Migrante incinta e malata terminale, respinta alla frontiera francese. A Torino la curano, ma muore dopo il parto. Questo per confermare perché i francesi riescono a starmi così tanto sui coglioni!

 

Migrante

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Migrante incinta e malata terminale, respinta alla frontiera francese. A Torino la curano, ma muore dopo il parto. Questo per confermare perché i francesi riescono a starmi così tanto sui coglioni!

La legge saràanche la legge, ma o francesi fanno proprio tutto, ma proprio tutto per starmi sui coglioni…

Preciso è una mia idea personale ma…

 

INCINTA VIENE RESPINTA AL CONFINE CON LA FRANCIA: MUORE DOPO IL PARTO, A TORINO

Ha dato alla luce un bimbo che alla nascita pesava 700 grammi e che ora prosegue la sua battaglia per la vita nella terapia intensiva neonatale del Sant’Anna, ma non ce l’ha fatta la mamma 31enne di origine nigeriana, respinta alla frontiera di Bardonecchia dalle autorità francesi.

La donna, soccorsa lo scorso 9 febbraio scorso dai volontari di ‘Rainbow4Africa’ davanti alla stazione ferroviaria, è stata trasferita al Sant’Anna dove i medici hanno scoperto che era incinta ma anche affetta da una grave forma di linfoma in fase terminale.

PARTO – E’ quindi scattata la gara di solidarietà che ha coinvolto il Sant’Anna e le Molinette per cercare di salvare almeno il piccolo. La donna è stata infatti ricoverata in ostetricia per la gestione della gravidanza e curata da un’équipe di ematologi per alcune settimane. Poi l’aggravarsi delle sue condizioni hanno reso obbligatorio il ricovero in rianimazione, dove due giorni dopo, il 15 marzo, è stata sottoposta a cesareo per far nascere il bimbo alla 29esima settimana di gestazione. Ora il piccolo pesa 900 grammi.

”Quello che tutte le sere di verifica al confine con la Francia è molto doloroso – spiega all’AdnKronos il presidente di ‘Rainbow4Africa’, Paolo Narcisi, medico e fondatore della ong nata nel 2009 tra medici del Cto di Torino – mentre la gente sia sul versante italiano sia su quello francese ci aiuta e si adopera per prestare soccorso ai migranti che cercano di passare il confine, la gendarmeria francese preferisce chiudere i cancelli senza tener conto di uno dei diritti fondamentali, quello alla vita e alla salute”.

Eccone uno che sicuramente farà carriera in politica: Cecconi, impresentabile del M5s (faceva finta di restituire i rimborsi con bonifici che poi revocava). Si era impegnato per iscritto a dimettersi se eletto, ma si rimangia la promessa… Tanto rivoltante, che non si schioderà più dalla poltrona…!

 

politica

 

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Eccone uno che sicuramente farà carriera in politica: Cecconi, impresentabile del M5s (faceva finta di restituire i rimborsi con bonifici che poi revocava). Si era impegnato per iscritto a dimettersi se eletto, ma si rimangia la promessa… Tanto rivoltante, che non si schioderà più dalla poltrona…!

 

Rimborsopoli M5S, Cecconi non rinuncia al seggio: “Il documento di Di Maio? Carta da culo”

Coinvolto nello “scandalo Rimborsopoli”, l’ex pentastellato Andrea Cecconi promise di rinunciare alla candidatura e firmò il documento impostogli da Luigi Di Maio. A poche settimane dalle elezioni, il deputato però pare aver cambiato idea: “Ho firmato con Luigi un impegno che prevedeva le mie dimissioni una volta eletto, ma poi ho anche chiamato una mia amica in Cassazione e lei mi ha detto che quel documento lo posso anche cestinare. Insomma, è carta da culo”.

Pochi mesi fa venne coinvolto nello scandalo “Rimborsopoli” e firmò una dichiarazione di intenti promettendo di rinunciare al seggio parlamentare in caso di elezione. Ma l’ex pentastellato Andrea Cecconi pare aver cambiato idea e nonostante la promessa, oggi fa dietrofront e dichiara che non rinuncerà affatto al suo seggio e sembra inoltre non intenzionato a presentare le dimissioni da parlamentare perché quel documento impostogli da Luigi Di Maio sarebbe “carta da culo”. Nella prima giornata della nuova legislatura, il deputato Cecconi spiega infatti ai cronisti: “Ho firmato con Luigi un impegno che prevedeva le mie dimissioni una volta eletto, ma poi ho anche chiamato una mia amica in Cassazione e lei mi ha detto che quel documento lo posso anche cestinare. Insomma, è carta da culo. Io posso anche presentarle le mie dimissioni, ma devono essere votate dalla Camera e questo non accadrà mai, lo sappiamo tutti”. Cecconi, insieme al senatore Carlo Martelli, fu tra i primi esponenti pentastellati coinvolti nell’inchiesta condotta da Le Iene. Stando a quanto documentato da Filippo Roma e successivamente acclarato dai controlli effettuati da Luigi Di Maio, Andrea Cecconi aveva trattenuto per sé circa 21.000 euro di rimborsi spese facendo finta di bonificare la somma al fondo per il microcredito istituito presso il Mef e successivamente revocando la disposizione.

Scoperto da Le Iene grazie a una fonte anonima, Cecconi ha provveduto a saldare l’ammanco e a promettere la rinuncia al seggio: “Per mettermi in regola con le restituzioni. Il ritardo è stato dovuto a motivi di natura personale che penso che nessuno possa essere in grado di giudicare. Ho rinunciato a 75.000 euro di rimborsi e restituito quasi 120.000 euro in questi anni, e questo nessuno può togliermelo, so però di aver fatto una mancanza nei confronti degli iscritti del MoVimento 5 Stelle, anche se la mia coscienza è pulitissima perché ho restituito fino all’ultimo centesimo come promesso. I probiviri decideranno sul procedimento disciplinare nei miei confronti e sulla sanzione da comminare. Sono sereno e accetterò ciò che stabiliranno. In ogni caso vi comunico che ho già deciso di rinunciare alla mia elezione. Il 4 marzo cederò il passo e andranno avanti gli altri candidati che trovate nel listino”, scrisse su Facebook poche settimane fa. Ora però pare aver cambiato idea.

Fonte: https://www.fanpage.it/rimborsopoli-m5s-cecconi-non-rinuncia-al-seggio-il-documento-di-di-maio-carta-da-culo/

23-24 marzo 1944, 335 martiri nella cava alle Fosse Ardeatine – Una lapide eterna di orrore sul nazifascismo!

 

Fosse Ardeatine

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

23-24 marzo 1944, 335 martiri nella cava alle Fosse Ardeatine – Una lapide eterna di orrore sul nazifascismo!

Raccontate questo a quei coglioncelli che vanno dicendo “hanno fatto anche cose buone…”

24 marzo 1944, 335 martiri nella cava alle Fosse Ardeatine

Nell’eccidio delle Fosse Ardeatine morirono 335 italiani. Fu un’azione punitiva, la rappresaglia in seguito all’attacco dei partigiani alle truppe tedesche in via Rasella. Un massacro delle cui dimensioni ci si rese conto solo nel dopoguerra, quando furono recuperati e identificati i corpi delle vittime.

Il 23 marzo 1944, 17 partigiani fecero esplodere un ordigno in via Rasella, a Roma, mentre passava una colonna di militari tedeschi. Nell’attentato vennero uccisi 32 militari, mentre altri 10 soldati morirono nei giorni successivi. Nell’esplosione morirono anche due civili italiani. La sera del 23 marzo, il comandante della polizia e dei servizi di sicurezza tedeschi a Roma, il tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, insieme al comandante delle forze armate della Wermacht di stanza nella capitale, il generale Kurt Malzer, disposero che l’azione di rappresaglia consistesse nella fucilazione di dieci italiani per ogni soldato tedesco ucciso, e suggerirono che le vittime venissero selezionate tra i condannati a morte detenuti nelle prigioni di Regina Coeli e via Tasso. Il generale Eberhard von Mackensen – la cui giurisdizione comprendeva anche Roma – approvò la proposta.

Il luogo scelto per l’esecuzione fu una cava di tufo dismessa sulla via Ardeatina, a un passo dalle catacombe cristiane. La cava fu ritenuta idonea per poter eseguire la rappresaglia in segreto ed essere utilizzata come fossa comune dove occultare i cadaveri.

Il numero dei prigionieri che erano già stati condannati a morte, però, non era sufficiente. Per questa ragione, i nazisti aggiunsero alla lista altri detenuti, molti dei quali arrestati per motivi politici, altri sospettati di aver preso parte ad azioni della Resistenza, 57 cittadini ebrei, molti dei quali erano detenuti nel carcere romano di Regina Coeli, ed alla fine anche alcuni civili fermati per caso nelle vie di Roma.

Il giorno seguente, agli ordini dei capitani delle SS Erich Priebke e Karl Hass, i camion caricarono tutti gli artestati, 335 e tutti uomini, e li portarono alle cave dove fu compiuto il massacro.

Il più anziano tra gli uccisi aveva poco più di settant’anni, il più giovane quindici. Quando le vittime vennero radunate all’interno delle cave, Priebke e Hass si accorsero che erano 335 anziché 330. Le SS però decisero che rilasciare quei 5 prigionieri avrebbe potuto compromettere la segretezza dell’azione e quindi decisero di ucciderli insieme agli altri. I prigionieri selezionati furono condotti all’interno delle grotte con le mani legate dietro la schiena. Già prima di raggiungere il luogo dell’esecuzione, Priebke e Hass avevano deciso di non utilizzare il metodo tradizionale del plotone di esecuzione; ai militari incaricati di far fuoco venne ordinato di occuparsi di una vittima alla volta e di sparare da distanza ravvicinata, in modo da risparmiare tempo e munizioni.

Gli ufficiali nazisti portarono quindi i prigionieri all’interno delle fosse, obbligandoli a disporsi in file di cinque legati tra loro e a inginocchiarsi; lì li uccisero uno a uno con un colpo alla nuca. Quando il massacro ebbe termine, Priebke e Hass ordinarono ai militari del genio di chiudere l’entrata delle fosse facendola saltare con l’esplosivo.

Qualcuno sentì le esplosioni, altri raccontarono di aver visto qualcosa: iniziò a diffondersi la voce dell’eccidio. L’unica informazione a riguardo arrivò da un trafiletto del Messaggero: “Il comando tedesco ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato, 10 criminali comunisti badogliani verranno fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito”.

Chi fossero le vittime e dove precisamente fossero seppellite non era dato sapere. Nei giorni e nei mesi successivi, però, i familiari di prigionieri scomparsi si recarono alle cave dove lasciarono fiori e messaggi dedicati ai loro cari, pur non avendo la certezza che fossero sepolti lì. Solo dopo la guerra le cave furono aperte e si potè procedere all’identificazione dei corpi delle vittime.

 

 

Gli ultimi dati Eurostat – Lavoriamo sempre più e guadagniamo sempre meno! Peggio di noi solo Romania, Spagna e Grecia… Eppure qualcuno fino a ieri, in campagna elettorale, ci pigliava per i fondelli con una fantomatica “ripresa”…

Eurostat

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Gli ultimi dati Eurostat – Lavoriamo sempre più e guadagniamo sempre meno! Peggio di noi solo Romania, Spagna e Grecia… Eppure qualcuno fino a ieri, in campagna elettorale, ci pigliava per i fondelli con una fantomatica “ripresa”…

 

Lavoriamo sempre più e guadagniamo sempre meno, peggio dell’Italia solo Romania, Spagna, e Grecia

Ultimi dati Eurostat sulla povertà in Europa. Un operaio su dieci è a rischio povertà e, in media, tre figli di migranti su 10 rischiano l’indigenza. L’Italia si colloca agli ultimi posti: peggio di noi Romania, Spagna e Grecia.

Questa settimana, Eurostat ha pubblicato nuovi dettagli e dati aggiornati relativi al problema della povertà in Europa. In particolare, l’istituto statistico europeo ha rilasciato i numeri relativi al rischio-povertà dei minori con trascorsi migratori in famiglia e dei cosiddetti “working poor”, ovvero lavoratori e lavoratrici che non sfuggono alla trappola della povertà, pur essendo impiegati.

In media, il 35 per cento dei minori che provengono da famiglie composte da almeno un genitore con trascorsi migratori rischia di ritrovarsi in una situazione di povertà. Per i figli di autoctoni, la percentuale scende, in media, al 18 per cento. La differenza di prospettiva è particolarmente marcata in Svezia dove il rapporto è di 1 a 6. L’Italia si colloca alla sesta posizione nella classifica dei tassi di rischio di povertà dei minori con background migratorio. Ai primi posti, e in ordine decrescente, ci sono Svezia, Spagna, Lituania, Slovenia e Francia. Eppure, il differenziale, non gioca sempre a sfavore dei minori figli di migranti. In Polonia, Bulgaria e Ungheria, sono i minori delle famiglie autoctone a soffrire un maggiore rischio di povertà.

Per quanto riguarda i rischi di povertà tra gli occupati, nel 2016, quasi 1 impiegato su 10 nell’Ue era a rischio di povertà lavorativa. Come scrive Eurostat, il rischio è “fortemente influenzato dal tipo di contratto di lavoro in essere”. Tra gli impiegati part-time il rischio di povertà raddoppia (15,8 per cento) rispetto alla forza lavoro a tempo pieno (7,8). Allo stesso tempo, chi ha un contratto a tempo determinato è quasi tre volte più a rischio povertà di quanto non lo sia un indeterminato (rispettivamente, 16,2 e 5,8 per cento).

Nella classifica dei Paesi con i tassi più alti di “lavoratori poveri”, l’Italia si classifica al 5 posto (11,7 per cento), al seguito (in ordine decrescente) di Romania, Grecia, Spagna e Lussemburgo. Il Belpaese figura anche tra i Paesi con l’incremento più alto del tasso dal 2010 a oggi (+2,2 per cento). Peggio, hanno fatto Ungheria (+4,3), Bulgaria (+3,7), Estonia (+3,1) e, seppur di poco, la Germania (+ 2,3).

 

 

fonte: http://www.linkiesta.it/it/article/2018/03/22/lavoriamo-sempre-piu-e-guadagniamo-sempre-meno-peggio-dellitalia-solo-/37518/

L’ultimo colpo di coda del più squallido governo della nostra storia – Ricordate il Cnel, quello che Renzi voleva abolire? Gli Zombi di questo esecutivo ormai delegittimato si affrettano a “spartirselo” con la nomina di 48 nuovi consiglieri!

 

Cnel

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

L’ultimo colpo di coda del più squallido governo della nostra storia – Ricordate il Cnel, quello che Renzi voleva abolire? Gli Zombi di questo esecutivo ormai delegittimato si affrettano a “spartirselo” con la nomina di 48 nuovi consiglieri!

Leggi anche: 

MISTERI DELLA POLITICA: il Cnel, l’ente che non doveva esistere più, è vivo e vegeto e nomina 48 nuovi consiglieri. Il provvedimento firmato dalla Boschi, quella che si sarebbe dovuta ritirare dalla politica perchè non è riuscita ad abolire il Cnel…!!

Così resuscita il Cnel: al via le nomine di 48 consiglieri

Mercoledì il Consiglio dei ministri dovrebbe dare il suo assenso alla nomina dei 48 nuovi consiglieri del Cnel

Già da alcuni mesi è operativo il nuovo presidente, l’ex ministro Tiziano Treu e mercoledì il Consiglio dei ministri dovrebbe dare il suo assenso alla nomina dei 48 consiglieri indicati dai sindacati e dalle associazioni dei datori di lavoro.

Si trattarebbe di 7 rappresentanti della Cgil, di 6 di Confindustria e Cisl, 3 della Uil più di una lunghissima lista di organizzazioni d’ ogni genere con un solo candidato che andrebbero a ricostituire l’ assemblea del Cnel scaduta ormai da anni. Ma, spiega il Messaggero, bisognerà aspettare perché i membri del parlamentino del Cnel possano entrare a Villa Lubin, la splendida sede del Consiglio nel cuore di Roma. La procedura prevede, infatti, che le nomine passino per il consiglio dei Ministri ma vengano poi rese definitive dalla Presidenza della Repubblica. Questi 48 membri sono in attesa di nomina già da nove mesi, quando erano stati designati dalle rispettive organizzazioni, ma, poi, sono arrivate altre proposte di nomine da associazioni di datori di lavoro che nel parlamentino del Cnel non erano mai entrate. Pare infatti che le richieste di posti abbiano superato quota 100 rispetto ai 48 disponibili e ne è nato uno strano caso giudiziario, curato dall’ Avvocatura dello Stato, fatto di ricorsi e controricorsi fra le varue associazioni delle imprese. Poi le elezioni Politiche hanno bloccato tutto e, nel frattempo, è stato firmato un accordo fra i sindacati confederali e la Confindustria, la quale ha accettato di certificare il proprio livello di rappresentanza esattamente come i sindacati dei lavoratori. Villa Lubin, oggi, dispone di appena 4-5 milioni per il 2018 e, se un tempo un consigliere del Cnel poteva contare su una indennità di 20/25 mila euro l’ anno, adesso non ha nessuno stipendio. In compenso la Finanziaria dell’ anno scorso ha dato la possibilità, prima negata, di ottenere il rimborso delle spese di trasporto e di vitto per i consiglieri che non abitano a Roma purché presenti alle sessioni del parlamentino.

tratto da: http://www.ilgiornale.it/news/politica/cos-resuscita-cnel-nomine-48-consiglieri-1506800.html

Caso Regeni, lo sfogo del Pm Zucca, giudice del processo sui fatti della Diaz: I torturatori del G8 di Genova sono ai vertici della nostra Polizia. Con che faccia possiamo chiedere all’Egitto di consegnarci i loro torturatori?

 

Regeni

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Caso Regeni, lo sfogo del Pm Zucca, giudice del processo sui fatti della Diaz: I torturatori del G8 di Genova sono ai vertici della nostra Polizia. Con che faccia possiamo chiedere all’Egitto di consegnarci i loro torturatori?

 

Regeni, il pm Zucca: “I torturatori del G8 ai vertici della nostra polizia. Come possiamo chiedere quelli dell’Egitto?”

“Lo sforzo che chiediamo a un paese dittatoriale è uno sforzo che abbiamo dimostrato di non saper far per vicende meno drammatiche”, ha detto il sostituto procuratore generale ligure, già giudice del processo sui fatti della Diaz, intervenendo allo stesso dibattito sulla difesa dei diritti internazionali al quale hanno partecipato anche i genitori del ricercatore torturato e ucciso. “Siamo stati abbandonati”, ha detto la madre di Giulio.

torturatori del G8 di Genova sono ai vertici della nostra polizia. Come possiamo dunque chiedere all’Egitto di consegnarci i torturatori di Giulio Regeni? È questo il senso dell’intervento di Enrico Zucca, sostituto procuratore generale di Genova, durante un dibattito dedicato alla vicenda del ricercatore italiano torturato e assassinato in Egitto il 3 febbraio del 2016.  “I nostri torturatorisono ai vertici della polizia, come possiamo chiedere all’Egitto di consegnarci i loro torturatori?”, ha detto il magistrato che conosce bene gli orrori del G8 del 2001 essendo stato tra i magistrati del processo per i fatti della scuola Diaz. “L’11 settembre 2001 e il G8 – ha continuato Zucca- hanno segnato una rottura nella tutela dei diritti internazionali. Lo sforzo che chiediamo a un paese dittatoriale è uno sforzo che abbiamo dimostrato di non saper far per vicende meno drammatiche“.

I genitori: “Abbandonati dallo Stato”- Un intervento duroquello del sostituto procuratore generale ligure, finito all’attenzione del ministero della giustizia. Via Arenula, infatti, acquisirà gli atti relativi alle dichiarazioni di Zucca al dibattito sulla difesa dei diritti internazionali organizzato dall’ordine degli avvocati a Genova. Evento al quale hanno partecipato anche i genitori di Regeni. “Ho fiducia nella legge, negli avvocati bravi e nella stampa buona e abbiamo tanta solidarietà dai social. Ci aspettavamo di più da chi ci governa: dal 14 agosto quando il premier Gentiloni ci ha annunciato che l’ambasciatore tornava in Egitto, siamo stati abbandonati“, ha detto Paola Regeni, madre di Giulio. “Siamo decisi ad andare avanti anche a piccoli passi. Combattiamo per Giulio ma anche per tutti quelli che possono trovarsi in situazioni simili a quelle che lui ha vissuto”, ha aggiunto il padre Claudio.  Alessandra Ballerini, avvocato della famiglia, ha invece ricostruito i depistaggi e la vicenda: “il corpo di Giulio parla da solo e si difende da solo. Siamo arrivati a nove nomi delle forze di polizia implicati”.

Il ritorno dell’ambasciatore  al Cairo e le indagini – Era il 9 novembre 2017, quando il ministro degli Esteri Angelino Alfano annuncia il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo. “Siamo convinti che il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi sia un interlocutore appassionato nella ricerca della verità“. La decisione di riaprire le relazioni diplomatiche con l’Egitto, ricordava nel dicembre scorso la famiglia di Regeni, “seguiva di pochi minuti il comunicato congiunto delle procure italiana ed egiziana nel quale si riferiva che: ‘come preannunciato sempre nel maggio scorso, è stata poi effettivamente affidata ad una società l’attività di recupero dei video della metropolitana e le attività stesse sono in corso. La Procura egiziana ha ribadito l’impegno a condividere i risultati raggiunti non appena la società incaricata depositerà l’esito del proprio lavoro’; e si dava atto di aver ‘concordato un nuovo incontro tra i due uffici da organizzarsi a breve per fare assieme il punto della situazione’. In realtà – ricordava ancora i Regeni  – i video della metropolitana non sono mai stati consegnati e, ad oggi, non si sa neppure se qualche e quale ditta sia stata incaricata del loro recupero. L’incontro tra le due procure poi, diversamente da quanto annunciato, non si è tenuto a breve, ma solo a fine dicembre su insistenza dei nostri procuratori che hanno consegnato ai colleghi egiziani ‘una articolata e attenta ricostruzione dei fatti, effettuata dalla Polizia Giudiziaria italiana’. La Procura generale egiziana si era impegnata, come si legge nel comunicato del 21 dicembre scorso a ‘proseguire le indagini, sulla base anche delle ipotesi investigative formulate dai magistrati italiani’“. Da allora – continuava la famiglia di Giulio  – “non è stata registrata in realtà nessuna ‘reazione’ da parte della magistratura egiziana sulla informativa italiana che ricostruisce le precise responsabilità di nove funzionari di pubblica sicurezza egiziani perfettamente individuati. Sono passati, da quel 14 agosto, altri sei mesi.

L’intervento del giudice del G8 – Ma d’altra parte, come dice il pm Zucca, se i torturatori del G8 di Genova come si fa a chiedere all’Egitto di consegnarci i loro di torturatori? Già in passato, e più volte, il pm Zucca aveva duramente criticato l’operato della polizia con riferimento ai fatti di Genova: in particolare, in un dibattito pubblico aveva parlato di una “totale rimozione” delle vicende del G8 e del rifiuto per anni da parte della polizia italiana, diversamente da quella straniere, di “leggere se stessa” per “evitare il ripetersi” di errori. Immediata era stata la reazione dell’allora capo della polizia, Alessandro Pansa che, d’intesa col ministro dell’Interno dell’epoca – che era sempre Alfano – aveva lamentato la lesione dell’onorabilità della polizia, chiedendo al guardasigilli Andrea Orlando l’avvio di un’azione disciplinare nei confronti di Zucca Magistratura Democratica e la giunta dell’Anm si erano schierate in difesa del pm (‘a tutelà del quale era stata anche chiesta l’apertura di una pratica al Csm), sottolineando come il suo ragionamento non aveva inteso mettere in discussione l’onorabilità della polizia.

Poliziotti condannati e promossi – I riferimenti del magistrato sono da ricercare nei recenti articoli di cronaca. Come quello del 24 dicembre scorso, quando  Gilberto Caldarozzi era stato nominato vicedirettore della Direzione Investigativa Antimafia. Per i fatti della Diaz venne condannato a tre anni e otto mesi in via definitiva. L’accusa era quella di falso: mise la firma nei verbali che attestavano l’esistenza di prove fasulle usate per accusare ingiustamente le persone picchiate all’interno della scuola diGenova, durante il G8 del 2001. Assolto in primo grado nel novembre 2008 dopo 172 udienze, Caldarozzi viene condannato in appello nel maggio 2010 dopo altre 18 udienze: poi su quella condanna arriva il bollo della Cassazione il 5 luglio 2012. Ai tempi del G8 era il più alto in grado, subito dopo Francesco Gratteri, anche lui condannato e promosso prefetto prima di andare in pensione. Considerato un investigatore esperto (ha fatto parte dei gruppi che hanno arrestato boss di Cosa nostra come Bernardo Provenzano e Nitto Santapaola) prima dei fatti della Diaz Caldarozzi dirigeva lo Sco, il servizio centrale operativo della polizia all’epoca guidata da Gianni De Gennaro. Dopo la condanna venne interdetto per cinque anni. Un lustro trascorso lavorando per una banca ma anche come consulente per la sicurezza da Finmeccanica, chiamato sempre dal suo ex capo De Gennaro. Nel 2014 Cassazione scrisse nelle motivazioni sul rigetto del suo affidamento ai servizi sociali: “Si è prestato a comportamenti illegali di copertura poliziesca propri dei peggiori regimi antidemocratici“. Ora scaduta l’interdizione torna a vestire la divisa. E occupando un ruolo prestigioso.  A fare l’elenco degli altri poliziotti coinvolti nei fatti della Diaz e poi promossi è stato sul Fatto Quotidiano Ferruccio Sansa. Quando nel luglio 2012 la Cassazione conferma le pesanti condanne di appello per falso (quell salvate dalla prescrizione a differenza delle lesioni gravi) Gratteri eri capo della Direzione centrale anticrimine,  Giovanni Luperi era capo-analista dell’Aisi (il servizio segreto interno). Filippo Ferri, figlio di Enrico (l’ex ministro socialdemocratico) e fratello di Cosimo (sottosegretario alla Giustizia), guidava la squadra mobile di Firenze. Ancora: Fabio Ciccimarra, capo della squadra mobile de L’Aquila, o Spartaco Mortola capo della polfer di Torino. Nel frattempo l’Italia ha persino approvato una nuova legge contro la tortura, criticata dagli stessi magistrati dei processi di Genova. “Con questa legge la Diaz e Bolzaneto non sarebbero punite”, era il commento del magistrato Roberto Settembre.

 

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/20/regeni-il-pm-zucca-torturatori-del-g8-ai-vertici-della-nostra-polizia-come-possiamo-chiedere-quelli-dellegitto/4240274/

Care donne, non fatevi prendere per i fondelli da questi ignobili cacciatori di consensi… Martina, Pd: “contro femminicidio azioni forti: arresto per gli stalker… Bello vero? Ma solo perchè non ricordate che proprio il Pd ha depenalizzato il reato, punendo lo stalking con una semplice multa!!

 

femminicidio

 

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Care donne, non fatevi prendere per i fondelli da questi ignobili cacciatori di consensi… Martina, Pd: “contro femminicidio azioni forti: arresto per gli stalker… Bello vero? Ma solo perchè non ricordate che proprio il Pd ha depenalizzato il reato, punendo lo stalking con una semplice multa!!

 

Idiota o in malafede?

Maurizio Martina: “In Italia viene uccisa una donna ogni 60 ore. È una strage continua. Dobbiamo reagire tutti subito. Occorrono azioni forti, a partire anche dall’introduzione dell’arresto obbligatorio per chi maltratta e per gli stalker”

Rinfrescatevi la memoria:

Da La Stampa del 26.06.2017

“Lo stalking si potrà risarcire con una multa”. Polemica sul ddl penale. Il Pd: allarme infondato

La denuncia dei sindacati: «Donne tradite dallo Stato due volte»

«Lo Stato non può tradire le donne due volte, prima esortandole a denunciare e poi archiviando le denunce, o peggio, a depenalizzare il reato di stalking». La denuncia arriva da Loredana Taddei, responsabile nazionale delle Politiche di Genere di Cgil, Liliana Ocmin, responsabile del coordinamento nazionale donne Cisl e da Alessandra Menelao, responsabile nazionale dei centri di ascolto della Uil: l e tre sindacaliste segnalano di avere scoperto che «nella legge di riforma del codice penale, approvata il 14 giugno 2017, si prevede l’introduzione di un nuovo articolo: il 162 ter, che prevede l’estinzione dei reati a seguito di condotte riparatorie. Uno di questi reati è lo stalking. Senza il consenso della vittima l’imputato potrà estinguere il reato pagando una somma se il giudice la riterrà congrua, versandola anche a rate». 

Il Pd: “Allarme infondato”

Ma la presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti (Pd), bolla come «terrorismo psicologico», l’allarme delle sindacaliste. «Sono dichiarazioni da irresponsabili, senza alcun fondamento». Ferranti spiega: «La riforma del processo penale che prevede la possibilità che il giudice estingua il reato nel caso di riparazione del danno si applica solamente – spiega – ai reati procedibili a querela remissibile. E non è certo il caso del delitto di stalkingche si realizza attraverso minacce gravi e reiterate, casi per i quali la legge sul femminicidio nel 2013 ha espressamente sancito l’irrevocabilità della querela». «La notizia che circola in queste ore è una fake news: l’importanza del reato di stalking e la necessità che le donne denuncino sono principi imprescindibili», sottolinea la deputata del Pd Vanna Iori, responsabile nazionale del partito per l’infanzia e l’adolescenza.

fonte QUI

Vergognoso – Italo, Montezemolo e soci guadagnano milioni mentre lo Stato (CIOÈ NOI) si accolla i costi

Montezemolo

 

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Vergognoso – Italo, Montezemolo e soci guadagnano milioni mentre lo Stato (CIOÈ NOI) si accolla i costi

Italo, Montezemolo e soci guadagnano milioni mentre lo Stato si accolla i costi

Il presidente di Ntv ha ceduto la società dei treni veloci a un fondo Usa per 2 miliardi di euro. Tutti gli azionisti ci hanno guadagnato. Ma il rilancio della società è arrivato grazie alle nuove tariffe decise dall’Authority. Intanto sui treni di Stato, quelli dei pendolari, continuano i disagi.

QUI potete farvi un’idea su chi è Montezemolo

Stavolta l’Italia è arrivata prima degli altri paesi europei, privatizzando e incentivando la concorrenza nel settore dell’Alta Velocità. Un successo, che si chiama Italo Ntv, cioè i treni che sfrecciano a più di trecento all’ora sui binari italiani, comprati poche settimane fa, per due miliardi di euro, dal fondo statunitense Global Infrastructure Partners, Gip, che ora vuole portare l’italico treno nel resto d’Europa, esportando la concorrenza su rotaie, per ora sperimentata solo in Italia.

L’affare è andato alla grande per il presidente Luca Cordero di Montezemolo e i suoi due soci fondatori, Diego Della Valle e Gianni Punzo, oltre che per gli altri azionisti di maggioranza: Flavio Cattaneo , Isabella Seragnoli, Alberto Bombassei, Generali, Intesa SanPaolo e Peninsula Capital. I tre fondatori, anche tenendo conto dell’investimento iniziale e della successiva ricapitalizzazione, hanno guadagnato rispettivamente 240 milioni di euro per Montezemolo, 320 per Della Valle e 140 per Punzo.

Insomma, cifre a otto zeri che fanno rosicare i francesi di Sncf, la società pubblica di trasporti d’oltralpe che fino al 2015 aveva una partecipazione del 20 per cento in Italo Ntv. I francesi si sono defilati – perdendo una marea di quattrini – nel momento più buio di Ntv, quando i conti erano in rosso e la cassa integrazione veniva usata a piene mani. Insomma, Sncf aveva già suonato il de profundis per l’italica Ntv. È andata diversamente e adesso, quegli stessi francesi, potrebbero ritrovarsi in casa il super concorrente Ntv gestito dagli americani che, in base alle regole europee sulla concorrenza, deve lasciar passare sui binari francesi. Sncf, infatti, non aveva considerato la genialità italiana nel risolvere certi problemi.

Infatti, quando nel 2015 Ntv è entrata in sofferenza, è stata aiutata da un alleggerimento del pedaggio che quotidianamente si paga a Ferrovie dello Stato per viaggiare sui binari dell’alta velocitàUn alleggerimento deciso dall’Authority per i trasporti così come prevede la legge. Prima della crisi il costo era di 12 euro al chilometro per ciascun treno, dopo è stato di sette euro. Dunque, il pedaggio è stato quasi dimezzato, alleggerendo i conti di Italo. Per capirci, nel 2017 l’azienda ha previsto di percorrere 15 milioni di chilometri, vale a dire una spesa di 105 milioni di euro per correre sui binari ferroviari dell’alta velocità, risparmiandone 75.

La differenza, ovviamente, è stata pagata dai pendolari che viaggiano sulle sgangherate ferrovie locali, per circa 600 milioni, e dalle Regioni che, solo nel 2016 hanno versato nelle casse di Trenitalia 1,92 miliardi, con una maggiore spesa del 4,3 per cento. Insomma, Montezemolo&co incassano, e il pendolare paga per tutti.

«Benissimo il primato della liberalizzazione, spiace però dover far notare che allo Stato e al servizio pubblico locale spettano solo gli elevati costi di questa cessione», spiega Dario Balotta, presidente dell’Osservatorio Nazionale sulle Liberalizzazioni e sui Trasporti, che continua: «Il passaggio di Italo al fondo Global Infrastructure Partners può rappresentare un impulso al processo di liberalizzazione regolata, a differenza di quella aerea, del settore ferroviario europeo».

Ed effettivamente il mercato italiano rappresenta «una testa di ponte per quello europeo, che fa ben sperare sull’approccio della nuova proprietà per lo sviluppo di Ntv, per nuovi investimenti, per i consumatori ed una maggiore occupazione di ferrovieri specializzati».

Balotta, da un lato spera che il fondo possa assicurare un maggiore e più efficiente utilizzo delle tratte Alta Velocità, dall’altro fa notare che «l’abbassamento del costo dei pedaggi è finito tutto nelle tasche della compagine privata che ha venduto. L’ammortamento degli alti costi di costruzione dell’Alta velocità, tripli di quelli europei, e la copertura dei costi di gestione e di manutenzione resta quasi interamente in capo a Rete Ferroviaria Italiana del gruppo Fs, cioè ai contribuenti», di cui il 90 per cento non usa mai un treno, né locale, né ad alta velocità.

 

fonte: http://espresso.repubblica.it/affari/2018/03/20/news/italo-lo-stato-s-accolla-i-costi-e-montezemolo-e-soci-ci-guadagnano-1.319810?ref=twhe&twitter_card=20180320172120

Nell’ultimo Paese in cui l’America ha “esportato democrazia” liberandolo da un “malvagio dittatore”, oggi si commerciano apertamente gli schiavi

 

America

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Nell’ultimo Paese in cui l’America ha “esportato democrazia” liberandolo da un “malvagio dittatore”, oggi si commerciano apertamente gli schiavi

Nell’ultimo paese che l’America ha liberato da un “malvagio dittatore” oggi si commerciano apertamente gli schiavi

Un articolo rilanciato da Zero Hedge ci apre una finestra sull’orrore in cui la Libia è stata gettata dal cosiddetto intervento  “umanitario”  dei paesi NATO  e dalla primavera araba. Nel paese nordafricano, privo di un controllo politico, si fa apertamente compravendita di esseri umani come schiavi, li si detiene per ottenere il riscatto e se non sono utili alla fine li si uccide. Il disordine e le atrocità che seguono la cacciata del dittatore – per quanto odioso possa essere –  dovrebbero essere tenuti ben presenti oggi che il cerchio si sta stringendo intorno alla Siria.

 

di Carey Wedler, 15 aprile 2017

È ben noto che l’intervento NATO a guida USA del 2011 in Libia, con lo scopo di rovesciare Muammar Gheddafi, ha portato ad un vuoto di potere che ha permesso a gruppi terroristici come l’ISIS di prendere piede nel paese.

Nonostante le conseguenze devastanti dell’invasione del 2011, l’Occidente è oggi lanciato sulla stessa traiettoria nei riguardi della Siria. Proprio come l’amministrazione Obama ha stroncato Gheddafi nel 2011, accusandolo di violazione dei diritti umani e insistendo che doveva essere rimosso dal potere al fine di proteggere il popolo libico, così l’amministrazione Trump sta oggi puntando il dito contro le politiche repressive di Bashar al-Assad in Siria e lanciando l’avvertimento che il suo regime è destinato a terminare presto — tutto ovviamente in nome della protezione dei civili siriani.

Ma mentre gli Stati Uniti e i loro alleati si dimostrano effettivamente incapaci di fornire una qualsiasi base legale a giustificazione dei loro recenti attacchi aerei — figurarsi poi fornire una qualsiasi evidenza concreta a dimostrazione del fatto che Assad sia effettivamente responsabile dei mortali attacchi chimici della scorsa settimana — emergono sempre più chiaramente i pericoli connessi all’invasione di un paese straniero e alla rimozione dei suoi leader politici.

Questa settimana abbiamo avuto nuove rivelazioni sugli effetti collaterali degli “interventi umanitari”: la crescita del mercato degli schiavi.

Il Guardian ha riportato che sebbene “la violenza, l’estorsione e il lavoro in schiavitù” siano stati già in passato una realtà per le persone che transitavano attraverso la Libia, recentemente il commercio degli schiavi è aumentato. Oggi la compravendita di esseri umani come schiavi viene fatta apertamente, alla luce del sole.

Gli ultimi report sul ‘mercato degli schiavi’ a cui sono sottoposti i migranti si possono aggiungere alla lunga lista di atrocità [che avvengono il Libia]” ha detto Mohammed Abdiker, capo delle operazioni di emergenza dell’International Office of Migration, un’organizzazione intergovernativa che promuove “migrazioni ordinate e più umane a beneficio di tutti“, secondo il suo stesso sito web. “La situazione è tragica. Più l’IOM si impegna in Libia, più ci rendiamo conto come questo paese sia una valle di lacrime per troppi migranti.”

Il paese nordafricano viene usato spesso come punto di uscita per i rifugiati che arrivano da altre parti del continente. Ma da quando Gheddafi è stato rovesciato nel 2011 “il paese, che è ampio e poco densamente popolato, è piombato nel caos della violenza, e i migranti, che hanno poco denaro e di solito sono privi di documenti, sono particolarmente vulnerabili“, ha spiegato il Guardian.

Un sopravvissuto del Senegal ha raccontato che stava attraversando la Libia, proveniendo dal Niger, assieme ad un gruppo di altri migranti che cercavano di scappare dai loro paesi di origine. Avevano pagato un trafficante perché li trasportasse in autobus fino alla costa, dove avrebbero corso il rischio di imbarcarsi per l’Europa. Ma anziché portarli sulla costa il trafficante li ha condotti in un’area polverosa presso la cittadina libica di Sabha. Secondo quanto riportato da Livia Manente, la funzionaria dell’IOM che intervista i sopravvissuti, “il loro autista gli ha detto all’improvviso che gli intermediari non gli avevano passato i pagamenti dovuti e ha messo i passeggeri in vendita“. La Manente ha anche dichiarato:

Molti altri migranti hanno confermato questa storia, descrivendo indipendentemente [l’uno dall’altro] i vari mercati degli schiavi e le diverse prigioni private che si trovano in tutta la Libia, aggiungendo che la OIM-Italia ha confermato di aver raccolto simili testimonianze anche dai migranti nell’Italia del sud.

Il sopravvissuto senegalese ha detto di essere stato portato in una prigione improvvisata che, come nota il Guardian, è cosa comune in Libia.

I detenuti all’interno sono costretti a lavorare senza paga, o in cambio di magre razioni di cibo, e i loro carcerieri telefonano regolarmente alle famiglie a casa chiedendo un riscatto. Il suo carceriere chiese 300.000 franchi CFA (circa 450 euro), poi lo vendette a un’altra prigione più grossa dove la richiesta di riscatto raddoppiò senza spiegazioni“.

Quando i migranti sono detenuti troppo a lungo senza che il riscatto venga pagato, vengono portati via e uccisi. “Alcuni deperiscono per la scarsità delle razioni e le condizioni igieniche miserabili, muoiono di fame o di malattie, ma il loro numero complessivo non diminuisce mai“, riporta il Guardian.

Se il numero di migranti scende perché qualcuno muore o viene riscattato, i rapitori vanno al mercato e ne comprano degli altri“, ha detto Manente.

Giuseppe Loprete, capo della missione IOM del Niger, ha confermato questi inquietanti resoconti. “È assolutamente chiaro che loro si vedono trattati come schiavi“, ha detto. Loprete ha gestito il rimpatrio di 1500 migranti nei soli primi tre mesi dell’anno, e teme che molte altre storie e incidenti del genere emergeranno man mano che altri migranti torneranno dalla Libia.

Le condizioni stanno peggiorando in Libia, penso che ci possiamo aspettare molti altri casi nei mesi a venire“, ha aggiunto.

Ora, mentre il governo degli Stati Uniti sta insistendo nell’idea che un cambio di regime in Siria sia la soluzione giusta per risolvere le molte crisi di quel paese, è sempre più evidente che la cacciata dei dittatori — per quanto detestabili possano essere — non è una soluzione efficace. Rovesciare Saddam Hussein non ha portato solo alla morte di molti civili e alla radicalizzazione della società, ma anche all’ascesa dell’ISIS.

Mentre la Libia, che un tempo era un modello di stabilità nella regione, continua a precipitare nel baratro in cui l’ha gettata “l’intervento umanitario” dell’Occidente – e gli esseri umani vengono trascinati nel nuovo mercato della schiavitù, e gli stupri e i rapimenti affliggono la popolazione – è sempre più ovvio che altre guerre non faranno altro che provocare ulteriori inimmaginabili sofferenze.

 

tratto da: http://vocidallestero.it/2017/04/17/nellultimo-paese-che-lamerica-ha-liberato-da-un-malvagio-dittatore-oggi-si-commerciano-apertamente-gli-schiavi/

Roma, le buche nelle strade? Sono state scavate da 20 anni di tangenti incassate dai politici che facevano i loro porci comodi …Ma per i media del regime (lo stesso “regine” che incassava le tangenti) la colpa è della Raggi!

 

Roma

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Roma, le buche nelle strade? Sono state scavate da 20 anni di tangenti incassate dai politici che facevano i loro porci comodi …Ma per i media del regime (lo stesso “regine” che incassava le tangenti) la colpa è della Raggi!

 

Roma, le buche nelle strade sono scavate dalle tangenti
Voragine Capitale – Non è la pioggia ad aprire i crateri, ma un “sistema oliato” con mazzetta al 3%. Lo raccontarono ai pm gli imprenditori nel 2015

“È un sistema radicato nell’ente e quindi io so quelli che ho pagato io. (…) È un sistema di richiesta generalizzata da parte dei funzionari del Comune nel settore della manutenzione urbana; credo che chiedessero anche agli altri come costantemente chiedevano a noi”. Alessio Ferrari è un imprenditore che per anni si è occupato anche della manutenzione delle strade di Roma. Anche di buche, quindi. Problema che, dopo la recente insolita nevicata e il gelo, attanaglia la cittadinanza e la Pubblica amministrazione.

Alessio Ferrari è stato arrestato con un altro imprenditore, Luigi Martella(lavoravano insieme, entrambi sono tornati in libertà e l’inchiesta non è chiusa), nell’ottobre del 2015. Sono loro che portano i pm fin dentro i meccanismi che si nascondevano dietro i lavori di manutenzione stradale (accertati, secondo la Procura, per gare indette fino al 2015). E svelano l’esistenza delle mazzette del “3%”: le tangenti – calcolate “sull’importo netto, decurtato del ribasso d’asta” degli appalti – incassate dai funzionari pubblici che “curavano la contabilità e i Sal”, ossia i documenti di Stato di avanzamento dei lavori che permettono alle imprese di incassare un acconto. Allora, come adesso, il problema è lo stesso: le voragini che costano caro agli automobilisti romani. Ed è interessante rileggere oggi le rivelazioni degli imprenditori, che per anni hanno risistemato le strade della città, per capire il sistema.

L’ufficio di via Petroselli dimezzato dagli arresti

Grazie alle loro testimonianze e agli accertamenti della Procura di Roma, nel dicembre 2015, 18 funzionari del Dipartimento sviluppo e infrastrutture e manutenzione urbana (Simu) e di vari Municipi, compreso il I (Roma centro), sono stati indagati per corruzione. Sette sono finiti in cella e poi scarcerati. E nell’ordinanza il gip Massimo Di Lauro faceva i primi conti: “Risultano corrotti 12 funzionari per un importo di 585mila euro” per appalti dal 2012 al 2015 dal valore totale di circa 14,3 milioni. Dopo la retata di quel dicembre, molti hanno patteggiato pene fino a 3 anni; in un caso, un ex dipendente del dipartimento Simu è stato condannato in primo grado a 5 anni. Mentre i pm, con diversi sequestri, hanno recuperato circa 600mila euro, l’ammontare della corruzione, ora nelle casse dell’Erario.

A parlare delle mazzette sono dunque gli imprenditori. Il 9 novembre 2015 Luigi Martella – davanti ai pm Stefano Pesci e Alberto Pioletti, e al suo legale, l’avvocato Gaetano Scalise – dice: “Pagavamo i funzionari che ce lo chiedevano per la contabilità lavori”. Fa i nomi, i cognomi e le cifre: c’è chi ha incassato 114mila euro, chi 48mila, chi poco più di 69mila. “Non potrà negare che i pagamenti erano finalizzati a conseguire una certa benevolenza dei direttori dei lavori nell’esecuzione degli appalti”, osservano i pm. E Martella: “Non proprio. (…) Certo è chiaro che se un direttore dei lavori pretende che sia osservato rigorosamente il capitolato, è un problema; è molto meglio un direttore dei lavori più flessibile: se nel capitolato si dice che servono cinque persone e noi ne abbiamo solo tre, non è che deve sempre arrivare un rapporto”. Le mazzette, quindi, servivano per la contabilità e i Sal, non per vincere le gare.

Se non si pagava, nessuna documentazione

Il suo collega, Alessio Ferrari, ai pm fornisce più dettagli. Il 12 dicembre 2015 parla di un sistema diffuso, anche per la manutenzione urbana e le buche. Non tutti i Municipi sono marci, precisa. Come hanno raccontato al pm Pesci alcuni funzionari pubblici che, non accettando mazzette, sono stati messi ai margini. L’imprenditore quindi spiega: “Nell’aggiudicazione dell’appalto si concordavano alcune ‘agevolazioni’ rispetto al capitolato. Mi spiego: se si trattava di rifare un selciato e il capitolato indicava 20 metri quadri di sampietrini si concordava ad esempio che la rimozione invece di essere fatta a mano – come nel capitolato – ce la facessero fare in altro modo. Del resto i lavori avevano ribassi tali che diversamente non si sarebbe potuto fare”.

Nel caso delle buche, rivela l’imprenditore, “si risparmiava sullo spessore dell’asfalto, sulla fresatura (cioè quello che levi) e sulle bonifiche (la parte inferiore del sottofondo). Quest’ultima voce, per capirci, può funzionare così: se devi scavare 20 cm ti fanno fare 10”. Quindi la ditta scava per 10 centimetri, ma viene pagata dal Comune per il doppio. Così, in base a questo meccanismo, si crea il guadagno, con cui pagare i funzionari. “Se non aveste accettato?”, chiedono i pm. “Ci rimandavano indietro i Sal”, i documenti di stato di avanzamento dei lavori. E niente anticipo.

Risorse dei cittadini nelle tasche dei corrotti

Per gli imprenditori, i lavori, anche se non proprio in linea con il capitolato, sono stati eseguiti. Quando il gip però a dicembre 2015 emette la misura cautelare nei confronti dei funzionari del Campidoglio ha un’opinione diversa: “Il sistema era talmente ‘oliato’ – scrive – che spesso i funzionari elaboravano il capitolato con valori già ‘gonfiati’. (…) Il risultato è ovvio: lavori di manutenzione stradale fatti male, o addirittura non fatti del tutto, vengono tuttavia pagati dall’ente pubblico”. Il tutto a spese dei contribuenti: “Per effetto del sistematico fenomeno corruttivo – scrive il gip – (…) le risorse dei contribuenti vengono dirottate dalla manutenzione urbana – che ne risulta gravemente compromessa – alle tasche di imprenditori e di funzionari infedeli”.

Nel mirino dei pm, tra gli altri, era finito anche l’appalto (poi sospeso) per la manutenzione delle strade in occasione del Giubileo. Per questi lavori, un funzionario del dipartimento Simu è stato accusato di aver intascato una tangente da 114mila euro. In primo grado è stato condannato a 5 anni. “Non è una mosca bianca – scrive il Tribunale nelle motivazioni della sentenza – e non è un caso occasionale”. È il sistema, appunto.

 

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/roma-le-buche-nelle-strade-sono-scavate-dalle-tangenti/