Cile, la denuncia di Amnesty International: stupri per punire le donne manifestanti. Cari amici, e soprattutto care donne: questo è il fascismo!

 

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Cile, la denuncia di Amnesty International: stupri per punire le donne manifestanti. Cari amici, e soprattutto care donne: questo è il fascismo!

 

In Cile, «stupri per punire le donne manifestanti». Amnesty condanna

Cile. La morte de «La Mimo», Daniela Carrasco, è uno degli ultimi casi Le femministe denunciano le violenze dei carabineros in piazza

«La Mimo», Daniela Carrasco era un’artista di strada. Aveva 36 anni. Una come le altre che in questi mesi hanno invaso le strade e le piazze del Cile. È stata trovata impiccata. Violentata e torturata fino alla morte. Il suo corpo esposto e appeso ad una recinzione alla periferia di Santiago del Cile. Il terrore che passa ancora una volta sul corpo di una donna. Secondo il collettivo femminista ’Ni Una Menos’, pare che il giorno precedente Daniela fosse stata fermata dai militari che l’avrebbero stuprata, torturata e lasciata appesa per ore.

IL SUO VOLTO DA CLOWN ha fatto il giro del mondo e della rete. Si sono subito alzate le voci delle donne e dei coordinamenti femministi che hanno chiesto giustizia e verità sulla morte di Daniela. Alondra Carrillo è una psicologa cilena, la portavoce del coordinamento femminista 8M che chiede la fine dell’impunità che regna nel Paese e le dimissioni del presidente Sebastián Piñera. «Vogliamo che termini questa militarizzazione delle strade – dice Carrillo – Dopo la fine dello stato di emergenza in realtà la repressione continua per mano delle forze speciali dei carabinieri. Più di 220 persone hanno perso un occhio, più di 90 sono state vittime di violenza politica sessuale. Ieri abbiamo registrato un nuovo caso di stupro da parte dei carabinieri. Lo stupro è diventato uno strumento politico e di terrore».

«Le donne sono esposte a due tipi di violenza. La prima è la violenza generale, quella che subiscono tutti in strada, quella degli spari, dei gas lacrimogeni, dei sequestri, delle torture, senza distinzione di genere. L’altra, è la violenza politica di genere che vuole disciplinare il corpo delle donne e delle attiviste, per imporre le norme patriarcali ce ci vogliono fuori dalla strada, fuori dalla politica. Noi diamo un forte contributo all’azione politica in Cile e questa forza l’abbiamo sviluppata nel tempo, siamo uno dei settori più dinamici dei movimenti sociali. Per questo ci vogliono zittire con il terrore. Siamo minacciate, il nostro corpo è diventato un bottino di guerra».

ALONDRA CI RACCONTA che le donne che manifestano subiscono vari genere di violenza anche verbale «i militari quando camminiamo in strada nelle manifestazioni ci mandano i “baci”, si toccano i genitali davanti a noi, ci dicono “vieni signorina, che ci piaci” oppure ci minacciano direttamente di stupro. Lo fanno perché sanno di essere impuniti». Il capo dei carabinieri, il generale Mario Rozas, in una conversazione registrata, assicurava ad un gruppo di carabinieri che nessuno sarebbe stato punito se accusato di commettere violazioni dei diritti umani durante le proteste. «Il governo ha dato pieno appoggio alle promesse di Rozas – dice Alombra – così governa l’impunità totale. Questo Stato criminale dev’essere giudicato a livello internazionale».

«QUI TUTTE LE NOTTI ci sono barricate». A parlare è Victoria Adunalte, femminista, lesbica e attivista. Faceva parte dei giovani studenti in prima linea del ’79 durante la dittatura. È stata arrestata dal regime quando aveva 17 anni. «I giovani anche oggi sono in prima linea, questo mi dà una grande speranza e mi emoziona. Fa parte della storia del nostro Paese. Sono molto grata a questi ragazzi, ma il tema non è solo generazionale ma anche di classe. A protestare sono i poveri del Paese che in Cile sono l’80% della popolazione».

Secondo l’Istituto nazionale dei diritti umani, almeno cinque persone sono morte per mano delle forze di sicurezza e oltre 2300 sono state ferite: di queste, 1400 sono state raggiunte da colpi di arma da fuoco e 220 hanno subito gravi traumi agli occhi. Amnesty International ha condannato le gravi violazioni dei diritti umani: secondo l’associazione, le forze di sicurezza, sotto il comando del presidente Sebastián Piñera – principalmente le forze armate e i carabineros (la polizia nazionale) –, sono responsabili di attacchi generalizzati e dell’uso di una forza non necessaria ed eccessiva con l’obiettivo di colpire e punire i manifestanti.

«Le intenzioni delle forze di sicurezza cilene sono chiare: colpire chi manifesta per disincentivare la partecipazione, ricorrendo all’atto estremo di praticare la tortura e la violenza sessuale contro i manifestanti. Invece di prendere misure per fermare la gravissima crisi dei diritti umani, le autorità appoggiano questa politica della punizione da oltre un mese, col risultato che le vittime di violazioni dei diritti umani aumentano ogni giorno», ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe.

UN RAPPORTO bollato dal governo come «irresponsabile» e contestato dalle Forze Armate cilene: «Nessuna politica di attacchi sistematici contro civili», dichiarano. Nel frattempo i deputati dell’opposizione cilena martedì hanno presentato la richiesta formale di «messa in stato di accusa» del presidente Sebastian Piñera ritenuto politicamente responsabile delle «gravi e ripetute violazioni dei diritti umani occorse nel nostro Paese», ha dichiarato all’emittente Biobio il deputato del Partito Comunista (Pc) firmatario della richiesta, Carmen Hertz. «Pinera deve farsi responsabile di fronte a tutto il Cile per la brutale repressione con la quale ha cercato di zittire il movimento sociale», ha dichiarato da parte sua Camila Vallejo, del Pc. Ad appoggiare la mozione anche esponenti dei partiti di centrosinistra che la settimana scorsa hanno raggiunto un accordo con la coalizione di governo su un referendum per una nuova Costituzione».

IN ITALIA SI ALZANO alcune voci della politica come quella di Gennaro Migliore, capogruppo di Italia Viva in Commissione Esteri alla Camera, che annuncia un’interrogazione al ministro degli Esteri. Nicola Fratoianni invece qualche giorno fa scriveva su twitter: «Il silenzio della comunità internazionale sui fatti cileni è insopportabile. L’Italia per prima faccia la sua parte e interessi l’Ue».

Nel frattempo il coordinamento 8M fa un appello a tutte le donne e alle femministe italiane: «Continuate a sostenerci con azioni di solidarietà femminista, date visibilità alla repressione dello Stato, chiedete al vostro governo italiano e alle istituzioni che non permettano l’impunità, che si ponga fine alle violazioni dei diritti umani che continuano in questo Paese».

Da Il Manifesto

Luigi Manconi: “Il rapporto di Medici Senza Frontiere su stupri e torture in Libia è la brutale risposta alle domande che avevamo posto al Governo” – “Non ha risolto il problema sbarchi, lo ha solo tolto dalla nostra vista”

Medici Senza Frontiere

 

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Luigi Manconi: “Il rapporto di Medici Senza Frontiere su stupri e torture in Libia è la brutale risposta alle domande che avevamo posto al Governo” – “Non ha risolto il problema sbarchi, lo ha solo tolto dalla nostra vista”

“Se gli sbarchi si sono dimezzati nel mese di agosto, dove sono finiti quei tanti che non si sono affidati agli scafisti per attraversare il Mediterraneo?”. La domanda di Luigi Manconi pesa come un macigno sulle spalle del governo. Il senatore del Partito Democratico e Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, fa seguito alla denuncia di Medici senza frontiere, secondo la quale le condizioni di chi non riesce a imbarcarsi dalle coste della Libia sono disumane, con migliaia di persone trattenute in vere e proprie carceri a cielo aperto.

Senatore, la responsabilità di quello che succede sulle coste meridionali del Mediterraneo è anche nostra?
Fino a questo momento nessuno, proprio nessuno, ha smentito una sola delle informazioni contenute nel rapporto di Medici senza frontiere sui campi di detenzione in Libia. Quel rapporto che definisce “orrende” le condizioni dei profughi là reclusi, e che parla di un vero e proprio sistema criminale, fatto di stupri e torture, è la risposta brutale all’interrogativo che qualcuno di noi poneva nelle scorse settimane. Mentre trionfava uno stolido ottimismo sulla riduzione del numero degli sbarchi sulle coste italiane, abbiamo provato a domandare: se gli sbarchi si sono dimezzati nel mese di agosto, dove sono finiti quei tanti che non si sono affidati agli scafisti per attraversare il Mediterraneo? E dove si trovano ora coloro che non hanno raggiunto le coste italiane?

Sono domande che si pongono in tanti…
Gran parte dei non partiti e dei non sbarcati affolla quei campi di detenzione così drammaticamente descritti da Andrea Segre nel suo bel film, L’ordine delle cose, presentato alla Mostra del cinema di Venezia. In altre parole, e il calcolo non è affatto rozzo, il dimezzamento degli sbarchi si deve alla crescita dei prigionieri nei campi in Libia (secondo fonti autorevoli, circa 400 mila).

Stringendo, il nostro esecutivo deve sentirsi corresponsabile?
Dunque, l’esito – almeno quello rilevabile oggi – di tanto recente attivismo del nostro governo sembra essere questo: l’applicazione di un gigantesco tappo, una barriera fisica, e un blocco materiale che ostruisce il canale d’accesso dal Nord Africa al Mediterraneo e alle coste italiane. È come se, alla fine di un concerto o di una partita, mentre la folla defluisce, venissero chiusi i cancelli e serrate le porte. Chi si trova nelle vie adiacenti non si accorge di nulla perché il massacro si consuma all’interno di quello stadio. Tappo è la definizione che, nelle stesse ore, usavamo Emma Bonino ed io e che non è piaciuta a tanti, ma sembra corrispondere esattamente alla realtà. Il risultato è che quella dolente schiera di fuggiaschi che attraversava il mare, quelle barche precarie e quegli esuli spossessati di tutto ora sono sottratti, in gran parte, al nostro sguardo. È esattamente ciò che si chiama rimozione: spostarli dalla nostra vista e, di conseguenza, dalla nostra mente.

Il ministro dell’Interno Marco Minniti ha recentemente garantito, “mettendoci la faccia”, che i diritti umani dei migranti in Libia saranno tutelati. Può bastare?
Il governo italiano attraverso il presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno, annuncia che “ora si penserà alla tutela dei diritti umani dei profughi” in Libia. Ma questo compito è spostato avanti nel tempo. E prevede, comunque, una serie di condizioni che devono essere ancora tutte realizzate. Innanzitutto una presenza adeguata delle strutture e degli uomini delle Nazioni unite in Libia (e non solo di personale libico) e, a loro difesa, un numero consistente di caschi blu. E poi accordi con i soggetti del sistema statuale e politico libico, la cui profonda instabilità rende quegli stessi accordi così difficili e così poco vincolanti: col rischio molto serio di assumere impegni con interlocutori la cui attività non è sempre agevolmente distinguibile da quella delle organizzazioni dei trafficanti di esseri umani.

L’Italia ha sbagliato a fidarsi dei leader libici?
Perché un progetto così arduo abbia una qualche possibilità di successo, condizione preliminare sarebbe quella di non adottare in alcun modo una strategia dei due tempi: prima bloccare i flussi e ridurre gli sbarchi e poi controllare gli standard di tutela dei diritti nei campi di detenzione. Rinviando a chissà quando questa ultima attività, il pericolo è che si ottenga il solo risultato di affidare tante vite umane alle milizie che controllano i campi di detenzione anziché agli scafisti che controllano i viaggi in mare. Ne sarà migliorata l’estetica del nostro paesaggio nazionale e quella dei nostri confini marittimi, non certo la gestione dei flussi migratori.

C’è stato un passaggio da politiche di accoglienza e integrazione alla difesa dei confini tout court, dice lei. Eppure l’integrazione appare quanto mai necessaria visti i recenti drammatici casi degli sgomberi in particolare a Roma… 
Siamo alle solite: la missione italiana in Libia evidenzia un modello di politica dell’immigrazione che già è stato applicato nei mesi scorsi all’interno del contesto nazionale. Il governo dice: mettiamo ordine e controlliamo il territorio, garantiamo la sicurezza e il decoro delle città, combattiamo l’occupazione delle case e la micro-criminalità, poi applicheremo strategie di integrazione. E nel frattempo? Nel frattempo, temo, si saranno fatti tanti di quei guai che sarà difficile porvi rimedio. E, in realtà, è stato proprio il ministro dell’Interno Marco Minniti a rivelare – inavvertitamente o forse no – questo pericolo, quando mi ha detto che, d’ora in poi, non avrebbe autorizzato alcuno sgombero senza che – prima – venissero trovate adeguate soluzioni abitative. Ma, nei fatti, si agisce in maniera esattamente opposta.

fonte: http://www.huffingtonpost.it/2017/09/08/luigi-manconi-allhuffpost-il-rapporto-di-msf-su-stupri-e-torture-in-libia-e-la-brutale-risposta-alle-domande-che-avevamo-posto-al-governo_a_23201736/?utm_hp_ref=it-homepage