Ma quando Berlusconi si è presentato al Quirinale, Mattarella glie lo ha ricordato che suo fratello fu ucciso da un “eroico stalliere”…?

Quirinale

 

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Ma quando Berlusconi si è presentato al Quirinale, Mattarella glie lo ha ricordato che suo fratello fu ucciso da un “eroico stalliere”…?

 

 

Nella stanza del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, seduto spaparanzato comodo comodo come un dopolavorista all’orario dell’aperitivo, c’era un uomo incandidabile per la legge italiana, condannato in via definitiva dalla Cassazione per frode fiscale.

Nella stanza del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, felice e sornione, si è accomodato un uomo decaduto da senatore il 27 novembre del 2013 per effetto della “legge Severino”, ritenuto incandidabile alle ultime elezioni politiche (nonostante abbia avuto lo stomaco di mettere comunque il proprio nome nella dicitura “Berlusconi presidente” all’interno del proprio simbolo) e mandato in affidamento ai servizi sociali con una bella interdizione dai pubblici uffici.

Ha partecipato al momento fondamentale delle consultazioni per la formazione di un governo un uomo che nella sentenza di condanna (anch’essa definitiva) del suo braccio destro Marcello Dell’Utri (fondatore del movimento politico che oggi Berlusconi ha baldanzosamente rappresentato di fronte alla massima autorità dello Stato) viene descritto come colui che ha mantenuto e rispettato almeno dal 1974 al 1992 quei patti stipulati con Cosa Nostra grazie all’intermediazione di Dell’Utri. Oggi, di fianco al Presidente Mattarella, famigliare di una vittima di mafia, c’era un uomo che la mafia l’ha finanziata per anni attraverso le sue aziende e che con la mafia ha stretto un patto politico tramite lo stesso Dell’Utri.

Nella stanza del Presidente della Repubblica si è accomodato colui che per anni ha reso l’Italia un Paese deriso dal resto del mondo per le leggi ad personam (spinte con forza e bugie dall’attuale Presidente del Senato, tra l’altro) che Berlusconi si è costruito a proprio uso e consumo piegando il Parlamento a personale strumento di potere.

Di fianco al Presidente della Repubblica Mattarella, s’è seduto colui che è la più alta incarnazione dei conflitti di interesse che da decenni bloccano il Paese.

Tutti sorridenti, in posa a favore di fotografi e giornalisti. Tutti intenti a normalizzare ciò che non solo è illegittimo ma è soprattutto indegno. Facendo finta di niente. Come se, anche questa volta, le istituzioni fossero solo il teatrino in cui andare in scena per farsi notare.

E tanto chi se ne fotte della legge, del senso di opportunità o del rispetto verso la Storia del Paese.

Speriamo che almeno Berlusconi abbia tranquillizzato Mattarella: l’assassino del fratello è comunque un eroe!

Giusto come pro-memoria Vi riportiamo di seguito un breve passo delle motivazioni della sentenza di condanna di Dell’Utri.

Leggete e rabbrividite:

Tra il 16 ed il 19 maggio 1974 si svolgeva a Milano un incontro cui prendevano parte Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi, Gaetano Cinà (legato alla “famiglia” mafiosa Malaspina) Stefano Bontade (capo della “famiglia” mafiosa S. Maria del Gesù ed esponente, fino a poco prima, insieme con Gaetano Badalamenti e Luciano Liggio, del “triunvirato” massimo organo di vertice di “cosa nostra”), Mimmo Teresi (sottocapo della “famiglia” mafiosa S. Maria del Gesù), Francesco Di Carlo (“uomo d’onore” della “famiglia” mafiosa Altofonte, di cui, all’epoca, era consigliere e di cui, in seguito, sarebbe diventato capo).

In tale occasione veniva raggiunto l’accordo di reciproco interesse, in precedenza ricordato, tra “cosa nostra” rappresentato dai boss mafiosi Bondante e Telesi, e l’imprenditore Berlusconi, accordo realizzato grazie alla mediazione di Dell’Utri che aveva coinvolto l’amico Gaetano Cinà, il quale, in virtù dei saldi collegamenti con i vertici della consorteria mafiosa, aveva garantito la realizzazione di tale incontro.

L’assunzione di Mario Mangano (all’epoca dei fatti affiliato alla “famiglia” mafiosa di Porta Nuova, formalmente aggregata al mandamento di S. Maria del Gesù, comandato da Stefabo Bondante) ad Arcore, nel maggio-giugno del 1974 costituiva l’espressione dell’accorso concluso, grazie alla mediazione di Dell’Utri, tra gli esponenti palermitani di cosa nostra e Silvio Berlusconi ed era funzionale a garantire un presidio mafioso all’interno della villa di quest’ultimo.

In cambio della protezione assicurata Silvio Berlusconi aveva cominciato a corrispondere, a partire dal 1974, agli esponenti di “cosa nostra” palermitana, per il tramite di Dell’Utri, cospicue somme di denaro che venivano materialmente riscosse da Gaetano Cinà.

QUI la sentenza completa

Il passaggio che Vi abbiamo riportato è a pagina 48.

By Eles

 

Fonti:

Berlusconi contro i Cinquestelle: “Noi abbiamo un passato di cui essere fieri” – Sì, è vero, e si chiama MAFIA…!

https://www.fanpage.it/berlusconi-va-da-mattarella-e-chi-se-ne-frega-delle-legge-severino/

Ancora pesantissime accuse ai politici dal Pm Di Matteo: ”Su lotta a mafia e corruzione un silenzio assordante della politica”

 

Di Matteo

 

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Ancora pesantissime accuse ai politici dal Pm Di Matteo: ”Su lotta a mafia e corruzione un silenzio assordante della politica”

Di Matteo: ”Su lotta a mafia e corruzione un silenzio assordante della politica”

Il magistrato ricorda la sentenza Dell’Utri al Campidoglio intervenendo al convegno con Travaglio e la Raggi

“La lotta alla mafia dovrebbe essere il primo obiettivo di ogni governo e così finora non è stato. Un ulteriore segnale di preoccupazione è emerso dalla desolante assenza del tema dal tavolo della campagna elettorale con qualche eccezione, di tutto si è parlato e si continua a parlare, ma il silenzio sulle politiche antimafia in questi casi assume le caratteristiche del silenzio assordante”. E’ con queste parole che il sostituto procuratore nazionale antimafia, Antonino Di Matteo è intervenuto nel corso del convegno “Mafia 2.0 – Azioni di contrasto da parte dello Stato” che si è tenuto nella Sala della Piccola Protomoteca in Campidoglio. Un evento organizzato dall’associazione “Themis & Metis” in collaborazione con l’Aiga, l’Ordine degli Avvocati di Roma e la Presidenza dell’Assemblea Capitolina. “Se tutti abbiamo ormai capito quanto mafia e corruzione siano segmenti di un sistema criminale integrato, ci dobbiamo porre un problema – ha aggiunto ancora Di Matteo – Oltre 50 mila detenuti affollano le nostre strutture carcerarie, solo un numero irrilevante, credo non superino una decina di unità, sta scontando una pena definitiva per reati di corruzione o per reati tipici del crimine dei colletti bianchi: dieci su 55mila. Immaginate le conseguenze dell’entrata in vigore della legge di riforma dell’ordinamento penitenziario recentemente approvata dal Governo che dà la possibilità di scontare in regime diverso da quello carcerario una pena fino a un massimo di 4 anni o gli ultimi 4 anni di una pena più alta – ha proseguito -, anche quei dieci soggetti che stanno espiando una pena per corruzione lascerebbero immediatamente il carcere. Se la situazione è questa dobbiamo avere il coraggio di dire che sostanzialmente il fenomeno della corruzione in Italia è impunito”. Il magistrato, pm di punta dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, ha evidenziato come il rapporto tra mafia e potere sia da sempre una prerogativa delle criminalità organizzate e che lo stesso, da sempre, non può essere circoscritto ad un fenomeno prettamente meridionale.

Le sentenze dimenticate
“Ho sempre lavorato in Sicilia e mi indignavo e tuttora mi indigno quando viene relegata la questione mafiosa al solo territorio siciliano o al meridione. La questione mafiosa è una questione nazionale – ha detto Di Matteo -. Come si fa a pensare e sostenere che la questione mafiosa sia una questione locale quando abbiamo avuto delle conclusioni anche di sentenze passate in giudicato in ordine ai rapporti significativi del sette volte presidente del Consiglio Andreotti con le famiglie mafiose palermitane o all’intermediazione assicurata per almeno 20 anni dal senatore Dell’Utri e alla stipula dei patti a cui ha contribuito il senatore Dell’Utri tra l’allora imprenditore Silvio Berlusconi e i capi delle famiglie mafiose siciliane? – ha detto Di Matteo – Come si fa a relegare a questioni marginali questioni che hanno riguardato ad altissimo livello l’esercizio del potere non solo in Sicilia ma in tutto il Paese? Ecco perché il silenzio mi preoccupa”.
Di Matteo ha quindi evidenziato la necessità della “primazìa della politica nella lotta alla mafia. Da cittadino che ha fatto una determinata esperienza nella lotta alla mafia io continuo a sognare una politica che sia in prima linea nella lotta alla mafia e non come avviene oggi nella migliore delle ipotesi solo al traino dell’azione repressiva della magistratura”. La conseguenza, ha spiegato Di Matteo, è che “la magistratura accerta le eventuali responsabilità penali e la sussistenza di reati ma naturalmente il principio della presunzione di innocenza riguarda le responsabilità penali. Ci sono dei comportamenti che ancor prima di essere descritti in una sentenza definitiva sono accertati e dovrebbero fare scattare delle responsabilità di tipo politico che invece nel nostro Paese troppe poche volte sono state azionate”.Tra le conseguenze di questo “atteggiamento della politica”, Di Matteo ha citato anche il fatto che “comunque nonostante quello che è stato accertato si è assistito alla santificazione di Andreotti e che nel 2008 il senatore Dell’Utri e il senatore Cuffaro sono stati ricandidati”. E ricordando le parole della sentenza contro l’ex senatore di Forza Italia, condannato in via definitiva per Concorso esterno in associazione mafiosa, ha evidenziato come “nonostante in una sentenza definitiva ci sia scritto cheSilvio Berlusconi ha mantenuto e rispettato almeno dal 1974 al 1992 quei patti stipulati con Cosa Nostra grazie all’intermediazione di Dell’Utri ancora oggi questa persona esercita un ruolo assolutamente importante e assume ruoli decisivi nella politica nazionale anche di stretta attualità (tanto da essere ascoltato al Quirinale nelle consultazioni per la formazione del nuovo Governo, ndr)”.

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Bontà codice etico
Nel suo intervento Di Matteo ha anche voluto tornare su quanto disse in riferimento al codice etico approvato in particolare dal Movimento cinque stelle. Una presa di posizione che fece discutere. “In un convegno – ha ricordato il magistrato – intervenni per sottolineare il carattere positivamente innovativo del codice etico che il M5S aveva approvato. E’ stata considerata come una apertura di credito nei confronti del M5S in quanto organismo politico. In realtà il dato è certamente molto più importante: l’approvazione di quel codice rappresentava finalmente un momento di separazione tra il concetto di responsabilità penale e il concetto di responsabilità politica. Quello era, e mi auguro che sia ancora, il fattore più apprezzabile di quel codice”.

Riforme
Il sostituto procuratore nazionale antimafia ha anche affrontato temi importanti come quello delle intercettazioni telefoniche, della riforma penitenziaria ribadendo la necessità di “mantenere fermi certi strumenti giuridici” rilanciando il contrasto contro la mafia e la corruzione anche prevedendo strumenti ulteriori come ad esempio l’utilizzo dell’agente provocatore “già previsto dal nostro codice in materia di reati come il traffico di stupefacenti, traffico di armi o la pedopornografia”. Inoltre ha chiesto che da parte delle istituzioni vi sia l’impegno a salvaguardare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura a cominciare dalla nomina dei membri laici del Csm: “Io condivido la preoccupazione di Davigo quando sostenne il pericolo di una magistratura genuflessa rispetto al potere politico. Una magistratura che ha mutuato dalla peggiore politica gli odiosi sistemi di sparizione del potere con il sistema delle correnti con il rischio che si ragioni in criteri di opportunità politica anziché rispetto alla doverosità del nostro agire. Anche la politica dovrebbe combattere la burocratizzazione e la gerarchizzazione dell’attività giudiziaria perché la difesa dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura è una lotta di libertà del popolo. Un esempio: la Costituzione prevede che nell’elezione dei membri laici del Csm la scelta vada fatta tra professori ed avvocati. Non sta scritto da nessuna parte che debbano essere membri di un partito politico. I parlamentari devono nominare personalità che si pongano il problema di tutelare l’autonomia e l’indipendenza del Csm, non di portarci dentro i desiderata dei loro referenti politici”.

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Infine, a quasi 26 anni dalle commemorazioni delle stragi, Di Matteo ha anche auspicato che lo sforzo per la ricerca della verità su quel delicato periodo storico non sia solo “sulle spalle di pochi magistrati o investigatori” ma riparta proprio dalla politica e dalle considerazioni della Commissione Parlamentare antimafia in cui si afferma come “probabile o concretamente possibile il dato di partecipazione di altri soggetti oltre Cosa nostra alla campagna stragista”.
All’incontro hanno anche partecipato il sindaco di Roma, Virginia Raggi, ed il giornalista e direttore de Il Fatto QuotidianoMarco Travaglio. La prima ha voluto ribadire la bontà dell’operato della propria amministrazione: “Cercare di fare le cose nel rispetto della legge implica dei tempi. E’ intollerabile sentirsi dire ‘prima si stava meglio’”. “Si stava meglio cosa?” ha incalzato la Raggi parlando di “appalti truccati” e del fatto che “si facevano favori. Noi stiamo pagando i debiti di chi ‘faceva le cose meglio’. In apparenza era tutto bello poi qualcuno ha alzato il tappeto. E bisogna avere un po’ di coraggio e onestà per farlo e a volte si resta soli. Ma si va avanti lo stesso. Noi lo stiamo facendo e andiamo avanti”.
Poi a prendere la parola è stato Marco Travaglio che con la solita chiarezza ha evidenziato le mille contraddizioni della politica che “scientemente” legifera seguendo criteri che alla fine non sono mai per la tutela di tutti ma di pochi.

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“Lo Stato è disorganizzato non perché non sa organizzarsi ma sceglie di non organizzarsi scientemente contro la criminalità – ha detto il giornalista – E ci sono norme da cialtroni. Leggi spot che in realtà presentano buchi enormi e che vanno incontro alle esigenze specifiche di qualcuno”. Travaglio ha anche fatto degli esempi come la legge sul voto di scambio politico-mafioso (416 ter) che ha portato alla dissoluzione di interi processi come ad esempio il caso del deputato siciliano Antinoro “condannato nei primi due gradi di giudizio e poi assolto dopo l’arrivo della nuova legge che prevede che si dimostri che vi sia il procacciamento di voti con le modalità mafiose”. Poi ancora la normativa sull’Antiriciclaggio definito come un “vero cabaret, laddove si prevede che questo non è punibile quando il denaro e le altre utilità vengono destinati al godimento personale”. Ed infine la legge sulle intercettazioni telefoniche. “In questo caso – ha detto Travaglio – è da anni che si pensa a come fermarle. All’inizio pensavano di toglierle dalle mani dei magistrati oggi invece si punta a toglierle dalla disponibilità dei giornalisti e quindi dei cittadini. Una legge assurda che rischia di togliere dagli occhi dei cittadini le informazioni indecenti sui potenti ma anche di privare i pm e gli avvocati di prove importantissime perché ci sarà un soggetto delle forze dell’ordine che arbitrariamente deciderà cosa è rilevante e cosa no”.

Travaglio ha anche evidenziato come sia bassissimo il numero di articoli di giornale che hanno pubblicato intercettazioni che non erano penalmente rilevanti a dimostrazione che “non c’è alcuna gogna mediatica e per colpire questi reati ci sono già le leggi a tutela della privacy e il reato di diffamazione”. L’auspicio finale è che da queste considerazioni un prossimo governo possa concretamente legiferare contro mafia e corruzione senza che il diritto di pochi sia anteposto a quello dei molti.

 

TRATTO DA: http://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/69742-di-matteo-su-lotta-a-mafia-e-corruzione-un-silenzio-assordante-della-politica.html

 

Parla un ex soldato Israeliano: “quando ci dissero di aprire il fuoco sulla gente…”

 

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Parla un ex soldato Israeliano: “quando ci dissero di aprire il fuoco sulla gente…”

 

“Sei anni fa ero sul confine con Gaza. Gli stessi dimostranti, le stesse proteste. Anche gli ordini di aprire il fuoco contro assembramenti di persone sono rimasti gli stessi”. Un ex soldato israeliano, oggi attivista di Combattants for Peace, racconta di quando gli ordinarono di sparare alle gambe dei “principali sobillatori” tra le migliaia di manifestanti palestinesi. Come riconoscerli? “Come può essere legittimo un ordine di aprire il fuoco contro un assembramento di persone?” chiese al vice comandante della sua compagnia sei anni fa. Non ha mai avuto risposta. Ogni anno è nuovo, spiega, sul confine con Gaza arrivano nuovi comandanti e nuovi soldati – carne fresca e comandanti con la memoria corta – entusiasti di avere finalmente l’opportunità di poter “passare all’azione”

Sei anni fa ero là. Era venerdì 30 marzo 2012, “Giorno della Terra” sul confine con Gaza. Le manifestazioni iniziarono dopo la preghiera di mezzogiorno. Un gruppo di cecchini aveva preso posizione la notte precedente, mentre il resto dell’unità era schierato con armi antisommossa, vicino alla barriera. L’ordine era chiaro: se un palestinese avesse superato la zona di sicurezza – 300 metri dalla barriera all’interno della Striscia di Gaza – si sarebbe dovuto sparare alle gambe dei “principali sobillatori”.

Questo ordine, che non ha mai definito esattamente come un soldato dovrebbe identificare, isolare e sparare a un “principale sobillatore” tra decine di migliaia di manifestanti, all’epoca mi turbò. Ha continuato a turbarmi lo scorso fine settimana, dopo che cecchini dell’esercito israeliano hanno aperto il fuoco contro dimostranti palestinesi sul confine di Gaza. “Come può essere legittimo un ordine di aprire il fuoco contro un assembramento di persone?” chiesi al vice comandante della mia compagnia sei anni fa. Devo ancora avere una risposta.

Cosa sarebbe successo se quei soldati avessero passato tutto il loro servizio militare sul fronte di Gaza? Come soldati che avevano appena terminato la formazione, il “Giorno della Terra” era l’opportunità ideale per vedere qualche “azione”. Lo stesso può probabilmente dirsi dei soldati che venerdì hanno ucciso almeno 16 manifestanti. Anche i loro comandanti molto probabilmente erano eccitati.

Sono certo che se fossimo stati chiamati a fare lo stesso per anni, qualcosa sarebbe cambiato. Dopo tutto questa situazione – ogni anno, nello stesso momento, nello stesso posto, con un’alta probabilità che un palestinese, non un israeliano, perda la vita – ha un senso solo la prima volta, soprattutto agli occhi di uno sbarbatello diciottenne.

Ma qualunque soldato che fosse tornato al confine con Gaza ogni anno, che avesse visto cadere al suolo un palestinese dopo l’altro, riuscirebbe a immaginare una soluzione migliore della situazione. Qualunque soldato che fosse tornato a vedere gli stessi manifestanti avvicinarsi alla barriera – che, più di ogni altra cosa, significa che la morte possa non essere un’alternativa così cattiva – capisce che ci deve essere un’altra soluzione.

Uno dei miei amici ha ucciso un manifestante sul confine con Gaza. Io faccio parte di un gruppo che porta sulle proprie spalle questa morte.L’unica differenza tra me e il mio amico è stata il caso. Se fossi stato mandato al corso per tiratori scelti piuttosto che a quello della sanità, sarei stato quello che ha sparato. Tutto il gruppo espresse il proprio appoggio all’operazione, e il sangue – nonostante il fatto che tutti siamo stati congedati dall’esercito – è ancora sulle nostre mani. Dubito che qualcun altro oltre a me se ne ricordi.

Ogni anno è nuovo, e sul confine con Gaza arrivano nuovi comandanti e nuovi soldati – carne fresca e comandanti con la memoria corta.

I soldati hanno un privilegio. Ogni tre o sei mesi si spostano in un’altra zona. Vedono solo una piccola parte della disperazione di Gaza, ma prima hanno anche la possibilità di elaborare o riflettere su questo, di andare a vedere la disperazione a Hebron, Ramallah e Nablus.

Il soldato picchia alla porta della famiglia Abu Awad in piena notte solo una volta. Spara ai manifestanti del “Giorno della Terra” solo una volta. Compie arresti per qualche mese, dopodiché è sostituito da un altro soldato. Poi è congedato.

Gli abitanti di Gaza e della Cisgiordania stanno celebrando 50 anni di occupazione. Ma non saranno sostituiti, e nessuno sta arrivando per congedarli o aiutarli a portarne il peso. Per noi soldati tutto è temporaneo. Per loro questo è permanente.

* Shai Eluk è un ex-soldato della brigata Nahal e un attivista di “Combattants for Peace” [“Combattenti per la pace”, Ong israelo-palestinese che promuove forme non violente di lotta contro l’occupazione, ndt.]. Quest’articolo è stato pubblicato per la prima volta in ebraico su “Local Call” [“Chiamata Locale”, sito web d’informazione in ebraico].

Fonte: https://972mag.com

(traduzione in italiano per zeitun di Amedeo Rossi)

Dedicato a quel 18% che ancora ha lo stomaco di votare Pd: Il costo del salvataggio delle banche degli amici di Renzi costa caro agli Italiani: solo per le banche Venete parliamo di 662 euro a famiglia! Ma non vi preoccupare, ora che sono all’opposizione…

 

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Dedicato a quel 18% che ancora ha lo stomaco di votare Pd: Il costo del salvataggio delle banche degli amici di Renzi costa caro agli Italiani: solo per le banche Venete parliamo di 662 euro a famiglia! Ma non vi preoccupare, ora che sono all’opposizione…

 

EUROSTAT, DA BANCHE VENETE IMPATTO DEFICIT 4,7 MLD, DEBITO PER 11,2 MILIARDI

CODACONS: SALVATAGGIO VENETO BANCA E BPVI COSTATO 662 EURO A FAMIGLIA. VERGOGNA! ANCORA UNA VOLTA COLLETTIVITA’ PAGA CRISI BANCARIE

Il salvataggio delle banche venete da parte dello Stato avrà un impatto sul deficit e sul debito pubblico, e il costo totale dell’operazione sarà pari a 662 euro per ogni singola famiglia italiana.
Lo afferma il Codacons, commentando i dati dell’Eurostat secondo cui l’impatto sul deficit delle operazioni Veneto Banca e Popolare di Vicenza è stato di 4,7 miliardi sul deficit e 11,2 miliardi sul debito.
“In parole povere è come se ogni famiglia sia stata costretta a pagare 662 euro ciascuna per finanziare il salvataggio delle due banche – afferma il presidente Carlo Rienzi – E’ una vergogna che ancora una volta il Governo abbia messo le mani in tasca agli italiani per salvare le banche ridotte al fallimento da una mala-gestione i cui costi vengono scaricati sulla collettività. I cittadini si ritrovano doppiamente danneggiati dalla crisi di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza: una prima volta attraverso il crollo delle azioni delle due banche, già costato 19 miliardi di euro ai risparmiatori assieme agli aumenti di capitale e alle perdite degli ultimi anni, la seconda volta attraverso le risorse pubbliche che il Governo mette a disposizione del salvataggio, soldi che impattano su debito e deficit e che potrebbero essere destinati a ridurre le tasse o completare le opere da: incompiute” – conclude Rienzi.

da: https://codacons.it/eurostat-da-banche-venete-impatto-deficit-47-mld-debito-per-112-miliardi/

Banche salvate dallo Stato: l’impatto sui conti è disastroso. Il Governo ha mentito: il deficit sale al 2,3% del Pil

Il Governo può esibire un’argomentazione, semplice e incontrovertibile: far fallire le banche finite tecnicamente in default negli anni scorsi avrebbe presentato al Paese un conto molto di più salato rispetto a quello che alla fine andremo a pagare. Qui il futuro è d’obbligo, perché la montagna di soldi impegnata dallo Stato, in aggiunta a quelli fatti spintaneamente buttar via a Fondazioni e altri privati, andranno ad aumentare il nostro già poderoso debito pubblico, oltre al deficit. Un finale mica tanto difficile da prevedere, ma di fronte al quale sempre lo stesso Governo ha mentito a tutti: agli italiani e a chi ci controlla i conti in Europa. Un giochetto che ieri l’Istat ha dovuto scoprire, confermando le indiscrezioni dei giorni scorsi. Proprio per l’effetto dei salvataggio delle banche in difficoltà, il rapporto deficit Pil nel 2017 è salito dall’1,9% previsto nella precedente stima al 2,3%. A confronto con il 2016 l’incidenza dell’indebitamento sul Pil migliora (era 2,5%), ma questo è effetto essenzialmente delle politiche monetarie accomodanti della Bce e di altri fattori di politica economica espansiva esterni al nostro Paese e del tutto irripetibili. Resta perciò una piena responsabilità di chi ha legittimamente utilizzato il denaro pubblico per salvare le banche, ben attento non solo nel tacere il reale impatto di questa operazione finanziaria sui conti pubblici, ma anche nel sottostimare gli effetti di tanta spesa nelle informazioni ufficiali al Parlamento, all’Unione europea e ai mercati.

Fatte passare le urne – Un gioco del silenzio al quale adesso non appare estranea pure l’Eurostat, cioè l’istituto di statistica Ue, al quale la nostra Istat aveva chiesto il 4 agosto 2017, attraverso l’apposita procedura, un parere sulle modalità di registrazione delle operazioni sulle banche. Parere che è arrivato solo qualche giorno fa, manco fosse stato spedito con la diligenza al tempo di indiani e cowboy. Otto mesi di attesa, durante i quali è stata sottratta un’informazione tanto rilevante anche rispetto all’orientamento degli elettori chiamati nel frattempo alle urne. Complessivamente le operazioni sulle banche in difficoltà hanno impattato per circa 6,3 miliardi sull’indebitamento 2017. L’Istat ha spiegato che la contabilizzazione del salvataggio delle banche venete corrisponde a un trasferimento in conto capitale di 4,756 miliardi, secondo le indicazioni di Eurostat. A ciò vanno aggiunti 1,6 miliardi delle operazioni relative a Monte dei Paschi di Siena (ricapitalizzazione e ristoro dei “junior bondholders”). Cifra, questa, rivista (era stata calcolata in 1,1 miliardi). Parallelamente è salito anche il debito pubblico, che nel 2017 è arrivato alla cifra astronomica di 2.263 miliardi, ossia il 131,8% del Pil (la precedente stima basata anche sui dati del Governo era al 131,5%). Il valore totale risulta pure qui in calo rispetto al 2016, quando era del 132,0%, ma vale lo stesso discorso del deficit per quanto riguarda l’effetto di fattori esterni e in ogni caso il dato è superiore all’indicazione contenuta nella nota di aggiornamento al Def (131,6%). Ora che i dati sono tutti sul tavolo si possono fare tanti discorsi, persino sulla ineludibilità delle scelte fatte dal Governo impegnando una barca di soldi per salvare le banche, ma tutto questo doveva essere detto a chi alla fine dovrà scucire questi miliardi. Una comunicazione non facile, certo, soprattutto in tempi di campagna elettorale, ma qui è accaduto qualcosa di politicamente incredibile, per non dire disgustoso. Il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, che ha taciuto l’impatto dei quattrini dati alla banche sui nostri deficit e debito poi si è candidato per il Parlamento a Siena, cioè l’epicentro con il Veneto di quel sistema finanziario marcio beneficiato dai soldi pubblici, oltre che dal suo silenzio.

da: http://www.lanotiziagiornale.it/banche-salvate-dallo-stato-limpatto-sui-conti-e-disastroso-il-governo-ha-mentito-il-deficit-sale-al-23-del-pil/

Studente critica l’alternanza scuola-lavoro su Facebook: 6 in condotta. Perchè se pubblichi foto di svastiche è libertà di pensiero, ma se parli di diritti dei lavoratori sei un pericoloso reazionario ribelle.

 

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Studente critica l’alternanza scuola-lavoro su Facebook: 6 in condotta. Perchè se pubblichi foto di svastiche è libertà di pensiero, ma se parli di diritti dei lavoratori sei un pericoloso reazionario ribelle.

 

Modena, studente critica l’alternanza scuola-lavoro su Facebook: punito con il sei in condotta

Dopo il primo giorno di lavoro il ragazzo ha scritto un post che descriveva la situazione come “sfruttamento” e lamentava di non essere pagato. Il preside: “A scuola va bene, ma volevamo dargli un segnale”

Punito con il sei in condotta per aver criticato su Facebook il sistema dell’alternanza scuola lavoro. Il protagonista è uno studente di quarta superiore di un istituto tecnico di Carpi, in provincia di Modena, che lo scorso febbraio, dopo il primo giorno passato all’interno di un’azienda metalmeccanica della zona, si era lamentato del progetto pensato per accorciare le distanze tra scuola e mondo del lavoro.

Come riporta la Gazzetta di Modena, lo studente ha pubblicato un post che secondo la scuola conteneva pesanti critiche all’azienda e al personale scolastico. E per questo è stato punito dal consiglio di classe con il sei in condotta. “Nel post – spiega il preside Paolo Pergreffi – lo studente faceva riferimento all’alternanza scuola lavoro come ad una condizione di sfruttamento. Lamentava di non essere pagato per mansioni che considerava ripetitive. Questo proprio il primo giorno in azienda, quando le imprese, tra le prime caratteristiche che chiedono c’è la buona educazione, al di là delle competenze tecniche.Evidentemente la presa di posizione è dovuta a convinzioni ideologiche sull’alternanza scuola lavoro, probabilmente antecedenti rispetto all’inizio del periodo in azienda”.

La decisione di punire lo studente con il sei in condotta è direttamente legata a questo episodio: “Il ragazzo va bene a scuola, ma il consiglio di classe ha voluto dare un segnale per un’inversione di rotta nel comportamento. Si tratta comunque di un giudizio intermedio che non pregiudicherà la promozione” conclude il preside.

I primi a schierarsi dalla parte del ragazzo sono stati gli esponenti del Comitato Sisma.12, associazione nata dopo il terremoto del 2012 in Emilia ma impegnata in diverse attività sul territorio: “Quello della scuola che sanziona con il sei in condotta lo studente che ha espresso il suo pensiero è un atteggiamento repressivo e antidemocratico – attacca Aureliano Mascioli, del comitato – Ci siamo già scontrati con questo tipo di atteggiamento che le istituzioni hanno sempre verso i terremotati. La scuola non deve prestarsi a questi metodi di intimidazione”.

 

 

tratto da: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/04/03/modena-studente-critica-lalternanza-scuola-lavoro-su-facebook-punito-con-il-sei-in-condotta/4268097/

Il cazzotto nello stomaco di Bankitalia a Salvini, neofascisti & C. – Senza migranti l’Italia sarebbe un Paese più povero e anziano!

 

Bankitalia

 

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Il cazzotto nello stomaco di Bankitalia a Salvini, neofascisti & C. – Senza migranti l’Italia sarebbe un Paese più povero e anziano!

Senza migranti l’Italia sarebbe un Paese più povero e anziano, spiega Bankitalia

Se si azzerassero i flussi migratori futuri e la componente di popolazione straniera già residente in Italia al 2016 assumesse parametri demografici identici a quelli dei nativi italiani il risultato sarebbe devastante. Una ricerca.

“Negli ultimi venticinque anni e con ogni probabilità nel futuro, la demografia ha dato e darà un contributo diretto sensibilmente negativo alla crescita economica”. L’allarme è contenuto in un Occasional Paper della Banca d’Italia, secondo cui “i flussi migratori previsti limiteranno l’ampiezza di tale contributo negativo”, anche se “non saranno in grado di invertirne il segno”.

Di qui l’invito dei tre curatori dello studio – Federico Barbiellini Amidei, Matteo Gomellini e Paolo Piselli – a intervenire su estensione della vita lavorativa, aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e incremento nei livelli di istruzione per “contrastare i puri effetti contabili legati all’evoluzione nella struttura per età”.

Il contributo alla crescita economica della modifica nella composizione per età della popolazione, affermano i ricercatori, “può essere significativo. Paesi la cui popolazione mostra, ad esempio, una quota di giovani in crescita hanno le potenzialità per raccogliere un dividendo dall’evoluzione demografica attraverso l’aumento dell’offerta di lavoro per quantità e qualità.

Gli aumenti della popolazione giovane in età da lavoro, influiscono anche sulla composizione per età degli occupati producendo, oltre agli effetti diretti sulla crescita economica attraverso l’aumento dei tassi di occupazione e l’incremento dei livelli di efficienza, effetti indiretti sulla dinamica della produttività innanzitutto attraverso l’impatto sull’innovazione sull’innovazione e l’imprenditorialità.

La flessione nei dependency ratio (rapporto tra la popolazione in età non lavorativa e la popolazione in età lavorativa) ha di per sè effetti benefici sulla crescita economica.

L’Italia”, rileva lo studio, “è tra i paesi sviluppati che si trovano oggi a fronteggiare uno scenario demografico il cui impatto sulla crescita del prodotto pro capite nei prossimi decenni sarà negativo”.

Per più di un secolo dall’Unità, la percentuale di popolazione anziana (oltre i 64 anni), pur crescendo, si è attestata in Italia su livelli inferiori alla metà della popolazione più giovane (con meno di 15 anni). A partire dal secondo dopoguerra, ma soprattutto dalla fine degli anni Ottanta, si assiste a un progressivo mutamento strutturale che ha condotto la popolazione più anziana a superare quella più giovane alla fine del XX secolo, fino a divenire pari al 165 per cento della popolazione tra 0- 14 anni nel 2017.

Le prospettive per il prossimo cinquantennio, afferma lo studio, sono di un’ulteriore crescita del rapporto, mentre l’età media della popolazione salirà di oltre 5 anni tra il 2017 e il 2061, passando da 44,9 a 50,2. La quota di popolazione in età da lavoro ha raggiunto un massimo del 70 per cento all’inizio degli anni ’90; negli ultimi venticinque anni ha cominciato a flettere e, sulla base delle previsioni, continuerà a ridursi nel prossimo cinquantennio fino a scendere sotto il minimo storico (59 per cento registrato nel 1911) dopo il 2031.

Se scomponiamo questa quota per cittadinanza, circa un quarto della popolazione in età da lavoro sarà costituita nel 2061 da cittadini stranieri. In uno scenario limite in cui non ci fossero residenti con cittadinanza straniera, nel 2061 la quota di popolazione in età 15-64 anni sul totale della popolazione, prevista pari al 55 per cento, scenderebbe a poco più del 40 per cento.

Gli sviluppi demografici sarebbero dunque stati ancor più penalizzanti per l’Italia se non fosse intervenuto negli ultimi 25 anni un significativo flusso migratorio in entrata. “Oggi, come ieri”, sottolineano i tre ricercatori della Banca d’Italia, “la maggior parte dei migranti è rappresentata da individui in età lavorativa” e “i paesi che ricevono i flussi migratori vedono aumentare quindi la quota di popolazione in età lavorativa e ridursi il dependency ratio della popolazione più anziana. Inoltre”, aggiunge lo studio, “le migrazioni, modificando il tasso medio di fertilità, possono avere un ulteriore impatto (ritardato) su dimensione e struttura per età della popolazione”.

Particolarmente importante è risultato il contributo dei migranti alla crescita del Pil nel decennio 2001- 2011: la crescita cumulata è stata positiva per 2,3 punti percentuali mentre sarebbe risultata negativa e pari a -4,4 per cento senza l’immigrazione. Il Pil pro capite senza la componente straniera avrebbe subito nel decennio 2001-2011 un calo del 3 per cento, invece del -1,9 per effettivamente registrato. Ancora significativo è risultato il contributo della popolazione straniera per l’ultimo quinquennio, quello della della crisi: la flessione del Pil pro capite (-4,8 per cento) sarebbe stata nello scenario controfattuale di assenza della popolazione straniera più severa (-7,4 per cento).

Passando ad analizzare i potenziali effetti dell’evoluzione demografica futura sulla crescita economica, lo studio sottolinea che “l’effetto meccanico delle dinamiche demografiche determinerebbe in 45 anni un calo del Pil del 24,4 per cento rispetto ai livelli del 2016 e del 16,2 per cento in termini pro capite (-0,4 medio annuo), a parità di altre condizioni”.

Per compensare il contributo negativo della demografia, in modo da mantenere il reddito reale pro capite sui livelli attuali, la produttività dovrebbe crescere a un ritmo dello 0,3 per cento all’anno. “Una dinamica apparentemente modesta ma superiore a quella pressoché nulla registrata dall’inizio del nuovo secolo”, fanno notare i ricercatori. Se poi si azzerassero i flussi migratori futuri e la componente di popolazione straniera già residente in Italia al 2016 assumesse parametri demografici identici a quelli dei nativi italiani il risultato sarebbe devastante.

Il livello del Pil aggregato risulterebbe dimezzato con un calo del 50 per cento. Il livello del reddito pro capite nel 2061 risulterebbe inferiore di un terzo rispetto al livello del 2016. Per compensare la diminuzione del reddito pro capite, la produttività dovrebbe crescere allo 0,64 per cento all’anno. Secondo i tre studiosi di via Nazionale, soltanto “risposte comportamentali e modifiche istituzionali potranno mitigare le conseguenze economiche negative di una popolazione più anziana, controbilanciando la tendenza alla riduzione della forza lavoro”.

E tre sono i “motori” più importanti in questa direzione: “L’allungamento della vita lavorativa, l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e l’evoluzione nella dotazione di capitale umano della forza lavoro”. L’estensione della vita lavorativa fino a 69 anni, ad esempio, ridurrebbe di sette punti percentuali la flessione del Pil pro capite (-9,2% rispetto a -16,2%) dovuta all’evoluzione demografica sull’orizzonte 2016-2061.

Portare il tasso di occupazione al 70% per gli uomini e al 60% per le donne come previsto dall’Agenda di Lisbona conterrebbe al 2,9% il calo del Pil pro-capite. Attraverso un aumento del livello medio di istruzione per occupato tale per cui l’Italia raggiungerebbe nel 2061 il livello che la Germania avrebbe nel 2040 (14,3 anni), infine, il Pil pro capite aumenterebbe di quasi 10 punti percentuali rispetto al livello attuale.

fonte: https://www.agi.it/economia/bankitalia_migranti_pil_calo_demografico-3725908/news/2018-04-03/

Alla vigilia dell’anniversario del sisma che il 6 aprile 2009 devastò LʼAquila, un sentito messaggio di solidarietà arriva dall’Unione Europea: Restituzione Immediata delle tasse sospese ai terremotati, pena la procedura d’infrazione per “aiuti di Stato”…!

 

LʼAquila

 

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Alla vigilia dell’anniversario del sisma che il 6 aprile 2009 devastò LʼAquila, un sentito messaggio di solidarietà arriva dall’Unione Europea: Restituzione Immediata delle tasse sospese ai terremotati, pena la procedura d’infrazione per “aiuti di Stato”…!

 

LʼAquila, la Ue chiede la restituzione (immediata) delle tasse sospese dopo il sisma del 2009: “Erano aiuti di Stato”

Circa 350 le imprese coinvolte. Rivolta di sindacati e associazioni di categoria che, pur di scongiurare pagamenti milionari, sono pronti a lotte giudiziarie e proteste clamorose (come anche blocchi stradali)

Protesta unanime di tutte le istituzioni contro le 350 cartelle esattoriali giunte ad altrettanti imprenditori de L’Aquila che impongono la restituzione entro 30 giorni delle tasse sospese dopo il sisma del 6 aprile 2009 a imprese e professionisti del cratere terremotato. La sospensione, infatti, è stata bocciata dalla Commissione europea che ha aperto una procedura d’infrazione per “aiuti di Stato”.

Le prime cartelle esattoriali sono arrivate alla vigilia di Pasqua ed è subito scattata la mobilitazione contro una misura destinata a mettere in ginocchio un territorio già colpito dal sisma del 2009. Imprenditori, istituzioni, politici, associazioni di categoria e sindacati si sono detti pronti a scendere in piazza con proteste anche clamorose (si parla anche di blocchi stradali) per scongiurare pagamenti milionari.

Ad inviare le ingiunzioni di pagamento è stato il commissario nominato dalla presidenza del Consiglio, Margherita Maria Calabrò, incaricato per il recupero delle somme nei confronti di imprese, pubbliche e private, e professionisti dopo che la Commissione europea ha considerato i fondi legati alla sospensione aiuti di stato.

Imprese e partite Iva hanno presentato ricorso al Tar contro la nomina del commissario con udienza fissata, a L’Aquila, il 18 aprile. Intanto, il vicepresidente della Giunta regionale d’Abruzzo, Giovanni Lolli, ha convocato un summit con i soggetti interessati per “definire le urgenti azioni di mobilitazione istituzionale, giuridica e politica necessarie a contrastare le attività già avviate dal Commissario straordinario (incaricato del recupero degli aiuti di Stato dichiarati illegali con la decisione della Commissione europea C(2015) 5549 final del 14 agosto 2015”.

Il neo deputato del Pd Stefania Pezzopane, ha invocato l’intervento dell’attuale governo, di quello che si formerà, nonché del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. Poi ha invitato alla protesta; “L’ho fatto già una volta, beccandomi anche una denuncia – ha detto -, e sono pronta a tornare sull’autostrada con sindaci del cratere, cittadini e categorie del settore per bloccare questa assurda ingiustizia”.

 

 

tratto da: http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/abruzzo/l-aquila-la-ue-chiede-la-restituzione-immediata-delle-tasse-sospese-dopo-il-sisma-del-2009-erano-aiuti-di-stato-_3132106-201802a.shtml

Afrin, i racconti dell’orrore: ragazze rapite e stuprate dai jihadisti filo-turchi, mentre l’occidente si gira dall’altra parte!

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Afrin, i racconti dell’orrore: ragazze rapite e stuprate dai jihadisti filo-turchi, mentre l’occidente si gira dall’altra parte!

Afrin, i racconti dell’orrore: ragazze rapite e stuprate dai jihadisti filo-turchi

Stando alle testimonianze dai media curdi nella città occupata continuano violenze, furti e vessazioni

L’accusa è di quelle pesanti e, seppur con le difficoltà del caso, sembra proprio che le denunce dei curdi siano fondate: le bande jihadiste pagate da Ankara si stanno macchiando di veri e propri crimini di guerra contro donne e ragazze di Afrin.
Qualcosa che ricorda le violenze subite dalle donne yazide quando le loro terre furono invase dallo Stato Islamico.
Ora le violenze obbediscono anche all’obiettivo politico di ripulire dai curdi l’intera area e ‘sterilizzare’ un popolo che la Turchia non vuole ai propri confini.
Nei primi giorni dopo l’occupazione della città di Afrin sono stati denunciati e documentati i saccheggi delle case e dei negozi. O l’abbattimento di statue o simboli dell’identità curda.
Ma adesso, secondo le denunce, dozzine di ragazze e donne sono state rapite dopo l’occupazione cominciata il18 marzo. Donne che sono segregate in case del centro della città e che sono sottoposte a sistematiche aggressioni sessuali da parte di soldati turchi e delle milizie jihadiste loro alleate che si sono riunite sotto la bandiera del Libero esercito siriano.
Stando alle testimonianze riportate dai media curdi un testimone residente nel quartiere di Mahmudiya i miliziani “sono entrati nelle nostre case e hanno preso tutti i nostri preziosi oggetti dal giorno in cui sono arrivati. Hanno portato via tutto l’oro e il resto caricandolo sui camion. Quindi hanno radunato le persone che si trovavano in città separando uomini e donne in diverse aree. Sentivamo le urla delle donne. Non so cosa abbiano fatto a loro. Ci hanno torturato dicendo che noi eravamo sostenitori dei terroristi, che avrebbero preso tutti i nostri averi e le donne.
Siamo stati rilasciati dopo due giorni senza cibo e acqua, ma alcune ragazze e donne non sono tornate. Sono state portate da qualche altra parte ma non sappiamo dove. Due ragazze di 14-15 anni sono tra quelle che sono state portate via e poi sono scomparse”.
Stando alla testimonianza di una donna rimasta ad Afrin in un solo quartiere ci sono circa 15 ragazze scomparse e hanno un’età compresa tra i 14 e i 20 anni.

tratto da: http://www.globalist.it/intelligence/articolo/2018/04/03/afrin-i-racconti-dell-orrore-ragazze-rapite-e-stuprate-dai-jihadisti-filo-turchi-2022105.html

Effetto M5s – Ora cominciano a farsela sotto – L’Associazione degli ex parlamentari in ansia per l’assegno: “Noi vittime dell’invidia”

 

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Effetto M5s – Ora cominciano a farsela sotto – L’Associazione degli ex parlamentari in ansia per l’assegno: “Noi vittime dell’invidia”

Ora sì che cominciano a farsela sotto…

L’Associazione dei vecchi parlamentari in ansia per l’assegno: “Noi vittime dell’invidia”

Scrive Il Giornale:

Loro le consultazioni al Quirinale le hanno già fatte. Parliamo degli ex parlamentari con vitalizio da difendere, riuniti nell’Associazione ex parlamentari, che poche settimane fa si è presentata dal capo dello Stato con una folta delegazione di canuti ex senatori ed ex deputati, molto preoccupati per gli annunci di tagli alle loro generose pensioni parlamentari, diverse migliaia di euro al mese per pochi anni (in certi casi, mesi) di «servizio» a Montecitorio e Palazzo Madama.

Conto totale: 206,9 milioni di euro solo per il 2018. L’associazione, presieduta da Antonello Falomi, ex parlamentare Ds poi rieletto con Rifondazione Comunista (4.852 euro netti al mese di vitalizio), è impegnata in una crociata «in difesa delle istituzioni democratiche rappresentative, a cominciare dal Parlamento». Tradotto: non azzardatevi a toccare il nostro assegno vitalizio, è un presidio democratico. A Sergio Mattarella gli ex parlamentari hanno espresso la viva preoccupazione per un taglio, o ricalcolo, della loro pensione, come minacciato soprattutto dal M5s, che l’ha messo nelle priorità del primo ufficio di presidenza guidato dal grillino Roberto Fico. Proprio a lui si è subito rivolto il presidente dell’Associazione ex parlamentari, a nome dei circa 1.500 ex eletti ad essa iscritti. Ricordando che mai e poi mai gli ex parlamentari potranno dare il loro assenso «a misure che definiscano come odiosi privilegi le garanzie, anche economiche, poste dalla Costituzione Italiana a tutela dei parlamentari», mentre l’auspicio è che i presidenti delle Camere «sappiano intervenire con fermezza per interrompere una campagna d’odio che delegittima la massima espressione della sovranità popolare».

Ma per comprendere al meglio il grido di dolore degli ex parlamentari minacciati nel portafoglio, occorre prender l’ultimo numero della loro rivista, Il Parlamento. Ventiquattro pagine in cui, oltre ai necrologi per gli ex parlamentari scomparsi e a quelli premiati con medaglia per aver compiuto i 90 anni, si parla quasi esclusivamente e ossessivamente dei vitalizi messi in pericolo dalla «retorica populista che rappresenta – si legge – gli ex parlamentari come una casta di privilegiati e quindi un obiettivo facile da colpire». Anche se trattasi di una microcategoria di cittadini che rappresenta lo 0,0002%», sui cui però vogliono «scaricare il problema di reperire risorse». L’analisi del vicepresidente dell’associazione, Paolo Caccia, ex deputato Dc per quattro legislature, spiega che è tutta una questione di invidia per i trattamenti economici conquistati dagli ex deputati e senatori, «una mina per la società, una deriva inquietante alimentata anche dalla crisi economica». In effetti, invidiabili lo sono veramente i vitalizi degli ex parlamentari. Calcolati con il metodo retributivo, quindi slegati dai contributi realmente versati, i vitalizi vanno dai 2mila euro agli oltre 10mila euro netti al mese per i veterani dei Palazzi. L’Associazione, comunque, è pronta alle barricate se proveranno a ricalcolare i vitalizi al ribasso, in nome della democrazia e pure delle «numerose vedove di ex parlamentari che hanno in quell’assegno l’unico mezzo di sostentamento». Eh sì, perché le vedove e in certi casi pure fratelli e figli lo ereditano.

via Il Giornale

L’assessora che “iniettava ai bambini siero per farli diventare gay” …Chi si può bere una puttanata del genere? Un leghista! La schifosa fake news lanciata da una militante della Lega per screditare la sua avversaria politica!

 

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L’assessora che “iniettava ai bambini siero per farli diventare gay” …Chi si può bere una puttanata del genere? Un leghista! La schifosa fake news lanciata da una militante della Lega per screditare la sua avversaria politica!

 

L’assessora “fa diventare gay i bimbi”, leghista verso il processo per diffamazione

Si è conclusa l’indagine della procura sulla fake news omofoba ai danni dell’assessora Serafini di Genova.

A lanciare la fake news sui bimbi gay una militante della Lega, che aveva accusato Elisa Serafini, al tempo candidata del centrodestra.

In occasione del patrocinio negato al Pride da parte del comune di Genova torna a galla una vicenda di omofobia e di veleni all’interno della coalizione che oggi guida il capoluogo ligure: la campagna diffamatoria secondo cui Elisa Serafini, oggi assessora alla cultura, “iniettasse a dei bambini un siero per farli diventare gay”.

Ad architettare una calunnia tanto ridicola una militante della Lega, 70 anni, che era candidata per il IV Municipio della città ligure, in cui poi non è risultata eletta. La donna, che fa parte dell’associazione omofoba ‘Generazione famiglia’, aveva preso di mira Serafini per il suo favore ai diritti LGBT.

La settantenne aveva inizialmente asserito in un gruppo Google che ci fossero dei video su Youtube in cui veniva mostrata la futura assessora iniettare questo siero ai dei bambini, arrivando poi a dichiararlo pubblicamente e perfino davanti a Serafini, che ha sporto denuncia.

Come riporta Repubblica Genova pochi giorni fa il pubblico ministero Michele Stagno ha chiuso le indagini preliminari e spetterà ora al Gup decidere se rinviare a giudizio o meno la militante omofoba della Lega.

Secondo il quotidiano l’intenzione di Serafini, che avrebbe rifiutato le proposte di patteggiamento giunte dai legali della donna, sarebbe quella di arrivare a sentenza e devolvere il risarcimento alla realizzazione di una casa di accoglienza per giovani gay rifiutati dalla famiglia per il proprio orientamento sessuale.

tratto da: http://www.gay.it/primo-piano/news/assessore-serafini-bimbi-gay-genova?utm_medium=PushNotifications&utm_source=OneSignal&utm_campaign=OneSignal