“Ho 64 anni, sono malato e profondamente cambiato” (Cesare Battisti dal carcere) – “Avevo 43, sono morto e la vita della mia famiglia profondamente cambiata” (Pierluigi Torregiani dalla tomba)

 

Cesare Battisti

 

 

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“Ho 64 anni, sono malato e profondamente cambiato” (Cesare Battisti dal carcere) – “Avevo 43, sono morto e la vita della mia famiglia profondamente cambiata” (Pierluigi Torregiani dalla tomba)

 

Avrà pure 64 anni. Sarà pure malato. Probabilmente veramente sarà cambiato. Ma tutto questo non basta a rendere giustizia alle sue vittime ed alle loro famiglie.

4 vite stroncate… Certo, siamo in Italia e se la Manbro (leggi qui) ha scontato 2 mesi di carcere per ognuna delle suoi 96 omicidi, potrebbe essere libero nel giro di 8 mesi…

Che sia Giustizia…

Chi è Cesare Battisti

L’ex terrorista, che deve scontare l’ergastolo per quattro omicidi in concorso avvenuti alla fine degli anni Settanta in Italia, nel 1981 è evaso dal carcere di Frosinone e non è più tornato nel nostro Paese.

Membro dei Pac (Proletari Armati per il Comunismo), condannato in contumacia in Italia all’ergastolo per quattro omicidi in concorso compiuti alla fine degli anni Settanta, la storia di Cesare Battisti è degna di un romanzo – fatto di arresti, evasioni, fughe ed estradizioni mancate – ambientato tra il nostro Paese, la Francia, il Messico e il Brasile, fino all’ultimo capitolo on Bolivia.

Cesare Battisti nasce nel 1954 a Cisterna di Latina, in una famiglia contadina. A 18 anni viene arrestato per la prima volta per una rapina a Frascati, poi qualche mese dopo finisce ancora in manette per un sequestro di persona. Da un reato all’altro, Battisti nel 1977 è nel carcere di Udine per aver aggredito un sottufficiale dell’Esercito. In cella conosce Arrigo Cavallina, ideologo dei Pac (Proletari Armati per il Comunismo). Una volta libero, Battisti inizia a partecipare a una serie di azioni di eversione dei Pac.

Battisti è accusato di aver preso parte o fornito “copertura armata” anche a quattro omicidi sul finire degli anni Settanta. Il 6 giugno 1978, Andrea Santoro è il primo a cadere sotto i colpi dei Pac. A 52 anni vive con la moglie e i tre figli, a Udine, dove è a capo con il grado di maresciallo del carcere di via Spalato. A sparare, secondo gli inquirenti, sono Battisti e una complice. Per i Pac quello è il battesimo del fuoco. Nel 1979, arrivano gli altri tre omicidi: due a Milano e uno vicino a Mestre. Il 16 febbraio, nel giro di poche ore, vengono uccisi nel capoluogo lombardo il gioielliere Pierluigi Torregiani e a Mestre il macellaio Lino Sabbadin. Le due vittime avevano in comune una cosa: in precedenza avevano sparato e ucciso un rapinatore. Per il delitto di Torregiani, Cesare Battisti è stato poi condannato in quanto mandante e ideatore. Due ore dopo il delitto Torregiani, alle 18 viene assassinato Lino Sabbadin. In questo secondo omicidio, Battisti viene accusato di aver fornito “copertura armata”. Il 19 aprile 1978, Andrea Campagna, agente della Digos milanese, viene ucciso con cinque colpi di pistola nella zona della Barona. Due telefonate al Secolo XIX e a Vita rivendicano l’omicidio a nome dei Proletari armati per il comunismo. Di questo delitto Battisti viene accusato di essere stato l’esecutore materiale.

La fuga in Francia e il periodo in Messico

Cesare Battisti viene arrestato nuovamente, ma stavolta per banda armata, nel 1979. Detenuto nel carcere di Frosinone, mentre è in corso l’istruttoria, il 4 ottobre 1981 riesce a evadere e a fuggire in Francia. Per un anno vive da clandestino a Parigi, dove conosce la sua futura moglie. Poi si trasferisce con la compagna in Messico dove nasce la sua prima figlia. Durante il soggiorno messicano, i giudici italiani lo condannano in contumacia all’ergastolo per quattro omicidi. Battisti torna a Parigi dove, nel frattempo, sono andate a vivere la moglie e la figlia. Nella capitale francese fa il portiere di uno stabile, ma frequenta una comunità di rifugiati italiani. Battisti inizia a scrivere romanzi noir. Resta in Francia fino al 2004, quando viene concessa l’estradizione. In agosto, però, Battisti fugge e torna latitante.

La cattura in Brasile e l’estradizione mai concessa

Per qualche anno non si hanno notizie di Battisti, fino a quando il 18 marzo 2007 viene arrestato in Brasile. L’ex esponente dei Pac, però, si rivolge allo Stato sudamericano e chiede lo status di rifugiato politico, che ottiene all’inizio del 2009, dopo una prima richiesta respinta a novembre 2008. La concessione dello status di rifugiato politico ha creato forti dissapori tra Italia e Brasile. Il Tribunale supremo federale (Stf) brasiliano, il 18 novembre 2009, dichiara illegittimo lo status di rifugiato politico concesso dal governo, ma la decisione definitiva spetta al presidente Lula da Silva che il 31 dicembre 2010, nell’ultimo giorno del suo mandato presidenziale, decide di non concedere l’estradizione.

La revoca dello status di rifugiato nel 2017

Nell’ottobre del 2017, il caso Battisti fa ancora discutere. L’ex terrorista viene arrestato all’inizio del mese mentre sta fuggendo in Bolivia dal Brasile, pochi giorni dopo che il presidente brasiliano Michel Temer si era espresso sull’estradizione in Italia. Lo stesso Temer, sempre a ottobre 2017, revoca lo status di rifugiato a Battisti e dà ordine di estradarlo in Italia. Ma l’ex terrorista fa ricorso ai giudici del Tribunale Supremo Federale che rinviano la decisione e concedono misure alternative agli arresti in carcere.

L’era Bolsonaro e l’arresto in Bolivia

Di Battisti si torna a parlare nell’ottobre 2018: Jair Bolsonaro, candidato di estrema destra a presidente del Paese, promette al ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini l’estradizione dell’ex terrorista. Dopo la vittoria alle presidenziali di Bolsonaro, alla fine di ottobre 2018, Cesare Battisti fa perdere le sue tracce, finché il suo legale non precisa: si è semplicemente spostato da Cananeia – dove risiede – a San Paolo, dove si è riunito con i suoi rappresentati legali. Due mesi dopo, nel dicembre 2018, il Brasile annuncia: “Cesare Battisti deve essere arrestato per evitare il pericolo di fuga in vista di un’eventuale estradizione”. A ordinare l’arresto, con un provvedimento immediatamente esecutivo, è un magistrato del Supremo tribunale federale, lo stesso che nell’ottobre dell’anno precedente gli aveva concesso misure alternative al carcere. Il presidente uscente Temer firma il decreto, e Battisti sparisce. Il Brasile ammette che “potrebbe aver lasciato il Paese” e diffonde le foto di possibili travestimenti. Battisti risulta latitante fino alla cattura avvenuta in Bolivia il 12 gennaio 2019.

By Eles

Titolo ispirato da un tweet di Gianluca Foresi‏ @GianlucaForesi

Costei nella foto è Francesca Mambro. Lei è in libertà nonostante sia stata condannata per 96 omicidi… E voi ancora pensate a Battisti…!

 

Francesca Mambro

 

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Costei nella foto è Francesca Mambro. Lei è in libertà nonostante sia stata condannata per 96 omicidi… E voi ancira pensate a Battisti…!

E’ di questi giorni la lamentela di Cesare Battisti sul trattamento in carcere: “poco cibo e di pessima qualità” e la perentoria risposta di Salvini: “Ti lamenti del menù nel carcere? Taci e digiuna, vigliacco”…

Giusto? Forse, ma non troppo… Ma il buon padano cuor di leone potrebbe togliere i paraocchi e guardarsi intorno. Mica c’è solo Battisti, peraltro anche in carcere.

C’è tanto più schifo in giro… Pensiamo a Francesca Mambro. In libertà nonostante sia stata condannata per 96 omicidi… Ma lei, per il padano, l’attenuante ce l’ha: è fascista!

Terrorista italiana ed esponente di spicco del gruppo eversivo d’ispirazione neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari.

Arrestata a Roma il 5 marzo 1982 e processata, é stata ritenuta colpevole di diversi reati e dell’omicidio di 96 persone. NOVANTASEI OMICIDI.

Condannata complessivamente a nove ergastoli, 84 anni e 8 mesi di reclusione. È LIBERA, la sua pena si è estinta dal 2013, dopo essere stata messa in libertà condizionale nel 2008.

Dal 1985 è sposata con il terrorista Valerio Fioravanti, suo compagno sin dagli anni settanta e da cui, nel 2001, ha avuto una figlia, Arianna.

Come Fioravanti, si è assunta la responsabilità morale di tutti i delitti dei NAR.

Fioravanti e Mambro sono stati condannati in primo grado nel 2014 a risarcire 2 miliardi, 134 milioni e 273 mila euro, da versare alla Presidenza del Consiglio e al ministero dell’Interno.

Risarcimento che non pagheranno mai, risultando incapienti (cioè nullatenenti).

Questa é la Giustizia in ITALIA… NOVANTASEI MORTI, 2 MESI DI GALERA PER OGNI MORTO.

E non ci pare che gli “amici” fascisti abbiano fatto tanto clamore per questa criminale assassina in Libertà.

Bisognerebbe veramente vergognarsi di essere Italiani…

E qualcuno si dovrebbe vergognare ancora di più…

 

 

Rigopiano, lo sfogo della mamma di Stefano Feniello che urla: “Maledetti, non lo avete mai mandato lo Spazzaneve a salvare mio figlio, mai. Adesso mandate la corona di fiori”

 

Rigopiano

 

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Rigopiano, lo sfogo della mamma di Stefano Feniello che urla: “Maledetti, non lo avete mai mandato lo Spazzaneve a salvare mio figlio, mai. Adesso mandate la corona di fiori”

Rigopiano, l’urlo della mamma di Stefano Feniello: “Ora mandate fiori, serviva spazzaneve”

Dopo un breve raccoglimento davanti alla teca dove sono affisse le foto di tutti i 29 morti della tragedia di Farindola, la mamma di Stefano Feniello si è lasciata andare ad uno sfogo: “Maledetti, non lo avete mai mandato lo Spazzaneve a salvare mio figlio, mai. Adesso mandate la corona di fiori”

Silenzio, lacrime, preghiere ma anche sfoghi di rabbia da parte di alcuni parenti delle vittime oggi davanti al totem di quel che fu l’hotel Rigopianio di Farindola durante la cerimonia di commemorazione per i 29 morti seppelliti da una valanga esattamente due anni  fa. “A cosa ti servono i fiori? A cosa ti serve oggi la corona di fiori del presidente della Repubblica? Serviva lo Spazzaneve esattamente due anni fa” ha urlato Maria Perilli, la mamma di Stefano Feniello, una delle vittime del disastro che era andato in quell’hotel per trascorrere il suo compleanno insieme alla sua fidanzata che è scampata alla tragedia. Dopo alcuni minuti di raccoglimento davanti alla teca dove son affisse le foto di tutti i 29 morti dei quel 18 gennaio 2017, la signora si è lasciata andare ad uno sfogo.

“Ci voleva uno spazzaneve. Quello stavi aspettando. Ci hai telefonato e ci hai detto che sarebbe arrivato ma non i mai arrivato, non lo hanno mai mandato” ha proseguito la donna riferendosi alle continue richieste che erano state inviate dall’hotel prima della tragedia per fare evacuare turisti e personale ma che erano rimaste inascoltate. “Maledetti, non lo avete mai mandato lo Spazzaneve a salvare mio figlio, mai. Adesso mandano la corona di fiori. Maledetti, non ti preoccupare. Gliela faremo pagare cara. Faremo giustizia. Giustizia avrai perché giustizia meriti” ha proseguito la donna  rivolta al figlio, aggiungendo: “Non ti preoccupare figlio mio, li maledirò fino al resto dei giorni della mia vita”.

Salvini: “Ho detto a papà Feniello di non pagare la multa che gli hanno fatto per aver portato fiori al figlio”
Alla commemorazione erano presenti anche Luigi Di Maio e Matteo Salvini e proprio quest’ultimo a proposito della condanna al pagamento di una multa da 4.550 euro inflitta ad Alessio Feniello, padre di Stefano, per aver violato i sigilli giudiziari messi per delimitare l’area dove sorgeva l’hotel crollato sotto la valanga, ha raccontato: “Ho detto a papà Feniello di non pagare un euro. Ci manca giusto di essere multati per andare a portare i fiori al figlio. Se c’è una legge sbagliata, cambieremo questa legge”.

fonte: https://www.fanpage.it/rigopiano-lurlo-della-mamma-di-stefano-feniello-ora-mandate-fiori-serviva-spazzaneve/

Se per Boschi e PD deridere i poveri sul reddito di cittadinanza significa fare opposizione…

 

Boschi

 

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Se per Boschi e PD deridere i poveri sul reddito di cittadinanza significa fare opposizione…

“Dice Di Maio che col reddito di cittadinanza da oggi cambia lo Stato Sociale. La colonna sonora infatti diventa ‘Una vita in vacanza’” ha twittato ieri l’ex ministra Maria Elena Boschi per attaccare il nuovo reddito di cittadinanza carato dal governo. E in quella frase, seppure breve, ci sono tutti gli errori del PD degli ultimi anni.

Ci sarebbero milioni di motivi per contestare il reddito di cittadinanza varato dal governo poche ore fa. Si potrebbe, ad esempio, puntare il dito sui numeri di un riforma che avrebbe dovuto segnare una svolta epocale e invece rischia di accontentare poche famiglie (ma qui vale anche il limite imposto dall’Europa) oppure si potrebbe puntare il dito sul fondamentale ruolo dei centri per l’impiego che, chissà perché e chissà come, ora dovrebbero ricominciare di colpo a funzionare meravigliosamente come non non mai riusciti a fare. Se ne potrebbe contestare l’ideologia politica (ovvero quelli che sono convinti che sia l’aiuto alle imprese il passaggio fondamentale per aiutare le persone) come in fondo un po’ disordinatamente sta facendo Forza Italia (sia chiaro che è una legittima posizione di destra, comunque) o si potrebbe discutere del rischio che tutto diventi il solito assistenzialismo all’italiana.

Insomma ce n’è da dire, c’è materiale per metter in campo una convincente (e magari costruttiva) opposizione, anche alla luce della distanza che il vice premier Salvini continua a dimostrare verso il provvedimento. Ieri invece, Maria Elena Boschi, in primis hanno avuto la brillante idea di colpire, al solito, la parte sbagliata puntando il dito contro i poveri colpevoli di essere poveri e quindi (secondo, una sfortunata connessione di pregiudizi, per forza nullafacenti.

«Dice Di Maio che col reddito di cittadinanza da oggi cambia lo Stato Sociale. La colonna sonora infatti diventa “Una vita in vacanza”», ha tiwttato ieri Maria Elena Boschi e nel suo sfortunato tweet c’è tutto il comportamento che ha affossato il Partito Democratico in questi ultimi anni. «Veramente una frase stupida. Fattelo dire da chi gestisce i servizi sociali.», gli ha risposto immediatamente l’assessore ai servizi sociali di Milano Pierfrancesco Majorino, senza troppi giri di parole, «Non si capisce l’obiettivo di @pdnetwork. Se è creare consenso questo retweet di una roba di @meb, peraltro reduce dalla cena col #cazzaronero, sicuramente non serve», scrive un elettore che si dichiara “molto preoccupato”, «C’è tutto il fallimento del PD in queste tre spocchiose, vergognose, tristissime righe.», scrive un altro utente. E così via, in un profluvio di critiche che non sembrano per ora avere toccato l’ex ministra.

In quella frase comunque c’è tutto il classismo di un Partito Democratico che insiste nel fare opposizione specchiandosi negli stessi modi di quelli che contesta: irridere la povertà (pensando di attaccare invece il provvedimento del governo) non è altro che un aizzare di folle identico alla tattica usata da quegli altri. Il fatto stesso di sperare nel fallimento di una manovra che punta all’inclusione di alcune fasce di povertà (mangiando al solito i pop-corn piuttosto che studiando e proponendo migliori strategie) aizzando le folle contro i poveri (come quelli altri fanno con gli immigrati) dimostra una pessima matrice comune.

Sfugge tra l’altro anche come il PD, continuando così, possa pensare di recuperare voti. I voti, del resto, arrivano da quegli stessi elettori che ogni giorno vengono bullizzati da entrambe le parti come se fossero marchiati a vita e quindi immobili nelle loro scelte. Non sarebbe più intelligente piuttosto dimostrare vicinanza alle famiglie in difficoltà (che inevitabilmente confidano nel reddito di cittadinanza pur di migliorare la propria situazione) spiegando (umilmente) le criticità e i pericoli del provvedimento. E invece niente. Ennesima occasione persa.

E così il luogo comune dei “radical chic” può continuare a aleggiare indisturbato.

 

fonte: https://www.fanpage.it/se-per-boschi-e-pd-deridere-i-poveri-sul-reddito-di-cittadinanza-significa-fare-opposizione/

 

Dietro la Supercoppa. Gli interessi italiani in Arabia Saudita tra armi, calcio e diritti umani – Una coppa sporca del sangue dei bambini dello Yemen…!

 

Arabia Saudita

 

 

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Dietro la Supercoppa. Gli interessi italiani in Arabia Saudita tra armi, calcio e diritti umani – Una coppa sporca del sangue dei  bambini dello Yemen…!

 

Dietro la Supercoppa. Gli interessi italiani in Arabia Saudita tra armi, calcio e diritti umani

Con il Paese l’Italia ha rapporti di vecchia data. In Sardegna la fabbrica che produce le bombe usate nei raid aerei sullo Yemen

Di Nicoletta Dentico*

Di Nicoletta Dentico*
Ordigni prodotti in Sardegna dalla Rwm Italia, del gruppo Rheinmetall Defence. Produce, tra le altre, le bombe che l’Arabia Saudita utilizza nei raid aerei sullo Yemen

Questa è una storia di bombe prodotte in Italia, bombe spacciate con l’inganno del diritto al lavoro.

Questa è una storia esplosiva della peggiore politica, quella che pur di fare affari non guarda in faccia nessuno, nemmeno le leggi.

Questa infine è la storia di una banca che mette in campo il proprio posizionamento sul concetto di “gestione della casa”, che poi è il vero significato della parola economia.

La guerra in Yemen e il giornalista saudita ucciso

C’è un conflitto implacabile che da quattro anni sconquassa lo Yemen. Una guerra rimasta perlopiù nell’ombra degli interessi geopolitici che l’hanno prodotta e giustificata, salvo sortire poi dal lungo silenziograzie alla vicenda di Jamal Khashoggi, il giornalista saudita fatto a pezzi il 2 ottobre 2018 nella sede del consolato del suo Paese, a Istanbul, dove si era recato per formalizzare un procedura di divorzio. Il corpo smembrato del noto editorialista del Washington Post è metafora e specchio dello smembramento sociale ed economico dello Yemen sotto le bombe: vite parallele di uomini e Paesi che non si possono ignorare.

Quei resti umani del saudita, ancora introvabili, rimandano agli squarci dei bombardamenti e alle viscere rivoltate dell’intera società yemenita sotto scacco per via del colera, un’epidemia come non se ne vedevano da secoli.

Sulla soglia di una carestia senza precedenti: le proiezioni dell’ONU parlano di malnutrizione acuta, la versione più estrema della fame, per 400.000 bambini. Per Save the Children circa 85.000 i bambini sotto i cinque anni potrebbero essere morti per fame o malattie gravi dall’inizio dell’escalation del conflitto in Yemen.

Una popolazione allo stremo, insomma, ancora largamente inaccessibile, se non per le poche coraggiose presenze di uomini e donne alle prese con la crisi umanitaria. La più grave, ci rammentano i rapporti delle agenzie internazionali, e le narrazioni giornalistiche di chi ha deciso di non voltare lo sguardo.

Gli intrecci dietro il principe saudita

Poi c’è la corona regnante in Arabia Saudita, regista e mano del duplice scempio. C’è lo strano caso di Mohammed bin Salman bin Abdulaziz al Saud, in breve MbS, rampollo e promessa della modernizzazione della monarchia, che ha saputo gabbare la comunità internazionale con poche abili mosse di sostanziosi affari militari e roboanti operazioni di maquillage sui diritti (le donne saudite al volante).


Io principe saudita Mohammed bin Salman

Con il piglio scanzonato che la gioventù impone, Mohammed bin Salman ha ritenuto ammissibile nel 2015 porsi alla testa di una coalizione militare di paesi sunniti (Marocco, Egitto, Sudan, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrain e Qatar) contro le forze antigovernative shiite degli Houti in Yemen, per attizzare di fatto un nuovo conflitto internazionale contro l’Iran.

Con altrettanto piglio ha poi ritenuto possibile orchestrare, con un team di 15 collaboratori – tanti ne ha contati la CIA – un’imboscata per azzittire definitivamente la voce non proprio accondiscendente del giornalista Khashoggi. Il principe ha esagerato, mettendo la comunità internazionale in imbarazzato subbuglio. Ma non demorde: il processo appena avviato in Arabia Saudita sulla morte di Khashoggi, a porte chiuse e senza citare i nomi dei sospettati, è un “un travestimento della giustizia”, commenta a ragione il Washington Post. Gli intrecci economici che legano il mondo intero all’Arabia Saudita, in barba alle ben note violazioni dei diritti umani (delle donne e non solo), sono di immensa portata e nessuno vuole veramente rompere con Riyadh. Le acrobazie narrative per scagionare il principe saudita non sono solo quelle di Donald Trump, anche se il presidente Usa è sempre più alle strette: lo scorso dicembre, il Senato americano uscente ha approvato all’unanimità una risoluzione che punta alla responsabilità di MBS e invoca un’indagine urgente dell’amministrazione, per accertarla.

L’amicizia dell’Italia

Di mezzo c’è anche l’Italia. Partner indiscusso dei sauditi. Alleato senza inquietudini. Le nostre relazioni spaziano dalle armi prodotte in Sardegna su procura di aziende tedesche, agli accordi per disputare là finali di calcio made in Italy.

La Supercoppa Juventus-Milan è stata trasmessa in diretta il 16 gennaio da Rai 1: “Una partita che si gioca per un solo dio, il dio denaro, alla faccia dei molti giornalisti scrittori, pacifisti e blogger che marciscono a centinaia nelle carceri saudite”, ha chiosato il presidente della Federazione Nazionale della Stampa Giuseppe Giulietti.

La strategia italiana illustrata sul sito del Consolato del resto non lascia equivoci:

“L’Italia è uno dei migliori partner commerciali dell’Arabia Saudita in Europa, al primo posto negli ultimi anni. Nel 2014, le esportazioni italiane verso il Regno hanno raggiunto più di 18 miliardi di Reali Sauditi ed includono principalmente macchinari industriali, prodotti raffinati e apparecchiature elettriche. Il nostro obiettivo comune è quello di raggiungere cifre ancora più grandi ed una maggiore diversificazione”.

In Sardegna c’è chi dice “no”

Chi mette alle strette il mondo politico italiano è un piccolo inflessibile nucleo di uomini e donne della Sardegna, il Comitato per la Riconversione della RWM Italia (dal nome dell’azienda che produce a Domusnovas le bombe esportate in Arabia Saudita e lanciate in Yemen) di cui fa parte anche Fondazione Finanza Etica, che da oltre due anni non cede di un passo, incalza battendo il tempo e creando un’onda di mobilitazione che nessuno può fermare, con risultati importanti. Un’esperienza politica che dal Sulcis Iglesiente ha lambito le pagine della stampa internazionale, e comincia finalmente a intaccare l’indifferenza del governo, se dobbiamo prendere per buone le parole pronunciate da Giuseppe Conte alla conferenza stampa di fine anno: “Non siamo favorevoli alla vendita di queste armi e quindi ora si tratta solo di formalizzare questa posizione e agire di conseguenza”.

Infine c’è una legge che regolamenta in Italia il commercio dei sistemi d’arma secondo principi che hanno fatto scuola nel mondo, e che ora qualche parlamentare vorrebbe modificare nel corso della nuova legislatura, paradossalmente, per “migliorarne l’attuazione”. Una strada scellerata e inutile, se si vuole mettere mano alla crisi dello Yemen. Quella norma è un bastione che ha permesso alla società civile di impugnare le scelte dei molti governi incuranti delle clausole che impediscono all’Italia di esportare armi a chi viola i diritti umani ed è coinvolto in conflitti. Lo Yemen non può diventare un pretesto. La legge 185/90 va piuttosto attuata seriamente, casomai intervenendo sui decreti attuativi, in modo da restringere le maglie e ripristinare la trasparenza che abbiamo conosciuto ai tempi della Prima Repubblica. Su questo Banca Etica – la cui storia ed esistenza è molto legata alla legge 185/90 – non ha dubbi.

Se è servita la morte di Jamal Khashoggi perché il mondo squarciasse il velo del cinismo saudita fino a puntare lo sguardo sulla guerra in Yemen, l’Italia deve fare la sua parte e sospendere immediatamente le esportazioni all’Arabia Saudita, ripristinando subito la più rigorosa applicazione della legge in materia, anche laddove prevede la attivazione e il finanziamento di un fondo per la riconversione dell’industria militare.

È giunto il tempo di una discussione pubblica seria sull’impatto del complesso militare-industriale italiano sulla instabilità geopolitica (in particolare in Medio Oriente) e nella definizione della politica estera e di sicurezza dell’Italia. Per non parlare solo di immigrazione

* Consigliera di amministrazione di Banca Etica e vicepresidente della Fondazione Finanza Etica

Fonte: https://valori.it/dietro-la-supercoppa-gli-interessi-italiani-in-arabia-saudita-tra-armi-calcio-e-diritti-umani/

 

#CambiamolaInsieme – I Cinquestelle all’attacco dei privilegi della casta europea: tagliare gli stipendi faraonici dei Commissari e azzerare i fondi a partiti e fondazioni europee. In Europa basta sprechi…!

 

privilegi della casta

 

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#CambiamolaInsieme – I Cinquestelle all’attacco dei privilegi della casta europea: tagliare gli stipendi faraonici dei Commissari e azzerare i fondi a partiti e fondazioni europee. In Europa basta sprechi…!

 

Tagliamo gli stipendi dei Commissari europei: basta privilegi a Bruxelles (2) #CambiamolaInsieme

L’Europa da cambiare al più presto concede assurdi privilegi ai politici, mentre ai cittadini impone sacrifici nel nome dei vincoli di bilancio. In un precedente post abbiamo raccontato gli sprechi da tagliare: la pensione degli europarlamentari e la tripla sede del Parlamento europeo. La nostra inchiesta continua con gli stipendi dei Commissari europei. Guardate questi dati e scoprirete quanto Bruxelles è distante dai cittadini. #CambiamolaInsieme

STIPENDI COMMISSARI EUROPEI 
Gli stipendi dei Commissari europei sono uno schiaffo agli oltre 100 milioni di poveri in tutta l’Unione europea. Il Presidente della Commissione Juncker percepisce il 138% dello stipendio del funzionario con più alto grado della Commissione e cioè 27.436,90 euro al mese. L’alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini 25.845,35, i i vicepresidenti 24.852,26 euro al mese, mentre tutti gli altri Commissari 22.852,26 euro al mese. A queste esorbitanti cifre vanno aggiunte alcune indennità variabili, come l’indennità di residenza , di espatrio e dei figli. I Commissari hanno inoltre a disposizione 1.500 euro al mese per le spese di rappresentanza. In totale nel 2019 i contribuenti spenderanno per mantenere il collegio del Commissari una cifra pari a 12.6 milioni di euro. Rispetto al 2018 la spesa aumenta di quasi 2,5 milioni perché nel 2019 i Commissari (entranti e uscenti) avranno diritto a rimborsi per le spese di viaggio dei membri della Commissione (compresi i familiari), per le indennità di prima sistemazione e di nuova sistemazione, e per le spese di trasloco dovute ai membri della Commissione in occasione della loro entrata in servizio o della loro cessazione dal servizio. (fonte)

LIQUIDAZIONE VECCHI COMMISSARI

Nel 2019 sono stati messi a bilancio anche 682.000 euro previsti per le indennità transitorie, ovvero una sorta di sussidio che i Commissari ricevono alla fine del loro mandato per una durata di due anni.

Azzeriamo i fondi a partiti e fondazioni europee. In Europa basta sprechi (3) #CambiamolaInsieme

I cittadini pagano, i partiti spendono. In Europa c’è un sistema ben oleato di finanziamento pubblico a partiti e fondazioni che in pochi conoscono: tutte le delegazioni, presenti al Parlamento europeo, hanno dei fondi messi a disposizione per costituire dei partiti politici europei e delle fondazioni europee. Basta 1 europarlamentare che si iscriva a un partito con rappresentanti in almeno 1/4 degli Stati membri e il gioco è fatto.

COME SPENDONO I SOLDI?
I partiti e le fondazioni europee devono giustificare le loro spese. Ecco quali sono quelle rimborsabili:
– per riunioni e di rappresentanza
– per pubblicazioni
– spese amministrative
– per il personale e di viaggio
– tutti i costi relativi alle campagne per le elezioni europee

Per il 2019 sono stati previsti 50 milioni per i partiti politici europei e 19.7 milioni per le fondazioni politiche.

I PARTITI ITALIANI E I FONDI EUROPEI DA SPARTIRSI
Avete mai sentito parlare dell’Alleanza per la pace e la libertà? O della Coalizione per la vita e la famiglia? Ecco l’elenco di tutti gli improbabili partiti europei che si spartiscono una torta di 50 milioni l’anno. Il Partito democratico, per esempio, è parte della famiglia del PES che ha raccolto oltre 43 milioni di euro dal 2008 al 2018. La parte del leone la fa il Partito popolare europeo che ha racimolato in 10 anni quasi 54 milioni di euro. Sono ben sei i partiti italiani che fanno parte del PPE: Forza Italia, Udc, Alternativa popolare, Popolari per l’Italia, Svp e il Partito autonomista tirolese. Non rinunciano ai rimborsi anche i Verdi e molti partiti di destra.

Fra i partiti beneficiari di questi fondi c’è anche un fantomatico Partito democratico europeo: ha sede a Bruxelles e ha raccolto oltre 6 milioni di euro negli ultimi 10 anni. Peccato che il link del sito web pubblicato dal Parlamento europeo è fantasma. Sparito! Non si conoscono, dunque, i beneficiari.

Oltre ai fondi ai partiti, una stessa famiglia politica può ottenere fondi attraverso anche delle fondazioni. Ecco il link a tutte quelle che ricevano finanziamenti. Con 5,8 milioni erogati nel 2018, il centro di studi europei Wilfried Martens (collegato al PPE) è quello che ha ricevuto più fondi pubblici.

IL MOVIMENTO 5 STELLE RINUNCIA A QUESTI FONDI
Il Movimento 5 Stelle è diverso da tutti i partiti. La delegazione del MoVimento 5 Stelle ha rinunciato totalmente alla possibilità di usufruire di questi fondi perché non ha aderito a nessun partito europeo o ne ha creato uno nuovo. Rinunciamo a circa 3 milioni di euro. Noi siamo la dimostrazione concreta che si può fare politica senza pesare sulle tasche dei cittadini. In questi anni al Parlamento europeo, i grandi gruppi politici hanno bocciato tutti i nostri emendamenti al bilancio per azzerare questi fondi e restituirli ai cittadini. Dopo le elezioni di maggio, saremo l’ago della bilancia del prossimo Parlamento europeo e la lotta a questi sprechi sarà la nostra priorità. La nostra idea di democrazia è: i cittadini partecipano, le forze politiche scelgono. E cambiano.

 

fonte:

http://www.efdd-m5seuropa.com/2019/01/tagliamo-gli-stipend.html

http://www.efdd-m5seuropa.com/2019/01/azzeriamo-i-fondi-a.html

In tasca una pagella – La storia del bambino che abbiamo lasciato morire in mare: veniva del Mali e si era cucito nella giacca la pagella con il massimo dei voti come curriculum per farsi accettare dalla “grande” Europa. MA ANCHE PER QUESTO PICCOLO NEGRO SCROCCONE È FINITA LA PACCHIA !

 

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In tasca una pagella – La storia del bambino che abbiamo lasciato morire in mare: veniva del Mali e si era cucito nella giacca la pagella con il massimo dei voti come curriculum per farsi accettare dalla “grande” Europa. MA ANCHE PER QUESTO PICCOLO NEGRO SCROCCONE È FINITA LA PACCHIA !

 

In tasca una pagella: la storia del bambino che abbiamo lasciato morire in mare

Era un piccolo migrante del Mali: si era cucito nella giacchetta una pagella con il massimo dei voti come curriculum per farsi accettare dalla “grande” Europa. Non gli abbiamo dato modo.

Lo scrittore Paul Auster diceva che la verità è nei dettagli e che i dettagli fanno la storia.

Lo scrittore Giulio Cavalli che con “Caranaio” ha narrato una mostruosa miscela di cadaveri, potere, egoismo e denaro, spiega che quando i pescatori del Mediterraneo tirano su i corpi dei migranti ciò che resta nelle reti è “lesso”. La carne si sfalda. E’ l’acqua. E’ per colpa dell’acqua e del sale. E’ colpa di tutti quei giorni alla deriva, tra le onde
Cristiana Cattaneo fa il medico legale, ma ha scritto un libro. Si intitola “Naufraghi senza volto” (Cortina Editore). Come riporta Il Foglio: “In collaborazione con l’Ufficio del Commissario straordinario del Governo per le Persone Scomparse, Cattaneo ha creato il primo protocollo al mondo per identificare le vittime di uno stillicidio che, dal 2001 a oggi, ha visto scomparire in mare oltre trentamila persone, cospargendo l’Italia di lapidi senza nome”.

Tra le mille, disperanti vicende riportate nelle pagine del suo libro tra pietas e disperazione ce n’è una che è il dettaglio di cui parla Paul Auster.

Il cadavere del naufrago ha età apparente 14 anni, provenienza Mali. Indossa una giacchetta. All’interno della tasca una pagella cucita con cura. Ha ottimi voti. Questo ragazzino di cui non sappiamo, non sapremo il nome, aveva sperato in un lasciapassare per un mondo più libero e più giusto, un mondo più accogliente, con la sua pagella da “perla rara”. L’illustratore Makkox gli ha dedicato una struggente vignetta. Dolorosa. Di sale, come le lacrime.

C’è sempre un prima e un dopo nelle storie dei migranti, così simili a quelle dei terremotati, di chi a un certo punto si trova costretto a lasciare, a fuggire, ad andare via di corsa dalla sua casa e porta con sé, un particolare che fa la storia. Una foto, una ciocca di capelli, un documento, uno scritto, un biberon, una maglietta. Sono le ferite loro e le cicatrici nostre. Sono storie negate che galleggiano. Una pagella per dire al mondo: prendetemi con voi, studio e sono bravo.

Non è arrivato in tempo per dircelo. Chissà che ingegnere abbiamo perso, che meccanico, che fisico, che matematico o che poeta.

Età apparente 14 anni. Com’è profondo il mare. Come sono buie, buie come un pozzo, le coscienze di chi non alza un dito davanti a questa strage.

fonte: https://www.globalist.it/life/2019/01/16/in-tasca-una-pagella-la-storia-del-bambino-che-abbiamo-lasciato-morire-in-mare-2036179.html

Il fratello di Cesare Battisti: “Lui non ha ucciso nessuno, se parla salta la politica”

 

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Il fratello di Cesare Battisti: “Lui non ha ucciso nessuno, se parla salta la politica”

Vincenzo Battisti critica i vecchi processi: lo hanno condannato in contumacia, Salvini è un fascista

“Per me Cesare non ha ammazzato nessuno. Non è colpevole, bensì una vittima. I processi furono in contumacia. E’ stato condannato contumace”. Lo dice Vincenzo Battisti, il fratello maggiore del terrorista arrestato in Bolivia ed estradato in Italia. “Se mio fratello parlasse, farebbe crollare la politica. Non hanno mai voluto che parlasse perché sono tutti compromessi”, aggiunge.
“Mio fratello – ha aggiunto – è stato tirato in ballo in contumacia dai pentiti. Mi ha giurato che non ha mai ammazzato nessuno, non si è mai potuto difendere, ma tutti hanno scaricato su di lui per salvarsi”. L’arresto? E’ un’ingiustizia, lo stanno accusando di quello che non ha commesso. Torreggiani, ad esempio, prima ha detto che Cesare non c’era, poi ha cambiato versione”.
“Quello che mi dà più fastidio è che hanno sempre rotto a mio fratello, mentre i fascisti che hanno ammazzo e stanno in Brasile nessuno li cerca”, afferma Vincenzo Battisti, sottolineando che nominerà un legale e starà vicino a Cesare. Per poi andare all’attacco del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini: “E’ un fascista, andasse ad arrestare i suoi amici in Brasile”.

fonte: https://www.globalist.it/news/2019/01/15/il-fratello-di-battisti-lui-non-ha-ucciso-nessuno-se-parla-salta-la-politica-2036097.html

Sì, vabbe’ Battisti – E le stragi senza colpevoli dell’estremismo nero? Franco Freda fa l’editore ad Avellino. Fioravanti e Mambro hanno scontato due mesi per ogni persona uccisa. Abbatangelo gode addirittura del vitalizio… Il tutto alla faccia delle vittime…!

 

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Sì, vabbe’ Battisti – E le stragi senza colpevoli dell’estremismo nero? Franco Freda fa l’editore ad Avellino. Fioravanti e Mambro hanno scontato due mesi per ogni persona uccisa. Abbatangelo gode addirittura del vitalizio… Il tutto alla faccia delle vittime…!

Da L’Espresso dell’agosto 2017:

Le stragi senza colpevoli dell’estremismo nero

Franco Freda fa l’editore ad Avellino. Fioravanti e Mambro hanno scontato due mesi per ogni persona uccisa. Abbatangelo gode addirittura del vitalizio

DI PAOLO BIONDANI   

Sono rimasti quasi tutti impuniti. E oggi non si sentono vinti, ma vincitori. Sono i precursori e gli ispiratori dei movimenti neonazisti e neorazzisti di oggi.

Se le Brigate rosse erano contro lo Stato, che le ha sgominate con centinaia di arresti e condanne, il terrorismo di destra era dentro lo Stato. Gli stragisti hanno trovato complicità e protezioni nei servizi e negli apparati di polizia e di giustizia. Così troppe bombe nere sono rimaste senza colpevoli. E i teorici della violenza hanno potuto riproporsi come cattivi maestri.

Il più famoso dei terroristi neri, Franco Giorgio Freda, è libero da anni. Vive ad Avellino con una giovane scrittrice e fa ancora l’editore di ultradestra, con un sito che lo celebra come «un pensatore» da riscoprire: il padre «preveggente» di un «razzismo morfologico» da opporre «alla mostruosità del disegno di una società multietnica». Freda è stato condannato in tutti i gradi di giudizio per 16 attentati con decine di feriti che nel 1969 aprirono la strategia della tensione: bombe contemporanee sui treni delle vacanze, all’università di Padova, in stazione, in fiera e in tribunale a Milano.

La sua casa editrice però parla solo dell’assoluzione in appello per piazza Fontana (17 morti, 88 feriti), per insufficienza di prove (e abbondanza di depistaggi). Liberato nel 1986, Freda si è rimesso a indottrinare neonazisti fondando un movimento chiamato Fronte Nazionale: riarrestato, è stato difeso dall’avvocato Carlo Taormina e nel 2000 la Cassazione gli ha ridotto la condanna a tre anni per istigazione all’odio razziale. Dopo di che è tornato libero.

Il suo braccio destro, Giovanni Ventura, che aveva confessato gli attentati del 1969 che prepararono piazza Fontana, non ha mai scontato la condanna: è evaso nel 1978 e ha trovato rifugio sotto la dittatura in Argentina, che ha rifiutato di estradarlo. A Buenos Aires è diventato ricco con un ristorante per vip, fino alla morte per malattia nel 2010. Nell’ultimo processo su piazza Fontana, la sentenza conclude che Freda e Ventura erano colpevoli, ma le nuove prove sono state scoperte troppo tardi, dopo l’assoluzione definitiva.

Per la catena di bombe nere che hanno insanguinato l’Italia fino agli anni Ottanta, oggi in carcere si contano solo due condannati. A Opera è detenuto Vincenzo Vinciguerra, esecutore della strage di Peteano, un irriducibile che rifiuta la scarcerazione e oggi accusa i servizi. Il secondo è Maurizio Tramonte, condannato solo ora per la strage di Brescia, commessa nel 1974 mentre collaborava con il Sid del generale Maletti (che è libero in Sudafrica).

Tramonte è stato arrestato 
in giugno dopo l’ultima fuga in Portogallo. Il suo capo, Carlo Maria Maggi, leader stragista di Ordine Nuovo nel Triveneto, condannato per la strage Brescia (8 morti, 102 feriti), sconta la pena a casa sua, perché ha più di 80 anni ed è malato.

Sconti e benefici di legge hanno cancellato il carcere anche per Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, i fondatori dei Nar (con Massimo Carminati), che dopo l’arresto hanno confessato più di dieci omicidi e sono stati condannati anche per la strage di Bologna (85 vittime), nonostante le loro proteste. E nonostante i depistaggi: due ufficiali del Sismi fecero trovare armi ed esplosivi su un treno, nel 1981, per salvare i neri incolpando inesistenti terroristi esteri.

Fioravanti e Mambro hanno ottenuto la semilibertà nel 1999. Paolo Bolognesi, presidente dei familiari delle vittime, notò «hanno scontato solo due mesi di carcere per ogni morte causata». Anni dopo Bolognesi, mentre parlava in una scuola di Verona, si vide attaccare da uno studente di destra poi arrestato come uno dei picchiatori che nel 2008 hanno ucciso a botte un ragazzo di sinistra.

Per le carneficine nere le condanne si limitano a pochi esecutori. I mandanti e tutti gli altri complici sono sconosciuti. E per molte stragi, da piazza Fontana a Gioia Tauro all’Italicus, l’impunità è totale.

A fare eccezione è la strage del treno di Natale (23 dicembre 1984, sedici morti, 267 feriti), che è costata l’ergastolo, tra gli altri, a Pippo Calò, il boss della cupola di Cosa Nostra trapiantato a Roma. Il procuratore Pierluigi Vigna parlò di «terrorismo mafioso»: un attacco allo Stato ripetuto 
nel 1992-93. Come custode dell’esplosivo usato dai mafiosi, è stato condannato un politico di destra: Massimo Abbatangelo, ex parlamentare del Msi. Scontati sei anni, ha poi beneficiato della cosiddetta riabilitazione, che cancella la sentenza dal certificato penale. E il 4 luglio scorso l’ex deputato con la nitroglicerina ha perfino riottenuto il vitalizio della Camera.

fonte: http://m.espresso.repubblica.it/attualita/2017/07/27/news/le-stragi-senza-colpevoli-dell-estremismo-nero-di-p-biondani-1.306984?fbclid=IwAR22nHNDUecvCpMqRFp19e5m6ebK1LM14QfLflsWD5_8-ZWjPsd_RXFgbxk

La strana informazione in Italia, serva del capitalismo liberista – Grande risalto mediatico della manifestazione pro-TAV, ma assoluto silenzio sulla manifestazione contro le trivelle di Licata …mica i giornalisti possono deludere i loro padroni politico-capitalisti

 

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La strana informazione in Italia, serva del capitalismo liberista – Grande risalto mediatico della manifestazione pro-TAV, ma assoluto silenzio sulla manifestazione contro le trivelle di Licata …mica i giornalisti possono deludere i loro padroni politico-capitalisti

Da I Nuovi Vespri:

Grande risalto mediatico ai sì TAV, silenzio sulla manifestazione contro le trivelle di Licata

Non è una novità: siamo ormai abituati a un’informazione che utilizza due pesi e due misure. Ma questa volta – sulla TAV in Piemonte e sulle trivelle in Sicilia – il capitalismo liberista potrebbe prendere una bella ‘legnata’. Fateci caso: sull’Alta velocità ferroviaria la Lega di Salvini è schierata con il PD e con l’Unione europea liberista. Eh sì, questa volta Salvini è costretto a gettare la maschera… 

Da siciliani, non possiamo non segnalare i due pesi e le due misure che la cosiddetta ‘Grande informazione’ italiana ha riservato e continua a riservare a due fatti di cronaca legati all’economia. Grande attenzione di quotidiani nazionali e tv alla manifestazione dei sì TAV a Torino e – a parte qualche articolo  e qualche servizio televisivo da parte dell’informazione locale – assenza di interesse mediatico per la manifestazione di Licata contro le trivelle che rischiano di distruggere il Canale di Sicilia.

Due pesi e due misure che dimostrano che in Italia il paradigma capitalista-liberista – nonostante la legnata elettorale presa dal PD e da Forza Italia (i due partiti politici tradizionali italiani espressione nel nostro Paese del liberismo) alle elezioni del marzo 2017 – non è cambiato: grande spazio a chi difende le ragioni del capitalismo liberista e silenzio stampa su chi mette in discussione gli affari dello stesso capitalismo liberista. 

A Torino la gente in piazza difende l’Alta velocità ferroviaria che piace tanto al capitalismo liberista: quindi grande spazio sui grandi mezzi d’informazione; in Sicilia, a Licata, la gente in piazza difende il mare, ma mette in discussione i petrolieri che vanno a caccia di idrocarburi fregandosene degli equilibri ecologici: e siccome i petrolieri sono espressione del capitalismo liberista, la notizia va tenuta ‘bassa’: e infatti non se ne trova traccia né nei grandi giornali, né nella Tv.

Ed è proprio questo disinvolto modo di affrontare un argomento e di ignorarne un altro che ci dice che la via da seguire è questa.

Non bisogna lasciarsi impressionare dalle 25 mila persone presenti alla manifestazione di Torino (questo il numero fornito dalla Questura di Torino), perché alla manifestazione per il no alla TAV le persone in piazza erano molte di più.

Dalle analisi economiche – ancora parziali ma già significative – emerge che la TAV – oltre che distruttiva per l’ambiente – non serve ai cittadini, ma alle imprese che la debbono realizzare: è la stessa logica degli appalti ferroviari di Palermo: non servono ai cittadini, ma alle imprese che li stanno realizzando.

Non sapendo cosa inventarsi per non bloccare la TAV, i gruppi economici liberisti e i partiti che li rappresentano – il PD che in Piemonte ha il volto di Sergio Chiamparino e la Lega di Salvini che i liberisti hanno già scelto al posto di Renzi ormai fuori gioco nel Partito Democratico – si stanno inventando il referendum: ed è probabile che il referendum si faccia, sostenuto dalla Lega, che in Piemonte sta gettando la maschera per presentarsi per quello che è: il partito che porta avanti le scelte politiche liberiste già portate avanti disastrosamente dal PD di Renzi.

Non è un caso, insomma, se in Piemonte il PD di Chiamparino e la Lega di Salvini si trovano insieme a difendere la TAV: la dimostrazione che, sui grandi affari del capitalismo liberista, PD e Lega sono la stessa cosa.

Quanto al referendum, se vincerà il sì alla TAV, i grillini ne usciranno comunque bene, perché saranno i soli a difendere le ragioni dell’ambiente. Se invece dovessero vincere i no, Salvini e Chiamparino dovranno andare a nascondersi per il resto dei loro giorni.

In questo scenario, insomma, fa benissimo il Movimento 5 Stelle a tenere la linea anti-TAV: non solo perché è giusto difendere l’ambiente dagli affaristi, ma anche perché, così facendo, i grillini ‘schiacciano’ i leghisti sul PD e dimostrano all’elettorato del Nord che vuole cambiare che la Lega di Salvini, sull’Alta velocità ferroviaria, non è altro che la ‘mosca cocchiera’ del peggiore liberismo economico che ha messo in ginocchio l’Europa.

E Licata? La battaglia sulle trivelle, in Sicilia, è ancora lunga. Ma come abbiamo scritto stamattina è una battaglia che si può vincere. Perché se in Piemonte la politica deciderà di dare la parola ai cittadini piemontesi sulla TAV  con un referendum popolare, in Sicilia, per le Trivelle che rischiano di distruggere il mostro mare, saranno i cittadini siciliani a decidere.

Insomma, Ministro Salvini, se il referendum arriva, arriva per tutti!

 

Manifestazione anti-trivelle a Licata: il ‘No” arriva dai cittadini, non dalla politica

La grande manifestazione di Licata contro le trivelle suona come una lezione di vita politica per il Movimento 5 Stelle. La contestazione al parlamentare nazionale grillino, Michele Sodano, ci dice che la scusa che “i permessi li ha firmati il Governo Renzi” non funziona. Ci sono cose che i Ministri grillini possono bloccare, anche – anzi soprattutto – andando allo scontro con le burocrazie ministeriali. Referendum per le trivelle di Licata e Gela

La manifestazione anti-trivelle di Licata segna un punto importante in favore del movimento di cittadini che si batte per la tutela del mare. E diciamo subito che, nonostante la presenza dei soliti ‘sciacalli’ della vecchia politica, la protesta contro chi sta ‘spirtusando’ il mare in cerca di idrocarburi nasce dal cuore della società civile della nostra Isola, non certo dalla politica.

Visto che oggi certi politici fanno finta di non ricordare e si auto-proclamano difensori dell’ambiente ricordiamo qual è la situazione in Italia. E, soprattutto, chi ha autorizzato i permessi di ricerca e di coltivazioni di idrocarburi nel nostro Paesi, in terra e in mare. La situazione la potete osservare nella foto sotto

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a destra. Come potete vedere, in un Paese che dovrebbe puntare sull’energia solare e sull’energia eolica ci sono invece pozzi di petrolio a terra già operanti, pozzi di petrolio a terra in attesa di permessi, piattaforme in mare già operanti e piattaforme in mare in attesa di permesso nel mare Adriatico, nel mar Ionio e nel Canale di Sicilia.

A questi si sommano i permessi di ricerca. E su questo fronte – la concessione di nuovi permessi di ricerca con tecniche che provocano danni all’ecosistema marino – spicca il Governo nazionale di Matteo Renzi. Il PD è il partito che ha le maggiori responsabilità sul fronte delle trivelle. E’ stato questo partito, nel 2016, a guidare il fronte dell’astensione per far fallire il referendum sulle trivelle.

Ricordiamo che il referendum per bloccare le trivelle in mare, nella primavera del 2016, è fallito per il mancato raggiungimento del quorum. Ma i cittadini che sono andati a votare, hanno votato quasi tutti no alle trivelle. A far fallire il referendum – questo dobbiamo dirlo per onestà di cronaca – non è stato solo il PD, ma anche altre forze politiche: per esempio, il centrodestra.

In Sicilia – sempre per citare un esempio concreto – l’ANCI Sicilia (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) – non si è impegnata per il referendum anti-trivelle. Qualche sindaco sindaco, nei mesi precedenti il referendum del 2016, ha partecipato a qualche manifestazione.

Ma alla grande manifestazione del 30 marzo 2016 in favore del referendum anti-trivelle – e noi c’eravamo – non c’era un solo gonfalone comunale: i sindaci siciliani di centrosinistra e di centrodestra non hanno partecipato al corteo che sfilò per le vie di Palermo. Questi sono i fatti.

Non ricordiamo, sempre per citare un altro esempio, di aver visto accanto ai No Triv l’onorevole Carmelo Pullara, che oggi si accredita come No Triv. Se oggi la pensa così non possiamo che essere felici, ma nella primavera del 2016 né lui, né il suo partito – i ‘presunti autonomisti’ dell’ex presidente della Regione, Raffaele Lombardo, erano tra i No Triv.

Anzi, se proprio vogliamo essere precisi, ricordiamo che è stato proprio il Governo regionale Lombardo a firmare l’autorizzazione per la realizzazione del rigassificatore a Porto Empedocle: opera folle, per fortuna oggi bloccata, ma che è stata autorizzata da un Governo regionale del quale assessore era Gaetano Armao, oggi vice presidente della Regione e assessore all’Economia: vice presidente e assessore dell’attuale Governo Musumeci che, non a caso, si guarda bene dal dire no alle trivelle.

I grillini, infine. E’ stata la base di questo Movimento a sollevare il problema, perché i grillini oggi al Governo dell’Italia se è vero che non hanno autorizzato nuovi permessi di ricerca di idrocarburi – come ha detto il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa – è anche vero che non hanno bloccato le autorizzazioni firmate dal Governo Renzi.

Su questo punto va detta una verità. E’ vero che il Ministro Costa ha trovato tante, troppo autorizzazioni firmate dai Governi a guida PD. Ma i grillini oggi al Governo dell’Italia si debbono convincere che mediare con il vecchio sistema è una scelta politica perdente, perché li allontana dai territori che fino ad oggi li hanno sostenuti ed eletti.

Noi sappiamo benissimo che i burocrati del Ministeri – tutti esponenti del vecchio sistema politico – terrorizzano i Ministri grillini dicendogli un giorno sì e l’altro pure:

“Questo non si può toccare, perché sennò succedono cataclismi economici e finanziari, questa autorizzazione ormai è firmata e non si può tornare indietro, quest’opera ormai è iniziata e non si può bloccare” eccetera eccetera.

Detto questo, se i Ministri grillini – come hanno fatto con le trivelle – non andranno allo scontro su tutto, mettendosi contro gli alti burocrati dei Ministeri, a cominciare dal Ministero dell’Economia e dal Ministero dell’Ambiente, sono destinati a perdere il contatto con la società civile.

L’esempio l’hanno avuto a Licata, dove nel corso della manifestazione No Triv – peraltro molto partecipata dai cittadini – il parlamentare nazionale del Movimento 5 Stelle, Michele Sodano, è stato duramente contestato. E la contestazione – così ci hanno raccontato – si è alzata di tono quando Sodano ha provato a giustificarsi e a giustificare i tentennamenti dell’attuale Governo nazionale sulle trivelle, dicendo che si tratta di permessi firmati dal Governo Renzi.

Il grillini al Governo, sulle trivelle, sono stati contestati due volte. Quando il Ministro dell’Ambiente, Costa, ha tentennato un po’ e durante la manifestazione di Licata. E che le contestazione siano state giuste l’ha dimostrato lo stesso Ministro Costa, che all’inizio, come già ricordato, ha tentennato un po’, probabilmente tirato per la giacca dai burocrati ministeriali, e poi, quando è esplosa la contestazione della base, ha corretto il tiro, cominciano a bloccare quello che poteva bloccare.

Ribadiamo: i grillini che oggi governano si debbono mettere in testa che devono andare allo scontro con le burocrazie ministeriali, anche a costo di sostituire una parte di questo personale, come del resto, se non ricordiamo male, ha ipotizzato lo stesso vice premier, Luigi Di Maio.

Quanto alle trivelle che scorrazzano nel mare che si distende tra Licata e Gela, va detto che la battaglia ancora non è vinta. E un modo per vincerla c’è. Il leader della Lega, Matteo Salvini – che si spaccia per nuovo, ma che in realtà è legato a doppio filo ai poteri forti che prima hanno sostenuto Renzi e che oggi hanno scelto lui per continuare a tartassare l’Italia con le scelte economiche liberiste – per salvare la TAV ha proposto il referendum locale.

Bene. Se per la TAV i leghisti propongono un referendum, anche per le trivelle di Licata e Gela – e, in generale, per tutte le trivelle che imperversano nel Canale di Sicilia, nello Ionio e nell’Adriatico, si può utilizzare lo stesso metodo: referendum locali.

Democrazia diretta: lasciamo decidere ai cittadini cosa fare del proprio mare. Non siamo mai d’accorto con la Lega, ma stavolta Salvini ci ha convinti.

Fonti:

http://www.inuovivespri.it/2019/01/13/grande-risalto-mediatico-ai-si-tav-silenzio-sulla-manifestazione-contro-le-trivelle-di-licata/?fbclid=IwAR0-z6ydp2C_dAprKqbf8zauHvUQ6NjOfSsdkwqsGrdVzN8ZKiG9rFwrEw0#FjdxbhLKMTfmJhCS.99

http://www.inuovivespri.it/2019/01/13/manifestazione-anti-trivelle-a-licata-il-no-arriva-dai-cittadini-non-dalla-politica-mattinale-251/?fbclid=IwAR0qTxs-emPyyl3cktCKe6BmDhgYarXBTtRFOw63PhgYQnhnZCa4h26GJWg