociologico: un partito politico nato dal basso, privo di risorse e di appoggi importanti, che in pochissimo tempo drena i consensi di competitori saldamente installati al potere, e diventa il primo partito.

E ciò è accaduto nonostante un’infinità di errori piccoli e grandi che denunciano la natura naïf e la mancanza di cultura politica del Movimento, dei suoi fondatori come dei suoi militanti. Tutto questo va spiegato, e io me lo spiego così: evidentemente preesisteva nella nostra società la diffusa sensazione che le forze politiche nel loro insieme non fossero più capaci di interpretare il loro ruolo di rappresentanza, e cioè che esse fossero sempre più autoreferenziali e lontane dalla realtà.

Il movimento di Grillo ha intercettato questo sentimento. Non hanno importanza le promesse elettorali a cui nessuno crede veramente, e che peraltro sono state diffuse a piene mani da tutti gli schieramenti, non è importante la competenza, vera o presunta, che può essere utilizzata anche per fini meno che commendevoli: quello che conta è la credibilità della rappresentanza, e a fronte delle altre forze politiche e specialmente del PD, il M5S è stato ritenuto da milioni di persone, a torto o a ragione, magari solo perché è nuovo, più credibile.

Per quel che mi riguarda, come credo di aver svelato, la credibilità dei 5 Stelle è ancora da dimostrare. Ciononostante, alle ultime elezioni li ho votati egualmente, perché dal mio punto di vista l’imperativo del momento era di scongiurare l’ultimo colpo di coda di un ‘Caimano’ decrepito, ma ancora pericoloso.

Nessun altro voto avrebbe potuto contribuire al raggiungimento di questo obiettivo, data la pessima legge elettorale appena inaugurata: non quello a Potere al Popolo, che non aveva possibilità di superare il quorum, e sarebbe stato un voto sprecato; non quello a Liberi e Uguali, perché, a parte ogni altra considerazione, non era in grado di competere per la quota uninominale, e sarebbe stato un voto dimezzato; non quello al PD, o alle formazioni satelliti, perché, sempre a parte ogni altra considerazione, non vedevo alcuna garanzia che il mio suffragio non sarebbe stato utilizzato per negoziare un accordo proprio con Berlusconi.

Ora, a urne chiuse, credo d’aver fatto bene.

Ma vorrei in ultimo sottolineare una novità delle ultime elezioni, che non mi pare sia stata adeguatamente considerata dai commentatori che mi è capitato di ascoltare o di leggere. Non risultano, per il momento, clientele strutturate, né rapporti con la criminalità organizzata facenti capo al M5S: perciò i voti dati a questo partito, qualunque giudizio se ne voglia dare, devono essere considerati voti d’opinione.

Il Sud d’Italia ha tributato ai 5 Stelle un consenso veramente notevole, vicino alla metà dei voti. Ciò significa che il voto di scambio e il voto controllato dalle mafie, una costante della storia elettorale del Mezzogiorno fin dall’Unità, sembrano in queste elezioni come scomparsi, evaporati. E che il patto secolare tra il padronato del Nord e il notabilato del Sud ha perduto uno dei contraenti.

I meridionali hanno forse votato, per la prima volta a memoria d’uomo, in modo libero? Spero che sia così. E spero che continuino così.

Foto tratta da ilfattoquotidiano

La missione militare in Niger? Per il Governo Nigerino se la sarebbero “inventata” Alfano e la Pinotti: mai saputo niente, notizia appresa solo dai media, mai contatti con Roma, “inconcepibile” la presenza di militari Italiani sul nostro territorio…!!

 

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La missione militare in Niger? Per il Governo Nigerino se la sarebbero “inventata” Alfano e la Pinotti: mai saputo niente, notizia appresa solo dai media, mai contatti con Roma, “inconcepibile” la presenza di militari Italiani sul nostro territorio…!!

 

Missioni militari, Niger blocca intervento italiano. Possibile: “Vicenda grottesca”

Il ministro degli Interni del Niger ha detto che una missione italiana nel Paese africano sarebbe “inconcepibile”. I deputati uscenti di Possibile, Pippo Civati e Andrea Maestri, annunciano un’interrogazione parlamentare.

“La missione in Niger dell’Italia sta assumendo toni grotteschi. Se non si trattasse di una questione di grande rilievo, sembrerebbe qualcosa di comico. Il governo nigerino ha fatto sapere di non volere militari italiani sul territorio, ma in concreto non è ancora chiara la natura dell’accordo stipulato lo scorso settembre. A giudicare dall’evoluzione degli eventi l’intesa era abbastanza nebulosa, avvalorando la nostra tesi di un’iniziativa scriteriata. In mezzo a questa scarsa chiarezza finisce anche il Fondo per l’Africa: come sono stati impiegati i 200 milioni annunciati in pompa magna?”. Questo il contenuto di una nota dei deputati uscenti di Possibile, Pippo Civati e Andrea Maestri, candidati di Liberi e Uguali che non entreranno in Parlamento, annunciando un’interrogazione parlamentare.

Il ministro degli Interni del Paese africano Mohamed Bazoum, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, ha detto di non essere mai stato informato della missione, che ha lo scopo di combattere il terrorismo e il traffico di esseri umani, e di essere contrario la presenza di soldati italiani sul proprio territorio. Bazoum ha giudicato “inconcepibile” la missione, e ribadisce di aver appreso dell’intervento italiano solo dai media, spiegando che “non ci sono mai stati contatti in merito tra Roma e Niamey”. Ma la ministra della Difesa uscente, Roberta Pinotti ha detto di possedere due lettere di richiesta firmate dal suo omologo, datate 1 novembre 2017 e 15 gennaio 2018, con le quali il Niger ha chiesto all’Italia “cooperazione per l’addestramento per il controllo dei confini”. Ma per il momento il Niger ha bloccato l’operazione, che consiste nell’invio di 470 militari, 130 mezzi terrestri, due velivoli C130, per una spesa totale di 130 milioni di euro. Al massimo, chiarisce il titolare nigerino agli Interni, potrà essere autorizzata una “missione di esperti”, senza ruoli operativi.

“Il ministero degli Esteri, Angelino Alfano, e la ministra della Difesa, Roberta Pinotti, devono chiarire – hanno aggiunto i due esponenti di Possibile – se intendono proseguire in Niger con la politica di esternalizzazione dei confini che già nel caso della Libia ha comportato, e sta comportando, il sacrificio dei diritti umani di richiedenti asilo e di persone vulnerabili. La fine della legislatura e il quadro politico incerto non possono far passare in secondo piano questioni politiche di primaria importanza”.

fonte: https://www.fanpage.it/missioni-militari-niger-blocca-intervento-italiano-possibile-vicenda-grottesca/

Ecco a Voi il centrodestra: condoni per chi evade le tasse. Multe di 200 Euro se frughi nei cassonetti dell’immondizia!

 

Multe

 

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Ecco a Voi il centrodestra: condoni per chi evade le tasse. Multe di 200 Euro se frughi nei cassonetti dell’immondizia!

Certo che non si può non ricordare che il loro “regista” è un condannato per evasione fiscale…

Ecco la loro politica: massima tolleranza per chi evade le tasse. pugno do ferro per chi è costretto a frugare nei cassonetti dell’immondizia… Tanto mica è un problema loro…

Effetto decreto Minniti, a Genova multe di 200 euro per chi fruga nei cassonetti

È polemica nel capoluogo ligure per la misura annunciata dalla giunta di centrodestra, che intende multare i senzatetto e i poveri che rovistano nei bidoni della spazzatura. L’opposizione: “Ingiusto multare chi vive un disagio estremo”.

Multe fino a 200 euro per chi fruga nei cassonetti dell’immondizia in cerca di cibo. È la nuova sanzione in cantiere a Genova, che darà filo da torcere ai clochard e alle persone indigenti.”Ma la applicheremo con criterio e con rispetto nei confronti di queste persone”, ha spiegato l’assessore alla sicurezza Stefano Garassino.

Come ha raccontato il Corriere della sera, il Comune, per volontà della prima giunta di centrodestra guidata dal sindaco Marco Bucci, ha recepito una parte del regolamento Minniti, che mira a riportare nelle città la sicurezza mantenendo il decoro urbano, cercando però, nelle intenzioni, di migliorare le condizioni di vita dei più poveri. I sindaci che stanno applicando il pacchetto Minniti possono chiedere il Daspo per commercianti abusivi e i parcheggiatori non autorizzati. Oltre a sanzionare i venditori di articoli contraffatti. Ma la nuova norma ha incontrato subito resistenze.

“Inutile interrogarsi sull’efficacia della deterrenza di una multa nei confronti di chi è costretto a umiliarsi rovistando nella spazzatura; sono persone che esprimono un disagio estremo” attacca il Pd locale. Su Facebook è nato anche un gruppo, “Genova che osa”, in cui gli utenti hanno pubblicato un post per polemizzare contro la misura comunale, vista come un accanimento sulla pelle delle persone più fragili: “Continuano ad approvare norme assurde, inutili nei fatti e che mortificano gli ultimi. Fermiamo questa guerra ai poveri”. Il gruppo sul social network ha pubblicato un dossier che dà conto delle condizioni economiche in cui versano molti cittadini: la città ha perduto nell’ultimo decennio 7mila posti di lavoro. Così recita il rapporto: “La quota di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale è cresciuta dal 21,3 del 2007 al 23,9% del 2016 (il valore del 2016 riferito al Nord-Ovest è del 21%: la Liguria registra la percentuale più alta di tutta la macroregione e di tutto il Settentrione del Paese). E poi ancora: “La percentuale di persone che vivono in abitazioni di bassa qualità (cioè abitazioni sovraffollate e che hanno problemi strutturali, o non hanno bagno o doccia con acqua corrente oppure hanno problemi di luminosità) è cresciuta dal 5,2% del 2007 al 9,2% del 2016 (Fonte Istat)”. Nella Regione poi, il tasso di occupati a tempo parziale è cresciuto dal 16,7 del 2007 al 21,3% del 2016 e dal 31,1 al 37,6% per le donne.

Considerando queste cifre, è giusto multare chi rovista nei bidoni della spazzatura per potersi sfamare? Una risposta la dà l’assessore Garassino: “In buona sostanza ci siamo limitati ad applicare come fanno altre amministrazioni italiane, di ogni colore politico, il pacchetto Minniti, per questioni di sicurezza e decoro urbano. Sono temi di particolare rilevanza in una città che vuole essere turistica come la nostra. La ratio del provvedimento è di natura igienica – spiega Garassino – chi cerca cibo finisce per lasciare rifiuti a terra e questo è un richiamo per i ratti. Ci rendiamo perfettamente conto che chi si riduce a procurarsi da mangiare in quel modo vive una situazione di disagio. E infatti, in accordo con la polizia municipale, la regola verrà applicata “cum grano salis”, e con umanità. Le persone in stato di bisogno non saranno certo multate ma al contrario aiutate”.

 

fonte: https://www.fanpage.it/effetto-decreto-minniti-a-genova-multe-di-200-euro-per-chi-fruga-nei-cassonetti/

Una data da ricordare: il 13 marzo 1972 Berlinguer veniva eletto segretario nazionale del Partito Comunista Italiano

 

Berlinguer

 

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Una data da ricordare: il 13 marzo 1972 Berlinguer veniva eletto segretario nazionale del Partito Comunista Italiano

Io le invettive non le lancio contro nessuno, non mi piace scagliare anatemi, gli anatemi sono espressioni di fanatismo e v’è troppo fanatismo nel mondo. (E. Berlinguer)

Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona. (Giorgio Gaber)

Enrico Berlinguer nasce il 25 maggio del 1922 a Sassari. Nella cittadina sarda trascorre l’infanzia e l’adolescenza, frequenta il liceo classico Azuni e nel 1940 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Nell’agosto del 1943 aderisce al PCI. Inizia allora il suo impegno politico con la partecipazione alle lotte antifasciste dell’Italia badogliana dove impera la guerra civile. Nel gennaio del 1944 viene arrestato con l’accusa di essere il principale istigatore delle manifestazioni per il pane, che si sono svolte nei mesi precedenti. Resta in carcere quattro mesi. A settembre si trasferisce a Roma con la famiglia, poi a Milano dove lavora nel Fronte della gioventù, il movimento politico fondato da Eugenio Curiel per coordinare l’arcipelago delle organizzazioni giovanili antifasciste.

La sua carriera politica nel PCI comincia nel gennaio del 1948, quando a ventisei anni entra nella direzione del partito e meno di un anno dopo diventa segretario generale della FGCI, la Federazione giovanile comunista. È un uomo instancabile che gli amici descrivono timido e introverso. Un giovane dirigente comunista, lontano dalla mondanità e dai clamori della politica, che nel 1956 lascia l’organizzazione giovanile e l’anno dopo sposa a Roma Letizia Laurenti.

Nel 1958 Berlinguer entra nella segreteria del partito per affiancare Luigi Longo, vicesegretario e responsabile dell’ufficio di segreteria. Da allora il rapporto fra Berlinguer e il segretario Togliatti diviene quotidiano. Togliatti si fida di questo giovane dirigente sardo, tanto che nel febbraio del 1960, al IX Congresso del PCI, lo vuole al posto di Giorgio Amendola come responsabile dell’organizzazione del partito e nel dicembre del 1961 chiede a Berlinguer di scrivere la relazione finale del comitato centrale del partito, dove proprio Amendola ha ripreso la polemica sui crimini stalinisti.

Fra il 1964 e il 1966 Berlinguer mostra la sua grande capacità di mediare gestendo un grosso scontro interno al partito. La destra del PCI, rappresentata da Amendola, sostiene la formazione di un unico partito socialista che unisca tutte le forze della sinistra italiana. L’ala radicale di Pietro Ingrao, invece, si batte affinché il PCI si allei con i gruppi della sinistra rivoluzionaria. All’XI Congresso, nel gennaio del 1966, Berlinguer si fa interprete delle esigenze di tutto il partito presentandosi come un mediatore di prima grandezza. È un successo personale, confermato due anni dopo dalle elezioni del 1968 in cui è capolista nel Lazio. Un successo che esplode e si diffonde dopo i fatti di Praga. Berlinguer condanna l’intervento sovietico in Cecoslovacchia e respinge «il concetto che possa esservi un modello di società socialista unico e valido per tutte le situazioni». Lo strappo è senza precedenti. Nel 1969 a Mosca, alla conferenza internazionale dei partiti comunisti, dichiara apertamente il dissenso dei comunisti italiani nei confronti della politica stalinista.

Ormai è vicesegretario del PCI. Al congresso del 1969, Berlinguer appoggia la linea movimentista e introduce uno dei temi più importanti del suo progetto politico. Ai delegati presenta il partito come una forza centrale della società italiana, una forza fra le istituzioni e i cittadini, che deve essere coinvolta nella formazione e nella gestione dei processi democratici del paese perché ne è parte decisiva. Il PCI che vuole Berlinguer non è solo il partito della classe operaia: deve candidarsi a guidare il paese, ponendo fine alla conventio ad excludendum per cui i comunisti di fatto sono esclusi dal governo.

Nel 1972 Berlinguer diviene segretario del PCI e al XII congresso riprende la formula togliattiana della collaborazione fra le grandi forze popolari: comunista, socialista e cattolica. Ma c’è anche di più, non si tratta solo di ribadire la tesi che Togliatti espresse sin dalla fine della seconda guerra mondiale. Con tre articoli su «Rinascita», fra il settembre e l’ottobre del 1973, Berlinguer propone la sua analisi della società moderna partendo dal colpo di Stato in Cile, che ha mostrato a cosa può andare incontro una democrazia fragile. Così scrive il 12 ottobre del 1973: «la gravità dei problemi del paese, le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande compromesso storico tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano». Lo spiega chiaramente. L’Italia è una democrazia debole che ha bisogno di un’alternativa condivisa e costruita dai grandi partiti di massa.

Il grande successo elettorale, ottenuto dai comunisti italiani alle elezioni del 1975 e del 1976, conferma l’intuizione di Berlinguer e sconvolge il sistema politico, ormai da anni afflitto da un’endemica instabilità e bloccato dalla DC che è al centro dei governi e delle maggioranze parlamentari. I tempi sembrano maturi per un cambiamento radicale della politica italiana. Nel 1976 accanto alla proposta del compromesso storico, Berlinguer esplicita l’altro tema della sua politica di dirigente comunista: rompe con il Partito Comunista sovietico. A Mosca, davanti a 5 mila delegati Berlinguer parla del valore della democrazia e del pluralismo, sottolinea l’autonomia del PCI dall’URSS e condanna l’interferenza dei sovietici nelle questioni dei partiti socialisti e comunisti degli altri paesi. È l’eurocomunismo.

Con il compromesso storico e l’eurocomunismo, Berlinguer porta il PCI, dopo le elezioni del 1976, al primo governo della solidarietà nazionale. Si tratta di un monocolore democristiano che si regge sulla «non sfiducia», cioè sull’astensione dei vecchi partners di governo ai quali si aggiungono i comunisti. A sinistra, molti sottolineano che non è questa la ratio del compromesso storico e che il PCI non riuscirà ad ottenere ciò che ha chiesto ai democristiani in cambio della non sfiducia. E, infatti, le elezioni del 1977 non lo premiano. Nel gennaio 1978 Berlinguer incontra Aldo Moro, il leader democristiano con cui ha costruito il governo della solidarietà nazionale e gli chiede di agevolare l’entrata dei comunisti al governo. Ma ad opporsi sono in molti: la destra democristiana, il Vaticano, gli amici americani, la destra italiana. E intanto nel paese il terrorismo miete le sue vittime; due mesi dopo le BR rapiscono e uccidono Moro. È la fine della solidarietà nazionale e del progetto di Berlinguer. Il PCI torna all’opposizione.

Nel 1981, in un’intervista a Eugenio Scalfari, Berlinguer accusa la classe politica italiana di corruzione, sollevando la cosiddetta questione morale. Denuncia l’occupazione da parte dei partiti delle strutture dello Stato, delle istituzioni, dei centri di cultura, delle Università, della Rai, e sottolinea il rischio che la rabbia dei cittadini si trasformi in rifiuto della politica. È l’analisi di un grande leader politico che l’11 giugno del 1984 a Padova, mentre conclude la campagna elettorale per le elezioni europee, viene colpito da un ictus. Il suo funerale è stato il più imponente della storia d’Italia, dopo quello di Giovanni Paolo II. A Roma erano milioni i cittadini che lo salutarono l’ultima volta.

Italiani e povertà – Per la Banca d’Italia è record storico… Scusate, ma prima delle Elezioni Gentiloni e Renzi non andavano raccontando che la crisi era finita, che eravamo in piena ripresa e che gli Italiani, finalmente, stavano molto meglio?

 

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Italiani e povertà – Per la Banca d’Italia è record storico… Scusate, ma prima delle Elezioni Gentiloni e Renzi non andavano raccontando che la crisi era finita, che eravamo in piena ripresa e che gli Italiani, finalmente, stavano molto meglio?

 

Italiani e povertà, Banca d’Italia: record storico

Nel 2016 la quota di italiani residenti (quindi nati sia in Italia che all’estero) a rischio di povertà è salita al 23%: si tratta del massimo storico da quando la Banca d’Italia ha iniziato questo tipo di rilevazioni. Il livello di povertà è quello di persone che dispongono di un reddito equivalente inferiore al 60% di quello mediano.

L’analisi fornita da Via Nazionale mostra come rispetto al 2006 la quota di rischio – valutata in base alle caratteristiche del capofamiglia – sia cresciuta (spesso in maniera notevole) per quasi tutte le fasce di età, geografiche e condizione professionale. Unica eccezione i pensionati, la cui percentuale di individui a rischio è scesa dal 19,0% del 2006 al 16,6% del 2016.

In netta salita invece le ‘difficoltà’ per i nuclei con capofamiglia di età inferiore a 35 anni (quota salita dal 22,6 al 29,7%), per chi vive al Nord (dall’8,3 al 15%) e soprattutto per gli immigrati, dove il rischio povertà è balzato dal 33,9 al 55%. Stabile, invece, pur se a livelli molto elevati, la percentuale di rischio povertà al Sud, che rimane al 39,4% (valore pressoché identico a dieci anni prima).

RICCHEZZA – Si confermano le forti disparità di distribuzione della ricchezza delle famiglie italiane. L’indagine di Bankitalia sui loro bilanci mostra infatti come il 30% di famiglie più povere detiene l’1% della ricchezza netta mentre il 5% più ricco ne controlla il 30%.

REDDITO MEDIO – Nel 2016 il reddito equivalente medio delle famiglie italiane è cresciuto del 3,5% rispetto al 2014, interrompendo la caduta, pressoché continua, avviatasi nel 2006. Via Nazionale tuttavia sottolinea come il reddito equivalente resti ancora inferiore di 11 punti percentuali a quello di dieci anni prima. ADNKRONOS

 

fonte: http://www.imolaoggi.it/2018/03/12/italiani-e-poverta-banca-ditalia-record-storico/

Clochard morto a Milano, chiuso nella bara in un sacco della spazzatura. Nient’altro che una tristissima notizia di cronaca, sennonché un’altrettanta tristissima considerazione: ci pensate come ci avrebbero sguazzato i media se fosse successo nella Roma della Raggi?

 

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Clochard morto a Milano, chiuso nella bara in un sacco della spazzatura. Nient’altro che una tristissima notizia di cronaca, sennonché un’altrettanta tristissima considerazione: ci pensate come ci avrebbero sguazzato i media se fosse successo nella Roma della Raggi?

Sì, nient’altro che una tristissima notizia di cronaca come tante altre che tutti i giorni leggiamo. E’ accaduto nella Milano di Sala, ma poteva accadere ovunque… Però la consideranzione, altrettanto triste, è che se fosse avvenuto nella Roma di Raggi la Tv avrebbero avuto materiale per aprire almeno una settimana di Tg…

Sì, è sciacallaggio. Ma non dotemi che non sarebbe andata così…

by Eles

Il clochard morto a Milano, chiuso nella bara dentro al sacco della spazzatura

La moglie denuncia l’ignobile gesto compiuto dal Comune di Milano nei confronti dell’ex marito.

Proviamo pena per loro, per i senzatetto, a volte repulsione, quando li vediamo distesi su cartoni che fanno le veci di un letto, rivestiti da stracci sporchi, coperte che han preso l’odore di tutti quelli che han transitato vicino a quei corpi, che di simile a noi han ben poco che resta. I #clochardsono un po’ dappertutto, cercano riparo lungo i corridoi delle stazioni, nelle gallerie del centro delle nostre città, e se è vero che ci sono i centri di ricovero disposti ad offrir loro un poco di cibo, un riparo, il più delle volte non ci vogliono andare. Sono persone che ad un certo punto della loro vita scelgono l’invisibilità, una gabbia dentro un ruolo inesistente, senza responsabilità, né obblighi alcuni, che magari si nutrono di alcool per stordirsi, che non hanno trovato la forza, in se stessi, di reagire a fatti, o dolori.

Così si muore per strada

Succede che la loro morte spesso avvenga per strada. Anche aMassimiliano è accaduto di andarsene al freddo, deceduto il 27 febbraio a Milano, sotto i portici di via Pisani. Era un senzatetto, uno dei tanti, che aveva una moglie, alla quale è stato chiesto di espletare le pratiche per il funerale dell’ex marito, e che ora si è arrabbiata e dispiaciuta per il trattamento riservato a quest’uomo. D’accordo con il Comune di Milano la donna, Katia Ferrati, ha firmato all’obitorio in piazzale Gorini, nella zona Città Studi, un documento che autorizzava il Comune alla vestizione di Max, il clochard, nel momento in cui il suo corpo si trovava lì, da ricomporre.

La moglie scrive al sindaco Sala

La moglie scrive una lettera aperta al Sindaco di Milano, ritenendolo responsabile di quanto accaduto, seppur conscia del fatto che Sala non ne fosse stato neppure a conoscenza.

Lo ritiene responsabile dell’ignobile gesto compiuto dagli addetti alla preparazione del morto nella bara, nei confronti dell’ex marito. Dopo aver portato i suoi abiti da casa e messi a disposizione del Comune, nel tornare all’obitorio il 3 marzo per dare l’estremo saluto, si è trovata davanti ad una immagine penosa e raccapricciante. L’uomo era ancora sporco, svestito, e avvolto nel sacco di plastica nel quale era stato rinchiuso al momento del trasporto. La donna inoltre contesta al Comune le parole spese a favore dei senzatetto e a quanto si faccia per loro, quando lei si è vista costretta a seppellire Massimiliano dentro ad un sacco nero, come un rifiuto umano, senza aver potuto ovviare a quella situazione, dal momento che ormai era troppo tardi, la bara stava per essere chiusa, e si doveva procedere alla sepoltura. Ora Katia si aspetta una risposta. Che comunque sia, arriverà troppo tardi per rimediare all’accaduto.
fonte: https://it.blastingnews.com/cronaca/2018/03/il-clochard-morto-a-milano-chiuso-nella-bara-dentro-al-sacco-della-spazzatura-002425831.html

Giusto per farvelo capire: Salvini ha tolto “Nord” dal nome del partito solo per prendervi in giro. L’art 1 dello statuto recita ancora perentorio: “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”

 

Salvini

 

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Giusto per farvelo capire: Salvini ha tolto “Nord” dal nome del partito solo per prendervi in giro. L’art 1 dello statuto recita ancora perentorio: “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”

 

Salvini, nel suo Statuto, quello della Lega, all’articolo 1, lascia che sia scritto:

“Lega Nord per l’Indipendenza della Padania” (di seguito indicato come “Lega ”) è un movimento politico confederale costituito in forma di associazione non riconosciuta che ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”

Mattarella come può dare l’incarico della gestione dell’Italia ad un Partito che va contro la stessa costituzione o comunque contro l’interessa dell’Italia intera?
(commento preso dal web)

Qui potete leggere con tutta tranquillità lo statuto della lega:
http://www.leganord.org/phocadownload/ilmovimento/statuto/Statuto.pdf

 

Tratto da:

https://www.facebook.com/150928878308556/photos/a.565882620146511.1073741825.150928878308556/1625408440860585/?type=3&theater

E poi…

Per quelli del sud che pensano di votare Lega: hanno tolto il “Nord” dal simbolo non perché sono meno razzisti ma perché al vecchio partito sequestrano tutto visto che Bossi, candidato al Senato, e company hanno fatto sparire 48 milioni di euro di rimborsi elettorali.

E se Salvini ha candidato Bossi, pluripregiudicato, non è per riconoscenza o affetto ma solo per parargli e pararsi il culo grazie all’immunità parlamentare

Tratto da:

https://twitter.com/sempreciro/status/967696412711575552

…Volevamo solo ricordare che grazie al ripescaggio entrano lo stesso in Parlamento gente che col voto avevamo mandato a cagare tipo: Minniti, Franceschini, Boldrini, Fratoianni, Carfagna, Crosetto, Prestigiacomo, Serracchiani, Fassina, Bersani, Epifani e Sgarbi. Contenti?

 

ripescaggio

 

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…Volevamo solo ricordare che grazie al ripescaggio entrano lo stesso in Parlamento gente che col voto avevamo mandato a cagare tipo: Minniti, Franceschini, Boldrini, Fratoianni, Carfagna, Crosetto, Prestigiacomo, Serracchiani, Fassina, Bersani, Epifani e Sgarbi. Contenti?

 

Elezioni 2018: trombati all’uninominale, salvati dai listini. Eletti De Luca, Fedeli, Pinotti, Orfini, Schifani, Pittella, De Falco.

Mezzo governo uscente, i presidenti di Camera e Senato, dirigenti di lungo corso: il proporzionale salva gli sconfitti nei collegi uninominali. Tra questi: Bersani, Boldrini, Grasso, Franceschini, Minniti, Pinotti, ecc

Bocciati dagli elettori, salvati dalla legge elettorale. Il Rosatellum funziona: da destra a sinistra, moltissimi candidati sconfitti nei collegi uninominali rientreranno in Parlamento dalla porta di servizio del proporzionale. La pattuglia dei ripescati è folta e di prestigio: ministri uscenti, dirigenti di partito, governatori, ex segretari, presidenti di Camera e Senato, politici di lunghissimo corso. Beffati, invece, coloro che per temerarietà o troppa sicurezza in se stessi hanno preferito non avere il paracadute. Un nome su tutti: Massimo D’Alema. L’ex premier non ha voluto un posto nel listino bloccato ed è fuori, a differenza di tutto lo stato maggiore di Liberi e Uguali. Sono stati eletti al proporzionale, infatti, sia il leader Pietro Grasso (presidente uscente del Senato), sia Laura Boldrini (presidente uscente della Camera), sia Pier Luigi Bersani, una delle menti della scissione dal Pd nonché ex segretario democratico. Identico discorso per Roberto Speranza, sconfitto all’uninominale in Basilicata ed eletto alla Camera grazie al recupero del collegio plurinominale toscano, dove era capolista in tre collegi su 4. Eletto anche Nicola Fratoianni, sconfitto a Pisa, ma salvato dal listino in Piemonte.

Il ripescaggio al proporzionale, del resto, mostra le conseguenze più evidenti proprio nel partito che ha conseguito i risultati peggiori. Grazie ai listini bloccati, infatti, il Pd può ripescare buona parte dei suoi pezzi da novanta. E pazienza se gli elettori li hanno sonoramente bocciati nei collegi uninominali. Così possono sorridere (seppur amaramente) i vari Dario Franceschini, Marco Minniti, Valeria Fedeli e Roberta Pinotti (ministri uscenti), il presidente del partito Matteo Orfini, la governatrice del Friuli Deborah Serracchiani. Stessa sorte per altri esponenti dem di peso: rientrano dalla porta di servizio Sandra Lonardo (moglie di Clemente Mastella), il figlio del governatore campano Piero De Luca, il socialista Gianni Pittella, fratello del governatore della Basilicata. Anche nomi pescati dalla società civile rientrano in lizza: eletti sia Paolo Siani (fratello del giornalista del Mattino ucciso dalla camorra) e Lucia Annibali, sconfitta all’uninominale a Parma. Va a Montecitorio anche il sindaco di Calcinaia Lucia Ciampi (che era stata sconfitta all’uninominale a Pisa dal leghistaEdoardo Ziello) e il sottosegretario all’Interno, Cosimo Maria Ferri, che era uscito perdente nel confronto al collegio uninominale a Massa contro l’azzurra Deborah Bergamini. A Palazzo Madama anche il renziano Andrea Marcucci, che ha perso a Lucca contro il forzista Massimo Mallegni, e Caterina Bini(che a Pistoia ha perso contro Patrizio la Pietra di Fratelli d’Italia).

Per quanto riguarda gli altri partiti, Michaela Biancofiore, sconfitta nel duello con Maria Elena Boschi nell’uninominale a Bolzano, risulta invece eletta per Forza Italia nel proporzionale nel collegio di Piacenza-Parma-Reggio Emilia. Sempre in Forza Italia, salvati dal paracadute anche Vittorio Sgarbi (surclassato da Luigi Di Maio ad Acerra) e l’ex presidente del Senato Renato Schifani. Per quanto riguarda M5s, eletti il capitano Gregorio De Falco e il giornalista Gianluigi Paragone. La Lega di Salvini, invece, recupera l’economista Alberto Bagnai (sconfitto a Firenze da Matteo Renzi) e Claudio Borghi (battuto dal ministro Padoan a Siena).

tratto da: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/06/elezioni-2018-trombati-alluninominale-salvati-dai-listini-eletti-de-luca-fedeli-pinotti-orfini-schifani-pittella-de-falco/4207257/

Comunque Forza Italia ha bruciato tutti, perfino il Pd: è suo il primo indagato della nuova legislatura, dopo soli 3 giorni dal voto!

Forza Italia

 

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Comunque Forza Italia ha bruciato tutti, perfino il Pd: è suo il primo indagato della nuova legislatura, dopo soli 3 giorni dal voto!

Sardegna, indagato l’ex governatore Cappellacci. È il primo politico sotto inchiesta della nuova legislatura

L’indagine in cui è coinvolto l’esponente di Forza Italia ipotizza i reati di corruzione, peculato e truffa e ruota su un finanziamento pubblico da 750mila euro destinato alla Fm Fabbricazioni metalliche – sul cui fallimento stava già indagando la magistratura cagliaritana – che per gli inquirenti sarebbe stato concesso solo grazie a pressioni politiche.

Sconfitto all’uninominale dal candidato del Movimento 5 stelle, ripescato alla Camera grazie al proporzionale e finito nuovamente sotto inchiesta. L’ex governatore della Sardegna, Ugo Cappellacci, è indagato dalla procura di Cagliari. L’inchiesta in cui è coinvolto l’esponente di Forza Italia ipotizza i reati di corruzionepeculato e truffa ed è nata da un fascicolo per bancarotta aperto dai sostituti procuratori Emanuele Secci e Diana Lecca. In queste ore alcuni dei nove indagati, tra i quali oltre a Cappellacci c’è anche la consigliera regionale di Forza Italia, Alessandra Zedda, stanno ricevendo le notifiche di proroga di indagine chieste già a novembre dai due magistrati inquirenti.

L’ex governatore sardo è iscritto nel registro degli indagati nella sua qualità di commercialista – come anticipato da un quotidiano locale – insieme con i colleghi di studio Antonio Graziano Tilocca e Piero Sanna Randaccio. Nessun atto dalla procura sarebbe comunque ancora arrivato a Cappellacci, ha fatto sapere all’Ansa il suo difensore, l’avvocato Guido Manca Bitti.

L’indagine dei pm Secci e Lecca, entrambi del pool dei reati finanziari, ruota su un finanziamento pubblico da 750mila euro destinato alla Fm Fabbricazioni metalliche – sul cui fallimento stava già indagando la magistratura cagliaritana – che per gli inquirenti sarebbe stato concesso solo grazie a pressioni politiche. Un’operazione che – sempre secondo la tesi al vaglio degli investigatori – risalirebbe al 2013 e avrebbe anche fatto maturare una tangente da 80mila euro a Cappellacci per il proprio intervento. Secondo i magistrati, in pratica, l’azienda non aveva i requisiti per ottenere qul finanziamento da 750mila euro e lo aveva ottenuto solo grazie alla pressione di chi all’epoca governava la Regione.

L’inchiesta, inoltre, si sta concentrando sull’attività della società d’investimenti Zernike Meta Venture capital spa, molto attiva nell’isola, vincitrice di un bando Por all’epoca dell’amministrazione regionale guidata proprio da Cappellacci per la gestione di 17 milioni destinati a imprese innovative. Non è la prima volta che l’ex presidente sardo viene coinvolto in guai giudiziari. È stato condannato in primo grado a 2 anni e 6 mesi per il crac Sept. In appello la Corte dei conti gli ha chiesto 220mila euro per il licenziamento del capo ufficio stampa della Regione.

 

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/07/sardegna-indagato-lex-governatore-cappellacci-e-il-primo-politico-sotto-inchiesta-della-nuova-legislatura/4209536/

Meridionali in coda per il reddito di cittadinanza: COME SI INVENTA UNA FAKE-NEWS? Basta avere un partito retto da miserabili ciarlatani che lo hanno portato dal 40% al 18%, qualche giornale che obbedisce agli ordini e un po’ di coglioni che ci credono!

 

FAKE-NEWS

 

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Meridionali in coda per il reddito di cittadinanza: COME SI INVENTA UNA FAKE-NEWS? Basta avere un partito retto da miserabili ciarlatani che lo hanno portato dal 40% al 18%, qualche giornale che obbedisce agli ordini e un po’ di coglioni che ci credono!

Come si costruisce una fakenews, ovvero una falsa notizia? Oggi il quotidiano Il Mattino ha pubblicato un pezzo che va davvero oltre! Lo potremo definire un vero e proprio manuale delle bufale…esaminiamolo assieme e vediamo quali caratteristiche essenziali occorrono per diffondere una bufala, una balla gigantesca.

1) Fai un titolo che includa la categoria che vuoi colpire, possibilmente cerca di usare il termine più dispregiativo che puoi “i grillini” in questo caso va bene

2) Dai il senso che ci sia un problema nel paese. In questo caso il problema è che “hanno vinto”, ora sottolinea un disagio che deriva da questo evento “in fila nei CAF” “casi in Puglia e in Sicilia”

3) Fai in modo che la protesta sia evidente crea passaggi con citazioni : «Ma come», questa la protesta: «È ancora tutto in alto mare?». Ma certo. Il governo ancora non c’è, ammesso che ci sarà mai.

4) Usa un’immagine evocativa di ciò che vuoi rappresentare, una bella fila è quello che ci vuole in questo caso, metti in modo chiaro la descrizione di ciò che sta avvenendo : “Le code Uno dei Caf presi d’assalto per ottenere il reddito di cittadinanza”

Usa anche un’immagine falsa come questahttp://bit.ly/2FoJcQT basta che poi la ritagli un po, in modo che non si veda che si tratti di un ufficio postale anziché di un Caf.

5) Concludi lasciando un senso di sconforto, fai sembrare che tutto vada male e che tutti siano contro il M5S, quindi usa il nome delle altre forze politiche, fa che siano ben visibili e che siano tutti contro di loro, butta in mezzo i migranti e Napoli che fanno sempre colpo.

Non ce la fanno ragazzi, hanno accusato un duro colpo e ancora oggi non hanno capito che gli italiani sono stufi di essere presi in giro e di essere trattati come stupidi.
Era proprio vero che loro non si arrenderanno mai, ma noi neppure ✌️

Guarda anche il video :
TG3, Smentita la bufala del CAF preso d’assalto per il Reddito di Cittadinanza, solo normali richieste di informazioni.
https://www.facebook.com/vilmamoronese.it/videos/1915033561901601/

Leggi anche :
Meridionali in coda per il reddito di cittadinanza: come il Pd inventa una fake-news
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/09/meridionali-in-coda-per-il-reddito-di-cittadinanza-come-il-pd-inventa-una-fake-news/4214199/

 

di: Vilma Moronese Cittadina Senatrice M5S