La versione di Sankara

 

Sankara

 

 

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La versione di Sankara

È stato un pioniere nella lotta per i diritti delle donne, per l’ambiente e contro la povertà e le ingiustizie sociali. Presidente rivoluzionario del Burkina Faso dal 1983 al 1987, in prima linea contro il neocolonialismo, Thomas Sankara ci offre insegnamenti ancora attualissimi per «inventare il futuro» della sinistra

Non si può effettuare un cambiamento fondamentale senza una certa dose di follia. In questo caso si tratta di non conformità: il coraggio di voltare le spalle alle vecchie formule, il coraggio di inventare il futuro. Ci sono voluti i folli di ieri per permetterci di agire con estrema lucidità oggi. Voglio essere uno di quei folli. Dobbiamo avere il coraggio di inventare il futuro». In questo brano di un’intervista realizzata nel 1985 che potremmo considerare la sua epigrafe, Thomas Sankara, leader rivoluzionario di sinistra che rinominò l’Alto Volta in Burkina Faso, ben sintetizzò il cuore della propria eredità storica e intellettuale. Presidente del Paese africano dall’83 all’87, politico in prima linea contro la povertà, militare difensore della pace e dei diritti umani, chitarrista in gioventù, la «follia» di cui parlò nell’intervista, naturalmente, non è da intendersi nell’accezione patologica del termine. Indica piuttosto il rifiuto di una certa razionalità. Quella, spietata, del pensiero neocolonialista (e neoliberista) che nega l’uguaglianza degli esseri umani ma subordina coloro i quali vivono nel Terzo mondo, legittimando il furto dei loro beni materiali e, in definitiva, della loro possibilità di realizzarsi. In questo senso, il termine “follia” indica un ostinato ed appassionato impegno nel pensare fuori dagli schemi imperialisti e violenti, le «vecchie formule», per rimettere le persone e la loro uguaglianza al centro della politica. Un insegnamento straordinariamente attuale. Al pari – come vedremo – di molti altri che hanno costellato la sua particolare esperienza rivoluzionaria. Uno dei gesti più significativi di capitan Sankara nel modificare l’immaginario dei cittadini, per tagliare definitivamente i ponti col passato coloniale, fu il cambiare nome al Paese in «Burkina Faso», ossia «Terra degli uomini integri». Modificò pure bandiera ed inno nazionale. Volle ricreare un Stato autonomo e libero dalle ingerenze predatorie straniere.

Nelle sue celebri orazioni alle Nazioni unite sono sferzanti le critiche alle forze dominatrici occidentali, e non solo. Memorabile è il suo faccia a faccia col presidente Mitterrand, accolto in modo ben poco “diplomatico” nella ex colonia francese nel 1986, con un discorso che denunciava la compiacenza di Parigi verso il regime dell’apartheid in Sudafrica. Ma Sankara ebbe a condannare anche l’invasione sovietica in Afghanistan. Perché il suo era un socialismo non dogmatico e non allineato. Quando prese il potere con un colpo di Stato, subito si impegnò a migliorare le condizioni di vita del popolo burkinabé. Per lui quella era la vera rivoluzione. Diede il via ad un avveniristico programma di riforme puntando su diritti delle donne, istruzione, sanità, lotta alla povertà, ambiente, taglio degli enormi privilegi della classe dirigente. Priorità che dovrebbero segnare la rotta pure per la sinistra di oggi, e non solo quella africana. Certo, la sua sfida era titanica. Per descrivere le condizioni in cui versava l’Alto Volta basta citare alcuni dati, come fece Sankara stesso all’Onu nel 1984: «Un Paese di sette milioni di abitanti, più di sei milioni dei quali sono contadini; un tasso di mortalità infantile stimato al 180 per mille; un’aspettativa di vita media di soli 40 anni; un tasso di analfabetismo del 98%, se definiamo alfabetizzato colui che sa leggere, scrivere e parlare una lingua; un medico ogni 50mila abitanti; un tasso di frequenza scolastica del 16%». E poi, l’enorme zavorra del debito internazionale, che egli voleva cancellare con una..

fonte: https://left.it/2020/01/02/la-versione-di-sankara/

 

 

Le Sardine hanno portato fosforo a sinistra: per questo la destra le teme e cerca di screditarle

 

Sardine

 

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Le Sardine hanno portato fosforo a sinistra: per questo la destra le teme e cerca di screditarle

Il movimento è l’unica vera novità politica degli ultimi dieci anni. Sono anti-fascisti, contro l’odio di Salvini e Meloni, contro il populismo e per la solidarietà: un vero progetto politico

In una settimana, con un post sui social e il passaparola in rete, hanno riempito Piazza Maggiore come non si vedeva da anni e oscurato Salvini, sceso quella stessa sera – il 14 novembre – al Paladozza per annunciare l’imminente liberazione dell’Emilia-Romagna dal governo dei rossi. Hanno inventato il “primo flash mob ittico della storia” con lo slogan “Bologna non si Lega”, le sardine di stoffa, carta e cartone al posto delle bandiere e 15mila persone strette nella piazza, neanche a dirlo, come sardine. Il successo dell’iniziativa è diventato virale. Nel giro di qualche settimana quell’idea, quel movimento nato a Bologna si è diffuso e replicato in decine di città, in tutta Italia, perfino in alcune città d’Europa e d’Oltreoceano. Ovunque con le piazze strapiene. Con una inedita, grande partecipazione di giovani. Sempre in concomitanza con i comizi di Salvini, che ha subito il colpo ed è stato costretto a rifugiarsi nei luoghi chiusi per sfuggire al confronto. Con un effetto gerovital sul Pd post-renziano, che sembra essersi rianimato, ha provato a ridefinire la propria identità svoltando un po’ a sinistra nella convention delle idee “tutta un’altra storia” e ha ritrovato il coraggio della piazza riempiendo a sua volta Piazza Maggiore con il lancio della campagna elettorale di Bonaccini.

Le Sardine hanno dunque messo in fuga il Capitone e dato un po’ di fosforo al Pd e alla sinistra. Questo è ciò che finora ha prodotto quel movimento. Ma che succederà ora? I critici, a cominciare dai media della destra ma non solo, sono già al lavoro per screditarlo. “Siete figli di Prodi”. “Siete fiancheggiatori occulti del Pd”. “Siete solo contro Salvini”. “Non avete un programma politico”. “Diteci cosa fareste sull’Ilva, il Mes, la giustizia, gli immigrati”. “Diteci chi vi paga”. Questo un sintetico riassunto delle accuse, il Sallusti pensiero. Mattia Santori, il leader del movimento, per ora non s’è sbilanciato e non si è fatto incasellare. Ha annunciato che dopo la manifestazione del 14 dicembre a Roma le varie Sardine si ritroveranno per definire assieme un manifesto comune e un coordinamento nazionale.

Ma qualcosa di più si può già dire. Intanto che il movimento delle Sardine è l’unica vera novità politica degli ultimi dieci anni. Più simile a quello per il clima e l’ambiente nato da Greta Thumberg che a quello dei Cinquestelle nato anch’esso a Bologna, 12 anni fa, con il famoso Vaffaday di Beppe Grillo. Poi che è un movimento prevalentemente di giovani e di società civile che, mobilitando le menti invece delle pance, va controcorrente rispetto al sovranismo dilagante e alla narrazione del popolo che sta con le destre di Salvini e della Meloni (narrazione incentivata anche dall’ultimo Rapporto Censis, che fotografa una metà del Paese favorevole all’uomo solo al comando).

Non è una caso che come canzone le Sardine abbiano scelto “Com’è profondo il mare” di Lucio Dalla. Che recita:

“…Frattanto i pesci/dai quali discendiamo tutti/assistettero curiosi/al dramma collettivo/di questo mondo/che a loro indubbiamente/doveva sembrar cattivo/e cominciarono a pensare….

È chiaro/che il pensiero dà fastidio/anche se chi pensa/è muto come un pesce/anzi è un pesce/e come pesce è difficile da bloccare/perché lo protegge il mare/com’è profondo il mare/

Certo/chi comanda/non è disposto a fare distinzioni poetiche/il pensiero come l’oceano/non lo puoi bloccare/non lo puoi recintare/ci stanno bruciando il mare/ci stanno uccidendo il mare…”

La potenza del messaggio è evidente. Se si aggiunge che le Sardine sono dichiaratamente contro Salvini, Meloni, la politica dell’odio, contro il razzismo, la discriminazione, il populismo e le fake news; che non sono contro la politica, ma a favore di una politica con la P maiuscola, che riparta dalle piazze rimettendo al centro la solidarietà tra le persone; che hanno una natura chiaramente antifascista e un orientamento di sinistra, la domanda che viene da fare è: non è forse già un programma politico questo?

 

fonte: https://www.globalist.it/politics/2019/12/08/le-sardine-hanno-portato-fosforo-a-sinistra-per-questo-la-destra-vuole-screditarle-2050126.html

 

 

Gino Strada: “Non vedo più la sinistra, ma solo comitati d’affari”

 

Gino Strada

 

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Gino Strada: “Non vedo più la sinistra, ma solo comitati d’affari”

A inizio anno ha vinto il premio “Sunhak Peace 2017”, assegnato a personalità e organizzazioni che si distinguano per il loro contributo alla pace e allo sviluppo umano. Il 10 febbraio, invece, ha posato con Renzo Piano la prima pietra per la costruzione di un centro di chirurgia pediatrica d’eccellenza in Uganda. Gino Strada è il fondatore di Emergency: “Oggi”, dice, “parlare di pace è considerato irreale e utopistico. Noi siamo contro la guerra in un mondo in cui non esiste più un partito, un’organizzazione internazionale che la ripudi davvero”.
Qual è l’ultima scommessa di Emergency?Stiamo lavorando per riprendere a operare nel nostro ospedale di Erbil, nel Kurdistan iracheno, che avevamo lasciato qualche anno fa alle autorità locali. Su richiesta del governo curdo e dell’Unione europea, riprenderemo a curare lì i feriti che arrivano da Mosul, dove si combattono l’esercito iracheno e gli uomini di Daesh, con attacchi indiscriminati alle aree abitate dai civili e i residenti in fuga usati come scudi umani.
Quali sono le attività di Emergency oggi nel mondo?Dalla sua fondazione, nel 1994, Emergency ha curato gratuitamente 8 milioni di persone. Le nostre attività sono soprattutto chirurgia di guerra, pediatria e maternità: in Afghanistan, per fare un esempio, abbiamo tre ospedali chirurgici, un centro maternità – che abbiamo dovuto raddoppiare perché non ci stavamo più dentro – e una quindicina di cliniche. In Sudan, abbiamo un centro di cardiochirurgia, un ospedale pediatrico per il trattamento del colera e una clinica pediatrica in un grosso campo di rifugiati che raccoglie dalle 600 alle 800 mila persone. E siamo anche in Sierra Leone e nella Repubblica Centrafricana.
Avete attività anche in Italia. A Milano si vedono i camion rossi di Emergency per l’assistenza agli stranieri.Siamo a Milano, a Marghera, a Palermo e in diversi posti della Sicilia. A Polistena, in Calabria, abbiamo un ambulatorio fisso. Poi ci sono gli ambulatori mobili che seguono i migranti che si spostano per i raccolti. Ce n’è uno a Ponticelli, Napoli, e uno sportello di assistenza a Sassari. Faccio fatica a star dietro a tutte le cose che apriamo.
In Italia non assistete più solo gli stranieri.Quando abbiamo cominciato, nel 2006, pensavamo di occuparci solo di migranti. Ora invece ci occupiamo anche di italiani poveri che non riescono più a curarsi come si deve perché la sanità, che dovrebbe essere gratuita, non lo è più. Il sistema sanitario sta diventando privato. Il paziente deve pagare. Magari non molto, ma quel non molto per tanti è troppo.
In Europa e nel mondo intanto si innalzano muri.Negare asilo ai rifugiati è vergognoso. Ma è anche la fine dell’Europa, che non era nata sull’idea dell’esclusione, della fortezza assediata. Ci riempiamo la bocca di parole come “globalizzazione”, diciamo che il mondo non ha più confini, quando in realtà i confini non ci sono solo per le merci. Soltanto gli imbecilli possono pensare di fermare migrazioni che nella storia non è mai stato possibile fermare. Ogni sera, una persona su nove va a dormire affamata. Come possiamo essere sorpresi che milioni di esseri umani lascino la loro casa e si mettano in viaggio per sfuggire alla povertà e alla guerra?
Anche la sinistra pensa a come “governare” i flussi migratori.Io non so che cosa sia la sinistra. Capisco cos’è destra e sinistra se si parla del codice stradale, se si parla di politica non lo capisco più. Del resto, anche in Italia, la miglior politica di destra l’ha fatta la sinistra. Bisognerebbe tornare a discutere di valori e di principi fondamentali, invece ormai i governi sono in modo spudorato semplicemente dei comitati d’affari delle multinazionali. Il primo problema che dovrebbero affrontare è quello della guerra, da rifiutare sempre e comunque, non “questa no”, “quella sì”. Questo atteggiamento ha fatto fallire anche le istituzioni internazionali: l’Onu fu creata per impedire la guerra, invece da allora nel mondo ci sono stati 160 conflitti. È finito: il suo Consiglio di sicurezza è diventato il consiglio degli armaioli del mondo, che producono e vendono armi per i conflitti. Se vogliamo sperare che l’umanità sopravviva, dobbiamo smettere di ammazzarci.
da: Il Fatto quotidiano, 19 febbraio 2017
fonte QUI

Gino Strada: “Salvini? Ha l’elemento più caratteristico del fascismo, cioè il razzismo. Sinistra? Non ha nulla da dire”

 

GINO STRADA

 

 

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Gino Strada: “Salvini? Ha l’elemento più caratteristico del fascismo, cioè il razzismo. Sinistra? Non ha nulla da dire”

Salvini? Mi sembra che in lui ci sia l’elemento più caratteristico del fascismo, che è il razzismo. Come scriveva Umberto Eco, non esiste fascismo senza razzismo. La sua politica, ciò che dice e ciò che ha fatto rispetto ai migranti, sono lì a testimoniarlo”.  Dopo la polemica del 25 aprile, così Gino Strada ribadisce il suo pensiero su Salvini.

E aggiunge: “Una persona che non ha nessuna considerazione per la vita umana e per i diritti altrui è un fascista e un razzista, perché in questo momento tutto si focalizza sulla questione migranti, creando poi delle falsità. Adesso è saltato fuori che i 600mila migranti da rimpatriare sono diventati 90mila. Però nessuno è stato rimpatriato. E allora che è successo? Sono morti di vecchiaia? E sorvolo su tutte le sciocchezze e le bugie finalizzate a creare questo clima di odio e di paura“.

Il fondatore di Emergency sottolinea: “Tutto questo non mi sembra bello. E mi riferisco anche alla legittima difesa e all’insistere sulle armi. Forse perché ho vissuto 30 anni della mia vita in posti dove intorno c’erano tante e troppe armi, ma io non mi sento sicuro in un Paese pieno di armi. Mi sento più sicuro in un Paese pieno di asili nido, di scuole, di conferenze, di concerti“.

Strada, infine, si sofferma sullo stato della sinistra: “C’è un silenzio molto preoccupante. Credo che la ragione di quel silenzio stia nel fatto che a sinistra non hanno nulla da dire, perché non credono più a quello a cui i loro padri credevano. In questo Paese per molti anni c’è stata una voglia di uguaglianza, di giustizia sociale, di democrazia vera e non di giochini. Ed era un sentimento molto bello e profondo su cui poi costruire una società solidale. Adesso quali sono i valori? L’uguaglianza, la giustizia sociale, la pace sono ancora valori della sinistra?”.

 

Tratto da Il Fatto Quotidiano del 27 aprile 2019

 

Mannoia: la sinistra si scusi per averci traditi e costretti a sbagliare votando altri

 

Fiorella Mannoia

 

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Mannoia: la sinistra si scusi per averci traditi e costretti a sbagliare votando altri

La cantante: “certa sinistra saccente e intollerante si comporta peggio della peggior destra. Andiamo avanti così, facciamoci del male”

Solo ieri Fiorella Mannoia aveva annunciato il suo dietro-front dal M5s, invitando a votare la Sinistra di Nicola Fratoianni alle prossime europee e concendendo peraltro al Pd l’uso della sua canzone ‘il peso del coraggio’.
Ma, vista la solita valanga di commenti negativi sulla sua scelta di appoggiare il M5s, la cantante ha deciso di mettere in chiaro le cose: su Facebook, infatti, scrive: “Quando la mia sinistra, quella che ho sempre votato da quando ne ho diritto dai Pci, Pds, Ds, L’Ulivo, Pd e tutte quelle altre diavolerie di nomi che gli hanno affibbiato nel corso di questi decenni, chiederà scusa a me e una larga percentuale di gente che ha votato da un’altra parte perché si è sentita tradita, solo allora chiederò scusa anche io. Chiedetevi dove sono andati a finire tutti i voti persi e perché. A volte tanta gente di “sinistra” con la loro intolleranza e saccenza, si comporta come la peggiore destra. Ma sì, andiamo avanti così, facciamoci del male”

Il Pd che fa finta di essere ancora vivo – Piazza del Popolo, dicono 70.000, poi scendono a 50.000. Repubblica ribadisce 70.000, ma si smentisce con i suoi stessi video. Erano da 10 a 20.000… Ricordiamo che Berlinguer 40 anni fa portò in piazza 500.000. Come siamo caduti tanto in basso?

 

Piazza del Popolo

 

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Il Pd che fa finta di essere ancora vivo – Piazza del Popolo, dicono 70.000, poi scendono a 50.000. Repubblica ribadisce 70.000, ma si smentisce con i suoi stessi video. Erano da 10 a 20.000… Ricordiamo che Berlinguer 40 anni fa portò in piazza 500.000. Come siamo caduti tanto in basso?

 

 

Innanzitutto quanti erano a Piazza del Popolo per la manivestazione del Pd?

L’organizzazione prima sbandiera un fin troppo fantasioso 70.000 persone. Siccome questa è grossa pure per loro, si sono poi “ridimensionati” a 50.000 (anche se qualche voce interna balbetta un eretico 25.000).

Tanto per fare numeri, ricordiamo che Piazza del Popolo è 17.100 mq e quindi avrebbe una capienza massima e teorica di 68.400 persone (4 persone a metro quadro), cioè quei 70 mila che il Pd favoleggia.

E infatti Repubblica inneggia con enfasi ai fantomatici 70.000, smentendosi però con i suoi stessi video (GUARDA QUI) dove, nonostante le inquadrature fatte ad arte, è chiaro che la piazza è piena per un quaro, forse un quinto…

Vogliamo essere buoni, hanno portato in piazza da 10 a 20.000 mersone…

Signori, questo è il Pd… Questo partito, quando c’era Lui (e per Lui intendo proprio Lui, Enrico Berlinguer) in piazza ne venivano mezzo milione!

Leggete un po’ questo:

Era il Settembre del 1977 – 40 anni fa – e per Berlinguer che chiudeva Festa dell’Unità 500.000 persone (per capirci, il doppio rispetto al mega-concerto di Vasco) …Ma come cazzo siamo caduti tanto in basso fino a Matteo Renzi?
18 settembre 1977: al parco Ferrari in mezzo milione per Berlinguer, il doppio rispetto a Vasco

Era il 18 settembre del 1977, Enrico Berlinguer, il capo del Partito comunista italiano, chiudeva a Modena – sul palco dell’ex Autodromo (oggi parco Ferrari) la Festa nazionale dell’Unità. ‘Duecentomila metri quadrati del prato non sono bastati ad accogliere i compagni, i simpatizzanti, gli elettori del Pci che da ogni dove sono venuti ad ascoltare il segretario generale del Pci che chiude il Festival. Quanti sono? Ogni calcolo perde qualsiasi senso di fronte all’impressionante spettacolo di questa folla gigantesca che ha invaso e colmato tutti gli enormi spazi dell’autodromo in cui dal nulla era sorta la città-festival‘. Così L’Unità di allora descriveva l’evento. Si stimarono oltre mezzo milione di persone. Il doppio rispetto al mega-concerto di Vasco Rossi.

Nel recuperare quei giornali, nel leggere gli articoli di un’epoca che non c’è più, resta un’amarezza profonda. La consapevolezza di quanto oggi sia stato tradito del Credo di allora. Resta l’invidia per un tempo in cui si poteva dire – citando Gaber – senza timore di essere smentiti che ‘Berlinguer era una brava persona e Andreotti non lo era, una brava persona’.

Come siamo caduti così in basso?

Io, iscritto al PCI di Berlinguer, vi spiego perché ho votato 5 Stelle

 

Berlinguer

 

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Io, iscritto al PCI di Berlinguer, vi spiego perché ho votato 5 Stelle

“Non risultano, per il momento, clientele strutturate, né rapporti con la criminalità organizzata facenti capo al M5S: perciò i voti dati a questo partito, qualunque giudizio se ne voglia dare, devono essere considerati voti d’opinione. Il patto secolare tra il padronato del Nord e il notabilato del Sud ha perduto uno dei contraenti”

di Massimo Finocchiaro

Una volta Enrico Berlinguer partecipò a un’assemblea della mia sezione. Era la fine primavera del 1979. Una settimana prima le elezioni erano andate male, e il segretario del partito voleva rendersi conto di persona di cosa non avesse funzionato. Ma non venne per parlare, se avesse voluto l’avrebbe fatto davanti a molte migliaia di persone in piazza. No, restò lì in sezione per tre ore ad ascoltare pazientemente gli interventi dei militanti, e alla fine ringraziò tutti, anche quelli che erano stati più critici nei confronti della linea politica del momento (il “compromesso storico”).

Erano tempi drammatici: Cosa nostra e le BR avevano alzato il tiro sulle istituzioni che, come avremmo saputo dopo, erano insidiate dall’interno dalle trame di Gelli; capo del governo era un Andreotti sodale dei mafiosi e Craxi stava trasformando il vecchio e glorioso Psi in un comitato d’affari sporchi.

Eppure l’Italia non deragliò: c’era il PCI (È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all’opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell’Italia e delle sue povere istituzioni democratiche. Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico…).

Certo, non era un partito perfetto, il PCI. Starci dentro qualche volta non era facile. E non è che i comunisti fossero uomini e donne necessariamente e antropologicamente diversi e migliori degli altri, come si è constatato molti anni dopo. Piuttosto, la differenza stava a mio modo di vedere in un modello politico di rappresentanza che quel partito incarnava, in una tradizione, in un’etica e un’intelligenza collettive che facevano premio sulle possibili debolezze dei singoli.

Per questo, almeno fino a un certo momento storico, i comunisti sembravano e spesso erano veramente irriducibili al sistema di relazioni informali che ha sempre detenuto il potere in Italia. In questo, e non in capziose accuse di immaturità democratica, stava del resto il fondamento della diffidenza (il famoso “fattore K”) che il resto del mondo politico riservava al PCI.

Ma bando alle nostalgie. Come tutte le cose umane, il PCI aveva avuto un inizio, e avrebbe dovuto per forza avere una fine, prima o poi. A poco a poco, se non altro per ragioni anagrafiche, la generazione di dirigenti formata negli anni durissimi della lotta clandestina, della guerra di Spagna, della Resistenza, dovette cedere il passo a una nuova leva. La quale cominciò a frequentare i salotti buoni, a guardare le quotazioni di Borsa e a chiedersi se valeva la pena di continuare a chiamarsi comunisti.

Qualcuno dice che questa trasformazione sbloccò infine il sistema politico, rendendo possibile la stagione di Mani Pulite. Può darsi. A che prezzo, però. Quella che avrebbe potuto essere un’occasione storica di rigenerazione del Paese fu perduta, perché quando Silvio Berlusconi decise di “scendere in campo” si trovò di fronte non “i comunisti”, come diceva lui, ma solo la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto.

E Berlusconi vinse, e avendo già guastato il calcio e le tv libere (una volta si chiamavano così), continuò a guastare quel che di buono era rimasto in Italia, compresi i suoi avversari. Il resto è infatti una storia di progressiva perdita, da parte del principale partito della sinistra, di identità e di valori, di distacco dal mondo del lavoro, perfino di mutazione antropologica, coi militanti generosi di sé per il partito e per l’idea ineluttabilmente scacciati da piccoli arrivisti alla ricerca di opportunità personali.

Per me, il punto di di non ritorno fu l’aggressione alla Serbia, nel 1999, da parte del governo guidato da Massimo D’Alema. Mortificata platealmente la Costituzione della Repubblica nello spirito e nella lettera, mi sentii mortificato anch’io, e abbandonai un partito che non mi rappresentava più.

Ho perciò guardato da fuori le successive vicende di quella parte politica, sempre più estraneo e deluso, nella speranza di una resipiscenza che non veniva mai, fino alla fusione con gli ex democristiani nel Partito Democratico, che ai miei occhi ne ha reso definitiva la fuoriuscita dall’alveo della sinistra.

Proprio in quel torno di tempo, la notizia delle scorrerie in politica di Beppe Grillo mi aveva incuriosito, e così cominciai a frequentare il famoso blog. Mi feci l’idea che l’ambizione iniziale fosse limitata alla costituzione di un movimento del due o tre per cento, sul modello del partito radicale di Pannella, ma con l’accento su temi ambientali e legalitari più che sui diritti civili; e che l’obiettivo fosse di piazzare qua e là nei Consigli comunali o provinciali un paio di rompicoglioni che facessero un po’ di casino.

La novità era senza dubbio nel metodo, e cioè nell’uso della rete per strutturare e coordinare i gruppi locali, che aveva tra l’altro il grande vantaggio di azzerare i costi di organizzazione e l’effetto collaterale di rivolgersi soprattutto ai più giovani.

Le prime prove elettorali del M5S non furono un successo travolgente, ma ci furono comunque degli eletti e lì cominciarono i problemi. Per quanto Grillo avesse dato prova di intuito, audacia, capacità di comunicazione, e anche di serietà (chi è più serio di un comico di professione?), e contasse sulle doti organizzative di Casaleggio, il nascente movimento mi sembrava oscillare tra l’illusione della democrazia diretta e la realtà di una gestione che definire dispotica è poco.

Qualcuno ricorderà le intemerate contro quel paio di militanti che avevano (nientedimeno!) accettato di partecipare a un talk show, o il trattamento riservato a Pizzarotti, primo sindaco del M5S. Comunque la cosa che mi colpì di più fu la canea urlante dei frequentatori del blog, gente apparentemente incapace di accettare un confronto civile per argomenti e non per slogan, ultras della curva più che militanti politici. Anche se, devo ammettere, questo fenomeno è diventato da un po’ di tempo ubiquitario, e in fondo il mezzo è il messaggio.

A partire dalle voto regionale siciliano del 2013, per il M5S comincia un’altra storia, e precisamente quella di un movimento di massa che cresce da un’elezione all’altra, conquista città importanti come Roma e Torino, e si candida seriamente alla guida del governo. Un successo inizialmente imprevisto, che ha certamente spiazzato Grillo, il quale non credo si prospettasse veramente la presa del potere e meno che mai nutrisse propositi di dominio personale, come dimostra il suo “passo di lato”.

E da quando è diventato un partito di massa, il M5S è anche diventato “populista”. Non mi figuro esattamente cosa voglia dire “populista” nell’attuale linguaggio politico, ma ho una teoria in proposito.

Molti anni fa fu coniato l’aggettivo “qualunquista”, con riferimento al Movimento dell’Uomo Qualunque, partito di destra presente alle elezioni dal 1946 a 1949. Col tempo, tale qualificazione perdette l’attribuzione originaria e venne di moda usarla (da sinistra) per liquidare con disprezzo una qualsiasi posizione politica altrui con cui ci si trovasse in disaccordo.

Oggi, solo le persone molto anziane e gli amanti del vintage dicono ancora “qualunquista”. Gli altri preferiscono ormai l’aggettivo “populista”, con lo stesso identico generico (e inutile) significato. La riprova è che viene usato per accomunare movimenti politici antitetici come quello fondato da Grillo e la Lega ex-Nord.

Non credo che il M5S sia definibile qualunquista o populista. Piuttosto mi pare un fenomeno magmatico nel quale si agitano pulsioni prepolitiche a volte confuse, ma anche uno straordinario esperimento sociologico: un partito politico nato dal basso, privo di risorse e di appoggi importanti, che in pochissimo tempo drena i consensi di competitori saldamente installati al potere, e diventa il primo partito.

E ciò è accaduto nonostante un’infinità di errori piccoli e grandi che denunciano la natura naïf e la mancanza di cultura politica del Movimento, dei suoi fondatori come dei suoi militanti. Tutto questo va spiegato, e io me lo spiego così: evidentemente preesisteva nella nostra società la diffusa sensazione che le forze politiche nel loro insieme non fossero più capaci di interpretare il loro ruolo di rappresentanza, e cioè che esse fossero sempre più autoreferenziali e lontane dalla realtà.

Il movimento di Grillo ha intercettato questo sentimento. Non hanno importanza le promesse elettorali a cui nessuno crede veramente, e che peraltro sono state diffuse a piene mani da tutti gli schieramenti, non è importante la competenza, vera o presunta, che può essere utilizzata anche per fini meno che commendevoli: quello che conta è la credibilità della rappresentanza, e a fronte delle altre forze politiche e specialmente del PD, il M5S è stato ritenuto da milioni di persone, a torto o a ragione, magari solo perché è nuovo, più credibile.

Per quel che mi riguarda, come credo di aver svelato, la credibilità dei 5 Stelle è ancora da dimostrare. Ciononostante, alle ultime elezioni li ho votati egualmente, perché dal mio punto di vista l’imperativo del momento era di scongiurare l’ultimo colpo di coda di un ‘Caimano’ decrepito, ma ancora pericoloso.

Nessun altro voto avrebbe potuto contribuire al raggiungimento di questo obiettivo, data la pessima legge elettorale appena inaugurata: non quello a Potere al Popolo, che non aveva possibilità di superare il quorum, e sarebbe stato un voto sprecato; non quello a Liberi e Uguali, perché, a parte ogni altra considerazione, non era in grado di competere per la quota uninominale, e sarebbe stato un voto dimezzato; non quello al PD, o alle formazioni satelliti, perché, sempre a parte ogni altra considerazione, non vedevo alcuna garanzia che il mio suffragio non sarebbe stato utilizzato per negoziare un accordo proprio con Berlusconi.

Ora, a urne chiuse, credo d’aver fatto bene.

Ma vorrei in ultimo sottolineare una novità delle ultime elezioni, che non mi pare sia stata adeguatamente considerata dai commentatori che mi è capitato di ascoltare o di leggere. Non risultano, per il momento, clientele strutturate, né rapporti con la criminalità organizzata facenti capo al M5S: perciò i voti dati a questo partito, qualunque giudizio se ne voglia dare, devono essere considerati voti d’opinione.

Il Sud d’Italia ha tributato ai 5 Stelle un consenso veramente notevole, vicino alla metà dei voti. Ciò significa che il voto di scambio e il voto controllato dalle mafie, una costante della storia elettorale del Mezzogiorno fin dall’Unità, sembrano in queste elezioni come scomparsi, evaporati. E che il patto secolare tra il padronato del Nord e il notabilato del Sud ha perduto uno dei contraenti.

I meridionali hanno forse votato, per la prima volta a memoria d’uomo, in modo libero? Spero che sia così. E spero che continuino così.

Foto tratta da ilfattoquotidiano

Il vero verdetto di queste Elezioni: la sinistra italiana c’è, ma vota M5S!

sinistra

 

 

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Il vero verdetto di queste Elezioni: la sinistra italiana c’è, ma vota M5S!

 

Elezioni 2018, la sinistra italiana c’è ma vota M5S

L’Istituto Cattaneo ha analizzato il flusso di voti in alcune delle principali città italiane: il dato che emerge è che il Pd è il principale sconfitto di queste elezioni, e che il 15-20% del suo elettorato è confluito nel M5S.

Dove sono finiti i voti che aveva raccolto il Partito democratico nel 2013? Secondo l’Istituto Cattaneo sono confluiti in larga parte nel M5S. Le analisi sul voto del 4 marzo  si sono concentrate finora sulla “scomparsa della sinistra”. Ma gli elettori che storicamente hanno sempre votato a sinistra sono evidentemente alla ricerca di altri punti di riferimento in Parlamento.

“Il dato varia naturalmente da città a città ma è evidente che la quota più consistente, tra il 15 e il 20%, delle perdite del Pd rispetto al voto espresso nel 2013 è confluita nel Movimento. È sicuramente il dato più rilevante di queste elezioni perché connota ideologicamente il partito di Luigi Di Maio pur trattandosi appunto di un partito post-ideologico”. A dirlo è Marco Valbruzzi dell’Istituto Cattaneo di Bologna, in un’intervista all’Huffington Post. In termini di percentuali si parla del 15-20% degli elettori dem che non hanno voluto riconfermare il loro consenso al partito di Renzi. Secondo le analisi del Cattaneo, che passano in rassegna alcuni centri urbani italiani sia al Nord sia al Sud, emerge per esempio che a Brescia il 20% degli elettori Pd del 2013 ha scelto il M5S; a Parma poco meno del 7%; a Livorno il 26%; a Firenze circa il 13%; a Napoli addirittura il 30%.

A Brescia, secondo lo studio, Il Pd ha ceduto punti anche a Leu (l’1,8% del corpo elettorale), mentre gli ex elettori dem che hanno preferito l’astensione sono l’1,8%; la Lega è stata preferita al Pd dall’1,6% degli elettori. A Parma, città del sindaco Pizzarotti, ex-5stelle, guardando lo spostamento dei flussi con la lente di ingrandimento, si può notare che il 5,5% del corpo elettorale va dal Pdl alla Lega, il 5,7% compie il passaggio dal M5s e il 2,2% proviene dal Pd.

Per quanto riguarda il capoluogo fiorentino, e in particolare il collegio Firenze 1 il Pd ha ceduto al M5s il 4,0% del corpo elettorale, a Leu il 2,9%, alla Lega il 2,0%,  e il 1,7% dei suoi vecchi elettori ha preferito l’astensione. Il M5s ha beneficiato di questa perdita del Pd ma ha ceduto buona parte di questi voti alla Lega (2,5% del corpo elettorale).

Livorno è una città rappresentativa di questa dinamica, perché tradizionalmente considerata roccaforte “rossa”, è oggi governata da un sindaco pentastellato, Nogarin: qui il Movimento attrae 7,8% del corpo elettorale che un tempo avrebbe votato Pd.

A Napoli, di cui il report del Cattaneo analizza i flussi nei collegi San Carlo (Napoli 5) e Ponticelli (Napoli 6), si conferma la stessa tendenza: il 3,6% dei voti è passato dal Pd al M5s. Stessa dinamica nel collegio Napoli 6 M5s riesce ad attrarre voti sia dal centrosinistra (inteso come area Pd e Sel) sia dal centrodestra (Pdl). Anche se in questo collegio risulta particolarmente forte il recupero dal bacino del non-voto.

Complessivamente si può dire quindi che se è vero che il Pd è il principale sconfitto di queste elezioni, allo stesso tempo nelle città del Nord e del Centro il M5S è andato meno bene, per la forte attrattiva della Lega.

 

Tratto da: https://www.fanpage.it/la-sinistra-italiana-c-e-ma-vota-m5s/

 

 

Era il Settembre del 1977 – 40 anni fa – e per Berlinguer che chiudeva Festa dell’Unità 500.000 persone (per capirci, il doppio rispetto al mega-concerto di Vasco) …Ma come cazzo siamo caduti tanto in basso fino a Matteo Renzi?

Berlinguer

 

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Era il Settembre del 1977 – 40 anni fa – e per Berlinguer che chiudeva Festa dell’Unità 500.000 persone (per capirci, il doppio rispetto al mega-concerto di Vasco) …Ma come cazzo siamo caduti tanto in basso fino a Matteo Renzi?

18 settembre 1977: al parco Ferrari in mezzo milione per Berlinguer, il doppio rispetto a Vasco

Era il 18 settembre del 1977, Enrico Berlinguer, il capo del Partito comunista italiano, chiudeva a Modena – sul palco dell’ex Autodromo (oggi parco Ferrari) la Festa nazionale dell’Unità. ‘Duecentomila metri quadrati del prato non sono bastati ad accogliere i compagni, i simpatizzanti, gli elettori del Pci che da ogni dove sono venuti ad ascoltare il segretario generale del Pci che chiude il Festival. Quanti sono? Ogni calcolo perde qualsiasi senso di fronte all’impressionante spettacolo di questa folla gigantesca che ha invaso e colmato tutti gli enormi spazi dell’autodromo in cui dal nulla era sorta la città-festival‘. Così L’Unità di allora descriveva l’evento. Si stimarono oltre mezzo milione di persone. Il doppio rispetto al mega-concerto di Vasco Rossi.

Nel recuperare quei giornali, nel leggere gli articoli di un’epoca che non c’è più, resta un’amarezza profonda. La consapevolezza di quanto oggi sia stato tradito del Credo di allora. Resta l’invidia per un tempo in cui si poteva dire – citando Gaber – senza timore di essere smentiti che ‘Berlinguer era una brava persona e Andreotti non lo era, una brava persona’.

Come siamo caduti così in basso?

Il Vaticano studia scomunica per corruzione e per le associazioni mafiose – Insomm il Papa ce l’ha sempre con la Sinistra Italiana… una volta scomunicava i Comunisti, oggi corrotti e mafiosi!

Vaticano

 

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Vaticano studia scomunica per corruzione
E per le associazioni mafiose

CITTA’ DEL VATICANO, 17 GIU – Il Vaticano sta studiando la possibilità di introdurre la scomunica per corruzione e per associazione mafiosa. Il gruppo di lavoro che ha dato vita al seminario sulla corruzione in Vaticano nei giorni scorsi, infatti – riporta una nota della Santa sede – “sta provvedendo all’elaborazione di un testo condiviso che guiderà i lavori successivi e le future iniziative. Tra queste, si segnala al momento la necessità di approfondire, a livello internazionale e di dottrina giuridica della Chiesa, la questione relativa alla scomunica per corruzione e associazione mafiosa”.
fonte ANSA – http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2017/06/17/vaticano-studia-scomunica-per-corruzione_64bd1b20-6775-4783-b892-81763b58a5e0.html