“È finita la pacchia”… “È finita la pacchia” un politico serio andrebbe a dirlo prima a chi sfrutta i migranti a 2 Euro l’ora, non ai migranti schiavizzati… Ma siamo in Italia…

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“È finita la pacchia”… “È finita la pacchia” un politico serio andrebbe a dirlo prima a chi sfrutta i migranti a 2 Euro l’ora, non ai migranti schiavizzati… Ma siamo in Italia…

Qualche giorno fa l’assassinio di Sacko Soumayla. Aveva 29 anni, viveva in una baraccopoli a San Ferdinando, in provincia di Vibo Valentia, ed è stato con una pallottola di fucile piantata in testa. Era un sindacalista delle Usb, un migrante regolare non un ladro come qualcuno ha subito illazionato. Un giovane uomo sempre in prima linea per difendere i diritti dei lavoratori immigrati nella Piana di Gioia Tauro, sfruttati e costretti a vivere nelle baraccopoli costruite con pezzi di lamiere.

Non si può neanche esclude che si sia trattato di un regolamento di conti per far fuori un uomo “scomodo”.

Nelle campagne calabresi si lavora e si muore per 2 euro l’ora. I braccianti vivono tra rifiuti tossici e lamiere in campi e capannoni come quello in cui si è consumata la tragedia di Soumali, una struttura ben nota alle forze dell’ordine e già sequestrata una decina di anni fa nell’ambito di un’inchiesta della Procura della Repubblica sullo smaltimento e lo stoccaggio di 135 mila tonnellate di rifiuti industriali tossici e pericolosi tra Calabria, Puglia e Sicilia.

 

Riportiamo un articolo di Lettera 43 del 2012, ma sempre attualissimo:

Schiavi per due euro l’ora

di Gelsomino del Guercio
Un’altra estate in ostaggio dei caporali. Per i lavoratori stagionali (in larghissima parte immigrati africani) i mesi caldi dell’anno coincidono con il periodo della raccolta di pomodori, angurie e fragole. E con il lavoro nei campi, torna a emergere la piaga dello sfruttamento: la paga media giornaliera secondo i sindacati che lottano contro lo sfruttamento, è due euro l’ora.
La nuova schiavitù, secondo le recenti stime di uno studio curato dall’osservatorio Placido Rizzotto e da Flai-Cgil, interessa circa 400 mila lavoratori, 60 mila dei quali sono costretti in alloggi di fortuna sprovvisti dei requisiti minimi di vivibilità e agibilità.
UN BUSINESS DA 10 MLD. Il caporalato genera un business che in Italia è stimato intorno ai 10 miliardi di euro all’anno.
Il «nero» in agricoltura è diffuso in tutto il Paese e incide per il 90% del lavoro agricolo nelle regioni del Mezzogiorno, per il 50% nelle regioni del Centro e per il 30% del lavoro agricolo del Nord.
LA MODIFICA DEL CODICE PENALE. Un fenomeno contro cui combattono sindacati e associazioni. «La modifica dell’articolo 603 del codice penale», si legge nel dossier Flai Cgil, «che stabilisce il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro rappresenta solo un primo ma non esaustivo passo verso il contrasto del fenomeno del caporalato e serve a colpire chiunque si avvalga di questa deprecabile pratica, comprese le aziende che ne fruiscono».
I LIMITI DELLA LEGGE. Il limite della legge è, però, l’assenza di un meccanismo di premialità per chi denuncia il caporale.
«Se questo non è garantito», ha spiegato a Lettera43.it Roberto Iovino, coordinatore dell’osservatorio Placido Rizzotto, «chi si ribella lo fa a suo rischio. Una forma di tutela stabilita dalla legge sarebbe invece un incentivo per chi decide di uscire allo scoperto».
L’OPERA I SENSIBILIZZAZIONE. Intanto la Flai sta provando a sensibilizzare i lavoratori stagionali con l’iniziativa Sindacato di strada che attraverserà le zone a rischio caporalato. Nelle province di Salerno e Caserta in Campania, Foggia e Lecce in Puglia, Catania, Ragusa, Siracusa nella Sicilia orientale, saranno diffusi volantini informativi negli orari d’assembramento dei lavoratori.
UN FENOMENO IN ESPANSIONE. Ad aumentare l’allarme dei sindacati è anche l’espansione del mercato del lavoro stagionale. «Ormai», osserva il responsabile, «con la crisi economica a finire ostaggio del caporale di turno non sono solo gli immigrati, ma anche gli italiani che si ritrovano senza lavoro in età avanzata. Parliamo di persone di 50-55 anni che alle quattro del mattino si ritrovano con gli immigrati ad aspettare di essere prelevati dal caporale e trasportati nei campi».
Percentuali che comunque sono risicate rispetto a quelle degli immigrati, che restano i veri anelli deboli nella catena dell’illegalità.
Tra le zone più a rischio schiavitù c’è il Salento. «Secondo i nostri dati», ha spiegato Antonio Gagliardi, segretario Flai Cgil di Lecce, «i lavoratori assoldati dai caporali nel 2011 nell’area salentina sono stati tra i 500 e gli 800. Solo per la raccolta di angurie, parliamo di un business di oltre 10 milioni di euro concentrato tra Nardò, Copertino, Porto San Cesareo».
UN CAPORALE CONTROLLA CIRCA 50 UOMINI. Il meccanismo è ormai oleato: prima dell’estate, le aziende che lavorano le angurie assumono i caporali. Questi si occupano di contattare le squadre di immigrati. Il caporale ne può gestire ogni giorno fino a cinque-sei. Ognuna delle quali è composta massimo da 10 persone.
«Le aziende negano la presenza del caporalato», prosegue Gagliardi. «A loro basta dimostrare di aver assunto regolarmente una persona che coordina la raccolta e provvede a organizzare le squadre di lavoro, nulla di più».
IL TRIANGOLO DELL’AGRO CASERTANO. Non è meno drammatica la situazione in Campania dove sta per cominciare la raccolta dei pomodori. Nell’agro casertano, c’è un triangolo di fuoco per il caporalato che si estende tra i comuni di Villa Literno, Castelvolturno e Casal di Principe. Ma ultimamente il fenomeno si sta espandendo anche nell’alto Casertano, nella zona di Sessa Aurunca.
LE MANI DELLA CAMORRA. «Da queste parti», fa notare Tammaro Della Corte della Flai Caserta, «c’è stata un’evoluzione dei caporali: prima erano italiani e di diretta espressione dei clan, ora la camorra lascia quest’incarico direttamente agli immigrati. Anche se a dire il vero non è stata mai dimostrata la correlazione tra camorra e caporalato. Si presume che esista un nesso perché in questi comuni qualsiasi cosa si muove, deve avere il via libera del clan».
Della Corte opera ormai da un anno con il suo camper tra i rifugi dei caporali o alle rotatorie dove alle prime luci del giorno i lavoratori vengono caricati nei furgoni. «Ho conosciuto un caporale rumeno», racconta il sindacalista, «che sosteneva addirittura di essere un benefattore».
DUE EURO ALL’ORA. La realtà naturalmente è un’altra. La paga è mediamente di due euro l’ora e si lavora dalle otto del mattino sino al tramonto. Il proprietario dell’azienda paga il caporale 40 euro. La paga dei braccianti è al massimo di 25 euro. «Ma la cosa più grave è che il fenomeno da queste parti è percepito come normale. È aberrante, ma è così».
LE RIBELLIONI DEGLI IMMIGRATI. Solo di recente si sono registrate le prime ribellioni di immigrati. «Qualcuno ci ha iniziato a raccontare quello che accade nei campi. Man mano cominciano a fidarsi di noi», conclude il referente Flai, «ed è questa l’unica medicina per scoperchiare il fenomeno e consegnare alla giustizia chi è vertice di questo percorso criminale».
da lettera43.it

“È finita la pacchia”… “È finita la pacchia” un politico serio andrebbe a dirlo prima a chi sfrutta i migranti a 2 Euro l’ora, non ai migranti schiavizzati… Ma siamo in Italia…ultima modifica: 2018-06-06T20:16:01+02:00da eles-1966
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