Razzisti, xenofobi, ignoranti, opportunisti, ladri, ipocriti… Ma si permettono di proporre la “messa al bando dell’ideologia comunista”… Cari leghisti, ve lo dico con tutto il cuore: andate a cagare…!

 

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Razzisti, xenofobi, ignoranti, opportunisti, ladri, ipocriti… Ma si permettono di proporre la “messa al bando dell’ideologia comunista”… Cari leghisti, ve lo dico con tutto il cuore: andate a cagare…!

 

La Lega ci riprova. Mozione anticomunista a Padova tra ignoranza storica e opportunismo politico

Dopo Soragna la Lega ci riprova. Una mozione per la messa al bando dell’ideologia comunista è stata avanzata e depositata al Comune di Padova da Alain Luciani, consigliere comunale della Lega Nord. 

Nel testo della mozione, dopo aver tentato di farla passare ipocritamente per un atto che si inserisce nelle «iniziative per la Pace, la Democrazia e la condanna di tutti gli Estremismi», l’estensore si spaccia per “storico” e sputa la solita sentenza: «il Partito Comunista ha cagionato la morte di oltre cento milioni di persone sotto il simbolo Falce e Martello».  

L’accusa è semplicemente ridicola, ma purtroppo – come diceva Goebbels – una bugia ripetuta più e più volte, diventa una verità. Ribadiamo che questa accusa – che tra l’altro contrasta con gli impetuosi incrementi demografici che hanno caratterizzato tutti i paesi socialisti, in primis l’URSS dall’epoca della sua fondazione fino al suo scioglimento – non è mai stata provata ed è stata avanzata da un testo di assai dubbia validità dal punto di vista della documentazione. Due soli esempi. Si dice che il comunismo in URSS ha provocato 20 milioni di morti. Facciamo presente che, mentre i 20/25 milioni di morti provocati dall’invasione nazista del 1941-45, sono ben documentati dalle tabelle demografiche, così come i milioni di morti provocati dalla prima guerra mondiale, nelle stesse tabelle non si ha traccia di questi fantomatici milioni, che avrebbero dovuto invece lasciare un segno molto profondo. La carestia russa del periodo del 1921-23 viene inoltre attribuita al “comunismo” e non alla guerra di aggressione imperialista che la Russia rivoluzionaria dovette subire. L’elenco dovrebbe continuare, smantellando uno ad uno tutte le volgari imposture di questo ignobile testo, ma non è questa la sede. 

Mancano stranamente invece elencati i crimini dovuti al crollo del comunismo. Per quanto la storia finale dell’URSS non abbia brillato per tensione rivoluzionaria e i sintomi della corruzione interna del sistema fossero presenti, il tenore di vita del cittadino sovietico andò sempre aumentando, anche durante il periodo brezneviano, che in modo poco scientifico è stato definito il periodo della “stagnazione”. Invece il tracollo degli indici della produzione sovietica e il tenore di vita della maggior parte dei cittadini iniziarono con le “riforme” di Gorbacev e poi con la dissoluzione dell’URSS. In particolare la vita media si abbassò rapidamente di circa dieci anni, proprio perché le persone più deboli (anziani, malati, lavoratori a basso reddito) non avevano di che sfamarsi e di che curarsi, a causa della distruzione della sanità pubblica, il crollo dei salari e delle pensioni, la privatizzazione selvaggia di tutti i servizi. 

Tornando alla mozione leghista, si prosegue ancora dicendo che «… ancora oggi il Partito Comunista in molti paesi del Mondo è sinonimo di feroci dittature o deboli democrazie, tra le più note: Corea del Nord e Venezuela». Che dire? Il Venezuela non è una “dittatura”, si vota ogni anno (se questa è la cartina di tornasole) e talvolta il partito socialista al governo (il partito comunista non è nemmeno al governo) è andato sotto. In ogni caso, prova della scarsa coerenza della mozione è il termine «deboli democrazie», che ci chiediamo cosa ciò possa significare? Un paese in cui le votazioni sono condizionate dal ricatto e dalla corruzione diffusa, dall’intromissione e dalla costante manipolazione di agenzie nazionali ed estere? Che paese viene in mente a queste parole?

Quanto alla Repubblica Popolare Democratica di Corea, possiamo solo invitare i lettori che ne hanno la possibilità a fare un viaggio in quel paese per rendersi conto della realtà, se è il regno del terrore o un sistema che vuole e persegue testardamente la pace e la prosperità. Vari report di viaggiatori indipendenti riportano una realtà ben diversa da quella favoleggiata nella mozione. Certo è indiscutibile però che la Corea del Nord oggi è un paese in sviluppo e moderatamente prospero, e non è ridotto ad un cumulo di macerie fumanti come la Libia o la Siria, grazie alla politica di autodifesa messa in atto da sempre dai suoi dirigenti contro le aggressioni dell’imperialismo USA e dei suoi alleati. I recenti colloqui diretti tra i rappresentanti delle due parti della nazione fanno ben sperare. 

Nel commento alla sua iniziativa il rappresentante leghista commette lo scivolone tipico anche di molti storici, nominando il cosiddetto “totalitarismo”, cappello sotto cui si annovera tutto ciò che non è il sistema liberalista. Per cui i regimi fascisti e nazisti, che sottomettevano l’economia agli interessi dei monopoli nazionali, distruggendo col terrorismo le organizzazioni operaie, macchiandosi dei peggiori crimini razzisti e infine gettandosi nella peggiore guerra di aggressione imperialista … vengono assimilati a sistemi politici socialisti, basati sull’esproprio dei monopoli privati e lo sviluppo culturale e politico dei lavoratori; che si sono difesi dall’aggressione imperialista e ne hanno costituito un argine invalicabile (e ci siamo resi conto di quanto fosse importante l’azione antimperialista dei paesi socialisti, quando essa è cessata!); che hanno costituito nei propri confini oasi di pace e fratellanza per tutte le etnie (si pensi al ruolo estremamente attivo che hanno sempre avuto gli ebrei in Unione sovietica, nel campo politico, artistico e culturale in generale; si pensi alla soluzione del problema delle etnie Rom in Ungheria o in Romania, problemi riesplosi solo dopo il crollo del socialismo, ecc.); che hanno salvato l’umanità dal mostro nazista, fascista e dal militarismo giapponese… 

Ma probabilmente non è il terreno storico che interessa, quanto la politica odierna. Oggi viene classificato come “totalitarista” qualunque sistema che non sia la dittatura del capitalismo monopolistico internazionale, in particolare filoamericano. In quel paese le agenzie di sovversione internazionale possono scorrazzare impunemente? NO? Regime totalitarista. La banca centrale è sottomessa ai diktat della finanza internazionale? NO? Regime totalitarista. E così via. 

Questo nuovo tentativo, impregnato di ignoranza storica, mostra anche l’opportunismo politico di un partito reazionario come la Lega che al di là delle parole della campagna elettorale, criminalizzando ogni idea alternativa al capitalismo e attaccando le forze politiche che si battono dalla parte dei lavoratori, si propone nei fatti per un nuovo governo al servizio del grande capitale dimostrando il profondo legame tra anticomunismo e imposizione di misure e leggi antipopolari in continuità col PD. Per tutte queste ragioni la risposta del Partito Comunista nel Veneto non si è fatta attendere con un comunicato in cui si rivendica che «l’ideologia comunista e il PCI in Italia hanno fatto avanzare e di molto le rivendicazioni della classe operaia». Ricordando tutte le «conquiste che senza l’indispensabile apporto dei comunisti non si sarebbero mai potute ottenere» e che «nonostante i tentativi di smantellamento degli ultimi decenni, sono patrimonio del proletariato», i comunisti veneti affermano che «non è dunque un caso che, dopo l’eliminazione di tutti quei risultati storici conseguiti dai comunisti nel secolo scorso, l’interesse sia rivolto adesso al mezzo a cui i lavoratori possono ancora rivolgersi per lottare, il Partito». «Proposte del genere vengono fuori quando si vuole stroncare sul nascere la possibilità che riemerge nuovamente una nuova coscienza di classe. Il capitale ha paura», conclude il comunicato chiamando «i lavoratori a non lasciarsi intimidire da questi pallidi tentativi di piegare i nostri diritti ai loro interessi».

Il Jobs Act ha ucciso il lavoro stabile. I numeri

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Il Jobs Act ha ucciso il lavoro stabile. I numeri

I dati del nuovo rapporto sulla qualità del lavoro della Fondazione Giuseppe di Vittorio, Fdv Cgil

Per il Jobs Act, la riforma del lavoro divenuta uno dei cavalli di battaglia dell’esperienza governativa di Matteo Renzi, è tempo di bilanci. Dopo i numeri dell’Istat negli scorsi mesi, ecco il rapporto sulla qualità del lavoro della Fondazione Giuseppe di Vittorio, Fdv Cgil, che sottolinea fra l’altro come gli ultimi quattro anni, dall’inizio del 2014 alla fine del 2017, abbiano visto una crescita dell’occupazione, ma solo un recupero parziale delle ore lavorate. Per le politiche del lavoro in Italia c’è ancora tanto da fare.

“Questo – si legge nello studio – è strettamente collegato al carattere dell’occupazione: a dispetto dei proclami che hanno accompagnato il Jobs Act e l’introduzione del contratto a tutele crescenti, infatti, dal 2015 al 2017 il numero di assunzioni a tempo indeterminato è crollato dai 2 milioni del 2015 (anno dell’esonero contributivo per 36 mesi), ad 1 milione 176mila del 2017 (-41,5%) a fronte di un notevole incremento delle assunzioni a termine (da 3 milioni 463mila del 2015 a 4 milioni 812mila del 2017, pari a +38,9%). La variazione netta totale (attivazioni-cessazioni) nei 12 mesi (gennaio-dicembre) del numero di rapporti di lavoro a tempo indeterminato è passata così da +887mila del 2015 a -117mila del 2017; contestualmente, la variazione netta dei rapporti a termine, negativa nel 2015 (-216mila) è tornata positiva nel 2016 (+248mila) ed è arrivata nel 2017 a +537mila”.

Nel rapporto si rileva come il rapporto a termine non sia, “nella grandissima maggioranza dei casi, una scelta del lavoratore, ma una soluzione imposta”. La nuova occupazione a termine, peraltro, è sempre più part-time. Circa la metà dell’incremento delle assunzioni a termine registrato tra il 2015 e il 2017 (+1 milione 349mila), infatti, è imputabile a rapporti a tempo parziale (+689mila): nel 2015 le assunzioni con contratti a termine part-time sono state 1 milione 248mila e nel 2017 sono salite a 1 milione 937mila (+55,2%).

IL LAVORO NELL’AREA DI DISAGIO – L’area del disagio – quell’area costituita dagli occupati in età compresa tra 15 e 64 anni che svolgono un’attività di carattere temporaneo (dipendenti o collaboratori) perché non hanno trovato un’occupazione stabile (temporanei involontari), oppure sono impegnati a tempo parziale (anche autonomi) perché non hanno trovato un’occupazione a tempo pieno (part-time involontari) – continua a crescere e conta nei primi nove mesi del 2017 il numero record di 4 milioni e 571mila persone (di cui 2 milioni 784mila temporanei involontari e 1 milione 787mila part-time involontari). Rispetto ai primi nove mesi del 2013, nell’arco degli ultimi 4 anni, l’aumento dell’area è stimato nell’ordine di +465mila persone, pari a +10,2%.

ORE LAVORATE – Il numero di ore lavorate, rispetto al primo trimestre 2008, risulta ancora nettamente sotto il picco pre-crisi (-5,8%) pari a 667 milioni di ore lavorate in meno, come anche il numero di unità di lavoro (-4,7%), pari a quasi 1,2 milioni di Ula in meno rispetto al primo trimestre 2008 e occupati -1,2%.

Il tasso di occupazione, che risente anche del contestuale aumento della popolazione in età lavorativa, si attesta nel quarto trimestre 2017 al 58,1%, sette decimi di punto sotto il livello raggiunto nella prima metà del 2008. Ma nonostante il recupero in termini di occupati, la quantità di lavoro – espressa in termini di ore lavorate e di unità di lavoro a tempo pieno – è nettamente inferiore al livello pre-crisi.

Di Qui Finanza – in collaborazione con Adnkronos

Michela Murgia: «I fascisti li riconosci dal modo con cui banalizzano la realtà»

 

Michela Murgia

 

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Michela Murgia: «I fascisti li riconosci dal modo con cui banalizzano la realtà»

La scrittrice: «I fascisti li riconosci dal modo con cui banalizzano la realtà»

La scrittrice Michela Murgia giovedì 23 a Lucca spiegherà il suo decalogo per riconoscere l’ultradestra e smascherare il populismodi Flavia Piccinni

Michela Murgia non è solo una scrittrice di successo e una conduttrice televisiva. Non è solo in giro per i teatri italiani con lo spettacolo sold out “Quasi Grazia” scritto da Marcello Fois, che racconta la storia di Grazia Deledda («il teatro mi attrae solo per la misura di mettere in scena i miei testi, ma in questo caso salire sul palcoscenico aveva un senso profondo»). È anche, forse soprattutto, un’attivista e un’intellettuale che si interroga sul tempo. Per questo giovedì sarà a Lucca, al Teatro San Girolamo, per l’incontro (alle 17,30) “Sempre fascismo è”, cui seguirà (alle 21) il monologo teatrale dell’attore Marco Brinzi “Autobiografia di un picchiatore fascista”. Il tema del suo incontro è di straordinaria attualità. Come dimostra anche la vittoria del movimento di estrema destra Casaggì alle elezioni studentesche della provincia di Firenze, dopo quelle di Prato e Pistoia.

È forse un segnale?

«In politica non esiste il vuoto: se c’è un varco, questo viene riempito. Da quando i soggetti politici strutturati sono assenti, nelle scuole e nella società, a prendere il loro posto sono forze alternative. Questi ragazzi spesso non sono fascisti, ma vengono strumentalizzati. Non hanno un’alternativa. Sono vittime della mancanza di contro-narrazioni. Il fascismo da storytelling diventa propaganda».

E conquista consenso. Anche in Toscana.

«Nella mia testa la Toscana è rossa, anche se la Lega qui ha preso molti voti. In questo caso però non si tratta di essere rossi, bianchi o neri. Il discorso è la predisposizione al populismo, che è la fase prima del fascismo. Il populismo agisce direttamente sui sentimenti delle persone. Se in una stanza hai venti individui, non potranno pensarla nello stesso modo. Il populismo però trova il modo di metterli d’accordo sfruttando il loro minimo comune denominatore che spesso parla alla pancia. Per questo nessuno è al sicuro».

Da cosa?

«Dai meccanismi propri di questo fascismo dilagante. Dentro un vuoto di valori è possibile qualunque radicalizzazione. Il neofascismo per un italiano, l’Isis per un ragazzo di etnia diversa. Le ultime elezioni comunali a Lucca hanno rivelato il crescente consenso di CasaPound. Lucca è un prodromo. La spia di una situazione che sta degenerando. Il problema però non è il fascismo, ma il fascismo nel momento in cui inizia a organizzarsi. Per anni si è creduto che il fascismo fosse un’idea, invece è un metodo. Un metodo che si deve imparare a interpretare».

E lo racconterà proprio a Lucca.

«Non è stata una scelta casuale. L’indifferenza di tante persone mi fa pensare che in troppi abbiano perso le competenze civili necessarie per interpretare il presente. Ma se il fascismo tornasse, e sta tornando, come lo riconosceremmo?».

Lei ha stilato dieci fattori indicativi su cui riflettere.

«Dieci marcatori in grado di evidenziare come il fascismo si manifesti anche in luoghi, e in momenti, inaspettati. La verticizzazione della figura del capo è uno degli elementi principali. Ma ha il suo rilievo anche la costruzione di un nemico che non è mai l’avversario politico, e non ha un nome specifico. Anzi viene riconosciuto in una categoria generica. E poi c’è la banalizzazione della complessità».

Che cosa significa?

«Partendo dal fatto che il linguaggio dei politici strutturati è incomprensibile, e sembra voler allontanare le persone, il populista parla come mangia o, almeno, si presenta così. In questo modo intercetta gli umori del popolo. Storicamente la semplificazione è necessaria, ma la banalizzazione è dannosissima perché tradisce la complessità, e la traduce in slogan. E così si arriva ai paradossi: siccome quello che dice Salvini si capisce, si pensa che sia il cuore delle cose. Ma Salvini non è un semplificatore, è un banalizzatore che a una domanda giusta, dà una risposta semplice ma sbagliata. Si appropria di una categoria del linguaggio fascista. Ciascuna voce, dunque anche questa, se considerata in modo singolo non è fascismo. Ma quando uno comincia a contare cinque indicatori di allarme, qualche domanda dovrebbe cominciare a farsela».

In politica chi fa suonare più campanelli?

«Il populismo è una strada facile. La complessità aiuta a costruire il consenso nel lungo periodo, ma è più semplice agire su una paura istintiva per prendere il voto sul momento. Per un politico che non ha una visione da statista, non conta nient’altro. Nelle sezioni storicamente si costruiscono i consensi della base. Bisognerebbe forse domandarsi per quale motivo Forza Italia non ne avesse bisogno».

Oggi qual è la cosa che la spaventa di più?

«Siamo diventati un popolo di razzisti. Ma la cosa più spaventosa è la facilità con cui le persone cedono la responsabilità di se stessi a un altro. Questo spesso produce una rinuncia alla partecipazione politica e al coinvolgimento. Basta una sola generazione per perdere i valori democratici. La manutenzione della democrazia, soprattutto per un Paese dove questa è giovane come in Italia, è la

cosa più complicata».

Chi dovrebbe farla questa manutenzione?

«Le istituzioni nel senso civile. La scuola. Noi. La resistenza non si fa sui monti, ma comincia per le strade, nei teatri, nelle scuole, nelle case e nelle teste».

tratto da: http://iltirreno.gelocal.it/regione/toscana/2017/11/19/news/i-fascisti-li-riconosci-dal-modo-con-cui-banalizzano-la-realta-1.16139993

Migrante incinta e malata terminale, respinta alla frontiera francese. A Torino la curano, ma muore dopo il parto. Questo per confermare perché i francesi riescono a starmi così tanto sui coglioni!

 

Migrante

 

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Migrante incinta e malata terminale, respinta alla frontiera francese. A Torino la curano, ma muore dopo il parto. Questo per confermare perché i francesi riescono a starmi così tanto sui coglioni!

La legge saràanche la legge, ma o francesi fanno proprio tutto, ma proprio tutto per starmi sui coglioni…

Preciso è una mia idea personale ma…

 

INCINTA VIENE RESPINTA AL CONFINE CON LA FRANCIA: MUORE DOPO IL PARTO, A TORINO

Ha dato alla luce un bimbo che alla nascita pesava 700 grammi e che ora prosegue la sua battaglia per la vita nella terapia intensiva neonatale del Sant’Anna, ma non ce l’ha fatta la mamma 31enne di origine nigeriana, respinta alla frontiera di Bardonecchia dalle autorità francesi.

La donna, soccorsa lo scorso 9 febbraio scorso dai volontari di ‘Rainbow4Africa’ davanti alla stazione ferroviaria, è stata trasferita al Sant’Anna dove i medici hanno scoperto che era incinta ma anche affetta da una grave forma di linfoma in fase terminale.

PARTO – E’ quindi scattata la gara di solidarietà che ha coinvolto il Sant’Anna e le Molinette per cercare di salvare almeno il piccolo. La donna è stata infatti ricoverata in ostetricia per la gestione della gravidanza e curata da un’équipe di ematologi per alcune settimane. Poi l’aggravarsi delle sue condizioni hanno reso obbligatorio il ricovero in rianimazione, dove due giorni dopo, il 15 marzo, è stata sottoposta a cesareo per far nascere il bimbo alla 29esima settimana di gestazione. Ora il piccolo pesa 900 grammi.

”Quello che tutte le sere di verifica al confine con la Francia è molto doloroso – spiega all’AdnKronos il presidente di ‘Rainbow4Africa’, Paolo Narcisi, medico e fondatore della ong nata nel 2009 tra medici del Cto di Torino – mentre la gente sia sul versante italiano sia su quello francese ci aiuta e si adopera per prestare soccorso ai migranti che cercano di passare il confine, la gendarmeria francese preferisce chiudere i cancelli senza tener conto di uno dei diritti fondamentali, quello alla vita e alla salute”.

Eccone uno che sicuramente farà carriera in politica: Cecconi, impresentabile del M5s (faceva finta di restituire i rimborsi con bonifici che poi revocava). Si era impegnato per iscritto a dimettersi se eletto, ma si rimangia la promessa… Tanto rivoltante, che non si schioderà più dalla poltrona…!

 

politica

 

 

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Eccone uno che sicuramente farà carriera in politica: Cecconi, impresentabile del M5s (faceva finta di restituire i rimborsi con bonifici che poi revocava). Si era impegnato per iscritto a dimettersi se eletto, ma si rimangia la promessa… Tanto rivoltante, che non si schioderà più dalla poltrona…!

 

Rimborsopoli M5S, Cecconi non rinuncia al seggio: “Il documento di Di Maio? Carta da culo”

Coinvolto nello “scandalo Rimborsopoli”, l’ex pentastellato Andrea Cecconi promise di rinunciare alla candidatura e firmò il documento impostogli da Luigi Di Maio. A poche settimane dalle elezioni, il deputato però pare aver cambiato idea: “Ho firmato con Luigi un impegno che prevedeva le mie dimissioni una volta eletto, ma poi ho anche chiamato una mia amica in Cassazione e lei mi ha detto che quel documento lo posso anche cestinare. Insomma, è carta da culo”.

Pochi mesi fa venne coinvolto nello scandalo “Rimborsopoli” e firmò una dichiarazione di intenti promettendo di rinunciare al seggio parlamentare in caso di elezione. Ma l’ex pentastellato Andrea Cecconi pare aver cambiato idea e nonostante la promessa, oggi fa dietrofront e dichiara che non rinuncerà affatto al suo seggio e sembra inoltre non intenzionato a presentare le dimissioni da parlamentare perché quel documento impostogli da Luigi Di Maio sarebbe “carta da culo”. Nella prima giornata della nuova legislatura, il deputato Cecconi spiega infatti ai cronisti: “Ho firmato con Luigi un impegno che prevedeva le mie dimissioni una volta eletto, ma poi ho anche chiamato una mia amica in Cassazione e lei mi ha detto che quel documento lo posso anche cestinare. Insomma, è carta da culo. Io posso anche presentarle le mie dimissioni, ma devono essere votate dalla Camera e questo non accadrà mai, lo sappiamo tutti”. Cecconi, insieme al senatore Carlo Martelli, fu tra i primi esponenti pentastellati coinvolti nell’inchiesta condotta da Le Iene. Stando a quanto documentato da Filippo Roma e successivamente acclarato dai controlli effettuati da Luigi Di Maio, Andrea Cecconi aveva trattenuto per sé circa 21.000 euro di rimborsi spese facendo finta di bonificare la somma al fondo per il microcredito istituito presso il Mef e successivamente revocando la disposizione.

Scoperto da Le Iene grazie a una fonte anonima, Cecconi ha provveduto a saldare l’ammanco e a promettere la rinuncia al seggio: “Per mettermi in regola con le restituzioni. Il ritardo è stato dovuto a motivi di natura personale che penso che nessuno possa essere in grado di giudicare. Ho rinunciato a 75.000 euro di rimborsi e restituito quasi 120.000 euro in questi anni, e questo nessuno può togliermelo, so però di aver fatto una mancanza nei confronti degli iscritti del MoVimento 5 Stelle, anche se la mia coscienza è pulitissima perché ho restituito fino all’ultimo centesimo come promesso. I probiviri decideranno sul procedimento disciplinare nei miei confronti e sulla sanzione da comminare. Sono sereno e accetterò ciò che stabiliranno. In ogni caso vi comunico che ho già deciso di rinunciare alla mia elezione. Il 4 marzo cederò il passo e andranno avanti gli altri candidati che trovate nel listino”, scrisse su Facebook poche settimane fa. Ora però pare aver cambiato idea.

Fonte: https://www.fanpage.it/rimborsopoli-m5s-cecconi-non-rinuncia-al-seggio-il-documento-di-di-maio-carta-da-culo/

23-24 marzo 1944, 335 martiri nella cava alle Fosse Ardeatine – Una lapide eterna di orrore sul nazifascismo!

 

Fosse Ardeatine

 

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23-24 marzo 1944, 335 martiri nella cava alle Fosse Ardeatine – Una lapide eterna di orrore sul nazifascismo!

Raccontate questo a quei coglioncelli che vanno dicendo “hanno fatto anche cose buone…”

24 marzo 1944, 335 martiri nella cava alle Fosse Ardeatine

Nell’eccidio delle Fosse Ardeatine morirono 335 italiani. Fu un’azione punitiva, la rappresaglia in seguito all’attacco dei partigiani alle truppe tedesche in via Rasella. Un massacro delle cui dimensioni ci si rese conto solo nel dopoguerra, quando furono recuperati e identificati i corpi delle vittime.

Il 23 marzo 1944, 17 partigiani fecero esplodere un ordigno in via Rasella, a Roma, mentre passava una colonna di militari tedeschi. Nell’attentato vennero uccisi 32 militari, mentre altri 10 soldati morirono nei giorni successivi. Nell’esplosione morirono anche due civili italiani. La sera del 23 marzo, il comandante della polizia e dei servizi di sicurezza tedeschi a Roma, il tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, insieme al comandante delle forze armate della Wermacht di stanza nella capitale, il generale Kurt Malzer, disposero che l’azione di rappresaglia consistesse nella fucilazione di dieci italiani per ogni soldato tedesco ucciso, e suggerirono che le vittime venissero selezionate tra i condannati a morte detenuti nelle prigioni di Regina Coeli e via Tasso. Il generale Eberhard von Mackensen – la cui giurisdizione comprendeva anche Roma – approvò la proposta.

Il luogo scelto per l’esecuzione fu una cava di tufo dismessa sulla via Ardeatina, a un passo dalle catacombe cristiane. La cava fu ritenuta idonea per poter eseguire la rappresaglia in segreto ed essere utilizzata come fossa comune dove occultare i cadaveri.

Il numero dei prigionieri che erano già stati condannati a morte, però, non era sufficiente. Per questa ragione, i nazisti aggiunsero alla lista altri detenuti, molti dei quali arrestati per motivi politici, altri sospettati di aver preso parte ad azioni della Resistenza, 57 cittadini ebrei, molti dei quali erano detenuti nel carcere romano di Regina Coeli, ed alla fine anche alcuni civili fermati per caso nelle vie di Roma.

Il giorno seguente, agli ordini dei capitani delle SS Erich Priebke e Karl Hass, i camion caricarono tutti gli artestati, 335 e tutti uomini, e li portarono alle cave dove fu compiuto il massacro.

Il più anziano tra gli uccisi aveva poco più di settant’anni, il più giovane quindici. Quando le vittime vennero radunate all’interno delle cave, Priebke e Hass si accorsero che erano 335 anziché 330. Le SS però decisero che rilasciare quei 5 prigionieri avrebbe potuto compromettere la segretezza dell’azione e quindi decisero di ucciderli insieme agli altri. I prigionieri selezionati furono condotti all’interno delle grotte con le mani legate dietro la schiena. Già prima di raggiungere il luogo dell’esecuzione, Priebke e Hass avevano deciso di non utilizzare il metodo tradizionale del plotone di esecuzione; ai militari incaricati di far fuoco venne ordinato di occuparsi di una vittima alla volta e di sparare da distanza ravvicinata, in modo da risparmiare tempo e munizioni.

Gli ufficiali nazisti portarono quindi i prigionieri all’interno delle fosse, obbligandoli a disporsi in file di cinque legati tra loro e a inginocchiarsi; lì li uccisero uno a uno con un colpo alla nuca. Quando il massacro ebbe termine, Priebke e Hass ordinarono ai militari del genio di chiudere l’entrata delle fosse facendola saltare con l’esplosivo.

Qualcuno sentì le esplosioni, altri raccontarono di aver visto qualcosa: iniziò a diffondersi la voce dell’eccidio. L’unica informazione a riguardo arrivò da un trafiletto del Messaggero: “Il comando tedesco ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato, 10 criminali comunisti badogliani verranno fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito”.

Chi fossero le vittime e dove precisamente fossero seppellite non era dato sapere. Nei giorni e nei mesi successivi, però, i familiari di prigionieri scomparsi si recarono alle cave dove lasciarono fiori e messaggi dedicati ai loro cari, pur non avendo la certezza che fossero sepolti lì. Solo dopo la guerra le cave furono aperte e si potè procedere all’identificazione dei corpi delle vittime.

 

 

Gli ultimi dati Eurostat – Lavoriamo sempre più e guadagniamo sempre meno! Peggio di noi solo Romania, Spagna e Grecia… Eppure qualcuno fino a ieri, in campagna elettorale, ci pigliava per i fondelli con una fantomatica “ripresa”…

Eurostat

 

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Gli ultimi dati Eurostat – Lavoriamo sempre più e guadagniamo sempre meno! Peggio di noi solo Romania, Spagna e Grecia… Eppure qualcuno fino a ieri, in campagna elettorale, ci pigliava per i fondelli con una fantomatica “ripresa”…

 

Lavoriamo sempre più e guadagniamo sempre meno, peggio dell’Italia solo Romania, Spagna, e Grecia

Ultimi dati Eurostat sulla povertà in Europa. Un operaio su dieci è a rischio povertà e, in media, tre figli di migranti su 10 rischiano l’indigenza. L’Italia si colloca agli ultimi posti: peggio di noi Romania, Spagna e Grecia.

Questa settimana, Eurostat ha pubblicato nuovi dettagli e dati aggiornati relativi al problema della povertà in Europa. In particolare, l’istituto statistico europeo ha rilasciato i numeri relativi al rischio-povertà dei minori con trascorsi migratori in famiglia e dei cosiddetti “working poor”, ovvero lavoratori e lavoratrici che non sfuggono alla trappola della povertà, pur essendo impiegati.

In media, il 35 per cento dei minori che provengono da famiglie composte da almeno un genitore con trascorsi migratori rischia di ritrovarsi in una situazione di povertà. Per i figli di autoctoni, la percentuale scende, in media, al 18 per cento. La differenza di prospettiva è particolarmente marcata in Svezia dove il rapporto è di 1 a 6. L’Italia si colloca alla sesta posizione nella classifica dei tassi di rischio di povertà dei minori con background migratorio. Ai primi posti, e in ordine decrescente, ci sono Svezia, Spagna, Lituania, Slovenia e Francia. Eppure, il differenziale, non gioca sempre a sfavore dei minori figli di migranti. In Polonia, Bulgaria e Ungheria, sono i minori delle famiglie autoctone a soffrire un maggiore rischio di povertà.

Per quanto riguarda i rischi di povertà tra gli occupati, nel 2016, quasi 1 impiegato su 10 nell’Ue era a rischio di povertà lavorativa. Come scrive Eurostat, il rischio è “fortemente influenzato dal tipo di contratto di lavoro in essere”. Tra gli impiegati part-time il rischio di povertà raddoppia (15,8 per cento) rispetto alla forza lavoro a tempo pieno (7,8). Allo stesso tempo, chi ha un contratto a tempo determinato è quasi tre volte più a rischio povertà di quanto non lo sia un indeterminato (rispettivamente, 16,2 e 5,8 per cento).

Nella classifica dei Paesi con i tassi più alti di “lavoratori poveri”, l’Italia si classifica al 5 posto (11,7 per cento), al seguito (in ordine decrescente) di Romania, Grecia, Spagna e Lussemburgo. Il Belpaese figura anche tra i Paesi con l’incremento più alto del tasso dal 2010 a oggi (+2,2 per cento). Peggio, hanno fatto Ungheria (+4,3), Bulgaria (+3,7), Estonia (+3,1) e, seppur di poco, la Germania (+ 2,3).

 

 

fonte: http://www.linkiesta.it/it/article/2018/03/22/lavoriamo-sempre-piu-e-guadagniamo-sempre-meno-peggio-dellitalia-solo-/37518/

L’ultimo colpo di coda del più squallido governo della nostra storia – Ricordate il Cnel, quello che Renzi voleva abolire? Gli Zombi di questo esecutivo ormai delegittimato si affrettano a “spartirselo” con la nomina di 48 nuovi consiglieri!

 

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L’ultimo colpo di coda del più squallido governo della nostra storia – Ricordate il Cnel, quello che Renzi voleva abolire? Gli Zombi di questo esecutivo ormai delegittimato si affrettano a “spartirselo” con la nomina di 48 nuovi consiglieri!

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MISTERI DELLA POLITICA: il Cnel, l’ente che non doveva esistere più, è vivo e vegeto e nomina 48 nuovi consiglieri. Il provvedimento firmato dalla Boschi, quella che si sarebbe dovuta ritirare dalla politica perchè non è riuscita ad abolire il Cnel…!!

Così resuscita il Cnel: al via le nomine di 48 consiglieri

Mercoledì il Consiglio dei ministri dovrebbe dare il suo assenso alla nomina dei 48 nuovi consiglieri del Cnel

Già da alcuni mesi è operativo il nuovo presidente, l’ex ministro Tiziano Treu e mercoledì il Consiglio dei ministri dovrebbe dare il suo assenso alla nomina dei 48 consiglieri indicati dai sindacati e dalle associazioni dei datori di lavoro.

Si trattarebbe di 7 rappresentanti della Cgil, di 6 di Confindustria e Cisl, 3 della Uil più di una lunghissima lista di organizzazioni d’ ogni genere con un solo candidato che andrebbero a ricostituire l’ assemblea del Cnel scaduta ormai da anni. Ma, spiega il Messaggero, bisognerà aspettare perché i membri del parlamentino del Cnel possano entrare a Villa Lubin, la splendida sede del Consiglio nel cuore di Roma. La procedura prevede, infatti, che le nomine passino per il consiglio dei Ministri ma vengano poi rese definitive dalla Presidenza della Repubblica. Questi 48 membri sono in attesa di nomina già da nove mesi, quando erano stati designati dalle rispettive organizzazioni, ma, poi, sono arrivate altre proposte di nomine da associazioni di datori di lavoro che nel parlamentino del Cnel non erano mai entrate. Pare infatti che le richieste di posti abbiano superato quota 100 rispetto ai 48 disponibili e ne è nato uno strano caso giudiziario, curato dall’ Avvocatura dello Stato, fatto di ricorsi e controricorsi fra le varue associazioni delle imprese. Poi le elezioni Politiche hanno bloccato tutto e, nel frattempo, è stato firmato un accordo fra i sindacati confederali e la Confindustria, la quale ha accettato di certificare il proprio livello di rappresentanza esattamente come i sindacati dei lavoratori. Villa Lubin, oggi, dispone di appena 4-5 milioni per il 2018 e, se un tempo un consigliere del Cnel poteva contare su una indennità di 20/25 mila euro l’ anno, adesso non ha nessuno stipendio. In compenso la Finanziaria dell’ anno scorso ha dato la possibilità, prima negata, di ottenere il rimborso delle spese di trasporto e di vitto per i consiglieri che non abitano a Roma purché presenti alle sessioni del parlamentino.

tratto da: http://www.ilgiornale.it/news/politica/cos-resuscita-cnel-nomine-48-consiglieri-1506800.html

Caso Regeni, lo sfogo del Pm Zucca, giudice del processo sui fatti della Diaz: I torturatori del G8 di Genova sono ai vertici della nostra Polizia. Con che faccia possiamo chiedere all’Egitto di consegnarci i loro torturatori?

 

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Caso Regeni, lo sfogo del Pm Zucca, giudice del processo sui fatti della Diaz: I torturatori del G8 di Genova sono ai vertici della nostra Polizia. Con che faccia possiamo chiedere all’Egitto di consegnarci i loro torturatori?

 

Regeni, il pm Zucca: “I torturatori del G8 ai vertici della nostra polizia. Come possiamo chiedere quelli dell’Egitto?”

“Lo sforzo che chiediamo a un paese dittatoriale è uno sforzo che abbiamo dimostrato di non saper far per vicende meno drammatiche”, ha detto il sostituto procuratore generale ligure, già giudice del processo sui fatti della Diaz, intervenendo allo stesso dibattito sulla difesa dei diritti internazionali al quale hanno partecipato anche i genitori del ricercatore torturato e ucciso. “Siamo stati abbandonati”, ha detto la madre di Giulio.

torturatori del G8 di Genova sono ai vertici della nostra polizia. Come possiamo dunque chiedere all’Egitto di consegnarci i torturatori di Giulio Regeni? È questo il senso dell’intervento di Enrico Zucca, sostituto procuratore generale di Genova, durante un dibattito dedicato alla vicenda del ricercatore italiano torturato e assassinato in Egitto il 3 febbraio del 2016.  “I nostri torturatorisono ai vertici della polizia, come possiamo chiedere all’Egitto di consegnarci i loro torturatori?”, ha detto il magistrato che conosce bene gli orrori del G8 del 2001 essendo stato tra i magistrati del processo per i fatti della scuola Diaz. “L’11 settembre 2001 e il G8 – ha continuato Zucca- hanno segnato una rottura nella tutela dei diritti internazionali. Lo sforzo che chiediamo a un paese dittatoriale è uno sforzo che abbiamo dimostrato di non saper far per vicende meno drammatiche“.

I genitori: “Abbandonati dallo Stato”- Un intervento duroquello del sostituto procuratore generale ligure, finito all’attenzione del ministero della giustizia. Via Arenula, infatti, acquisirà gli atti relativi alle dichiarazioni di Zucca al dibattito sulla difesa dei diritti internazionali organizzato dall’ordine degli avvocati a Genova. Evento al quale hanno partecipato anche i genitori di Regeni. “Ho fiducia nella legge, negli avvocati bravi e nella stampa buona e abbiamo tanta solidarietà dai social. Ci aspettavamo di più da chi ci governa: dal 14 agosto quando il premier Gentiloni ci ha annunciato che l’ambasciatore tornava in Egitto, siamo stati abbandonati“, ha detto Paola Regeni, madre di Giulio. “Siamo decisi ad andare avanti anche a piccoli passi. Combattiamo per Giulio ma anche per tutti quelli che possono trovarsi in situazioni simili a quelle che lui ha vissuto”, ha aggiunto il padre Claudio.  Alessandra Ballerini, avvocato della famiglia, ha invece ricostruito i depistaggi e la vicenda: “il corpo di Giulio parla da solo e si difende da solo. Siamo arrivati a nove nomi delle forze di polizia implicati”.

Il ritorno dell’ambasciatore  al Cairo e le indagini – Era il 9 novembre 2017, quando il ministro degli Esteri Angelino Alfano annuncia il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo. “Siamo convinti che il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi sia un interlocutore appassionato nella ricerca della verità“. La decisione di riaprire le relazioni diplomatiche con l’Egitto, ricordava nel dicembre scorso la famiglia di Regeni, “seguiva di pochi minuti il comunicato congiunto delle procure italiana ed egiziana nel quale si riferiva che: ‘come preannunciato sempre nel maggio scorso, è stata poi effettivamente affidata ad una società l’attività di recupero dei video della metropolitana e le attività stesse sono in corso. La Procura egiziana ha ribadito l’impegno a condividere i risultati raggiunti non appena la società incaricata depositerà l’esito del proprio lavoro’; e si dava atto di aver ‘concordato un nuovo incontro tra i due uffici da organizzarsi a breve per fare assieme il punto della situazione’. In realtà – ricordava ancora i Regeni  – i video della metropolitana non sono mai stati consegnati e, ad oggi, non si sa neppure se qualche e quale ditta sia stata incaricata del loro recupero. L’incontro tra le due procure poi, diversamente da quanto annunciato, non si è tenuto a breve, ma solo a fine dicembre su insistenza dei nostri procuratori che hanno consegnato ai colleghi egiziani ‘una articolata e attenta ricostruzione dei fatti, effettuata dalla Polizia Giudiziaria italiana’. La Procura generale egiziana si era impegnata, come si legge nel comunicato del 21 dicembre scorso a ‘proseguire le indagini, sulla base anche delle ipotesi investigative formulate dai magistrati italiani’“. Da allora – continuava la famiglia di Giulio  – “non è stata registrata in realtà nessuna ‘reazione’ da parte della magistratura egiziana sulla informativa italiana che ricostruisce le precise responsabilità di nove funzionari di pubblica sicurezza egiziani perfettamente individuati. Sono passati, da quel 14 agosto, altri sei mesi.

L’intervento del giudice del G8 – Ma d’altra parte, come dice il pm Zucca, se i torturatori del G8 di Genova come si fa a chiedere all’Egitto di consegnarci i loro di torturatori? Già in passato, e più volte, il pm Zucca aveva duramente criticato l’operato della polizia con riferimento ai fatti di Genova: in particolare, in un dibattito pubblico aveva parlato di una “totale rimozione” delle vicende del G8 e del rifiuto per anni da parte della polizia italiana, diversamente da quella straniere, di “leggere se stessa” per “evitare il ripetersi” di errori. Immediata era stata la reazione dell’allora capo della polizia, Alessandro Pansa che, d’intesa col ministro dell’Interno dell’epoca – che era sempre Alfano – aveva lamentato la lesione dell’onorabilità della polizia, chiedendo al guardasigilli Andrea Orlando l’avvio di un’azione disciplinare nei confronti di Zucca Magistratura Democratica e la giunta dell’Anm si erano schierate in difesa del pm (‘a tutelà del quale era stata anche chiesta l’apertura di una pratica al Csm), sottolineando come il suo ragionamento non aveva inteso mettere in discussione l’onorabilità della polizia.

Poliziotti condannati e promossi – I riferimenti del magistrato sono da ricercare nei recenti articoli di cronaca. Come quello del 24 dicembre scorso, quando  Gilberto Caldarozzi era stato nominato vicedirettore della Direzione Investigativa Antimafia. Per i fatti della Diaz venne condannato a tre anni e otto mesi in via definitiva. L’accusa era quella di falso: mise la firma nei verbali che attestavano l’esistenza di prove fasulle usate per accusare ingiustamente le persone picchiate all’interno della scuola diGenova, durante il G8 del 2001. Assolto in primo grado nel novembre 2008 dopo 172 udienze, Caldarozzi viene condannato in appello nel maggio 2010 dopo altre 18 udienze: poi su quella condanna arriva il bollo della Cassazione il 5 luglio 2012. Ai tempi del G8 era il più alto in grado, subito dopo Francesco Gratteri, anche lui condannato e promosso prefetto prima di andare in pensione. Considerato un investigatore esperto (ha fatto parte dei gruppi che hanno arrestato boss di Cosa nostra come Bernardo Provenzano e Nitto Santapaola) prima dei fatti della Diaz Caldarozzi dirigeva lo Sco, il servizio centrale operativo della polizia all’epoca guidata da Gianni De Gennaro. Dopo la condanna venne interdetto per cinque anni. Un lustro trascorso lavorando per una banca ma anche come consulente per la sicurezza da Finmeccanica, chiamato sempre dal suo ex capo De Gennaro. Nel 2014 Cassazione scrisse nelle motivazioni sul rigetto del suo affidamento ai servizi sociali: “Si è prestato a comportamenti illegali di copertura poliziesca propri dei peggiori regimi antidemocratici“. Ora scaduta l’interdizione torna a vestire la divisa. E occupando un ruolo prestigioso.  A fare l’elenco degli altri poliziotti coinvolti nei fatti della Diaz e poi promossi è stato sul Fatto Quotidiano Ferruccio Sansa. Quando nel luglio 2012 la Cassazione conferma le pesanti condanne di appello per falso (quell salvate dalla prescrizione a differenza delle lesioni gravi) Gratteri eri capo della Direzione centrale anticrimine,  Giovanni Luperi era capo-analista dell’Aisi (il servizio segreto interno). Filippo Ferri, figlio di Enrico (l’ex ministro socialdemocratico) e fratello di Cosimo (sottosegretario alla Giustizia), guidava la squadra mobile di Firenze. Ancora: Fabio Ciccimarra, capo della squadra mobile de L’Aquila, o Spartaco Mortola capo della polfer di Torino. Nel frattempo l’Italia ha persino approvato una nuova legge contro la tortura, criticata dagli stessi magistrati dei processi di Genova. “Con questa legge la Diaz e Bolzaneto non sarebbero punite”, era il commento del magistrato Roberto Settembre.

 

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/20/regeni-il-pm-zucca-torturatori-del-g8-ai-vertici-della-nostra-polizia-come-possiamo-chiedere-quelli-dellegitto/4240274/

Care donne, non fatevi prendere per i fondelli da questi ignobili cacciatori di consensi… Martina, Pd: “contro femminicidio azioni forti: arresto per gli stalker… Bello vero? Ma solo perchè non ricordate che proprio il Pd ha depenalizzato il reato, punendo lo stalking con una semplice multa!!

 

femminicidio

 

 

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Care donne, non fatevi prendere per i fondelli da questi ignobili cacciatori di consensi… Martina, Pd: “contro femminicidio azioni forti: arresto per gli stalker… Bello vero? Ma solo perchè non ricordate che proprio il Pd ha depenalizzato il reato, punendo lo stalking con una semplice multa!!

 

Idiota o in malafede?

Maurizio Martina: “In Italia viene uccisa una donna ogni 60 ore. È una strage continua. Dobbiamo reagire tutti subito. Occorrono azioni forti, a partire anche dall’introduzione dell’arresto obbligatorio per chi maltratta e per gli stalker”

Rinfrescatevi la memoria:

Da La Stampa del 26.06.2017

“Lo stalking si potrà risarcire con una multa”. Polemica sul ddl penale. Il Pd: allarme infondato

La denuncia dei sindacati: «Donne tradite dallo Stato due volte»

«Lo Stato non può tradire le donne due volte, prima esortandole a denunciare e poi archiviando le denunce, o peggio, a depenalizzare il reato di stalking». La denuncia arriva da Loredana Taddei, responsabile nazionale delle Politiche di Genere di Cgil, Liliana Ocmin, responsabile del coordinamento nazionale donne Cisl e da Alessandra Menelao, responsabile nazionale dei centri di ascolto della Uil: l e tre sindacaliste segnalano di avere scoperto che «nella legge di riforma del codice penale, approvata il 14 giugno 2017, si prevede l’introduzione di un nuovo articolo: il 162 ter, che prevede l’estinzione dei reati a seguito di condotte riparatorie. Uno di questi reati è lo stalking. Senza il consenso della vittima l’imputato potrà estinguere il reato pagando una somma se il giudice la riterrà congrua, versandola anche a rate». 

Il Pd: “Allarme infondato”

Ma la presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti (Pd), bolla come «terrorismo psicologico», l’allarme delle sindacaliste. «Sono dichiarazioni da irresponsabili, senza alcun fondamento». Ferranti spiega: «La riforma del processo penale che prevede la possibilità che il giudice estingua il reato nel caso di riparazione del danno si applica solamente – spiega – ai reati procedibili a querela remissibile. E non è certo il caso del delitto di stalkingche si realizza attraverso minacce gravi e reiterate, casi per i quali la legge sul femminicidio nel 2013 ha espressamente sancito l’irrevocabilità della querela». «La notizia che circola in queste ore è una fake news: l’importanza del reato di stalking e la necessità che le donne denuncino sono principi imprescindibili», sottolinea la deputata del Pd Vanna Iori, responsabile nazionale del partito per l’infanzia e l’adolescenza.

fonte QUI