Può succedere solo in un Tribunale Italiano e quando c’è Berlusconi di mezzo – La Difesa senza vergogna: Minetti favorì solo la libertà come Cappato con Dj Fabo…!

 

Minetti

 

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Può succedere solo in un Tribunale Italiano e quando c’è Berlusconi di mezzo – La Difesa senza vergogna: Minetti favorì solo la libertà come Cappato con Dj Fabo…!

Minetti: porta prostitute possibilmente minorenni per soldi = Ceppato: rischia in proprio per dare una morte dignitosa a Dj Fabo – Per questi sciacalli senza vergogna sono la stessa cosa!

Difesa senza vergogna: Minetti favorì solo la libertà come Cappato con Dj Fabo

L’incredibile arringa al processo Ruby, Berlusconi e Olgettine. “Come è stato aiutato Fabo a esercitare il diritto a essere libero di morire, così Nicole ha agevolato il diritto sessuale delle ragazze”

Una arringa che definire spericolata è poco. Leggete. Nel chiedere l’assoluzione ‘perché il fatto non sussiste’, uno dei legali di Nicole Minetti, l’avvocato Pasquale Pantano, ha espresso un “parallelismo” tra il leader radicale Marco Cappato e la sua assistita. “Come Cappato ha aiutato Dj Fabo a esercitare il suo diritto a essere libero di morire, così Minetti ha agevolato il diritto delle ragazze all’esercizio della liberta’ sessuale”.
Un “parallelismo” oltre ogni regola di buon senso ma che va inquadrato anche nella richiesta da parte della difesa dell’ex consigliera regionale lombarda e di Emilio Fede di sollevare una questione di legittimità costituzionale (se non dovesse esserci l’assoluzione) relativa al reato di favoreggiamento, che limiterebbe la libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale. Pantano, come il collega Salvatore Pino nella sua arringa per Emilio Fede, ha anche sottolineato che “giustamente” non è stato indagato il ragionier Giuseppe Spinelli “da cui tutto passava, anche i pagamenti”. L’avvocato Pino ha chiesto l’assoluzione di Fede ‘perche’ il fatto non sussiste’ sia per il reato di tentata induzione alla prostituzione di Ambra Battilana, Imane Fadil e Chiara Danese (tutte parti civili) che per quello di favoreggiamento alla prostituzione di Roberta Bonasia e Ruby. E relativamente a quest’ultima, la “famosa nipote di Mubarak”, c’è un “rapporto di predilezione con Berlusconi. Non risulta che Fede l’abbia favorita in alcun modo, dopo averla accompagnata ad Arcore per il primo incontro, il 14 febbraio 2010, circostanza che non reato come ha detto anche il pg”.

Nonostante questo l’ex direttore del Tg 4 è stato condannato a 4 anni e 7 mesi e l’ex consigliera regionale della Lombardia a 2 anni e 10 mesi. Il Pg Daniela Meliota aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado che aveva comminato pene rispettivamente a 4 anni e 10 mesi e 3 anni.

 

tratto da: http://www.globalist.it/news/articolo/2018/05/07/difesa-senza-vergogna-minetti-favori-solo-la-liberta-come-cappato-con-dj-fabo-2023872.html

I Casamonica in un bar romano: volevano essere serviti per primi, ma una disabile si ribella. Risultato? La disabile frustata con una cinghia, il barista picchiato a sangue ed il locale distrutto – Capite ora cosa voleva dire Peppino Impastato quando parlava di MONTAGNA DI MERDA???

 

Casamonica

 

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I Casamonica in un bar romano: volevano essere serviti per primi, ma una disabile si ribella. Risultato? La disabile frustata con una cinghia, il barista picchiato a sangue ed il locale distrutto – Capite ora cosa voleva dire Peppino Impastato quando parlava di MONTAGNA DI MERDA???

Raid dei Casamonica in un bar romano: disabile frustata per essersi ribellata

Violenza efferata perché due esponenti del clan non sono stati serviti per primi. “Ora devi chiudere o sei morto”, è la minaccia al barista (anche lui picchiato a sangue) che però ha scelto di denunciare

C’è un video. Un video che racconta l’accaduto. Racconta la prepotenza e l’impunità dei Casamonica, holding del crimine. Racconta il terribile raid compiuto da membri del clan lo scorso primo aprile, il giorno di Pasqua, in un bar di Roma. I boss erano entrati nel locale pretendendo di essere serviti per primi, saltando la fila. Una giovane donna disabile, che ha osato parlare, è stata frustata con la cinghia e presa a calci e pugni. Il barista è stato pestato a sangue e il locale è stato distrutto.

Come ricostruisce La Repubblica, Antonio Casamonica era entrato nel bar di via Salvatore Barzilai con il cugino Alfredo Di Silvio. Dietro il bancone c’era un ragazzo romeno. “Questi romeni di merda non li sopporto proprio”, hanno urlato perché non sono stati serviti immediatamente. All’interno del locale c’era anche una giovane disabile che si è ribellata: “Se il bar non vi piace andate altrove”. La reazione è stata brutale.
Casamonica le ha strappato con una mano gli occhiali e li ha lanciati dietro al bancone, poi si è sfilato la cintura dai pantaloni e la ha passata a Di Silvio. Hanno preso la giovane alle spalle, l’hanno frustata e poi presa a calci, pugni fino a quando è crollata a terra massacrata. “Se chiami la polizia ti ammazziamo”, è stata la minaccia finale.
Ma non è finita qui. Poco dopo Di Silvio è tornato nel bar con il fratello Vittorio. I due hanno fatto irruzione spaccando la vetrina, poi hanno rovesciato tavoli e sedie. “Qui comandiamo noi, non te lo scordare: questa è zona nostra. Ora questo bar lo devi chiudere, altrimenti sei morto”, hanno intimato al barista dopo averlo massacrato di botte. Nel locale questa volta erano presenti cinque clienti ma nessuno di loro ha reagito, nessuno ha avuto il coraggio di dire o fare nulla. Non così il barista che, nonostante le minacce, ha scelto di ribellarsi al potere criminale e ha denunciato. Un affronto senza precedenti per i Casamonica.
Quando il clan è venuto a sapere della denuncia, si è mosso Enrico, il nonno dei fratelli Di Silvio. Si è presentato al bancone, ha ordinato un caffè e ha detto: “Ritira immediatamente tutte le accuse o morirai”. Il barista, terrorizzato, ha tenuto chiuso il locale per due giorni. La moglie però non ci sta, non vuole buttare al vento tutti i sacrifici fatti per aprire quel bar. E così la coppia ha scelto di riaprire, a rischio della vita.

Il coraggio della proprietaria. “Dopo quello che è successo loro continuano comunque a passare qui davanti tutti i giorni, non prendono più il caffè ma ci fanno vedere la loro presenza”. La moglie del titolare del Roxy Bar di via Salvatore Barzilai, in zona Romanina, periferia Est di Roma, non nasconde la sua preoccupazione dopo quanto avvenuto il giorno di Pasqua. Oggi è lei, Rossana, a servire i clienti dietro al bancone, e sembra abbia chiesto al marito di tenere aperto il locale anche dopo le ulteriori minacce che il titolare del bar avrebbe ricevuto per indurlo a ritirare la denuncia per le percosse subite dei Casamonica. “Quando sono tornati il giorno di Pasqua sono entrati dietro al bancone – aggiunge la donna – hanno preso uno dei manici di metallo della macchina del caffè e lo hanno tirato contro il barista. Non lo hanno preso ma hanno rotto un vetro, poi lo hanno colpito con delle bottiglie”. Il bar è aperto ma presidiato da una volante della Polizia e due vetture con agenti in borghese. La Polizia sta indagando sull’accaduto: al vaglio i filmati della telecamera posizionata sulla cassa del bar, che inquadra l’intero locale.

Il video: l’invalida massacrata dentro il bar nell’indifferenza degli avventori

Solo il barista l’aiuta. Le strappano gli occhiali, la picchiano con una cinta anche a freddo. E nessuno alza gli occhi dal tavolino

C’è quindi un video che racconta l’accaduto. Racconta la prepotenza e l’arragonza dei Casamonica, padroni della Romanina, di un intero pezzo di città. Un video ora al vaglio degli inquirenti.  Nel frame ripreso dalle telecamere a circuito chiuso si vede chiaramente la donna, una invalida civile, aggredita a più riprese e anche a freddo nell’indifferenza del resto degli avventori del locale. La donna è in fila alla cassa e indossa un paio di occhiali neri quando arrivano i due che tentano di passarle avanti. Alle sue rimostranze uno le strappa gli occhiali e poi quando vede che uno dei due si sfila la cinta cerca di prendergliela ma l’altro minacciandola la spinge contro il muro picchiandola con la cinta. La signora tenta di ribellarsi e a quel punto interviene il barista ma l’aggressione nei confronti della donna riprende con più violenza. Quando poi gli animi sembrano placati e la signora sta bevendo un cappuccino al banco viene nuovamente aggredita alle spalle, spintonata e picchiata. Dietro ad assistere nella totale indifferenza un gruppo di cinque-sei persone. Il barista interviene nuovamente e cerca di allontanare i due. A questo punto scatta la “punizione” nei confronti del barista: i due fanno il giro del bancone e lo prendono a pugni.

fonti:

http://www.globalist.it/news/articolo/2018/05/07/raid-dei-casamonica-in-un-bar-romano-disabile-frustata-per-essersi-ribellata-2023832.html

http://www.globalist.it/news/articolo/2018/05/07/il-video-l-invalida-massacrata-dentro-il-bar-nell-indifferenza-degli-avventori-2023885.html

Rapimento Moro: 40 anni di verità mancate

 

Moro

 

 

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Rapimento Moro: 40 anni di verità mancate

 

Il 16 marzo 1978. In via Mario Fani a Roma si scrive una delle pagine piu’ buie della nostra storia. In un agguato le Brigate Rosse sequestrano Aldo Moro annientando i 5 uomini della sua scorta. Un rapimento che si concluderà drammaticamente dopo 55 giorni di prigionia con l’uccisione dell’allora presidente della Democrazia Cristiana.

Cinque processi, diverse Commissioni parlamentari d’inchiesta, tra cui due specifiche a indagare, e tante inchieste giudiziarie collaterali a cercare di aprire un varco nel buio dei fatti accatastati da 40 anni, nonostante la consegna della verità – cosiddetta ufficiale – sia avvenuta ormai nel lontano 1986 quando Valerio Morucci e Adriana Faranda, i due ‘fuoriusciti’ dal nucleo romano nato nel 1975 dopo i primi arresti, redigono il memoriale che secondo loro avrebbe dovuto chiarire tutto.

Due i latitanti che ancora non hanno scontato la pena, per Alvaro Lojacono tuttora in svizzera e Alessio Casimirri ormai cittadino del Nicaragua. Nessuna richiesta di estradizione è stata accolta. Mentre Rita Algranati, la 10 brigatista presente sulla scena del crimine viene individuata solo nel 2004 dalle forze di polizia.

L’ultima Commissione parlamentare d’inchiesta dedicata al sequestro e all’assassinio dello statista, istituita nel 2014 e i cui lavori sono terminati a fine legislatura nei primi mesi del 2018, ha fatto emergere molte novità ma ancora la prola fine, ai fatti i cui contesti internazionali sono tuttora un buco nero da riempire, non è stata scritta. Due i filoni d’indagine aperti presso la Procura di Roma a tutt’oggi e uno in collaborazione con la Procura di Reggio Calabria.

Il 40ennale andrà avanti fino al maggio del 2018 in cui si ricorderanno le note finali dell’ultimo giorno di Moro, il 9 maggio 1978.

 

tratto da: http://it.euronews.com/2018/03/15/rapimento-moro-40-anni-di-verita-mancate

La Turchia che non si arrende – scende in piazza e sfida Erdogan cantando Bella Ciao

Turchia

 

 

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La Turchia che non si arrende – scende in piazza e sfida Erdogan cantando Bella Ciao

Il regime ha arrestato 60 persone colpevoli di non aver rispettato i divieti. Ma quelli che non si sono ancora arresi al Sultano sono tantissimi

Bella Ciao, contro la dittatura, contro la repressione e contro il bavaglio. Sono oltre 60 i manifestanti arrestati Istanbul nel corso delle manifestazioni organizzate in occasione della Giornata internazionale dei lavoratori.

Secondo quanto riferiscono fonti della sicurezza citate dal quotidiano “Hurriyet”, quattro persone sono state arrestate nel tentativo di accedere a piazza Taksim, nonostante il divieto imposto dalle autorità, mentre oltre 50 manifestanti sono stati fermati nel quartiere di Besiktas.

Migliaia di persone sono scese in piazza ad Istanbul in diverse manifestazioni organizzate in occasione delle celebrazioni del primo maggio. La manifestazione più grande è stata organizzata dalla principale forza di opposizione, il Partito popolare repubblicano (Chp), nel distretto di Maltepe.

Il Primo Maggio è stato anche l’occasione per mostrare il volto della Turchia che non si arrende al Sultano. Molti nella piazza hanno intonato Bella Ciao, sempre più canto di chi lotta per la libertà, i diritti e resiste alla dittatura e alla repressione.

QUI la fonte con il video

Una storica intervista del 1981 ad un grande Berlinguer, che già aveva capito tutto “I PARTITI SONO DIVENTATI MACCHINE DI POTERE”

 

Berlinguer

 

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Una storica intervista del 1981 ad un grande Berlinguer, che già aveva capito tutto “I PARTITI SONO DIVENTATI MACCHINE DI POTERE”

 

Così parlò Enrico Berlinguer nell’intervista del 1981 a Eugenio Scalfari. Non fu ascoltato dai partiti di governo che erano bersaglio della sua accusa, ma purtroppo l’allarme fu accantonato anche dal suo partito. Oggi gli eredi del Pci dovrebbero fare propria la condanna e l’analisi di Berlinguer. Se il tempo non è già scaduto.

«I partiti sono diventati macchine di potere»

«I partiti non fanno più politica», dice Enrico Berlinguer.
«I partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia».

Eugenio Scalfari
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La passione è finita?
Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora…

Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.
È quello che io penso.

Per quale motivo?
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c’è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.

Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.
E secondo lei non corrisponde alla situazione?

Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.
La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel ’74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell’81 per l’aborto, gli italiani hanno fornito l’immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.

Veniamo all’altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.
In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l’andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito “diverso” dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità.

Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d’infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C’è da averne paura?
Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all’equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?

Veniamo alla seconda diversità.
Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.

Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.
Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant’anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi.

Non voi soltanto.
È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell’economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l’iniziativa individuale sia insostituibile, che l’impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell’attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?

Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un’offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.
Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s’intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l’occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.

Dunque, siete un partito socialista serio…
…nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo…

Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?
No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c’è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese.

Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c’è o no?
Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempio: vedrà che in gran parte c’è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni -che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale- senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e sanza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.

Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono profare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. […] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.

Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d’accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l’inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell’obiettivo. È anche lei del medesimo parere?
Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L’inflazione è -se vogliamo- l’altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l’una e contro l’altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l’inflazione si debba pagare il prezzo d’una recessione massiccia e d’una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.

Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell’ “austerità”. Non mi pare che il suo appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito…
Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industializzati -di fronte all’aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all’avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la “civiltà dei consumi”, con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma dicevamo dell’austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell’economia, ma che l’insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l’avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema dell’austerità e della contemporanea lotta all’inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati.

E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?
Il costo del lavoro va anch’esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell’aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l’operazione non può riuscire.
«La Repubblica», 28 luglio 1981

Tutto come previsto: mentre alla Camera si accelera per l’abolizione dei vitalizi, al Senato, dove regna la nuova “Regina della Casta”, la “fedelissima” Casellati, non se ne parla proprio!!

 

Casellati

 

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Tutto come previsto: mentre alla Camera si accelera per l’abolizione dei vitalizi, al Senato, dove regna la nuova “Regina della Casta”, la “fedelissima” Casellati, non se ne parla proprio!!

 

‘Dov’è l’istruttoria sui vitalizi?’ Toninelli scrive a Casellati

L’istruttoria sui vitalizi prosegue, anzi l’iter accelera, alla Camera ma rimane al palo al Senato.

Perciò il capogruppo del M5S Danilo Toninelli ha scritto alla presidente del Senato Elisabetta Casellati “per chiederle lumi sull’istruttoria che il gruppo del Movimento 5 Stelle vorrebbe vedere il prima possibile all’esame del Consiglio di Presidenza”.

“Il Collegio dei Questori della Camera dei deputati – si legge nella lettera di Toninelli – ha completato l’istruttoria per la revisione dei vitalizi, compresi i trattamenti di reversibilità”. E ora i 5 Stelle vorrebbero che, in relazione al “dichiarato impegno” di Casellati “in favore di un percorso parallelo e coordinato tra i due rami del Parlamento”, si faccia partire l’iter anche al Senato.

Toninelli ha proseguito chiedendo che l’operazine Taglia-Privilegi iniziata alla Camera possa iniziare anche al Senato, “vista anche la proficua collaborazione avviata tra il Presidente Roberto Fico e il Presidente dell’Inps Tito Boeri”.

Fico ha incontrato Boeri lo scorso 18 aprile. In quell’occasione il presidente della Camera aveva fatto sapere su Instagram che era stato un colloquio “cordiale e costruttivo” e che nel mentre proseguiva l’istruttoria sul tema dei vitalizi, per cui aveva dato mandato al collegio dei questori.

I due si sono incontrati nuovamente e hanno parlato per 40 minuti della questione della delibera sull’abolizione dei vitalizi.

Nel frattempo Di Maio ha detto ai suoi che intende “portare a casa” il risultato dell’abolizione del privilegio degli ex parlamentari prima che si torni al voto.

Parlando a Rete 4, il leader 5 Stelle ha dichiarato: “Noi ce la stiamo mettendo tutta per tagliare i vitalizi prima che si vada a votare. Cerchiamo di tagliarne più possibile, poi vediamo cosa diranno i calcoli”.

E in una lettera inviata ai parlamentari 5 Stelle ha scritto di prepararsi alla battaglia sui vitalizi.

 

tratto da: https://www.silenziefalsita.it/2018/05/05/dove-l-istruttoria-sui-vitalizi-toninelli-scrive-a-casellati/

L’amore è cieco… Ma il vitalizio è reversibile…

 

vitalizio

 

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L’amore è cieco… Ma il vitalizio è reversibile…

La stampa si indigna per questo Simone Coccia che non ha mai vinto un concorso di bellezza: «Si appropriò della fascia di un altro concorrente»…

E il Grande Fratello. E Barbara D’Urso…

E la sorridente fidanzata Stefania Pezzopane, senatrice del Pd…

Signore e Signori, questa è la nostra povera Italia. Questi sono i nostri politici. Questo è il futuro che lasciamo ai nostri figli… Non ci facciamo un po’ schifo da soli?

 

L’amore è cieco… Ma il vitalizio è reversibile…

“Occhio all’Unione Europea, i gulag iniziarono così!” Il dissidente russo Vladimir Bukovsky con una cruda, spietata analisi storica mette a confronto l’Unione Sovietica con l’Unione Europea e lancia l’allarme.

Vladimir Bukovsky

 

 

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“Occhio all’Unione Europea, i gulag iniziarono così!” Il dissidente russo Vladimir Bukovsky con una cruda, spietata analisi storica mette a confronto l’Unione Sovietica con l’Unione Europea e lancia l’allarme.

Una cruda, spietata analisi storica che mette a confronto l’Unione Sovietica con l’Unione Europea. Il dissidente russo, oggi membro della Fondazione per i Diritti Umani di New York, non ha dubbi: abbiamo appena seppellito un mostro, ma ne stiamo costruendo uno ancora più grande. La perdita della libertà iniziò esattamente in questo modo. E’ così che nacquero i Gulag. Il video tradotto e sottotitolato per voi: fatelo vedere perché, come dice Bukowsky, potete ancora fare qualcosa: potete dichiarare la vostra indipendenza e dire no! Vladimir Bukovsky è uno scrittore, neurofisiatra e attivista dissidente russo che ha trascorso 12 anni nelle prigioni psichiatriche russe e nei campi di lavoro, per aver difeso i diritti umani durante gli anni ’60 e gli anni ’70. Il suo ultimo periodo di prigionia risale al 1971. Arrivò in occidente nel 1976 e oggi vive a Cambridge. Ha sperimentato sulla sua pelle un sistema che egli considera sinistramente simile a quello che oggi ci viene imposto con l’Unione Europea.

Abbiamo una classe politica indegna. Il problema è che ci rappresenta alla perfezione

 

classe politica

 

 

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Abbiamo una classe politica indegna. Il problema è che ci rappresenta alla perfezione

Il Pd diceva di non voler governare e ora è disposto a farlo. I Cinque Stelle cambiano il programma politico. La Lega si dice, incredibilmente, “atlantista”. Tutti cambiano idee con estrema disinvoltura. Ma non è solo un problema di classe politica.

Dunque, vediamo se abbiamo capito bene. Il Partito Democratico ha cambiato idea e, almeno stando alle parole e al peso politico del suo segretario Maurizio Martina, ha deciso che l’Aventino è finito e che, se il Movimento Cinque Stelle dovesse prendere in considerazione la possibilità di soddisfarne alcuni punti programmatici, potrebbe anche considerare l’idea di formare una maggioranza politica contro quelli che fino a una settimana fa erano talmente agli antipodi da non poterci prendere nemmeno un caffè assieme.

A quanto pare, poi, pure gli stessi Cinque Stelle pare abbiano cambiato idea su molte cose, in questi ultimi giorni, arrivando addirittura a modificare ex post, senza dirlo a nessuno, il loro programma politico votato-in-rete-dai-cittadini, che diceva peste e corna della Nato e che mal si sposava con la rinnovata fede atlantista ed europeista di Luigi Di Maio. Non bastasse, ci è toccato assistere pure alla sviolinata della vicepresidente del Senato Paola Taverna nei confronti della presidente Elisabetta Casellati – una berlusconiana che più doc non si può – che «siamo sicuri si comporterà con estrema imparzialità».

Pure la Lega a quanto pare sta cambiando idea. «Siamo atlantisti da sempre»,ribadisce il consigliere per gli esteri di Matteo Salvini Guglielmo Picchi, gettando acqua sul fuoco sule dichiarazioni del “Capitano”, che un giorno si e l’altro purericorda che una volta al governo le sanzioni alla Russia saranno «la prima cosa a saltare», non esattamente la cosa più atlantista che possa dire.

Tutto è perfettamente coerente nel contesto di una classe politica che non crede a nulla, che vive in funzione del calcolo istantaneo della propria popolarità. Il problema è che questa classe politica senza coerenza, senza idee, senza valori è lo specchio del Paese che l’ha eletta

Fossimo poco avvezzi di politica italiana, soprattutto di quella degli ultimi anni, avremmo il mal di testa. E invece, in realtà, tutto è perfettamente coerente nel contesto di una classe politica che non crede a nulla, che vive in funzione del calcolo istantaneo della propria popolarità e che, soprattutto, non ha la più pallida idea di come tirar fuori l’Italia – ultima per tasso di crescita in Europa anche nel 2018, secondo le stime, pur riviste al rialzo, del Fondo Monetario Internazionale – dal pantano in cui si ritrova.

La cosa ancora più preoccupante è un’altra, però. Che questa classe politica senza coerenza, senza idee, senza valori è lo specchio del Paese che l’ha eletta. Un Paese vittima del proprio autocompiacimento, della propria autocommiserazione e di un pensiero magico e folle: il sogno che una banda di parvenu senza alcuna esperienza istituzionale possa far tornare a volare l’Italia senza alcun sacrificio, al contrario, ridistribuendo soldi che pare non esistano, col solo potere del buon senso e della buona volontà. Non è un caso che Lega e Cinque Stelle, che in queste settimane hanno dato vita a un indegna coda di campagna elettorale sulla pelle delle istituzioni italiane, stiano ulteriormente crescendo nei sondaggi.

Magari è solo questione di tempo, prima che un sussulto di realismo ci svegli dal torpore e ci riporti a pretendere competenza, serietà, idee chiare a chi ci rappresenta. Magari saremo noi pessimisti, ma temiamo non accadrà. Questa è l’Italia di oggi. E non è un bello spettacolo.

fonte: http://www.linkiesta.it/it/article/2018/04/18/abbiamo-una-classe-politica-indegna-il-problema-e-che-ci-rappresenta-a/37810/

Malalai Joya, attivista, scrittrice e parlamentare afgana: devo far conoscere la verità sull’Afghanistan e risvegliare la coscienza della gente!

 

Malalai Joya

 

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Malalai Joya, attivista, scrittrice e parlamentare afgana: devo far conoscere la verità sull’Afghanistan e risvegliare la coscienza della gente!

Malalai Joya è una politica, attivista e scrittrice afgana. Eletta come membro del Parlamento, il 17 dicembre 2003 ha denunciato nell’assemblea della Loya Jirga la presenza in parlamento di persone da lei definite “signori e criminali di guerra”; da allora ha subito attentati e minacce di morte, tanto che deve vivere in clandestinità e  sotto scorta.

Nel maggio 2007 è stata sospesa dal suo ruolo  di membro del parlamento per averlo definito uno zoo.  La sua sospensione, a cui ha fatto appello successivamente, ha generato forti proteste a livello internazionale, tra le quali una dichiarazione firmata da scrittori e intellettuali quali Naomi Klein e Noam Chomsky  e da parlamentari canadesi, tedeschi, inglesi, italiani e spagnoli.

Nel marzo e nellaprile di questanno  ha tenuto numerosi incontri in Germania e in Italia, dove è stata invitata dal festival Dedica e dal Cisda (Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane).  Abbiamo potuto incontrarla a Milano pochi giorni prima del suo ritorno in Afghanistan.

Durante l’incontro al CAM Garibaldi di Milano, hai parlato spesso della necessità di smascherare la falsa democrazia portata dagli Stati Uniti in Afghanistan. Puoi spiegare meglio questo punto?

Questa democrazia è falsa perché gli afgani non hanno voce in capitolo sul modo in cui viene implementata, visto che ci è stata imposta. La “democrazia” degli americani non è stata solo un’invasione, ma anche una guerra di propaganda. Nessuna nazione può liberarne un’altra – dev’esserci l’auto-determinazione. Inoltre in questa falsa democrazia l’estremismo e gli estremisti sono ancora presenti, visto che il governo è controllato dai signori della guerra, che sono in pratica delle fotocopie dei Talebani. Controllano il paese limitando la libertà e indicendo elezioni fraudolente per dare l’impressione che questa sia una democrazia. L’Occidente ci crede, riconosce i capi dei signori della guerra, interagisce con loro e arriva a invitarli alle Nazioni Unite.

I valori democratici sono stati traditi, le violazioni dei diritti umani sono continue, la corruzione dilaga e la produzione di oppio sta aumentando, con conseguente, enorme aumento dei drogati (tra cui 100.000 bambini). Così molta gente in Afghanistan finisce per dire: “Se è questa la democrazia, non la vogliamo.”

In quell’occasione hai anche detto che in Afghanistan ci sono quattro nemici: i Talebani, le forze di occupazione straniere, i signori della guerra e l’ISIS. Cosa si può fare per combatterli?

Alla radice di tutto questo ci sono l’imperialismo e il fondamentalismo. Gli occupanti stranieri e i governi che hanno portato la guerra e l’occupazione hanno anche creato e appoggiato l’estremismo. Gli estremisti fanno affidamento sul controllo e la paura degli afgani e sui finanziamenti stranieri. Per combatterli l’istruzione è un elemento chiave: grazie ad essa la gente può capire la propria identità e le proprie capacità economiche ed educative.  Quando comprenderà la barbarie dei Talebani, dei signori della guerra e dell’ISIS (che differiscono solo per il nome, ma commettono le stesse atrocità) e si renderà conto che gli occupanti stranieri li hanno sostenuti in diversi periodi di conflitto, la gente non tollererà più questa situazione. E’ per questo che gli estremisti spesso si accaniscono sulle scuole e gli studenti: per loro un popolo istruito è una minaccia, visto che è molto più facile controllarne uno ignorante.

Hai descritto la situazione delle donne come “un inferno”. Allo stesso tempo però ci sono iniziative e progetti per sostenere i loro diritti. Puoi spiegarci meglio come stanno le cose?

Purtroppo l’immagine più diffusa e la storia del popolo afgano e soprattutto delle donne riguarda l’oppressione. E’ vero, abbiamo pochi diritti e soffriamo per l’oppressione, l’ignoranza e la violenza, ma ci sono anche molte donne e molti uomini coraggiosi che lottano per la libertà. Queste storie vanno raccontate per mostrare l’Afghanistan in una luce positiva, così che i popoli del mondo possano credere in noi e sostenere la nostra lotta. Organizzazioni come Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan), la cui fondatrice Meena è stata assassinate dai fondamentalisti nel 1987 in Pakistan,  Opawc (Organization of Promoting Afghan Women’s Capabilities) e Spa  (Solidarity Party of Afghanistan)  puntano a diffondere l’educazione tra le donne. Ci sono anche iniziative locali, come corsi di musica. Le donne progressiste che portano avanti queste organizzazioni e queste attività hanno bisogno di appoggio, di condividere le loro storie, visto che rischiano la vita per aiutare la loro gente. Quando persone coraggiose come loro alzano la voce, questa è la democrazia.

Stai terminando il tuo giro di incontri in Italia. Qual era lo scopo di questo viaggio?

Dal 2003 in poi ho ricevuto molti inviti per parlare in tutto il mondo e portare il messaggio della mia gente. La mia voce è la loro voce. Porto anche una richiesta di solidarietà, perché i popoli del mondi ci sostengano e ascoltino la nostra vera storia, al posto dei discorsi e delle bugie dei media. Dobbiamo risvegliare la coscienza negli occidentali, perché possano esaminare con spirito critico il ruolo delle forze d’occupazione degli Stati Uniti e della Nato, così come la partecipazione dei loro governi. Abbiamo anche bisogno di un sostegno pratico, per esempio per le iniziative educative, dunque io esprimo anche questa richiesta in nome della mia gente.

Cosa possiamo fare come attivisti e in generale come persone contrarie a ogni forma di violenza, per aiutare la vostra lotta in Afghanistan?

Eleggere politici onesti. Istruirvi. Vorrei che i giornalisti raccontassero quello che succede davvero nel paese, comprese le iniziative positive come il lavoro di RAWA, in modo che le storie non riguardino sempre l’oppressione. I giornalisti dovrebbero anche sfidare la versione secondo cui gli Stati Uniti e la Nato hanno liberato l’Afghanistan e spiegare che non siamo liberi. Vorrei che gli attivisti prestassero attenzione e sostenessero tutti i popoli che nel mondo lottano per la loro liberazione, come i palestinesi e i curdi. Il successo della lotta dei curdi contro l’ISIS e per l’auto-determinazione mi riempie di speranza; dobbiamo imparare da loro. Vorrei che gli attivisti capissero che la vittoria di palestinesi o curdi, o gli americani che resistono a Trump sono una vittoria di tutti noi – la loro vittoria è anche la nostra. Quando la gente ha davvero il potere; ecco, questa è una vittoria.

Dopo le tue denunce vivi in clandestinità da tempo. Che cosa ti dà la forza e la speranza per continuare nel tuo impegno di attivista per i diritti umani?

La mia coscienza è sveglia e la verità mi spinge a continuare. Devo far conoscere la verità sull’Afghanistan e risvegliare la coscienza della gente. Conoscere i dolori e le pene della mia gente mi rende instancabile, visto che lottare per loro è una mia responsabilità. Non sono l’unica attivista che vive così; ce ne sono molti altri. La solidarietà che riceviamo da tutto il mondo e l’appoggio di intellettuali e attivisti come Chomsky ci aiutano a capire che la nostra lotta contro questo silenzio politico sull’Afghanistan sta cominciando ad avere successo.  Inoltre personaggi storici afgani e figure note come Martin Luther King, Charlie Chaplin e John Lennon sono per me una fonte di ispirazione.

Che ruolo e che valore ha per te la nonviolenza?

Mi oppongo con forza alle armi e alla violenza. Per costruire un paese devi deporre le armi e invece chi ha il potere in Afghanistan parla attraverso la canna di un fucile. Farò un esempio che spiega la mia attuale situazione di seguace della nonviolenza che deve vivere in clandestinità. Nonostante il mio odio per le armi e l’oppressione del burqa, oggi devo usarli per la mia protezione in quanto attivista. Ho delle guardie del corpo e devo mettermi il burqua, per non farmi riconoscere dalla gente che vuole ammazzarmi.

Cos’è la giustizia in Afghanistan?

La giustizia è fondamentale, come il cibo e l’acqua. Ogni singolo afgano merita di avere giustizia, visto che ognuno di noi ha perso qualcuno, o è stato colpito dalla violenza. Perché ci sia giustizia i terroristi, gli estremisti e i signori della guerra vanno processati. Nel cuore e nella mente degli afgani lo sono già, ma occorre un vero processo. Non bisogna processare solo i signori della guerra, ma anche chi ha promosso, perpetrato e prolungato l’invasione, come Bush e Obama. In questo momento si sono avviati dei processi di pace, ma il fatto che i signori della guerra siano stati invitati a partecipare dimostra che non c’è giustizia. E’ importante ricordare che non c’è pace senza giustizia. Per instaurare la giustizia gli occupanti stranieri devono lasciare il paese e il popolo afgano deve costruire la sua democrazia laica.

A tuo parere che tipo di effetto hanno avuto le organizzazioni internazionali per lo sviluppo e le ONG in Afghanistan?

Le ONG internazionali sono spesso corrotte: il denaro resta nelle loro tasche, invece di andare a vantaggio degli afgani. Credo che le ONG occidentali vengano usate per giustificare l’occupazione straniera del mio paese. Il loro lavoro ha spesso introdotto un altro nemico: le privatizzazioni. Grazie alla collusione tra i ministri del governo e le ONG, oggi ci sono scuole e ospedali che servono solo a fare soldi e sono troppo cari perché l’afgano medio possa utilizzarli. Per me è molto doloroso sentire cantar le lodi delle ONG e dell’Occidente per aver portato la “sicurezza” in Afghanistan, che invece rimane un paese insicuro e violento. Io credo molto nella potenza e nel lavoro di organizzazioni locali oneste, come RAWA e OPAWC.

Abbiamo appreso con grande tristezza che il giorno del ritorno di Malalai in Afghanistan due terribili attentati hanno ucciso civili, giornalisti e fotoreporter. Questo è l’inferno quotidiano che Malalai e il popolo afgano continuano ad affrontare.

Traduzione dall’inglese di Anna Polo

fonte: https://www.pressenza.com/it/2018/05/malalai-joya-devo-far-conoscere-la-verita-sullafghanistan-risvegliare-la-coscienza-della-gente/