…Ma Aldo Moro fu davvero rapito in via Fani come fino ad oggi ci hanno voluto far credere?

 

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…Ma Aldo Moro fu davvero rapito in via Fani come fino ad oggi ci hanno voluto far credere?

Aldo Moro fu davvero rapito in via Fani?
Aldo Moro fu davvero rapito in via FaniPrendo spunto da una lettera pubblicata oggi da Il Fatto Quotidiano per rispondere all’interrogativo posto da Ugo Mattei. Primo, basilare interrogativo dei tanti che ancora avvolgono i misteri sulla fine del presidente della Democrazia cristiana.

Il professore pone “due quesiti e un dubbio”. Come mai Moro non è stato ucciso o perlomeno ferito dalla gragnuola di colpi sparati in via Fani contro la Fiat 130, come gli è stato possibile uscire illeso da quel volume di fuoco che è costato la vita ai suoi cinque agenti di scorta? E come mai, pur essendo legato da grande amicizia e affetto agli uomini che quotidianamente proteggevano la sua vita, nelle tante lettere pubbliche e private che ha scritto nei 55 giorni della sua prigionia, non parla mai del loro sacrificio cui pure avrebbe assistito prima di essere prelevato e portato via?

La logica deduzione di Mattei è che Moro non era in via Fani e non è mai salito sulla 130 crivellata dai colpi, più semplicemente è stato rapito “prima”, fatto salire su un’altra vettura da “qualcuno” che lo aveva avvisato del pericolo imminente. Aggiungo, quel qualcuno che doveva avere il volto rassicurante di un uomo delle istituzioni. Diversamente da quanto afferma il professore la questione è stata posta più volte nel corso delle indagini, pur essendo talmente imbarazzante per le soluzioni che sottendeva da non essere mai stata troppo divulgata. Sono quesiti e dubbi che ho coltivato anche io, come cronista presente in via Fani il 16 marzo 1978 e negli approfondimenti successivi da me fatti in articoli e libri, senza arrivare ad alcuna certezza e tuttavia collezionando vari tasselli che ora cercherò di mettere in fila.

Qualora fosse esatta l’ipotesi di Mattei,  il “vero” rapimento di Aldo Moro non può che essere avvenuto nella chiesa di Santa Chiaradove attorno alle 8 quella mattina il presidente si era recato prima di dirigersi a Montecitorio per affrontare la prova più importante della sua vita politica: il varo di un governo con l’appoggio esterno del Pci che dava vita a quel “compromesso storico” che era stato (negli ultimi tempi) il suo obiettivo primario. La testimonianza (da me raccolta quel giorno) di una signora che – affacciata alla finestra della sua casa in via Fani – si disse convinta di aver visto Moro scendere dalla Fiat 130 mi impedisce di accettare in toto tale ipotesi, anche se non l’ho mai scartata del tutto ben sapendo quanto poco siano attendibili le testimonianze di persone che si trovano ad assistere ad eventi tanto devastanti.

Ma nella chiesa di Santa Chiara qualcosa di molto importante quel giorno è successo, ne sono certa. Lo prova il fatto che il caposcorta – il maresciallo Oreste Lonardi  decise di imboccare proprio il percorso che conduceva in via Fani, che pure non era il più logico e neppure il più rapido per arrivare in centro, cadendo nel tranello di passare proprio dove l’agguato era stato preparato nei giorni precedenti e dove erano già ad attendere Moro una ventina o più di killer tra cui “anche” alcuni brigatisticome ha scritto di recente la commissione di Giuseppe Fioroni nella relazione finale. Quel “anche” basta a far capire il ruolo subalterno dei terroristi delle Brigate rosse rispetto ad altre entità presenti sul posto.

Ma ciò conferma anche che quel “qualcuno” – che potrebbe aver prelevato Moro nella chiesa di Santa Chiara e/o aver ordinato al maresciallo Lonardi di passare in via Fani – non poteva che essere un suo diretto superiore, ben conosciuto dal responsabile della scorta di Moro che non avrebbe mai consegnato il presidente a chi si fosse presentato con un semplice distintivo e neppure avrebbe mutato il percorso che come sempre decideva all’ultimo momento senza neppure anticiparlo ai suoi uomini.  Ho molto elucubrato su quale argomento possa essere stato usato per convincere Lonardi e alla fine mi sono convinta che possa essere stato l’allarme lanciato da Radio Città futura pochi minuti prima con cui si annunciava la possibilità che Moro potesse essere rapito, spacciato dal “qualcuno” come conferma di voci raccolte in ambienti estremisti.

Quel poco che sappiamo è che in via Fani c’era il colonnello Camillo Guglielmi, responsabile dei reparti di sbarco e assalto di Capo Marrargiu. Sappiamo anche che con tutta probabilità Lonardi era stato addestrato nella base sarda degli apparati Gladiodella Nato come altri sottufficiali destinati alla protezione di alte personalità politiche. Nessuna conferma  ufficiale, soltanto dubbi e deduzioni. Il colonnello Guglielmi è morto prima della conclusione del primo processo. Una dipartita salutata con un gran funerale che ebbe molta risonanza, quasi a sottolineare l’estraneità dell’ufficiale agli eventi cui aveva accidentalmente assistito nonché la definitiva chiusura di una vicenda processuale oltremodo imbarazzante..

A questi tasselli ne va aggiunto un ultimo che lungi dal chiarire la scena criminis del rapimento Moro allunga nuove, gravissime ombre. L’ultima perizia balistica sull’uccisione dei cinque agenti di scorta ordinata dalla commissione Fioroni sancisce che a tutti fu inflitto il colpo di grazia, quasi a scongiurare la loro sopravvivenza. Che interesse potevano avere i brigatisti rossi a un simile ulteriore massacro? Gli agenti erano tutti o morti o gravemente feriti, non più in grado di reagire aprendo il fuoco contro di loro. Il successivo dubbio è che quel “qualcuno” dovesse eliminare il rischio della sopravvivenza di un testimone in grado di raccontare cosa era davvero accaduto nella chiesa di Santa Chiara.

 

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/11/aldo-moro-fu-davvero-rapito-in-via-fani/4348946/

Sequestro Moro: solo dopo 40 anni qualcuno si accorge del mistero del capo della Digos che “arrivò troppo presto” in via Fani…

Sequestro Moro

 

 

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Sequestro Moro: solo dopo 40 anni qualcuno si accorge del mistero del capo della Digos che “arrivò troppo presto” in via Fani…

 

Sequestro Moro, il capo della Digos che arrivò “troppo presto” in via Fani.

Da Il Fatto Quotidiano del 17 febbraio 2016

L’Alfasud di Domenico Spinella sfrecciava verso il luogo dell’agguato già prima che il centralino della Questura ne desse la comunicazione. La vicenda ripropone il tema degli allarmi che precedettero l’azione delle Brigate rosse. Alcuni parlamentari chiedono l’audizione di di Emidio Biancone, al volante quella mattina.

16 marzo 1978, ore 9.02. Il centralino della Questura di Roma dà l’allarme: “Agguato in via Fani, rapito Moro, ammazzati gli uomini della sua scorta”. Ma in quel momento il capo della Digos della capitale, Domenico Spinella, è già sull’Alfasud targata S88162 che lo porta a tutta velocità nel luogo dell’agguato. E’ andata davvero così? E chi lo avvisò? Sono due pesanti interrogativi ai quali stanno cercando di rispondere gli investigatori della Commissione parlamentare d’inchiesta guidata da Giuseppe Fioroni.

La faccenda è piuttosto seria perché coinvolge uno degli organismi più direttamente impegnati nelle indagini di quelle ore e dei mesi seguenti. L’ipotesi assai consistente è che Spinella – nel frattempo deceduto – si sia precipitato sul luogo della strage perché aveva appreso che stava per scattare l’azione. Forse sperava di arrivare per tempo, di riuscire a bloccarla, sperava di salvare tutti, eroicamente. Invece, arrivò comunque tardi, non deludendo solo le sue intrepide aspettative: se davvero Spinella si mosse prima dell’allarme, c’è da pensare che, dopo il massacro di via Fani, ogni particolare di quei primi momenti sia stato poi coperto, tenuto segreto. Che figura avrebbe fatto la Digos di Roma davanti a quei morti?

L’autista di Spinella, Emidio Biancone, al terzo interrogatorio cui lo hanno sottoposto i collaboratori della Commissione, ha ammesso che partì dall’ufficio centrale alla volta di via Trionfale, e di lì verso via Fani, subito dopo le ore 8,30. “Insisto perché questa storia sia chiarita, chiedo l’audizione di Biancone, che venga a dire come andarono le cose”, ha detto il senatore Federico Fornaro seguito dal collega Gero Grassi: entrambi avevano già avuto modo nei mesi scorsi di affrontare l’argomento, sostenendone l’assoluta rilevanza.

L’audizione di Biancone potrebbe essere dunque molto utile, anche se non è affatto detto che l’ex autista sappia qualcosa dell’eventuale fonte della notizia di Spinella. Ma qui gli elementi investigativi non mancano. Ne ricordiamo solo alcuni. E’ noto che prima del 16 marzo erano giunti vari segnali sull’imminenza di un sequestro di una personalità dello Stato. Lo stesso Domenico Spinella il 22 febbraio 1979 scrisse una relazione per il Questore di Roma spiegando che il 15 marzo 1978 l’allora Capo della Polizia, contattato da un collaboratore di Moro, Nicola Rana, gli disse di recarsi presso lo studio di Aldo Moro per concordare l’istituzione di un servizio di vigilanza dell’ufficio privato del presidente Dc che si trovava in via Savoia: fu deciso anche il giorno della sua attivazione, il 17 marzo. La Commissione ha poi acquisito un documento del 18 febbraio proveniente da Beirut che reca l’intestazione “Ufficio R, reparto D, 1626 segreto”, “fonte 2000”, in base al quale il colonnello Stefano Giovannone riferiva che il suo “abituale interlocutore rappresentante Fplp Habbash” gli aveva parlato di una operazione terroristica di notevole portata che stava per scattare in Italia.

E poi si è tanto parlato dell’annuncio di Radio Città Futura dai cui microfoni il direttore Renzo Rossellini parlò dell’imminente sequestro di Aldo Moro con circa tre quarti d’ora di anticipo rispetto al verificarsi dell’evento: ma la magistratura venne informata della vicenda solo il 27 settembre 1978, quando essa divenne di dominio pubblico grazie al settimanale Famiglia Cristiana. Perché la Polizia mantenne sulla vicenda della trasmissione di Radio Città Futura un così prolungato silenzio, dal 16 marzo al 27 settembre 1978? Eppure il vice questore Umberto Improta conosceva personalmente Rossellini: esisteva da tempo un contatto, un “rapporto privilegiato”, secondo quanto ha riferito alla Commissione l’allora funzionario della Digos Vittorio Fabrizio, fino a oggi mai sentito da nessun inquirente.

E poi le Radio erano attentamente monitorate: è emersa anche l’esistenza di una struttura informale di ascolto, di cui non si è mai saputo nulla, delle trasmissioni di Radio Città Futura e Radio Onda Rossa, le seguitissime emittenti del movimento antagonista romano. Lo stesso questore De Francesco era estremamente sensibile all’ascolto delle Radio, secondo la testimonianza del funzionario Riccardo Infelisi, cugino del magistrato, sentito della Commissione. Davvero impossibile che quella frase di Rossellini non fosse stata raccolta da tante orecchie vigili. E una notizia del genere, ha detto Vittorio Fabrizio, “sarebbe stata portata subito a conoscenza del dirigente dell’ufficio politico”. Cioè Spinella, l’uomo che arrivò troppo presto in via Fani.

 

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/17/sequestro-moro-il-capo-della-digos-che-arrivo-troppo-presto-in-via-fani-la-commissione-vuole-sentire-lautista/2472466/