Il 17 febbraio ’92, 28 anni fa, l’arresto del socialista Mario Chiesa che dava il via a Mani pulite – Un ricordo con le parole di Davigo: “I politici non hanno smesso di rubare, hanno solo smesso di vergognarsi” e “l’Italia è ancora più corrotta… il codice penale è ridotto ad uno spaventapasseri e in cella vanno solo gli sciocchi.”

 

Mani pulite

 

 

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Il 17 febbraio ’92, 28 anni fa, l’arresto del socialista Mario Chiesa che dava il via a Mani pulite – Un ricordo con le parole di Davigo: “I politici non hanno smesso di rubare, hanno solo smesso di vergognarsi” e “l’Italia è ancora più corrotta… il codice penale è ridotto ad uno spaventapasseri e in cella vanno solo gli sciocchi.”

Lunedì 17 febbraio 1992: poco dopo le 17.30, nel suo ufficio al Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa viene arrestato per concussione per una tangente da 14 milioni che gli era stata appena consegnata da un giovane imprenditore, Luca Magni, che aveva messo a punto l’operazione per ‘incastrare’ Chiesa con l’allora sostituto procuratore a Milano, Antonio Di Pietro e il capitano dei carabinieri Roberto Zuliani. Si apre così quello che, il giorno dopo, viene battezzato come il caso Chiesa, ma che presto diventa il caso tangenti e, subito dopo Mani pulite, la più clamorosa inchiesta giudiziaria italiana.

Ricordiamo le parole di Piercamillo Davigo: “I politici non hanno smesso di rubare, hanno solo smesso di vergognarsi”

Ricordiamo le dure parole di Davigo. Era circa un anno e mezzo fa…

I politici “non hanno smesso di rubare; hanno smesso di vergognarsi. Rivendicano con sfrontatezza quel che prima facevano di nascosto. Dicono cose tipo: “Con i nostri soldi facciamo quello che ci pare”..

Ma non sono soldi loro; sono dei contribuenti”.

Lo afferma al Corriere della Sera,Piercamillo Davigo, presidente dell’Anm, spiegando che “prendere i corrotti è difficilissimo. Nessuno li denuncia, perché tutti hanno interesse al silenzio: per questo sarei favorevole alla non punibilità del primo che parla. Il punto non è aumentare le pene; è scoprire i reati. Anche con operazioni sotto copertura”.

Alla domanda se quindi si ruba più di prima, Davigo spiega: “Si ruba in modo meno organizzato.  La corruzione è un reato seriale e diffusivo: chi lo commette, tende a ripeterlo, e a coinvolgere altri. Questo dà vita a un mercato illegale, che tende ad autoregolamentarsi: se il corruttore non paga, nessuno si fiderà più di lui. Ma se l’autoregolamentazione non funziona più, allora interviene un soggetto esterno a regolare il mercato: la criminalità organizzata“.

Dopo Mani Pulite, prosegue Davigo, “hanno vinto i corrotti, abbiamo migliorato la specie predata: abbiamo preso le zebre lente, le altre sono diventate più veloci”.

A fermare quel pool “cominciò Berlusconi, con il decreto Biondi; ma nell’alternanza tra i due schieramenti, l’unica differenza fu che la destra le fece così grosse e così male che non hanno funzionato; la sinistra le fece in modo mirato. Non dico che ci abbiano messi in ginocchio; ma un pò genuflessi sì”.

Il governo Renzi? “Fa le stesse cose – dice Davigo -. Aumenta le soglie di rilevanza penale. Aumenta la circolazione dei contanti, con la scusa risibile che i pensionati non hanno dimestichezza con le carte di credito”.

Lo sfogo di Piercamillo Davigo: “A 25 anni da Mani Pulite, l’Italia è ancora più corrotta… il codice penale è ridotto ad uno spaventapasseri e in cella vanno solo gli sciocchi.”
Il leader dell’Anm: il codice penale è uno spaventapasseri, in cella vanno solo gli sciocchi. «Il giudice è messo nella condizione di dover scegliere tra rispettare la legge rinunciando a fare giustizia o tentare di fare giustizia forzando la legge»

Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo (foto sopra), ha partecipato ad un forum al Corriere della Sera con il vice direttore Giampaolo Tucci e con i giornalisti Marco Ascione, Giovanni Bianconi, Luigi Ferrarella, Mario Gerevini, Giuseppe Guastella
e Fiorenza Sarzanini. Argomento del dibattito, che si è svolto nella redazione di via Solferino a Milano, il pianeta giustizia a 25 anni dall’inizio dell’inchiesta Mani pulite e in occasione dell’uscita del libro «Il sistema della corruzione» (Editori Laterza) scritto dall’ex pm del pool Mani pulite, ora presidente di sezione in Cassazione.

A 25 anni da Mani pulite, in Italia è cambiato poco o nulla?
«È drammatico quanto poco sia cambiata la situazione e quanto sulla corruzione peggiori la deriva dell’Italia nel panorama internazionale».

Un Paese corrotto?
«A livelli diversi, finalità e modalità diverse. È un Paese che sta morendo. C’è sfiducia, la gente non va più a votare, espatria».

Ci vuole una rivoluzione culturale?
«Bisogna cominciare dalla scuola».

Migliore l’Italia degli anni di Mani pulite?
«L’effetto domino non fu innescato da un sussulto di coscienza civile, ma dal fatto che erano finiti i soldi».

Lei sostiene che per la corruzione ci vorrebbe un doppio binario, come per la mafia.
«Bisognerebbe introdurre alcune delle norme che valgono per i mafiosi».

Ad esempio?
«Un sistema premiale forte e serio e le operazioni sotto copertura».

La corruzione spesso è alimentata da fondi neri esteri, sempre più difficili da aggredire.
«È un problema internazionale. L’assistenza giudiziaria internazionale è un relitto ottocentesco che richiede tempi talmente lunghi, incompatibili con la durata di un processo».

Corruzione «Simonia secolarizzata». Cioè?
«Nella Chiesa c’è il sacerdote che vende cose sacre, nello stato c’è il funzionario pubblico che vende le cose che per lui dovrebbero essere sacre, perché ha giurato fedeltà alla Repubblica».

Il pool Mani pulite ha fatto errori?
«Secondo me, no. Ha fatto quello che poteva. Se non ci avessero cambiato le leggi a partita in corso, saremmo andati avanti. Molte leggi possono avere su il nome dell’imputato».

Forse fino a un’epoca determinata.
«Sì, poi è cambiata la maggioranza e da allora le fanno più sofisticate. Ad esempio, la legge Severino non contrasta la corruzione ma è stata gabellata per una legge che la contrasta».

Monti, il premier di allora, non era sospettabile di essere vicino ai corrotti.
«Quella legge l’ha fatta il Parlamento. Ricordo che il ministro della Giustizia rispose alle obiezioni: “Era il massimo che si potesse fare in quel momento con quelle Camere”».

I vostri rappresentanti dissero che era una buona legge, come nel caso di quella sull’autoriciclaggio. C’è anche un problema vostro?
«Certo che c’è anche un problema della magistratura, ma cerchiamo di capirci, gioca anche molto il modo di fare leggi dovuto all’incompetenza della pubblica amministrazione che, purtroppo, non è più quella di cento fa, fatta di funzionari competenti e con il senso dello Stato. Quando ho incontrato la prima volta il ministro Orlando, gli ho fatto presente che la depenalizzazione che avevano fatto non serviva a niente perché toglieva solo le briciole ma alcuni reati depenalizzati avevano l’effetto non di ridurre il carico di lavoro, ma di aumentarlo. Mi rispose che l’Anm aveva dato parere favorevole, io gli dissi che non sarebbe accaduto più perché avevamo costituito delle commissioni interne».

Ha un giudizio molto negativo sui politici.
«Ce ne sono anche perbene, ma i meccanismi talvolta favoriscono il malaffare».

Cosa ne pensa di chi, come i 5 Stelle, ha introdotto codici interni legati alle inchieste?
«La politica non deve agganciarsi ad atti formali nel giudizio, ma a una valutazione autonoma dei fatti. Si può cacciare uno che è innocente o tenerlo se è colpevole. Sono due valutazione diverse, una è politica, l’altra di giustizia».

Non si introduce così un’inversione del principio di non colpevolezza?
«Non è così. Molte volte non c’è bisogno di aspettare la sentenza per far scattare la responsabilità politica, ma in questo Paese non avviene mai, neanche di fronte ai casi evidenti».

Prendiamo il caso di Roma e della sindaca Raggi, è un caso controverso.
«Premesso che non parlo dei procedimenti in corso, in qualche caso la politica può dire “aspetto di vedere come va finire” o “mi sono fatto un’idea”, ma non può dire sempre “aspettiamo le sentenze”. Significa caricare sulla decisione del giudice la selezione della classe politica».

I politici dovrebbero darsi codici di comportamento?
«Secondo me sì. Basta anche il buonsenso».

Non c’è il rischio di finire nel moralismo?
«Se mi mandano in udienza con un collega che si è saputo che ruba, io non vado perché chi ci vede pensa che siamo uguali. Io non rubo».

L’Anm accoglie pm e giudici. Non le sembra forte dire che il codice di procedura penale è fatto per farla fare franca ai farabutti?
«Il nostro giudice è vincolato da un sistema di inutilizzabilità sconfortante perché una prova acquisita, valida nei confronti di un imputato, diventa inutilizzabile per un altro se è stata acquisita a termini delle indagini preliminari scaduti. Il giudice è messo nella condizione di dover scegliere tra rispettare la legge rinunciando a fare giustizia o tentare di fare giustizia forzando la legge. È inaccettabile. E allora è normale che uno venga arrestato e poi assolto. Se non volevano questo non dovevano scrive il codice così, oppure dovevano dirci di non arrestare più».

Riporta una frase del generale Dalla Chiesa che diceva: che c’è chi parla di manette facili e chi di ingiustizia che assolve. Ingiustizia?
«L’ingiustizia può essere nella legge oltre che negli uomini, se la legge è contraria al senso comune di giustizia, e molte delle norme che applichiamo lo sono. Ora la minaccia del carcere non è credibile perché il codice penale è uno spaventapasseri, da lontano fa paura, quando ci si avvicina appare innocuo. In galera ci va chi è così sciocco da farsi arrestare in flagranza e gli appartenenti alla criminalità organizzata. Gli altri in media ci vanno di meno».

Lei è un giudice, un suo imputato potrebbe avere difficoltà leggendo: «Ne prendiamo pochi e quando li prendiamo vengono condannati a pene esigue che non vengono fatte scontare».
«Nel nostro sistema il rispetto delle regole formali, che il più delle volte non hanno nessuna utilità, vanifica la ricostruzione storica dei fatti. A un certo punto ho lasciato la Procura per fare il giudice in appello, volevo capire come mai le sentenze venissero quasi sempre riformate. Ho visto che era vero quello che mi aveva insegnato un anziano magistrato che diceva che i giudici del tribunale sono come i padri, severi quando è necessario, quelli della Corte d’appello come i nonni, di regola rovinano i nipoti. Dato che su cento ricorsi in appello, 98 sono degli imputati condannati, si cominciano a vedere i problemi solo con una certa ottica e spesso è impossibile resistere alla tentazione di ridurre le pene. Bisognerebbe cambiare anche l’appello».

Solo carcere? E l’esecuzione esterna?
«Dipende dai reati e dal tipo degli imputati».

E stato mai tentato di forzare le regole?
«No. Le ho sempre rispettate, e anche quando ero convinto che l’imputato fosse colpevole l’ho assolto se la prova era inutilizzabile, pensando che era un mascalzone che l’aveva fatta franca».

Un sistema che protegge l’impunità?
«In un sistema ben ordinato, un innocente non deve essere assolto, non deve neppure andare a giudizio perché per lui il processo è una tragedia. I filtri dovrebbero essere all’inizio».

Qual è la priorità?
«La depenalizzazione. Il problema della giustizia è il numero dei processi. O abbiamo il coraggio di dire che va drasticamente ridotto o non se ne uscirà mai. Nel penale basta intervenire con una massiccia depenalizzazione e introdurre meccanismi di deterrenza delle impugnazioni, quelli che ci sono, sono risibili».

La politica invece va su una strada diversa e introduce nuovi reati come l’omicidio stradale.
«Cose prive di senso. Per l’omicidio stradale la pena è talmente alta che tra un po’ a qualcuno converrà dire che voleva ammazzare per rispondere di omicidio volontario».

Che ne dice dei suoi colleghi dell’Anm dell’Emilia Romagna dopo il comunicato sulla decisione del Tribunale del riesame?
«Non lo conosco, non posso sapere tutto».

È stata trovata la decisione di un collegio prima dell’udienza. L’Anm locale ha detto che poi altri giudici hanno confermato la decisione dei primi che si erano astenuti…
«Bisogna distinguere l’ipocrisia dal malcostume. Un giudice diligente non potendo ricordare a memoria decine di processi al giorno, si appunta lo studio che fa. L’ho sempre fatto, ma non firmo gli appunti e non li metto nel fascicolo».

E allora, a cosa serve la discussione?
«Si può cambiare la decisione».

Lei lo fa?
«Quando un avvocato dice cose che non avevo notato, raro, o che mi convincono, cambio opinione perché solo gli imbecilli non lo fanno».

 

 

Berlusconi: “Gli italiani che votano M5S sono una vergogna” …Perchè votare uno pregiudicato, con 40 processi alle spalle, che pagava la mafia tramite Dell’Utri, abituale frequentatore di prostitute possibilmente minorenni, corruttore di Senatori e famoso in tutto il mondo per il bunga bunga è, invece, motivo di orgoglio…

 

Berlusconi

 

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Berlusconi: “Gli italiani che votano M5S sono una vergogna” …Perchè votare uno pregiudicato, con 40 processi alle spalle, che pagava la mafia tramite Dell’Utri, abituale  frequentatore di prostitute possibilmente minorenni, corruttore di Senatori e famoso in tutto il mondo per il bunga bunga è, invece, motivo di orgoglio…

Berlusconi: “Gli italiani che votano M5S sono una vergogna”

Berlusconi,in piena crisi di delirio senile, torna ad insultare gli italiani che votano per i 5 Stelle…

Dopo lo sfogo da Barbara D’Urso di martedì pomeriggio, Silvio Berlusconi ha lanciato una nuova invettiva contro gli italiani che votano per i 5 Stelle perché sono dei “fuori di testa“. “Svegliatevi, siete una vergogna!“, ha insistito il capo del Forza Italia che poi ha aggiunto: “A me la politica ha sempre fatto schifo, anche per le presenze di chi viene votato, sono qui per senso di responsabilità” (leggi: “per non andare in galera”).

Dopo essersela presa con gli elettori è andato all’attacco di Conte che “è un burattino dei due viceministri“, dando così ragione al deputato liberale Verhofstadt che ha detto le stesse cose al Premier al Parlamento Europeo. C’è solo una qualità del Presidente del Consiglio che Berlusconi apprezza: “Conte è una brava persona, sa baciare bene la mano alle signore, veste bene, fa bene finta di essere lui a capo del governo“.

Per Di Maio, invece, neanche un complimento ironico: “Di Maio ha un solo talento, sorridere e dire bugie in tv. È inclassificabile“. E la Lega? Berlusconi è convinto che tornerà presto all’ovile: “credo che saranno i fatti ad imporre un cambiamento. Se il governo va avanti così, la Lega perderà molti voti“.

Poi ha ammesso di aver apprezzato il manifesto europeista di Calenda: “Non l’ho mai conosciuto di persona, del manifesto che ha fatto per il destino dell’Europa ho condiviso molti punti, ci sono nel manifesto cose che mi piacciono“.

Nonostante l’apprezzamento per l’idea di Calenda, Berlusconi ha ribadito di voler “cambiare l’Ue” perché così com’è “non funziona“. A controprova il suo ricorso alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che però in realtà è la Corte del Consiglio d’Europa: “l’Ue così com’è non funziona e lo dimostra anche il fatto che da 5 anni aspetto che la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo apra il mio ricorso per stabilire che quella sentenza (la condanna per frode fiscale, ndr) fu una mascalzonata. Chi era nel collegio disse che non era un collegio di giudici, ma era un plotone di esecuzione per far fuori un avversario politico. La Corte di Strasburgo non può dire altro se non che quella sentenza è sbagliata“.

“Apriamo i porti”: Papa Franscesco si fa fotografare con la spilla anti-razzista… Un chiarissimo messaggio contro la crudele, disumana, barbara politica di Salvini!

 

Papa Franscesco

 

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“Apriamo i porti”: Papa Franscesco si fa fotografare con la spilla anti-razzista… Un chiarissimo messaggio contro la crudele, disumana, barbara politica di Salvini!

Credo che una notizia del genere debba occupare i primi posti tra quelle dei Tg e le prime pagine di tutti i giornali. Il Papa contro la crudele, disumana barbara politica razzista del capo in pectore di questo governo. Papa Francesco contro Salvini… Perchè il Papa è il Papa e se si lascia fotografare con quella spilla non è un caso. È un messaggio chiaro, c’è la volontà di dire la sua su una politica sudicia e intollerante.

Ma, invece, per i Tg l’approfondimento politico è scoprire il colore delle mutande di Virginia Raffaele… Perchè i nostri media quando si tratta di dare notizie contro i potenti del momento…

Da Globalist:

“Aprite i porti”: Papa Franscesco si fa fotografare con la spilletta anti-razzista

Don Nandino Capovilla, parroco a Marghera e impegnato sul fronte dell’accoglienza ha incontrato Bergoglio a Sacrofano

Lui è don Nandino Capovilla, parroco a Marghera (Venezia), da sempre impegnato in favore degli ultimi, dei poveri e dell’accoglienza.
Così il sacerdote si è avvicinato a Papa Francesco nel corso dell’incontro sulle Migrazioni a Sacrofano e ha raccontato. «Ha visto la spilletta che tenevo in mano e gliene ho spiegato il significato», racconta don Nandino, come riporta l’Avvenire . «Così Francesco l’ha presa e si è fatto scattare una foto tenendola in mano». C’è scritto: “Apriamo i porti!”. Al pontefice, riferisce il sacerdote Veneto, «la spilla deve essere piaciuta perché ha chiesto di tenere per sé quella con cui ci ha regalato l’emozione di questa foto».
Don Capovilla – ha sempre raccontato l’Avvenire – è in prima linea con la sua parrocchia in numerose iniziative d’accoglienza, indistintamente per italiani e stranieri. “non dimentichiamo – dice il sacerdote – che mentre l’attenzione viene spostata sul mare, c’è chi fa finta di non vedere l’altra rotta, quella balcanica, che passa proprio attraverso i nostri territori e ci impegna nel dare assistenza ai tanti profughi che continuano ad arrivare”.
Una settimana fa la rete solidale di cui don Capovilla è uno degli animatori, ha manifestato nel centro di Venezia con oltre tremila persone che hanno voluto esprimere il loro “no” ad ogni forma di odio e discriminazione. “Le parole del Papa – racconta il sacerdote veneto – sono per noi un grande incoraggiamento”.
“Di fronte alle cattiverie e alle brutture del nostro tempo, anche noi, come il popolo d’Israele, siamo tentati di abbandonare il nostro sogno di libertà. Proviamo legittima paura di fronte a situazioni che ci sembrano senza via d’uscita”, ha detto Bergoglio durante l’omelia della Messa celebrata venerdì pomeriggio a Sacrofano, per l’apertura del Meeting “Liberi dalla paura”, promosso e organizzato dalla Fondazione Migrantes della Cei, dalla Caritas Italiana e dal Centro Astalli, dal 15 al 17 febbraio.
L’esortazione è quella a “guardare oltre le avversità del momento, a superare la paura – ha aggiunto Papa Francesco – e riporre piena fiducia nell’azione salvifica e misteriosa del Signore”.

fonte: https://www.globalist.it/news/2019/02/16/aprite-i-porti-papa-franscesco-si-fa-fotografare-con-la-spilletta-anti-razzista-2037563.html

Camilleri mette in guardia Salvini: “Mussolini fu acclamato dalle stesse persone che poi lo appesero”

 

Camilleri

 

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Camilleri mette in guardia Salvini: “Mussolini fu acclamato dalle stesse persone che poi lo appesero”

Lo scrittore del Commissario Montalbano ha lanciato ancora una volta un monito al leader della Lega “Attenzione ai grandi consensi irrazionali”

Lo scrittore siciliano Andrea Camilleri torna a parlare del ministro dell’Interno Matteo Salvini, e lo fa in merito al crescente consenso che il leader della Lega sta conquistando.

Secondo gli ultimi sondaggi politici del 7 settembre infatti la Lega avrebbe raddoppiato i propri consensi rispetto alle elezioni del 4 marzo.

 Camilleri è stato ospite nella puntata di apertura della nuova stagione di “Circo Massimo” su Radio Capital dove nel corso del programma ha espresso il suo pensiero sul successo inarrestabile del Carroccio.

Intervistato da Jean Paul Bellotto e Massimo Giannini lo scrittore ha detto: “Sono vissuto tanto da sentire le acclamazioni al teatro milanese a Benito Mussolini da quelle stesse persone che lo appesero sulla tettoia di un benzinaio. Attenzione ai grandi consensi. I grandi consensi irrazionali sono come le passioni irrazionali. Facile passare dalla grande passione amorosa all’odio”.

Lo scrittore del Commissario Montalbano ha ricordato che il consenso di Mussolini fu acclamato dalle stesse persone che poi lo appesero.

“Da tempo sto pensando di restituire le onorificenze, sono sempre lì lì per farlo. A 90 anni mi sono sentito estraneo alla mia patria come italiani siamo cambiati. Prima ci spacciavamo per italiani brava gente, oggi è molto difficile farlo. Era già un falso allora, figuriamoci oggi”, continua Camilleri.

Da giovane fascista Camilleri ricorda il periodo sotto il regime “Rischiamo di tornarci. Molto spesso vengono a trovarmi ragazzi del liceo e mi chiedono di spiegargli il fascismo. Mi atterrisce che la scuola o chi ne fa le veci non spenda una parola, o la spenda male, sul fascismo. E ho paura che l’araba fenice possa rinascere, non dalle sue ceneri ma dall’ignoranza”.

E parla anche dell’alleanza che il ministro dell’Interno italiano vuole costruire con il premier ungherese Viktor Orban “Anni fa il governo ungherese mi mandò un attestato, che conservo appeso al muro del mio studio, in cui mi ringraziavano per l’aiuto ai profughi ungheresi. Visto quello che sta facendo Orban, vorrei restituire anche questo. Alzare muri non significa solo chiudersi in casa con il proprio nemiconma mettersi dentro una cassa da morto. L’avvenire è per forza di cose un rinnovamento di pensiero. Se rifiutiamo questo, ci chiudiamo in una bara”.

Lo scrittore senza peli sulla lingua non risparmia nemmeno il Movimento 5 Stelle: “Non riesco a provare nessuna simpatia per il M5S. Sono bastati pochi mesi di governo per dimostrare la loro subalternità alla Lega. All’interno non hanno spinta ideale”.

E aggiunge: “Di certo non hanno preso provvedimenti di sinistra… Salvini impera e fa dei diktat, mentre il M5S va a rimorchio: se poteva avere una funzione, non l’ha voluta esplicare. O, peggio ancora, non l’ha potuta esplicare”.

E sulla sinistra? “È problematico dire che esiste ancora”, aggiunge Camilleri, “ma ha ancora ragion d’essere, e per questo sono certo che resisterà”.

Più fiducioso invece nei confronti dell’Europa: “Delusione profonda. Ma delusione profonda non significa totale fallimento, e quindi abolizione. L’Europa deve continuare a esistere, per forza di cose. L’Unità d’Italia era stata fatta perché era naturale che venisse fatta, e lo stesso vale per l’Europa. Ma un’unione non può nascere solo sul denaro: bisogna trovare idee comuni. Il manifesto di Ventotene conteneva idee”.

Camilleri aveva già espresso la sua preoccupazione per l’attuale governo, in un’intervista a Repubblica, lo scrittore siciliano aveva detto: “Il consenso per Salvini mi ricorda quello per Mussolini nel ’37. Italia ripiombata indietro”.

tratto da: https://www.tpi.it/2018/09/11/camilleri-salvini/?fbclid=IwAR3ZsrUKubqksBdWFqDtU_Hrf7LzpNW6GZ9n8ZarF1m2MFrX9lkwz1NN2oY

Gli “ostracismi” sul reddito di cittadinanza coprono la vergogna dei bassi salari… Dicono “Chi avrà il reddito di cittadinanza guadagnerà più di chi lavora” solo e solamente per difendere il loro “diritto” di pagare con 4 soldi i lavoratori…!

 

reddito di cittadinanza

 

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Gli “ostracismi” sul reddito di cittadinanza coprono la vergogna dei bassi salari… Dicono “Chi avrà il reddito di cittadinanza guadagnerà più di chi lavora” solo e solamente per difendere il loro “diritto” di pagare con 4 soldi i lavoratori…!

Il presidente dell’INPS Boeri ha voluto lanciare un velenoso messaggio al governo Conte in occasione dell’audizione al Senato per il decreto sul Reddito di Cittadinanza. “Il problema è che il RdC – ha argomentato Boeri – fissa un livello di prestazione molto elevato per un singolo” e che il “45% dei dipendenti privati nel Mezzogiorno ha redditi da lavoro netti inferiori a quelli garantiti dal RdC a un individuo che dichiari di avere un reddito pari a zero”. In sostanza Boeri sta suggerendo al governo di abbassare la soglia dei 780 euro, che è la somma che un single può arrivare a percepire se dimostra di non avere redditi e di vivere in affitto. Il problema del presidente dell’INPS è l’effetto di “scoraggiamento al lavoro” che avrebbe il RdC, soprattutto al sud.
Il primo obiettivo della provocazione di Boeri è quello di influenzare le scelte, che sembrano inevitabili, relative alla spesa complessiva sul RdC. In base ai calcoli dell’INPS infatti la platea dei beneficiari del RdC sarà di 2,4 milioni di persone (secondo l’ISTAT saranno invece 2,7) per una spesa complessiva di 8,5 miliardi, di gran lunga superiore a quella stanziata dal governo Conte sia per il 2019 (6 miliardi) sia per gli anni seguenti (7,5 per il 2020, ecc). Boeri sta quindi suggerendo al governo di abbassare il contributo alle famiglie monoparentali per restare dentro la spesa stanziata ed evitare così di danneggiare le aziende che remunerano i loro dipendenti con salari inferiori a 780 euro mensili!
La questione però è più complessa e non si limita alla sola spesa prevista dal governo per il RdC. La posta in gioco è il livello dei salari nel nostro paese.
Restiamo per un attimo ancora al tema della povertà, che è poi l’oggetto specifico del provvedimento sul RdC. Eurostat, che è l’ISTAT europea, ad ottobre aveva diffuso i dati relativi al 2017, che sono gli ultimi disponibili, dai quali emergeva come l’Italia fosse il paese europeo con il più alto numero di persone a rischio povertà o esclusione sociale, ben 17milioni e 400mila, pari al 28,9% della popolazione, in forte crescita rispetto al 2008 quando erano ancora 15milioni. Di questi, ci dice l’ISTAT, 5milioni e 58mila persone sono in condizioni di povertà assoluta, cioè con capacità di “spesa per consumi pari o inferiore a quella stimata come minima necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi (…) considerato essenziale per uno standard di vita minimamente accettabile” (ISTAT audizione al Senato 4 febbraio 2019).
Siamo quindi il paese europeo con più poveri e con una misura appena introdotta – il RdC – che riuscirà a coprire soltanto la metà circa dei poveri assoluti (2milioni e 700mila nella migliore delle ipotesi a fronte di più dei 5milioni calcolati dall’ISTAT). Eppure la preoccupazione del presidente Boeri è lo “scoraggiamento al lavoro”.
Così Boeri, sia pure involontariamente, ha finito per toccare l’argomento tabù quando si parla di povertà, e cioè che non basta trovare un lavoro per avere di che vivere. Sempre secondo Eurostat i working poor sono in Italia l’11,7 della forza lavoro. Vuol dire che 12 lavoratori su 100 pur percependo un salario sono a rischio povertà, e che pertanto ci sono in Italia circa 2,7 milioni di lavoratori poveri. Ad essere più esposti sono ovviamente i part-time e chi ha un impiego temporaneo.
Ma la crescita del lavoro povero è solo un aspetto della più generale tendenza alla riduzione della quota salari sul PIL. In Italia si è passati dal 69,4 del lontano 1960 al 60,6 del 2016, considerando nella quota salari anche i compensi dei CEO e dei top manager superpagati anche mille volte il salario dei propri dipendenti. La distribuzione della ricchezza si è quindi spostata nel nostro paese dalla retribuzione del lavoro verso la rendita e il profitto.
È il rapporto dell’International Labour Organization, il Global Wage Report 2014/15 sui salari che mostra come questa tendenza alla perdita di terreno del lavoro rispetto al capitale abbia un carattere globale e presenti però in Italia una particolare intensità.

Il costo del lavoro (salari e contributi previdenziali versati dai datori di lavoro, integrato da una stima del reddito dei lavoratori autonomi) subisce un forte calo in tutto l’occidente con punte massime negli USA, in Giappone e in Italia, che è l’unico paese dove si registra un crollo di addirittura 9 punti percentuali.
La soluzione di comodo escogitata di fronte a tanta evidenza empirica è quella di scaricare sulla collettività (spesa pubblica) gli eventuali aumenti salariali, attraverso la riduzione della contribuzione per le imprese. Un modo per fingere di cambiare qualcosa, lasciando inalterata l’attuale iniqua distribuzione della ricchezza. È a questo infatti che allude Orioli sul Sole 24 ore del 6 febbraio, suggerendo a Cgil, Cisl, Uil e Confindustria di incamminarsi su questo crinale per stringere ulteriormente il loro Patto per la fabbrica e rispondere alle preoccupazioni di Mario Draghi sulla “debole dinamica delle buste paga italiane”.
Noi abbiamo invece un’idea completamente diversa su come affrontare il gap salariale del nostro paese. Innanzitutto introduzione di un salario minimo mensile per legge, che rispetti il dettato costituzionale – art. 36 Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa – ed impedisca la proliferazione di contratti nazionali di comodo. Stop al part time obbligatorio ed ai contratti flessibili. E sul piano dell’azione sindacale, piattaforme rivendicative in occasione dei rinnovi contrattuali, che consentano il recupero del tanto terreno perso in questi anni.
Sul fronte della povertà e quindi del reddito c’è bisogno di un forte rilancio dell’iniziativa pubblica, soprattutto in quei settori dove il mercato è meno interessato e che invece sono di grande utilità sociale e ambientale. Un solido sistema di servizi costituisce una condizione essenziale per contrastare le disuguaglianze sociali. Un Piano straordinario di assunzioni nella Pubblica Amministrazione, non solo per recuperare il forte gap con gli altri paesi, ma anche per rimettere in sesto zone e settori dell’economia quasi completamente abbandonati.
Qualcuno dirà: ma dove prende l’Italia i soldi per fare tutto questo? Da quelli che ce li hanno rubati in questi anni, risponde l’USB.

Il testo integrale dell’intervento della Usb all’audizione al Senato sul Reddito di Cittadinanza

 

tratto da: http://contropiano.org/news/news-economia/2019/02/15/gli-ostracismi-sul-reddito-di-cittadinanza-coprono-la-vergogna-dei-bassi-salari-0112466?fbclid=IwAR30vxDrzqbAoAkruuhb_P9tzP_xsWa7V47nLDUZztHbX4up7jAhlfeht04

La Germania non acquisterà gli F-35: sono un bidone e costano troppo… Invece l’Italia li acquisterà per non dare un dispiacere agli amici americani. E chissenefrega se proprio noi l’alternativa ce l’abbiamo: l’Italianissima Alenia produce caccia leggeri molto più utili ed economici.

 

F-35

 

 

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La Germania non acquisterà gli F-35: sono un bidone e costano troppo… Invece l’Italia li acquisterà per non dare un dispiacere agli amici americani. E chissenefrega se proprio noi l’alternativa ce l’abbiamo: l’Italianissima Alenia produce caccia leggeri molto più utili ed economici.

La notizia è stata riportata a fine gennaio dal blog di Thomas Wiegold, un esperto tedesco di difesa: «la vecchia flotta di Tornado della Luftwaffe sarà sostituita da caccia europei Eurofighter o dagli F/A-18 statunitensi. Una sostituzione con i cacciabombardieri F-35 non è prevista».

La fonte della notizia è più che autorevole: il ministero della Difesa tedesco che, nell’aprile 2018, aveva informato di una gara con quattro concorrenti, di cui un europeo (l’Eurofighter, prodotto dalla franco-tedesca Airbus) e tre americani (gli F-35A di Lockheed Martin, gli F-15E e gli F/A-18E/F, entrambi di Boeing). Ora i soggetti in lizza sono rimasti solo due: Eurofighter e Boeing.

I nuovi aerei, che sostituiranno 85 Tornado della Panavia (una joint venture Airbus, la britannica BAE Systems e l’italiana Leonardo), dovranno entrare in funzione dal 2025 e, come i Tornado, dovranno essere abilitati al trasporto di testate nucleari. Il tutto per un periodo ponte di 15 anni. Nel 2040, infatti, dovrebbero essere pronti i nuovi caccia del sistema franco-tedesco FCAS (Future Combat Air System), a cui ha aderito recentemente anche la Spagna.

Motivi geopolitici contro gli F-35

I motivi per l’uscita di scena degli F-35 sono molteplici e di natura squisitamente geopolitica. «La Luftwaffe (l’aviazione tedesca, ndr), in realtà, li avrebbe preferiti, perché sono i velivoli più moderni dal punto di vista tecnico, anche se hanno ancora una serie di problemi seri da risolvere e sono molto cari», spiega a Valori.it Otfried Nassauer, direttore di BITS (Centro di Informazione Berlinese per la Sicurezza Transatlantica). «Anche gli Stati Uniti ci speravano, sia per la probabile entità della commessa sia perché l’Eurofighter, al momento, non è certificato per trasportare bombe nucleari e, in base a stime USA, saranno necessari almeno dieci anni per ottenere la certificazione. E quindi si andrebbe oltre il 2025».

Poi, però, hanno prevalso gli interessi dell’alleanza tra Germania e Francia, recentemente rinnovata nel gennaio del 2019 con il Trattato di Acquisgrana.

«Se la Germania si fosse decisa per gli F-35», continua Nassauer, «dal punto di vista dei francesi sarebbe stata la fine del progetto FCAS, perché gli F-35 sono un aereo di nuova generazione e di estrema complessità, che avrebbe portato a una sostituzione di lungo termine e non sarebbe stato adatto a una soluzione provvisoria. Alla fine sarebbe rimasto in corpo alla Luftwaffe per decenni, quindi molto più a lungo dei 15 anni richiesti».

La Luftwaffe ha fretta di spendere

Siamo di fronte a una situazione intricata, nella quale l’aviazione tedesca si è buttata da sola. «Nel 2016 fu incaricata di elaborare un piano per utilizzare i Tornado fino al 2035», continua Nassauer. «Non sarebbe stato assolutamente un problema, né per le fusoliere né per i propulsori. E allungando la durata non sarebbe stata necessaria una soluzione transitoria.

Ma la Luftwaffe ha visto la possibilità di beneficiare delle maggiori risorse finanziarie previste con l’attuale aumento delle spese militari tedesche e così ha deciso di anticipare il programma di rimpiazzo dei Tornado al 2025. Alla fine è possibile che, per motivi tecnici e di budget, i Tornado siano comunque mantenuti in funzione, magari sostituendo i velivoli più vecchi con altri Eurofighter, che si aggiungerebbero a quelli che dovranno essere comunque ordinati per rimpiazzare la prima tranche di Eurofighter in dotazione all’esercito tedesco, che non può più essere aggiornata».

L’Italia non molla

Se la Germania dice addio agli F-35, l’Italia ha invece deciso di andare avanti con il programma che prevede l’acquisto di 90 velivoli, di cui 11 già consegnati e operativi. Per il prossimo quinquennio dovrebbero esserne acquistati però solo sei sui dieci previsti, per cercare di contenere le critiche che provengono dalla base del M5S, delusa dal dietrofront della dirigenza del partito. Delusione comprensibile perché attorno velivoli da guerra si era svolta una delle battaglie retoriche, almeno fino a quando erano all’opposizione.

Fino a poco tempo fa, ad esempio, Alessandro Di Battista aveva definito i super-cacciabombardieri «strumenti di morte», fino ad auspicare un blocco totale degli acquisti per dirottare le risorse «verso programmi per salvare vite (dei migranti, ndr) in mare». “Niente F35 e soldi per i migranti in mare”. Così parlava Di Battista nel 2015

I tempi, intanto, sono cambiati radicalmente. I migranti vengono lasciati affogare nell’indifferenza generale e l’Italia continua ad aderire al «più costoso programma aeronautico della storia», per un velivolo che, come ha dimostrato una recente analisi tecnica della rivista specializzata Popular Mechanics, potrebbe essere ricordato come «uno degli aerei da guerra più derisi della storia».

In proposito Vi ricordiamo un articolo che abbiamo pubblicato 2 anni fa:

L’alternativa agli F-35? C’è, ma è tabù: l’Italianissima Alenia produce caccia leggeri molto più utili ed economici. Ma i nostri politici imbarazzati, inetti, servili e lecchini non darebbero mai un dispiacere ai padroni Americani!

Caso Diciotti, il Comandante De Falco: “Vi spiego perché Salvini va processato”

 

De Falco

 

 

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Caso Diciotti, il Comandante De Falco: “Vi spiego perché Salvini va processato”

 

Sul caso Diciotti “Salvini va processato”, parola di Gregorio De Falco, ex senatore del Movimento 5 stelle espulso. Il parlamentare passato al gruppo Misto a dicembre in quanto “dissidente” parla al giornalista Guido Ruotolo per Servizio Pubblico sulla questione della Diciotti e delle indagini su Matteo Salvini.

Il suo non è un parere qualsiasi. De Falco è un ex comandate. Per la precisione è colui che ha intimato a Francesco Schettino di salire a bordo durante il disastro della Costa Concordia. Ma soprattutto è uno dei componenti della Giunta per le immunità del Senato che in queste ore sta decidendo sull’autorizzazione a procedere in giudizio richiesta per il ministro dell’Interno Matteo Salvini. Il Tribunale dei ministri vuole processare il vice premier per sequestro di persona. Sul banco c’è la gestione dello sbarco della nave Umberto Diciotti.  Nell’agosto 2018 la nave della guardia costiera italiana è rimasta bloccata per dieci giorni, dal 16 al 25 agosto,  con 177 migranti a bordo, prima in mare e poi al porto di Catania. La decisione ultima sarà presa dalla Giunta martedì 19 febbraio.

Diciotti, De Falco: “Salvini sia giudicato dalla magistratura”

“Ritengo che ci sia un atto che deve essere giudicato dalla magistratura”, dice De Falco confermando il suo voto favorevole all’autorizzazione a procedere. E sul silenzio del Movimento 5 stelle – da sempre schierato contro le immunità parlamentari ma tentennante sulla sorte dell’alleato di Governo – per De Falco si tratta di “un’attesa. Come se si attendesse che su altri tavoli si raggiunga un equilibrio”.

No al processo? Ecco perché Matteo ha cambiato idea

Ma perché Salvini all’inizio della vicenda Diciotti si è detto disposto a farsi processare e poi ha cambiato idea? Per Gregorio De Falco la risposta è semplice: “Si è reso conto della gravità e della fondatezza delle accuse che gli sono mosse”.

Guarda QUI il video

 

tratto da: https://www.michelesantoro.it/2019/02/de-falco-salvini-diciotti/?fbclid=IwAR0B7LGD9bWsDkflLpzUkhU9mWutDJx267ejmaYmw3U9KbyPKKGW4DVtUhA

 

Abbassare i limiti di età per il processo. Devono andare a processo anche bambini di 12 anni… Lo ha proposto la Lega, il partito di Salvini, quello che a 45 anni non andrà a processo per il caso Diciotti… Ah, la coerenza…!

 

processo

 

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Abbassare i limiti di età per il processo. Devono andare a processo anche bambini di 12 anni… Lo ha proposto la Lega, il partito di Salvini, quello che a 45 anni non andrà a processo per il caso Diciotti… Ah, la coerenza…!

Lo strano caso della Lega – Chiedono di abbassare i limiti di età per il processo a 12 anni, ma il loro “capitano” a 45 anni non andrà a processo per il caso Diciotti… Ah, la coerenza…!

La Lega vuole che vadano a processo anche bambini di 12 anni

Arriva una legge targata Carroccio contro le baby gang. Abbassa il limite dell’imputabilità che oggi è 14 anni

Arriva una legge targata Lega contro le baby gang. Firmata da tutti i deputati del partito di via Bellerio presenti nella Commissione Giustizia. Sarà incardinata a breve ed è stata richiesta anche la firma del Movimento 5 stelle.

La Proposta di legge prevede di abbassare il limite dell’imputabilità da 14 a 12 anni. Al momento chi commette un reato sotto i 14 anni non viene considerato ‘punibile’. Ovvero “non assoggettato alla pena”, secondo il codice penale. “Ma” spiega uno dei firmatari del progetto di legge “un minore di 12 anni di oggi è diverso rispetto a quello di qualche anno fa. Bisogna aggiornare il codice e considerare la realtà”.

Il fenomeno delle baby gang

La fotografia è quella dell’aumento del fenomeno delle baby gang (secondo l’Osservatorio Nazionale Adolescenza ne fa parte il 6,5% degli adolescenti) in città come Napoli, Milano, Roma, Bologna, Bari, Palermo. Ma è in crescita anche il fenomeno dei ‘baby boss’, ovvero di minori adescati dalla criminalità organizzata (anche dalla camorra e dalla mafia) per fungere da ‘pony express’ della droga o altro. Per non parlare dell’aumento degli episodi di tentativo di stupro, accoltellamenti e di bullismo.

Proprio per stroncare le baby-gang arrivano anche altre misure repressive. La prima: un minore che commette reati in gruppo – secondo la logica del branco – non avrà diritto ad alcuna premialità, ovvero sconti di pena. La seconda: avvalersi della facoltà di non intendere e volere sarà piu’ difficile, occorrerà fornire delle prove più stringenti. Oltre alla repressione la Lega punta sulla prevenzione. Ovvero sull’insegnamento con la reintroduzione dell’educazione civica come materia scolastica.

Resta in ogni caso curiosa la situazione di un pattito che vuole mandare a processo ragazzini di 12 anni, pur avendo un “capitano” di 45 anni che dai processi fugge…!

Ancora un raid della polizia francese ai nostri confini – Irrompono sul treno Ventimiglia-Nizza a caccia di migranti, armati di spray urticante. La testimonianza di una passeggera: “Dal bagno urla disumane”… Però non vi dimenticate che i “vomitevoli” siamo noi…!

 

 

polizia francese

 

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Ancora un raid della polizia francese ai nostri confini – Irrompono sul treno Ventimiglia-Nizza a caccia di migranti, armati di spray urticante. La testimonianza di una passeggera: “Dal bagno urla disumane”… Però non vi dimenticate che i “vomitevoli” siamo noi…!

Migranti, polizia francese spruzza spray urticante sul treno Ventimiglia-Nizza | Una passeggera a Tgcom24: “Dal bagno urla disumane”

La sostanza ha raggiunto anche i viaggiatori in carrozza provocando tosse e bruciori. “Non è la prima volta, ma mai così tanta violenza”, il racconto a Tgcom24

Nuove polemiche sul comportamento della polizia francese al confine con l’Italia: gli agenti avrebbero spruzzato spray urticante giovedì mattina intorno alle 7 sul treno partito da Ventimiglia e diretto a Nizza. L’obiettivo era per far uscire alcunimigranti nascosti in un bagno, ma la sostanza urticante ha raggiunto anche i viaggiatori in carrozza provocando tosse e bruciori. L’episodio si è verificato alla stazione di Mentone. “Dal bagno dove si erano chiusi i tre giovani africani arrivavano urla disumane – è il racconto di una testimone a Tgcom24. – Un fatto del genere era già accaduto la settimana scorsa, ma nessuno aveva visto tanta violenza. Siamo rimasti tutti increduli e scioccati. Tutto ciò è legale?”.

La testimonianza di una passeggera a Tgcom24La stazione di Mentone è la prima in territorio francese una volta oltrepassato il confine arrivando dall’Italia. Secondo quanto hanno riferito alcuni passeggeri, gli agenti, saliti a bordo alla sosta delle 7.10 per l’abitudinario controllo dei documenti, hanno dapprima cercato di forzare la porta della toilette nella quale si erano chiusi i migranti utilizzando una sorta di grossa tronchese e hanno poi spruzzato la sostanza urticante per farli uscire.

“Dal bagno arrivavano urla disumane – racconta una testimone a Tgcom24 – e dopo mezz’ora di tensione abbiamo visto come quei tre ragazzi sono usciti da lì, non si reggevano in piedi. E anche i gendarmi erano stremati. Ma tutta questa aggressività è lecita? E’ stata una situazione sconvolgente”.

Come hanno reagito i presenti? “Eravamo tutti scioccati, nessuno è intervenuto direttamente contro i gendarmi, ma in tanti si sono alzati per vedere da vicino cosa stesse accadendo e per filmare con gli smartphone. Nessuno provava simpatia per questa azione. A quell’ora sul treno eravamo per lo più italiani”.

“Vorrei ci fosse consapevolezza nell’opionone pubblica di quello che accade in quella tratta: i controlli sono mirati in base al colore della pelle – aggiunge la testimone a Tgcom24; – chi prova a scappare viene bloccato e preso platealmente a schiaffi. Quei tre ragazzi sicuramente parlavano francese, perché gli agenti non hanno provato a trattare con loro? O perché non hanno semplicemente atteso che uscissero per intervenire? Alla fine tutti ci siamo chiesti: Chissà dove li portano? Cosa faranno loro?”.

 

fonte: https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/migranti-polizia-francese-spruzza-spray-urticante-sul-treno-ventimiglia-nizza-una-passeggera-a-tgcom24-dal-bagno-urla-disumane-_3191724-201902a.shtml

La proposta dei nostri politici “Test antidroga per gli studenti delle superiori”… ma, visto i precedenti e visto soprattutto le idiozie che quotidianamente fanno, con il test perché non partiamo proprio dai politici?

 

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La proposta dei nostri politici “Test antidroga per gli studenti delle superiori”… ma, visto i precedenti e visto soprattutto le idiozie che quotidianamente fanno, con il test perché non partiamo proprio dai politici?

 

“Test antidroga per gli studenti delle superiori”: perché non partiamo dai politici?

Un test antidroga per tutti gli studenti delle scuole superiori del Veneto. E’ la proposta di Elena Donazzan, assessore regionale all’istruzione che arriva dopo un questionario anonimo compilato dagli studenti dal quale risulta che il 18% fa uso di sostanze stupefacenti.

“Siamo in piena emergenza educativa. I dati ci impongono non solo una riflessione sull’impatto che la droga sta avendo sui giovani, ma richiedono un’azione di contrasto la più efficace possibile”, ha sottolineato l’assessore per giustificare la propria iniziativa.

E su Twitter rincara la dose spiegando che: “1 studente su 5 ammette di fare uso di sostanze stupefacenti. Con 2 euro a persona possiamo dare il colpo di grazia alle droghe a scuola: direi soldi ben spesi, no?”.

Ora, molto pacatamente, vorremmo fare due considerazioni, sperando che l’assessore abbia la possibilità di leggerle. Se il presupposto è l’emergenza educativa, e noi possiamo anche essere d’accordo, di sicuro la soluzione non può essere rappresentata da un test antidroga. Un test antidroga non educa nessuno, al massimo spaventa, fa sentire fuori posto, isola e mostra la scuola e le istituzioni come un nemico dal quale diffidare, tutto l’opposto di quello che un’educazione inclusiva dovrebbe garantire, come un’informazione completa sulle sostanze stupefacenti, sui loro effetti e i loro possibili danni, ma soprattutto un’analisi dei motivi che portano un adolescente ad assumerle.

Anche perché dal test effettuato dagli studenti è emerso un altro dato, molto più importante, sul quale nessuno si è soffermato, e cioè che “l’83% degli intervistati ritiene che sui banchi di scuola si dovrebbe affrontare di più e meglio il tema della droga e delle dipendenze“.

Fa invece sorridere l’ingenuità di chi pensa che con un test antidroga si “possa dare il colpo di grazia alle droghe nelle scuole”, a meno che non sia in malafede. Nessun educatore e nessun genitore mosso da un minimo di buon senso può pensare che un test antidroga risolva un problema complesso e radicato nelle società moderne con un’operazione che tenta di trasformare una scuola in qualcosa di simile a una caserma.

L’abbiamo già visto con l’operazione “Scuole sicure” fortemente voluta dal ministro dell’Interno Salvini. Un finanziamento di 2,5 milioni di euro con oltre 2mila agenti schierati per operazioni di controllo fuori e dentro gli istituti superiori hanno portato al sequestro di 5 chilogrammi di cannabis e hashish su tutto il territorio nazionale: ogni grammo requisito è costato allo Stato 500 euro, una spesa pubblica e un impiego di risorse decisamente eccessivi. Il tutto mentre le scuole italiane cadono a pezzi.

Infine, una nota di principio: in quella che l’assessore definisce come un’emergenza educativa, ciò che serve ai ragazzi, più dei cani poliziotto o dei test antidroga, è il valore dell’esempio di politici e istituzioni. Per cui il nostro appello all’assessore Donazzan è il seguente: invece che accanirsi sui giovani e l’utilizzo di sostanze sulle quali non sono stati minimamente educati, partiamo dai nostri politici. Tutti quanti, a livello comunale, regionale e nazionale. Mostriamo che le nostre istituzioni sono libere dalle temute sostanze stupefacenti che obnubilano la mente dei giovani, perché se è importante trasmettere dei valori alle nuove generazioni, è fondamentale partire da chi ci rappresenta, per mostrare che chi prende decisioni in nome del popolo e delle comunità che lo costituiscono, è in grado di dare il buon esempio.