Aborto farmacologico, niente day hospital, ma tre, inutili strumentali giorni di ricovero per torturare fisicamente e psicologicamente le richiedenti. No, non è l’Inquisizione del medio evo, è la lega in Umbria… E voi donne, continuate a votare leva, vi raccomando!

 

Aborto

 

 

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Aborto farmacologico, niente day hospital, ma tre, inutili strumentali giorni di ricovero per torturare fisicamente e psicologicamente le richiedenti. No, non è l’Inquisizione del medio evo, è la lega in Umbria… E voi donne, continuate a votare leva, vi raccomando!

In un momento storico in cui si sta cercando di ridurre al minimo la pressione sugli ospedali e si è spiegato alle persone che più ce ne si tiene alla larga meglio è, la giunta di centrodestra a trazione leghista dell’Umbria ha deciso: le donne, per esercitare un loro diritto fondamentale quale è l’aborto, non potranno più usufruire del day hospital o del domicilio, ma dovranno affrontare tre giorni di ricovero. La presidente Donatella Tesei (lega, ovviamente) e la sua maggioranza hanno infatti abrogato la delibera della giunta precedente di centrosinistra, prendendosi il plauso dell’associazione Family Day dell’Umbria e dall’Associazione famiglie numerose, ma sollevando le critiche di realtà ben più competenti sul tema come la Società italiana di ginecologia e ostetricia.

La legge 194 in realtà prevede che l’aborto debba essere effettuato dietro ricovero ospedaliero ma dal 2009 si dà potere alle regioni di disciplinare la materia in modo autonomo, per costruire percorsi più idonei e rispettosi della libertà e dell’autodeterminazione delle donne. Oggi l’Umbria va però nella direzione opposta, giustificando il tutto con la volontà di “prendersi cura” e “sostenere” la donna, ma nella realtà mettendo quest’ultima in una condizione tutto tranne che ottimale.

Innanzitutto, c’è il fatto che se l’aborto può essere vissuto in modo più o meno traumatico a seconda del soggetto, di sicuro a livello di trauma c’è un ricovero forzato e inutile di più giorni quando tutto potrebbe risolversi in poche ore. Un elemento che peraltro erode la privacy della persona: la vita di tutti i giorni, il lavoro, le relazioni familiari difficilmente potranno essere tenute fuori da un pernottamento ospedaliero di questo tipo. L’interruzione di gravidanza si trasforma allora da fatto personale a pratica di dominio pubblico, da raccontare, da giustificare, da motivare nel dettaglio.

Che tutto questo avvenga poi in un momento di emergenza sanitaria, quando gli ospedali hanno già i loro problemi e quando il rischio di contagiarsi al loro interno è sicuramente più alto quanto più li si frequenta, rende la decisione umbra ancora più assurda. Nei mesi della pandemia la scelta più logica sarebbe dovuta essere quella di incentivare l’aborto farmacologico a domicilio, per tutelare realmente la donna ma anche il sistema sanitario stesso. Che la giunta di Tesei vada nella direzione opposta proprio ora, obbligando una donna a trascorrere più giorni in ospedale, suona come un deterrente all’aborto più che come una forma di supporto alla persona. D’altronde, in molte zone d’Italia si sono registrati in questi mesi crescite importanti di decessi anche non per coronavirus e la spiegazione che si è data, tra le altre, è stata la seguente: “paura di andare in ospedale”. Un sentimento che potrebbe riguardare anche chi volesse sottoporsi a un’interruzione di gravidanza, un’ansia amplificata dalla nuova linea umbra, che potrebbe spingere molte donne a tirarsi indietro non per una riflessione sulla gravidanza, ma sulle modalità di interruzione.-

Ma in generale, al di là della privacy o dei rischi sanitari, il problema, ancora una volta quando si parla di aborto, è sempre lo stesso. La pretesa di certa politica di decidere cosa sia giusto o sbagliato per le donne, di sentenziare sul loro corpo, di stabilire in che modo tutelare la persona senza realmente tenere in considerazione le necessità di quest’ultima. Ma soprattutto, la volontà di rendere a tutti i costi l’interruzione di gravidanza un momento doloroso, difficile, cosa ben rappresentata dai tre giorni di ricovero inutili ma necessari nella logica del centrodestra umbro, come sorta di colpa da espiare, in forma di detenzione, nell’etica retrograda dei fan del family day.

Tutto questo avviene peraltro in una regione che già non se la passava bene sull’argomento. In Umbria il 66% dei medici sono obiettori di coscienza e questo ha contribuito a un calo degli aborti nel corso degli anni. Piuttosto che intervenire su questo punto, eliminando gli ostacoli all’esercizio di un diritto sacrosanto, la giunta di centrodestra ha preferito metterne degli altri, rendendo ancora più difficile per le donne locali di decidere liberamente per il proprio corpo.

Fora donne votate lega, torniamo tutti nel medio evo…

Aborto farmacologico, Michela Murgia demolisce in diretta la governatrice leghista dell’Umbria Tesei

Non accennano a placarsi le polemiche sulla decisione dell’Umbria di cancellare la possibilità di ricorrere all’aborto farmacologico in day hospital, obbligando le donne al ricovero per tre giorni: l’ultima a parlarne, in ordine di tempo, è stata Michela Murgia che durante il Tg Zero su Radio Capital ha attaccato in diretta la governatrice leghista Donatella Tesei, collegata telefonicamente.

La presidente dell’Umbria, incalzata sulle polemiche generate dalla delibera della Giunta regionale dell’11 giugno, ha dichiarato che si è trattato di una scelta “per tutelare la salute della donna, perché comunque un’interruzione di gravidanza presenta dei rischi e la salute va tutelata prima e al di sopra di tutto”. A quel punto, Murgia ha chiesto a Tesei se ci sono evidenze “di donne che sono state male o che sono morte a casa perché non facevano il ricovero”. La governatrice ha detto di no, ma ha sottolineato che è una legge nazionale a chiedere il ricovero di tre giorni in caso di ricorso alla pillola abortiva. “E’ solo un consiglio – è intervenuta allora la conduttrice – mentre la Società di Ostetricia e Ginecologia consiglia il day hospital. Perché avete pensato che possa essere più tutelata la salute se mi avete detto che non ci sono evidenze del fatto che la donna corra più rischi a casa?”.

Murgia ha continuato a elencare i motivi per cui sarebbe meglio ripristinare anche in Umbria la possibilità di ricorrere all’aborto farmacologico in day hospital: “Ci sono situazioni – ha detto – in cui tre giorni di ricovero non sono possibili per prendere la pillola abortiva: ragazze rimaste incinte che non vogliono dirlo ai genitori, situazioni in cui il partner interferisce. Questa delibera limita la libertà di scelta delle donne. Lei crede che una donna non sia in grado di autodeterminarsi e di tutelare la propria salute in autonomia?”.

La discussione tra la conduttrice e la governatrice dell’Umbria è andata così avanti, con la prima che riportava le dichiarazioni degli specialisti e la seconda che invece giustificava l’azione della Regione sottolineando che la delibera è in linea con la legge nazionale. Ciò che è certo è che da ormai tre giorni, sui social e nei programmi radiotelevisivi non si fa che parlare d’altro: la procedura di somministrazione di Ru486 può essere fatta in day hospital o è meglio, come ha stabilito l’Umbria, un ricovero di tre giorni? Nel frattempo, il ministro della Salute Roberto Speranza ha chiesto un nuovo parere sulla questione al Consiglio superiore di sanità.

 

Iva Zanicchi, la nuova reginetta razzista dei fascio-leghisti: “I giovani africani vanno in città per spacciare e se possono stuprano”

 

Iva Zanicchi

 

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Iva Zanicchi, la nuova reginetta razzista dei fascio-leghisti: “I giovani africani vanno in città per spacciare e se possono stuprano”

Il razzismo di Iva Zanicchi: “I giovani africani vanno in città per spacciare e se possono stuprano”

La cantante ed ex europarlamentare di Forza Italia diventa la reginetta social dell’estrema destra inanellando una serie di stereotipi e luoghi comuni.

Finalmente ha conquistato la pole position della destra xenofoba, quella che vive di paure e alimenta discriminazioni.

E così il suo amatissimo intervento pieno di pregiudizi e cose inesatte – per non dire falsità – è stato rilanciato con enfasi sui social della Lega che – come è noto – in tempi di Covid-19 esploso in Lombardia e arrivato in Italia dalla Germania (dopo essere arrivato lì dalla Cina) si sono ritrovati senza poter parlare male dei nei e degli africani, che loro avevano (sbagliando) indicato preventivamente come i potenziali untori.

Così a Fuori dal Coro, Iva Zanicchi, già europarlamentare di Forza Italia, ha commentato gli ultimi sbarchi di immigrati in Italia: “Succederanno cose molto gravi in questo Paese se non si porrà un rimedio. Ma non vedi che questi giovani africani non hanno rispetto? Sono prepotenti: pretendono e vogliono. Cosa fanno durante il giorno? Vanno in città per mettersi a spacciare e, se possono, stuprano. Perché sanno che in questo Paese non gli succederà nulla. Nei loro Paesi se si comportassero così andrebbero in galera o li farebbero fuori. O no? Qui invece sono padroni di fare tutto ciò che vogliono”.

Il tutto mentre il sottopancia soffiava sul fuoco con la scritta: raddoppiano gli sbarchi, tensioni in tutta Italia.

In tutta Italia dove?

“L’amicizia del M5s con il regime venezuelano mi fa vergognare di essere italiano” Lo ha detto Salvini, l’amico di Orban. Salvini, l’amico di Bolsonaro. Salvini, l’amico di Putin. Salvini, l’amico di Tramp… Ce ne sarebbe, eccome, da vergognarsi veramente…!

 

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“L’amicizia del M5s con il regime venezuelano mi fa vergognare di essere italiano” Lo ha detto Salvini, l’amico di Orban. Salvini, l’amico di Bolsonaro. Salvini, l’amico di Putin. Salvini, l’amico di Tramp… Ce ne sarebbe, eccome, da vergognarsi veramente…!

Salvini sui presunti finanziamenti del Venezuela al M5s: “Se ci fossero riscontri concreti o evidenze sarebbe un problema perchè il Venezuela è un regime comunista e sanguinario”

In merito ai sospetti secondo cui il Movimento cinque stelle avrebbe accettato dei finanziamenti dal Venezuela, Matteo Salvini ha affermato: “Non commento quello che non è certo, anche perché sono mesi che inseguono soldi russi che non esistono, quindi non voglio gettare la croce addosso ad altri. Se ci fossero riscontri concreti o evidenze sarebbe un problema perchè il Venezuela è uno degli ultimi regimi comunisti, sanguinari, dittatoriali che ci sono al mondo”.

A parte che il commento c’è stato eccome, che i soldi russi non esistono è ancora da dimostrare. Senza contare che non è che la Russia di Putin sia un paese campione di democrazia.

“Non entro nel merito di finanziamenti che non conosco quindi non spetta a me dare giudizi – ha ribadito Salvini – L’atteggiamento amichevole di parte dei Cinquestelle nei confronti del regime venezuelano mi ha sempre sconcertato, ma questo anche se fosse gratis. Se non fosse arrivata una lira, il fatto che parlamentari Cinquestelle andassero in Venezuela, si facessero fotografare con carnefici e sanguinari della dittatura venezuelana, secondo me è surreale”.

“Vedo un problema in questo governo, al di là di eventuali finanziamenti: l’amicizia con alcuni regimi, penso a Cina, Venezuela e Iran – ha concluso Salvini – mi fa vergognare di essere italiano. Cina, Venezuela e Iran sono regimi sanguinari e dittatoriali con cui non si dovrebbe andare a braccetto”.

Mentre, evidentemente, ritiene Orban un santo, Bolsonaro un benefattore e Tramp un esportatore di democrazia…

Orban, Bolsonaro, Putin e Tramp, questi sono gli amici di Salvini. Ed è di questo che si dovrebbe vergognare!

Il presidente di Confindustria Lombardia Bonometti: “Nelle riunioni che abbiamo avuto quasi ogni giorno tra fine febbraio inizio marzo, la Regione è sempre stata D’ACCORDO CON NOI nel ritenere dannosa, zona rossa per Alzano e Nembro”

 

zona rossa

 

 

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Il presidente di Confindustria Lombardia Bonometti: “Nelle riunioni che abbiamo avuto quasi ogni giorno tra fine febbraio inizio marzo, la Regione è sempre stata D’ACCORDO CON NOI nel ritenere dannosa, zona rossa per Alzano e Nembro”

Da un articolo di Next Quotidiano del 09 aprile scorso:

Come Confindustria e la Regione Lombardia hanno fermato la zona rossa di Nembro

È il presidente di Confindustria Lombardia Bonometti a fare chiarezza: “Nelle riunioni che abbiamo avuto concadenza quasi quotidiana tra fine febbraio e i primi giorni di marzo, anche in sede di Patto di sviluppo con artigiani, commercianti, lega delle cooperative e sindacati, la Regione è sempre stata d’accordo con noi nel non ritenere utile, ma anzi dannosa, una eventuale zona rossa sul modello Codogno per chiudere i comuni di Alzano e Nembro”

Il Fatto Quotidiano oggi racconta in un articolo a firma di Giampiero Calapà che la Confindustria e la Regione Lombardia sono sempre state d’accordo nel no alla zona rossa a Nembro e ad Alzano Lombardo, a differenza di quanto hanno raccontato Attilio Fontana e Giulio Gallera per settimane cercando di incolpare il governo per le loro non-decisioni.

È il presidente di Confindustria Lombardia Bonometti a fare chiarezza: “Nelle riunioni che abbiamo avuto concadenza quasi quotidiana tra fine febbraio e i primi giorni di marzo, anche in sede di Patto di sviluppo con artigiani, commercianti, lega delle cooperative e sindacati, la Regione è sempre stata d’accordo con noi nel non ritenere utile, ma anzi dannosa, una eventuale zona rossa sul modello Codogno per chiudere i comuni di Alzano e Nembro”. Due giorni fa Gallera si tradisce alla trasmissione Agorà su Rai3: “Avremmo potuto fare noi la zona rossa? Ho approfondito ed effettivamente c’è una legge che lo consente”.

Questa legge sconosciuta prima dell’approfondimento è la 833 del 1978 “Istituzione del servizio sanitario nazionale”. Ieri, nello show ormai quotidiano, Gallera prova a spiegarsi: “Nel momento in cui il governo sta assumendo una decisione, ha senso che io la prenda quattro ore prima? Poi ci si accusa di non avere una sintonia istituzionale… Il 4 marzo arrivano i militari ad Alzano. Passa il 5, il 6, in quel momento l’assunzione di un’ordinanza da parte del governatore appariva originale visto che il governo aveva già dislocato le forze dell’ordine”.

Purtroppo Gallera dice una sciocchezza. O meglio, se dice qualcosa di vero, poi dovrebbe spiegare perché proprio lui e Fontana hanno invece varato un’ordinanza qualche ora prima che il governo varasse un decreto con ulteriori restrizioni. Quello che secondo Gallera sarebbe assurdo che accadesse, è invece accaduto tra il 22 e il 23 marzo.

E ora attenzione all’ultima frase dell’articolo:

MA ALLE RIUNIONI dei primi giorni di marzo (l’ultima giovedì 5), né Gallera né il governatore Attilio Fontana – come riferisce al Fattouna persona che ha potuto assistere alla videoconferenza –chiedono di far presto con la zona rossa ad Alzano e Nembro. Si limitano ad ascoltare le valutazioni del premier Giuseppe Conte e del ministro della Salute Roberto Speranza, in allarme fin dal 3 marzo sui dati anomali dei contagi ad Alzano-Nembro e a Orzinuovi (Brescia) riferiti dall’Istituto di Sanità al Comitato tecnico-scientifico. “La sensazione era che la giunta lombarda aspettasse una decisione modello Codogno, presa da Roma, senza doversi intestare la responsabilità della chiusura di Alzano e Nembro, come la legge gli avrebbe invece consentito di fare”, riferisce ancora la fonte.

fonte: https://www.nextquotidiano.it/confindustria-e-la-regione-lombardia-hanno-fermato-la-zona-rossa-di-nembro/?fbclid=IwAR2Pq2Njlyq2dEW-1StP1SUJKaQ9qnE3tJQHbULv5-6DgV7wNhfKGIhSXho

 

Umbria: 1 – Emilia-Romagna: 2 – Lazio: 5 – Campania: 3 – Abruzzo: 12 – Molise: 5 – Basilicata: 4 – Calabria: 11 – Sicilia: 4. Nove regioni hanno istituito 47 le zone rosse. Marco Travaglio si chiede: Perché in Lombardia non si poteva?

 

Marco Travaglio

 

 

 

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Umbria: 1 – Emilia-Romagna: 2 – Lazio: 5 – Campania: 3 – Abruzzo: 12 – Molise: 5 – Basilicata: 4 – Calabria: 11 – Sicilia: 4. Nove regioni hanno istituito 47 le zone rosse. Marco Travaglio si chiede: Perché in Lombardia non si poteva?

Una l’Umbria, 2 l’Emilia-Romagna, 5 il Lazio, 3 la Campania, 12 l’Abruzzo, 5 il Molise, 4 la Basilicata, 11 la Calabria, 4 la Sicilia. In totale fanno 47 zone rosse istituite da tutte le regioni Italiane nel periodo più acuto della pandemia da coronavirus. È l’elenco fatto da Marco Travaglio a Otto e Mezzo per quanto riguarda le misure intraprese dalle singole regioni, in contrasto con quanto fatto dalla Lombardia «nonostante – dice il direttore del Fatto Quotidiano – avesse il record mondiale di contagi da coronavirus».

Per questo motivo, Travaglio è convinto che le audizioni in procura a Bergamo di Giuseppe Conte, Roberto Speranza e Luciana Lamorgese siano utili a chiarire e a dare contributi all’indagine sulle mancate zone rosse create nei due Paesi di Alzano Lombardo e Nembro, che potrebbero portare a formulare le accuse di epidemia colposa.

Tuttavia, andranno chiarite le responsabilità, dal momento che – in base alla legge che concede autonomia alle regioni – queste ultime, per motivi sanitari, possono istituire delle limitazioni. Si tratta di una legge che, come già visto, è stata applicata in 9 regioni italiane che hanno istituito le zone rosse di loro iniziativa, senza aspettare un via libera da parte del governo di Giuseppe Conte.

«Non si può chiedere l’autonomia a giorni alterni – ha detto Marco Travaglio -. La Lombardia avrebbe potuto istituire le zone rosse. È bene che i magistrati che fanno le indagini leggano anche le leggi sulle quali quelle indagini dovrebbero basarsi. Io sono favorevole a queste indagini, così si chiariranno tutti gli aspetti della vicenda di Alzano e Nembro».

Le parole di Travaglio arrivano qualche ora dopo la notizia della convocazione in procura, per la giornata di venerdì 12 giugno, di Conte, Lamorgese e Speranza a Bergamo per parlare come persone informate sui fatti con i magistrati della locale procura. Dal governo filtra qualche disappunto per questo tipo di decisione, mentre invece Matteo Salvini, nella giornata di ieri, aveva twittato «giustizia è fatta». Dimenticando che, per lo stesso motivo, erano stati convocati in procura anche Attilio Fontana e Giulio Gallera. Giustizia, insomma, non è fatta per niente. Almeno per il momento.

L’armata di burocrati raccomandati dalla Lega che controlla la sanità in Lombardia – I fedelissimi di Salvini ed i protetti di Fontana, Galli e di politici condannati per corruzione. L’antimafia svela le obbedienze politiche dei manager nella Regione travolta dall’emergenza…

 

Lombardia

 

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L’armata di burocrati raccomandati dalla Lega che controlla la sanità in Lombardia – I fedelissimi di Salvini ed i protetti di Fontana, Galli e di politici condannati per corruzione. L’antimafia svela le obbedienze politiche dei manager nella Regione travolta dall’emergenza…

Da L’Espresso:

Bravissimi, capacissimi, veri tecnici preparati e indipendenti? Grandi medici, ottimi manager o magari scienziati impermeabili alle pressioni politiche? No: fedelissimi della Lega. Anzi, dei capi-partito nazionali e regionali: Matteo Salvini, il governatore Attilio Fontana e il suo assessore Stefano Galli.

La Lombardia ha affrontato l’emergenza coronavirus con una classe dirigente sanitaria totalmente lottizzata dalla politica. La regione più colpita dall’epidemia rappresenta un caso da manuale di spartizione degli ospedali tra i partiti al potere. Medici, infermieri e operatori sanitari, gli eroi dei nostri giorni stremati dai sacrifici e falcidiati dal virus, sono lavoratori dipendenti e devono obbedire a loro: i direttori di nomina politica da oltre 10 mila euro netti al mese. E in Lombardia li comanda la Lega, che da anni controlla 24 delle 40 poltrone di vertice di un sistema sanitario regionale che ai cittadini costa 20 miliardi all’anno.

Tutti i particolari sulla lottizzazione degli ospedali sono scritti nero su bianco in un documento riservato, sequestrato dai magistrati antimafia di Milano cinque anni fa, recuperato dall’Espresso e finora mai pubblicato integralmente: la lista riservata dei direttori della sanità lombarda con la targa della Lega. Una specie di manuale Cencelli applicato agli ospedali e alle Asl, con nomi, cariche e sponsor politici. Rispetto alle normali mappe dei manager lottizzati, ricostruite in questi anni dai cronisti lombardi dopo ogni tornata di nomine, l’elenco confiscato ha diverse particolarità: è un documento interno alla Lega, scritto a mano per non lasciare tracce nei computer, e non si limita a indicare che il dirigente sanitario è stato scelto dal partito, ma specifica anche il suo padrino politico. La lista è ancora attualissima: la sanità lombarda è tuttora in mano a decine di questi direttori etichettati da anni come fedelissimi di Salvini o di altri big della Lega.

Uno dei manager più importanti è Marco Onofri, l’affermato cardiologo varesino che il governatore Fontana ha promosso dal gennaio 2019 a capo dell’Acss, l’agenzia di controllo di tutta la sanità lombarda. Cioè degli ispettori e tecnici responsabili della vigilanza e del coordinamento tra ospedali: compiti cruciali soprattutto in situazioni di emergenza. Nella lista dei lottizzati sequestrata nel 2015, Onofri compare con l’incarico dell’epoca, numero uno dell’azienda ospedaliera di Como, e come sponsor politico ha il «gruppo di Varese» della Lega, capeggiato proprio dall’allora sindaco Fontana. Che nel 2018 è diventato presidente della regione, ed è rimasto il suo santo protettore. Come raccontano le confidenze intercettate dall’antimafia di Milano, ancora una volta, nell’inchiesta che nel 2019 ha portato in carcere Nino Caianiello, l’eminenza grigia di Forza Italia a Varese, già allora pregiudicato per tangenti. Quando il governatore leghista gli anticipa che vuole promuovere proprio il dottor Onofri alla direzione centrale del sistema sanitario lombardo, è Caianiello a fargli cambiare idea: «Mettilo a fare il responsabile dell’agenzia del controllo. Onofri è un amico, persona competente… Ma tu alla sanità hai bisogno di uno tonico». Profezia avverata.

Come «fedelissimo di Salvini», nella lista leghista, è etichettato Walter Locatelli, che vent’anni fa fece il suo primo balzo da perito chimico responsabile del laboratorio di Treviglio, a direttore generale di Asl, da Lecco a Milano. Dopo un’irresistibile carriera in Lombardia, oggi Locatelli è il commissario straordinario del sistema sanitario della Liguria con il governatore di centrodestra Giovanni Toti.

Mara Azzi, per anni a capo dell’agenzia per la salute (Ats) di Bergamo, dal 2019 siede sulla poltrona di direttore generale a Pavia. Già nel 2012, intervistata dalla Gazzetta di Mantova, aveva ammesso: «Sì, sono in carico alla Lega Nord, punto e a capo». Nella lista sequestrata nel 2015 è però associata a due sponsor: «Stefano Galli e Lucchina». Il primo, professore e ideologo della Lega, era il capogruppo regionale del partito sotto il governatore Roberto Maroni: oggi, con Salvini leader, è l’assessore all’Autonomia della giunta Fontana. Che gli ha riconfermato fiducia anche dopo il coinvolgimento nell’inchiesta di Genova che più imbarazza la Lega: Galli, che respinge ogni accusa, figura infatti tra gli indagati per la sparizione di 46 dei 49 milioni della famosa truffa dei rimborsi elettorali dell’era Bossi. Il secondo, Claudio Lucchina, era il direttore generale di tutta la sanità lombarda sotto Roberto Formigoni, governatore ciellino per vent’anni, poi condannato per corruzioni milionarie in cambio di sussidi pubblici a due ospedali privati. In questi mesi difficili Mara Azzi ha difeso fino all’ultimo la linea lombarda sugli ospizi, da lei stessa illustrata il 26 marzo scorso ai preoccupati cronisti della Provincia Pavese: «Per gli ospiti delle residenze per anziani non sono previsti tamponi».

Il manuale della lottizzazione leghista collega al professore e assessore Galli, con una vistosa freccia, anche il manager Mauro Borelli, già direttore generale a Mantova. Dove si era segnalato per le sue richieste di donazioni alla Lega spedite su carta intestata dell’azienda sanitaria. Oggi Borelli è il responsabile degli ospedali bresciani di Chiari, Iseo, Rovato, Palazzolo e Orzinuovi, dove il virus ha fatto strage.

La genesi del sequestro giudiziario di questa mappa dei lottizzati è inquietante, ma a suo modo istruttiva: se la sanità è dominata da una politica predatoria, anche la corruzione e perfino la mafia possono entrare negli ospedali. In Lombardia lo si scopre nell’estate 2010, con la clamorosa retata (304 arresti tra Milano e Reggio Calabria) che porta in carcere anche il dottor Carlo Chiriaco: un complice della ’ndrangheta diventato direttore sanitario dell’Asl di Pavia, una capitale scientifica della medicina italiana. Da quella maxi-inchiesta partono molte altre indagini concatenate, che durano anni e svelano le tangenti dell’Expo di Milano e svariate corruzioni negli ospedali lombardi. Finché nel 2015, perquisendo un manager di comprovata fede leghista, l’antimafia trova la lista dei lottizzati. Scritta a mano, in stampatello, ma conservata accanto a un documento originale del “comitato ristretto” dell’assessorato alla Sanità: le “pagelle” dei direttori generali, con i punteggi per distribuire i bonus. Ma anche qui c’è un’aggiunta a penna: accanto a ogni nome c’è la sigla di un partito, Lega o Pdl. Unica eccezione, un tecnico di area Pd, prontamente silurato.

Dopo quella perquisizione, mentre l’Espresso pubblica le prime parziali indiscrezioni, nella sanità lombarda sembra cambiare tutto. Le indagini su Formigoni spezzano il ventennale predominio ciellino. E la Lega di Maroni annuncia una riforma della sanità. Basta raccomandati di partito, basta lottizzazioni: i direttori generali vanno selezionati «per merito e professionalità», con prove scritte e bocciature eccellenti. Nel gennaio 2016, però, una manina rimasta anonima rovina tutto: sul sito dell’agenzia regionale Arca viene pubblicato «per errore» l’elenco dei direttori generali appena nominati, con le bandiere dei partiti di riferimento. Quella mappa, pubblicata da Il Fatto Quotidiano, riconferma il manuale leghista, con qualche aggiunta: altri manager sono saliti sul carro della Lega.

L’esempio più vistoso interessa il primo ospedale milanese per le malattie infettive. Nella lista sequestrata nel 2015, che riportava i nominati del 2013, il nome di Alessandro Visconti, allora direttore dell’Icp-Mangiagalli, era associato a due sponsor: il ciellino Lucchina e il berlusconiano Gianstefano Frigerio. Un politico lombardo pluri-condannato come tesoriere di Tangentopoli per la Dc, poi eletto parlamentare con Forza Italia, quindi riarrestato e ricondannato per le tangenti dell’Expo. Già nella mappa del 2016, però, sul nome di Visconti sventola la bandiera della Lega, che lo ha portato in Regione come direttore della «programmazione strategica». Una bella carriera, per un manager che fino a pochi anni prima, come mostra il suo curriculum, si occupava di tutto fuorché di sanità: antifurti per automobili, compagnie aeree, ingegneria oleodinamica, valvole a sfera e calzature. Oggi Visconti, anche lui varesino, è da tre anni il numero uno degli ospedali milanesi Sacco, Buzzi e Fatenebenefratelli. Il Sacco, con l’istituto Spallanzani di Roma, è uno dei centri nazionali di riferimento per il Covid-19.

Con l’ultima tornata di nomine, decise nel dicembre 2018, la Lega ha conquistato 24 poltrone su 40, lasciandone solo 14 a Cl e Forza Italia, 2 a Fratelli d’Italia. E ha fatto nuovi acquisti. Come Walter Bergamaschi, nominato direttore dell’Ats di Milano, che comprende anche Lodi, dopo aver gestito la centrale regionale con Maroni. A Cremona, da Lodi, è arrivato Giuseppe Rossi, che non pubblica un curriculum aggiornato, ma ha un passato di ingegnere meccanico e chitarrista della band di Maroni. In un’altra provincia martoriata dal virus la Lega oggi schiera Claudio Sileo, promosso al vertice dell’Ats di Brescia grazie ai meriti acquisiti nella gestione del Pio Albergo Trivulzio.

Altri manager inseriti nella lista dei lottizzati del 2013-2015, invece, sono passati alla sanità privata. Danilo Gariboldi, ad esempio, era il direttore dell’ospedale bresciano di Chiari, accreditato come «fedelissimo di Salvini e Bruno Caparini», il grande amico di Umberto Bossi che è padre di Davide, per anni parlamentare e attuale assessore lombardo all’economia. Oggi Gariboldi è il vicedirettore sanitario della rinomata casa di cura privata La Madonnina di Milano. Mentre Gilberto Compagnoni, dopo aver diretto l’Asl di Cremona, sfidando le polemiche per le consulenze esterne da 250 mila euro affidate alla società informatica di Luca Morisi (lo spin doctor della propaganda su internet di Matteo Salvini), ora è il direttore sanitario dell’ospedale privato di Volta Mantovana.

Ma c’è anche chi è partito dagli ospedali lombardi per salire ancora più in alto. Cristina Cantù, immortalata nell’elenco del 2013-2015 come «fedelissima di Salvini e Maroni», ha diretto le Asl di Milano e Monza, diventando anche assessore alla Famiglia della giunta Maroni, che le ha dato pure la delega alle Pari opportunità, regalandole per alcuni mesi l’ebbrezza del triplo incarico. Eletta senatrice della Lega, è stata sottosegretario alla salute con il primo governo Conte. E oggi è vicepresidente della commissione sanità del Senato. Di salute, in effetti, se ne intende: nel 2015 ha cumulato le poltrone di manager a Monza e di responsabile dell’ufficio contratti del più famoso ospizio milanese, il Pio Albergo Trivulzio, carica mantenuta fino all’aprile 2019. La casa di riposo dove era nata Tangentopoli. E in questi mesi, sfortunatamente, è diventata il simbolo della catastrofe sanitaria in Lombardia.

fonte: https://m.espresso.repubblica.it/plus/articoli/2020/05/08/news/sanita-lombardia-lottizzata-1.348026?ncid=fcbklnkithpmg00000001&ref=fbph&fbclid=IwAR1i2wNmurPu1LbaBh6yJPXBvWJJlMsE356qweEScXYqvpXkbz4eSxKBkTI

Dedicato a tutti quelli che dicono “ha fatto anche cose buone”: 10 giugno, anniversario della guerra folle di Mussolini a Francia e Inghilterra – Risultato 472.000 morti!

 

 

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Dedicato a tutti quelli che dicono “ha fatto anche cose buone”: 10 giugno, anniversario della guerra folle di Mussolini a Francia e Inghilterra – Risultato 472.000 morti!

A coloro i quali, ancora oggi, vanno dietro al ‘mito’ del pettoruto Cesare di cartapesta bisognerebbe raccontare come sono andate veramente le cose. Mussolini sbagliò e portò l’Italia allo sbaraglio. Ed è incredibile che ci siano ancora persone – serie ma disinformate – che si ispirino a un politico che si lasciò convincere dalla propaganda del Fuhrer

Oggi è il 10 giugno. Per tutti, o quasi, un giorno come un altro. E invece no. Oggi ricorre il 77 anniversario della dichiarazione di guerra da parte di Mussolini a Francia e Inghilterra, le “democrazie plutocratiche”. Piazza Venezia, a Roma, 77 anni fa, traboccava di gente, di italiani che ascoltavano esaltati il discorso di un esaltato.

“Italiani …!”. Un’eco lontana giunge fino a noi, figli e nipoti di quella tragedia che ha segnato la nostra storia e definito per sempre la minorità politica del nostro Paese nei confronti degli antichi vincitori che usano il nostro Paese come una loro appendice militare.

Come è stato possibile, si chiedono storici e gente comune. Non solo è stato possibile, ma non è stato evitato benché si potesse evitare. L’Italia non era pronta alla guerra, e il primo a saperlo era chi la dichiarò. E sarebbe bene che quanti, troppi, hanno fatto visita, in occasione dell’anniversario della morte di Mussolini alla sua tomba almeno conoscessero la storia. Forse alcuni di loro arretrerebbero inorriditi, e già sarebbe qualcosa. I mentecatti e gli esaltati non li puoi convincere, devi solo sperare che si contentino di fare sceneggiate.

Eppure, il 25 agosto del 1939, quando Hitler aveva ormai deciso di invadere la Polonia, Mussolini, pur legato a doppio filo con il Fuhrer, si tirò indietro. Ecco che cosa scrisse al sua alleato:

“Se la Germania attaccherà la Polonia e gli alleati di questa nazione inizieranno un contrattacco verso la Germania, Vi informo d’anticipo che sarà opportuno per me non prendere l’iniziativa in operazioni militari, dato l’attuale stato della preparazione bellica italiana. Nondimeno il nostro intervento può aver luogo senza indugio se la Germania ci invierà immediatamente le forniture militari e le materie prime necessarie per resistere all’attacco che la Francia e la Gran Bretagna dirigerebbero principalmente contro di noi… Nei nostri incontri la guerra era stata prevista per il 1942 e per quell’epoca io sarei stato pronto in terra, in mare e in cielo…”.

Che cosa fece cambiare idea nel giro di soli nove mesi al nostro pettoruto Cesare di cartapesta?
Le travolgenti vittorie militari tedesche, ovviamente, che lo accecarono e perdettero Mussolini con una decisione scellerata, frutto di cinismo e di stupidità, il 25 maggio del 1939 affermò testualmente davanti a testimoni:

“Mi serve qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative” (di una pace che credette imminente).

Ebbene, nel nostro Paese c’è ancora gente tanto immorale e disonesta intellettualmente da spingere un branco di mentecatti e purtroppo un certo numero persone serie ma disinformate e disavvedute ad onorare questo miserabile e a votare per formazioni politiche che si ispirano ancora alla sua trista figura.

 

fonte: https://bandabassotti.myblog.it/2017/06/10/dedicato-a-berlusconi-ed-a-tutti-quelli-che-dicono-ha-fatto-anche-cose-buone-10-giugno-anniversario-della-guerra-folle-di-mussolini-a-francia-e-inghilterra-risultato-472-000-morti/

Giacomo Matteotti ammazzato dai Fascisti il 10 giugno del 1924 – La storia di chi pagò a caro prezzo la lotta per la libertà

 

 

Giacomo Matteotti

 

 

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Giacomo Matteotti ammazzato dai Fascisti il 10 giugno del 1924 – La storia di chi pagò a caro prezzo la lotta per la libertà

Esiste una famosa canzone popolare che iniziò a dilagare dopo il rapimento e l’uccisione di Giacomo Matteotti. Da sempre contro il fascismo e le sue nefandezze, l’uomo pagherà cara la sua lotta per la verità.

Or, se a ascoltar mi state,

canto il delitto di quei galeotti

che con gran rabbia vollero trucidare

il deputato Giacomo Matteotti.

Erano tanti:

Viola Rossi e Dumin,

il capo della banda

Benito Mussolini

 

Giacomo Matteotti nasce il 22 maggio del 1885 a Fratta Polesine: la sua carriera politica inizia molto presto e già nel 1919 viene eletto al parlamento; allora è ancora parte per PSI. Nel 1921 e nel 1924 la sua candidatura viene riconfermata: i compagni lo chiamano Tempesta, per la forza e la tenacia con cui conduce le sue battaglie. Nel 1921 pubblica la sua Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, che denunciava le azioni delle squadre fasciste prima delle elezioni del ’21. Nel 1922 viene escluso dal PSI e diventa segretario del Partito Socialista Unitario. Bel 1924 invece viene pubblicato a Londra (ovviamente non Italia) il suo libro Un anno di dominazione fascista, parlando ancora dello squadrismo e del trattamento imposto agli oppositori di regime.

La sua tacita condanna, e ne è consapevole, la firma il 30 maggio del 1924, quando condanna in Parlamento i brogli elettorali e le nefandezze compiute dalle camice nere, al fine di far vincere a Mussolini le elezioni. Il suo discorso, interrotto continuamente dalla destra, smaschera tanto le violenze quanto le scorrettezze durante le votazioni e gli scrutini. Chiede quindi di invalidare le elezioni, palesemente pilotate.

Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. […] Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a destra) […] Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni. (Applausi all’estrema sinistra – Vivi rumori)

La sua richiesta di invalidare le elezioni viene respinta dalla Camera, ma la sua voce di opposizione è troppo forte, troppo importante, troppo per il duce. Che ne ordina l’esecuzione da parte della CEKA.

Terminato il discorso, disse rivolto ai compagni:

Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me.

Ed è così che il 10 giugno 1924, mentre si stava recando in Parlamento, Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo lo attendono a bordo in una Lancia Lamba. Il giorno successivo aveva già anticipato che avrebbe denunciato le tangenti della compagnia americana Sinclair Oil al regime. La borsa che portava con sé, e tutti i documenti da lui raccolti, non verranno mai trovati.

La scena venne vista da due ragazzini che raccontarono poi l’accaduto: Matteotti, braccato da due uomini, si ribellò al punto da dover farne intervenire un terzo a stordirlo con un pungo sul volto.  Caricato a forza in macchina, durante la lotta che scaturì all’intero del veicolo, riuscì a gettare fuori dal finestrino il tesserino di partito. Verrà ucciso a pugnalate e seppellito, piegato a metà, in un campo. Ritrovato dopo due mesi, il 16 agosto, il funerale verrà celebrato a Fratta Polesine, luogo di provenienza. Durante il trasporto in treno della salma da Roma al Trentino, si riunirono sui binari uomini e donne silenziose, giunte a salutarlo per l’ultima volta.

Il 26 giugno del 1924, visto che Mussolini si afferma estraneo ai fatti e addolorato per l’avvenuto, i deputati antifascisti affermano di non voler continuare le proprie attività fino a che il governo non si sarà esposto sulla sua posizione riguardo la questione Matteotti: inizia la Secessione dell’Aventino.

Il 3 gennaio del 1925 ottengono una risposta più che chiara, che passerà alla storia: il duce si addossa tutta la responsabilità dell’omicidio di Matteotti.

Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. […] Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!

E, rivolto ai secessionisti: «State certi che entro quarantott’ore la situazione sarà chiarita su tutta l’area».

Inizia la repressione della libertà di stampa e di opinione, che chiude giornali e circoli. Il 14 gennaio viene approvato, senza discussione o obiezione, quel blocco di norme che prenderà storicamente il nome di Leggi Fascistissime.

Matteotti, ultimo barlume di ribellione interna, che provò a denunciare quanto stava avvenendo, conscio del pericolo che correva, lottò fino all’ultimo. Il suo omicidio segna pubblicamente l’inizio delle violenze di regime, è uno spartiacqueche segna definitivamente le intenzioni di Mussolini: chi è contro, è eliminato. Ma la potenza del regime era già così stabile da poter permettere al duce di rivendicare la responsabilità dell’uccisione, senza che il regime cadesse. Non c’era più possibilità di ribellarsi, senza finire nelle mani degli squadristi.

La storia, alle volte, sembra beffarda e sembra giocare con il nostro destino: il 10 giugno, non è solo la data del delitto Matteotti. Nel 1940, in quello stesso giorno, a Palazzo Venezia, Mussolini informava il popolo italiano dell’entrata in guerra contro Francia e Inghilterra.

Wiston Churchill definirà questo passo la tragedia della storia italiana, per mano di colui che definì come il criminale che ha tessuto queste festa di follia e vergogna.

Tanto il 10 giugno del 1924, quanto del 1940.

fonte: https://bandabassotti.myblog.it/2019/06/09/giacomo-matteotti/

«Sì, sì dai…una bella mangiata, un bel regalo, ci compriamo la borsa di Prada» …Così rispondeva LEI, dirigente di farmacia ospedaliera dell’Asst di Saronno, quando LUI, imprenditore di Barlassina, diceva che i laringoscopi rubati alle terapie intensive bisognava venderli a 250 euro. Perché la situazione era disastrosa e quindi bisognava lucrarci. Sulla pelle della gente!

 

Saronno

 

 

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«Sì, sì dai…una bella mangiata, un bel regalo, ci compriamo la borsa di Prada» …Così rispondeva LEI, dirigente di farmacia ospedaliera dell’Asst di Saronno, quando LUI, imprenditore di Barlassina, diceva che i laringoscopi rubati alle terapie intensive bisognava venderli a 250 euro. Perché la situazione era disastrosa e quindi bisognava lucrarci. Sulla pelle della gente!

Leggi anche:

Aggiornamento sull’eccellenza sanitaria lombarda – Mentre la gente moriva, rubavano materiale per intubare i pazienti dai reparti intensivi per venderli sul mercato, e si inventavano acquisti ingigantiti per approfittare dell’emergenza Coronavirus…

«Sì, sì dai…una bella mangiata, un bel regalo, ci compriamo la borsa di Prada»

Così rispondeva lei, dirigente della farmacia ospedaliera dell’Asst di Saronno, quando lui, imprenditore di Barlassina, le diceva che quelle pile di laringoscopi sottratte alle terapie intensive bisognava venderle a 250 euro. Perché la situazione era disastrosa. E quindi bisognava lucrarci.

Lucrare in modo schifoso sulla pelle della gente. Della gente che stava morendo…

Lucrare su materiale che serviva ad intubare i pazienti. Che loro prima rubavano, e poi vendevano ad altre realtà sanitarie. Per giunta gonfiandone i prezzi. Così da completare il bel quadretto.

È questa la storia, mostruosa, che salta fuori oggi.
I due sono stati arrestati, ovviamente.

Il gip che ha coordinato l’inchiesta è arrivato a definirli “avidi e dotati di sconcertante cinismo”.

E noi, davvero, ci chiediamo cosa possa spingere un essere umano a fare una cosa così.

A guardare qualcuno sul punto di morte e vederci l’opportunità di tirare fuori del denaro da lì.

Nel dormire la notte sapendo che il materiale rubato sarebbe potuto servire a salvare una donna, un uomo, un bambino. Uno di quelli che i parenti non possono neanche vedere da morto. Uno di quelli ti vedi portar via in un sacco nero in un camion militare.

La borsa di Prada volevano loro.

Davvero ce lo chiediamo, che stomaco abbia certa gente.
E quando smettiamo di chiedercelo, arriviamo ad una sola conclusione.

Che in fondo non ce ne frega niente del loro stomaco. Perché i mostri, i veri mostri, esistono e sono sempre esistiti. E sono queste “persone”.

Per cui esiste un unico e solo posto: la galera. Quella da dove però la chiave non la metti da una parte: la butti… Speriamo.

Lo strano caso della bandana anti-Covid, distribuita in 300mila pezzi in Alto Adige per un costo di 700mila euro: non protegge dal virus, ma è prodotta dal cugino dell’assessore alla sanità della provincia di Bolzano!

 

Alto Adige

 

 

 

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Lo strano caso della bandana anti-Covid, distribuita in 300mila pezzi in Alto Adige per un costo di 700mila euro: non protegge dal virus, ma è prodotta dal cugino dell’assessore alla sanità della provincia di Bolzano!

La storia è di alcuni mesi fa, tornata alla ribalta perché ne ha parlato Report.

Marco Franchi sul Fatto Quotidiano già ne parlava a marzo scorso, quando ha raccontato una curiosa storia che riguarda una bandana anti-Coronavirus SARS-COV-2 (no, non è vero) distribuita in 300mila pezzi nelle edicole dell’Alto Adige per un costo di 700mila euro e prodotte dal cugino dell’assessore alla sanità della provincia di Bolzano:

In Alto Adige hanno tentato anche quest’arma contro il contagio: 300mila pezzi distribuiti gratuitamente ai cittadini nelle edicole. Da giorni molti politici locali compaiono con la fascia intorno al collo. Ma adesso ecco arrivare la polemica: a produrre la bandana, ha raccontato il sito di informazione salto.bz, sarebbe una grande impresa di cui è socio un cugino dell’assessore alla Sanità della Provincia di Bolzano, Thomas Widmann. La spesa sarebbe di 700mila euro.

Immediate le critiche dal M5S in Provincia: “Non c’è nessuna evidenza che la fascia sia utile. La spesa rischia di essere inutile perché in Alto Adige tutti i cittadini hanno già una sciarpa”. Arno Kompatcher, presidente della Provincia (Süd Tiroler Volkspartei), taglia corto: “È solo fango sulle istituzioni e chi le rappresenta. Presenteremo una denuncia(ndr: mai presentata)”. Widmann, il diretto interessato, replica: “Non fate perdere tempo. C’è un’emergenza, lasciateci lavorare (ndr anche ai cugini)”.

In conferenza stampa Widmann l’ha raccontata così: “Abbiamo chiesto ad Assoimprenditori di indicarci imprese che potessero aiutarci”. Ne sono state individuate due. Sono il colosso Salewa e la TEX market fondata dai fratelli Heinrich e Cristoph Widmann. Salewa grazie ai suoi impianti cinesi avrebbe garantito 500mila maschere protettive FFP2 e FFP3, 400mila tute protettive e 40mila tute mediche per una spesa di 9,3 milioni. TEX market invece dovrebbe fornire bandane. Ma che utilità può avere una sciarpa contro il contagio? In conferenza stampa Weidmann ha risposto: “Non è mai stato detto che le bandane proteggo no”.

Ma allora perché distribuirne 700mila? “Tante cose contribuiscono ad allontanare il rischio, dal lavarsi le mani al mantenere le distanze. Tutto questo insieme di misure può essere utile”. Christoph Widmann di TEXmarket ha dichiarato a Salto.bz: “Siamo stati contattati per la consegna rapida di bandane. Non capita spesso che tu possa dare un contributo importante al tuoPaese: fare tutto il possibile per soddisfare questa richiesta è stato quindi ovvio per noi”. Dalla TEXmarket si sottolinea anche che ogni bandana è stata pagata appena 2,3 euro.