La tassa sui rifiuti è aumentata di oltre il 70% in 7 anni…Vi sentite più puliti o solo più presi per il c…?

 

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La tassa sui rifiuti è aumentata di oltre il 70% in 7 anni…Vi sentite più puliti o solo più presi per il c…?

 

La tassa sui rifiuti è aumentata di oltre il 70% in 7 anni

Secondo Confcommercio, negli ultimi sette anni la tassa sui rifiuti, per cittadini e imprese, è arrivata a 9,3 miliardi di euro, in crescita del 72%. “Costi ingiustificati che derivano da inefficienza e discrezionalità dei Comuni, dalla cattiva applicazione dei regolamenti e dall’uso di coefficienti tariffari massimi”.

La tassa sui rifiuti aumenta costantemente da sette anni: nel 2017 è arrivata complessivamente a 9,3 miliardi di euro, con una crescita del 72% pari a 3,9 miliardi. A dirlo è il primo rapporto dell’Osservatorio tasse locali di Confcommercio, che ha raccolto e analizzato per un campione di oltre 2mila comuni (rappresentativi di oltre il 60% della popolazione) i dati e le informazioni relative alla Tari pagata da cittadini e imprese del terziario. “Per cittadini e imprese la tassa sui rifiuti comporta costi eccessivi e ingiustificati che derivano in particolare, da inefficienza ed eccesso di discrezionalità di molte amministrazioni locali, da una distorta applicazione dei regolamenti e dal continuo ricorso a coefficienti tariffari massimi”.

La percentuale di raccolta differenziata è aumentata negli ultimi sette anni di oltre il 20% e occorre considerare che il costo di gestione dei rifiuti differenziati è circa un terzo rispetto a quello degli indifferenziati. Questa tendenza “avrebbe dovuto presupporre una contrazione significativa della spesa complessiva che, però, non si è verificata”. La crescita della tassazione è poi “doppiamente ingiustificata se si considerano i dati riguardo alla produzione totale di rifiuti” che è diminuita. Le imprese spendono di più nonostante la produzione di rifiuti sia scesa dai 32,4 milioni di tonnellate del 2010 ai 30,1 milioni nel 2016.

Secondo la Confcommercio sono due le cause principali: l’inefficienza e il mancato raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata. Le aziende di gestione non sono state in grado di mettere a punto sistemi in grado di raggiungere gli obiettivi previsti dalla normativa. Nonostante la differenziata abbia raggiunto il 52,5% nel 2016 (+5% rispetto al 2015), l’Italia resta in ritardo sugli obiettivi Ue (65%). Il mancato raggiungimento degli obiettivi comunitari è arrivato a costare alla collettività 1 miliardo di euro all’anno fra il 2013 e il 2016. Con la Tari “non si sono andati a coprire solo i costi per migliorare la differenziata, ma anche le inefficienze e gli sprechi del sistema”. Dai calcoli OpenCivitas (un progetto del Dipartimento delle Finanze) per determinare, comune per comune, il costo ottimale del servizio di gestione dei rifiuti emerge un quadro chiaro: la distribuzione dell’inefficienza è generalizzata, con il 62% dei Comuni capoluogo di provincia che ha una spesa mediamente superiore al costo ottimale. In alcuni casi lo scostamento sfiora l’80%. I cinque comuni che spendono di più sono: Asti (77%), Potenza (67%), Venezia (67%), Brindisi (61%), Reggio Calabria (58%). I più virtuosi sono invece: Pistoia (-33%), Brescia (-29%), Prato (-28%), Forlì (- 27%) e Cesena (-26%).

Per l’Osservatorio, se ci si concentra sulle imprese, si possono riscontrare casi in cui queste “pagano al Comune il costo di un servizio che non viene mai erogato”, in quanto ricadono in aree dove sono le imprese stesse a dover provvedere autonomamente allo smaltimento (con relativi costi) dei rifiuti prodotti. Confcommercio cita anche i casi delle aree espositive, di solito grandi superfici dalla ridotta produzione di rifiuti: a queste imprese la Tari viene calcolata comunque sull’intera superficie. Ci sono poi gli alberghi che non erogano servizi di ristorazione, avendo quindi “una capacità di produrre rifiuti pari o, addirittura, inferiore a quella delle abitazioni private”, ma che pagano in ogni caso tariffe più alte rispetto ai privati. Parecchi sono poi “i regolamenti comunali che, illegittimamente, non riconoscono alcuna agevolazione nelle ipotesi di locali, diversi dalle abitazioni, ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente”.

Parte delle tariffe sono determinate dai Comuni moltiplicando la superficie per specifici coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti. La legge si limita a dare un intervallo di valori, ma spetta poi ai Comuni la scelta del coefficiente. La maggior parte delle amministrazioni sceglie i valori più elevati. “Una libertà che ha sempre svantaggiato in particolare le utenze con una maggiore produttività di rifiuti (ristoranti, pizzerie, ortofrutta e pescherie)”.

Altro problema è l’eccessiva discrezionalità assicurata agli enti locali e la mancanza di linee guida sull’applicazione della Tari. Questo ha prodotto “una profonda disomogeneità dei costi per il servizio di gestione dei rifiuti, con scostamenti enormi anche tra Comuni limitrofi”. In provincia di Bergamo il Comune di Barzana registra un costo unitario per abitante di 55 euro mentre nella provincia di Brindisi, a Mesagne, la spesa per la gestione dei rifiuti è pari a 699 euro per ogni abitante. A Mola, in provincia di Bar, un ristorante di 500 metri quadri paga 16.401 euro all’anno, mentre ad Alba, in provincia di Cuneo, 7.334 euro.

Per Patrizia Di Dio, membro di Giunta di Confcommercio con delega all’ambiente, “i dati dell’Osservatorio sono la conferma di quanto le nostre imprese siano penalizzate da costi dei servizi pubblici che continuano a crescere in modo ingiustificato. Bisogna, dunque, applicare con più rigore il criterio dei fabbisogni e dei costi standard nel quadro di un maggiore coordinamento tra i vari livelli di governo, ma soprattutto è sempre più urgente una profonda revisione dell’intero sistema che rispetti il principio europeo ‘chi inquina paga’ e tenga conto delle specificità di determinate attività economiche delle imprese del terziario al fine di prevedere esenzioni o agevolazioni. In due parole, meno costi e meno burocrazia per liberare le imprese dal peso delle inefficienze locali di gestione”.

fonte: https://www.fanpage.it/la-tassa-sui-rifiuti-e-aumentata-di-oltre-il-70-in-7-anni/

Campania, da Caldoro a De Luca ecco come raddoppia il costo per smaltire i rifiuti: l’affare è (voler) operare in emergenza

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Campania, da Caldoro a De Luca ecco come raddoppia il costo per smaltire i rifiuti: l’affare è (voler) operare in emergenza

 

Cinque anni fa 120 euro a tonnellata, oggi oltre 200, come emerso dall’inchiesta di Fanpage. Il motivo? Le gare deserte, gli affidamenti diretti, la poca trasparenza: il sistema spiegato da chi lo conosce bene

 

Da 120 a 145 euro (o anche più di 200) a tonnellata per lo smaltimento dei fanghi. Un aumento di prezziquelli di cui si parla nell’inchiesta ‘Bloody Money’ di Fanpage, che si può giustificare solo con una parola: emergenza. E quindi regime di proroga, che rende liberi da diversi vincoli a differenza di quanto farebbe un bando. Nei giorni della bufera causata dall’inchiesta, Stefano Caldoro, ex presidente della Regione Campania, nonché capo dell’opposizione di centrodestra in Consiglio regionale, ricorda a ilfattoquotidiano.it che quando era alla guida della Regione lo smaltimento dei fanghi aveva un costo che si aggirava tra i 120 e i 125 euro a tonnellate, mentre con l’attuale amministrazione De Lucastando alle registrazioni di Fanpage, le cifre sarebbero ben altre. È effettivamente così? Quanto si pagava lo smaltimento dei fanghi fino a qualche anno fa e come funziona ora? Secondo i dati del biennio 2016-2017 forniti a ilfattoquotidiano.it dalla direzione generale per l’Ambiente della Regione il costo dello smaltimento dei fanghi in Campania va dai 117 ai 145 euro a seconda dell’impianto e le cifre più basse, a parte qualche eccezione, si riferiscono proprio agli impianti che fino alla fine del 2015 ha gestito, durante il governo Caldoro, il commissario ordinario. I bandi pubblicati dalla Sma (subentrata nel 2016) sono però finiti con gare andate deserte. E quindi si è proceduto con delle proroghe. Sulla carta alle stesse condizioni di prima, ma è difficile saperlo con esattezza. Il motivo? “La Sma non approva un bilancio dal 2013″ denuncia al Fatto Fausto Morrone, ex dirigente della stessa società. Alle gare deserte accenna anche Lorenzo Di Domenico, il consigliere dimissionario che compare nel primo dei video realizzati da Fanpage mentre concorda con l’ex boss di camorra Nunzio Perrella le quote da versare per l’affido diretto. Di Domenico è attualmente indagato per corruzione dalla Procura di Napoli in seguito all’inchiesta ‘Bloody Money’.

2. LA DENUNCIA DELL’EX RESPONSABILE DELLA TRASPARENZA SMA

Ecco perché il punto è capire come ha funzionato il sistema. A riguardo fanno riflettere le dichiarazioni di Fausto Morrone, fino a dicembre 2017 responsabile della trasparenza e della prevenzione della corruzione di Sma Campania, che ha raccontato anche su Facebook di “una lunghissima serie di anomalie gestionali” denunciate alla Regione Campania e all’Anac. “Ricordo solamente affidamenti dati in emergenza o per somma urgenza” ha detto parlando a Fanpage delle società che si sono dovute occupare dei rifiuti per conto di Sma. Morrone, poi, ha spiegato come si possono creare le condizioniaffinché una gara vada deserta, facendo un bando con criteri troppo restrittivi (magari anche con un’informazione falsata) o in tempi talmente ristretti da impedire a molte aziende, se non a quelle informate precedentemente, di partecipare. Da qui alla scappatoia della proroga il passo è breve. “E se con il bando sei tu che stabilisci i criteri e scegli l’azienda – spiega Morrone a ilfattoquotidiano.it – con la proroga a dettare le condizioni sono le imprese a cui si affida il servizio. Le strade per far aumentare i prezzi sono diverse. Si può persino stabilire di aumentare le tonnellate di fanghi da smaltire”. Secondo l’ex responsabile della trasparenza “nessuno, neppure la Regione, può dire cosa sia davvero successo in questi ultimi anni e quanto si sia pagato per lo smaltimento di fanghi dato che non ci sono i bilanci della Sma”.

3. IL COSTO ATTUALE DELLO SMALTIMENTO

“Il prezzo a base d’asta era 125 euro a tonnellata” diceva Di Domenico nel video di Fanpage, spiegando poi – a bufera scoppiata – che faceva riferimento all’ultima gara andata deserta. Per la nuova gara “145 euro rappresenta l’importo massimo che potremmo spendere. Sui 145 ci resta normalmente 5 euro a tonnellata, non so cosa resta a capo impianto e cosa” aggiungeva davanti a Nunzio Perrella. Anche in questo caso Di Domenico ha poi specificato di aver fatto riferimento al prezzo attualmente pagato “dal 1 gennaio 2018 sull’impianto di Napoli Est, così come autorizzato dalla Regione Campania”. Impianto su cui dal 2016 al 2017 il prezzo era di 117,50 euro a tonnellata. A fornire i dati a ilfattoquotidiano.it è la stessa Direzione generale per l’Ambiente della Regione. Nel biennio 2016-2017 (al netto dell’Iva del 10 per cento) il prezzo era di 126,93 euro a tonnellata per l’impianto di Acerra, 123,52 per Foce Regi Lagni e Cuma, 122,06 per l’impianto di Marcianise e 126,93 euro a tonnellata per Napoli Nord. Tutti costi ereditati dalla gestione commissariale, ma che non fanno i conti con il sistema delle proroghe. E di proroghe si parla nel terzo video di Fanpage dove, in seguito a un incontro tra Biagio Iacolare, presidente dimissionario del Cda di Sma, l’ex boss e l’avvocato e presunto mediatore Mario Rory OlivieroQuesti ultimi si rivedono e il legale spiega a Nunzio Perrella: “È meglio che voi fate 195 (euro a tonnellata ndr). Poi è normale che ci sono eventuali variazioni in corso. Noi ve lo diamo a 220, 225, 230, però l’offerta sta a 195”. Tutto parte, dunque, dalle gare deserte su cui vuole vederci chiaro la Procura, che sta indagando su possibili cartelli tra imprese che si sarebbero messe d’accordo per non partecipare e far alzare i prezzi. Un sistema già noto e segnalato in passato. Basta fare un passo indietro.

L’ERA HYDROGEST – Nel 2006 il consorzio Hydrogest (90% di Termomeccanica spa e 10% della Giustino Costruzioni Spa) si aggiudicò il progetto di finanza preparato dalla Regione per la ristrutturazione e la gestione dei cinque depuratori di Orta di Atella, Marcianise, Cuma, Napoli Nord e Foce Regi Lagni. Quando nel 2010 Caldoro divenne governatore della Campania, gli impianti erano stati sequestrati pochi mesi prima. Hydrogest era accusata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere di disastro ambientale per il mancato funzionamento dei depuratori e, allo stesso tempo, chiedeva alla Regione la corresponsione dei canoni di depurazione. La faccenda sfociò in un lungo contenzioso che, nel 2014, portò al riconoscimento in primo grado di un indennizzo da 84 milioni da parte della Regione.

4. I COSTI CON LA GESTIONE DEL COMMISSARIO

Proprio a causa di questo contesto, la giunta Caldoro decise di non affidarsi più per la gestione a unastruttura regionale e chiese al governo la nomina di un commissario con poteri ordinari. “Fu disposta la nomina a commissario delegato – spiega l’ex governatore Caldoro – dell’ingegnere Luigi Bosso, che subentrava alla Regione Campania nella gestione degli impianti di depurazione di Acerra, Cuma, Foce Regi Lagni, Marcianise, Napoli Nord e dell’impianto di grigliatura di Succivo (fino al 31 marzo 2013). Dopo pochi mesi (e molte pressioni ricevute) Bosso si dimise e fu sostituito da un nuovo commissario,Nicola Dell’Acqua, oggi direttore generale di Arpa Veneto”. Da quel momento furono diversi i cambiamenti apportati rispetto alla gestione passata. A ilfattoquotidiano.it l’ex assessore regionale all’Ambiente Giovanni Romano ricorda due scelte immediatamente adottate: “La prima fu quella di fare una turnazione dei capi impianto, gli stessi citati da Di Domenico nel primo video di Fanpage (“Non so cosa resta al capo impianto e cosa….”) e poi di fissare il prezzo di smaltimento in base a un’indagine di mercato e alla caratterizzazione del fango”. Le gare furono bandite a 125 euro a tonnellata, ma andarono deserte “perché nessuna delle aziende che fino a quel momento aveva avuto il monopolio dello smaltimento – spiega Romano – voleva accettare quelle condizioni. Non partecipando, avevano l’obiettivo di far salire il prezzo”. Ma il commissario non cedette e chiese a singoli operatori di partecipare. “Abbiamo risparmiato circa 8 milioni di euro all’anno” dice Romano.

A spiegare cosa accadde in quegli anni fu lo stesso Dell’Acqua in due diverse audizioni. Nella prima, del 25 novembre 2014 davanti alla Commissione Territorio, Ambiente, Beni Ambientali del Senato, illustrò la riduzione dei costi gestionali ottenuta dai ribassi nell’ambito dell’affidamento con gara pubblica dei servizi di smaltimento di fanghi, vaglio, sabbie. Se all’inizio dell’attività del commissario il costo era di circa 170 euro a tonnellata (per un importo di oltre un milione e 300mila euro al mese), si scese a 134 euro fino al 7 giugno 2013 e poi a 109 euro a tonnellata dopo una seconda tornata di appalti pubblici (per un importo di circa 874mila euro al mese). Dati alla mano, nel 2013 per lo smaltimento di fanghi, sabbie e vaglio nei cinque impianti regionali furono spesi circa un milione e 79mila euro al mese per un totale di 12 milioni e 954mila euro. “Il risparmio conseguito dal 7 giugno 2013 quando è stato esperito il secondo appalto per l’affidamento del servizio è stimato in una percentuale del 18,4%” scriveva Dell’Acqua, che calcolò un “risparmio complessivo rispetto ai costi della precedente gestione” del 35,6%, ossia di quasi 500mila euro.

5. LE CRITICITÀ NELLA GESTIONE

Oggi Dell’Acqua preferisce non rilasciare dichiarazioni data l’inchiesta in corso, ma il 7 ottobre 2015 parlò davanti alla Commissioneparlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti in Campania. “In questo momento – raccontò – la criticità maggiore del ciclo idrico è rappresentata dal fatto che, a differenza che nelle altre regioni, in Campania non è gestito, come vuole la legge, dai comuni o dalle associazioni degli stessi (gli Ato). A gestire illegittimamente il ciclo sono svariati enti di tutti i tipi. Parto dalla Regione, la quale gestisce i cinque impianti di cui sono commissario: io li gestisco direttamente ma, indirettamente, lo fa la Regione”. Perché Dell’Acqua la definì una criticità? “Perché le gestioni sono avvenute sostanzialmente senza appalti. Si tratta di gestioni dirette, basate sulla rendicontazione delle fatture: le ditte fatturano e la Regione, o chi per essa, salda semplicemente le fatture, aggiungendo il 10 per cento di utile d’impresa e una percentuale di spese generali. Questa situazione, paragonata a quella che mi sono trovato di fronte relativamente ai cinque depuratori, fa sì che la Regione spenda circa il 20-25 per cento in più di quello che spenderebbe se gestisse direttamente gli impianti, come ho fatto io come commissario”.

Tradotto in euro: “Quando siamo arrivati – spiegava ancora il commissario – il costo di smaltimento dei fanghi era sui 165 euro a tonnellata. Con il nostro primo appalto, l’abbiamo portato a 120 euro a tonnellata. Ho fatto tre gare di seguito ma non sono riuscito a ottenere di più”. E visto che la spesa per i fanghi è di circa un milione di euro al mese, ciò voleva dire che prima si spendevano “circa 200-300mila euro al mese in più solo per lo smaltimento dei fanghi”. Il commissario portò all’attenzione della Commissione anche il fatto che in Campania non ci fossero discariche per rifiuti speciali. Per poter smaltire questi fanghi, bisognava andare in altre regioni. “Nello specifico – spiegava – hanno vinto l’appalto sempre gli stessi. Ho fatto di tutto per cercare di fermare questa cosa, ma vincono sempre gli stessi. Comunque, si tratta di discariche in Puglia. C’è stato un periodo in cui li portavamo in Liguria. In seguito, ne abbiamo portati un po’ in Lombardia, poi nelle Marche e poi in Puglia. Li abbiamo portati anche in Calabria”. E mentre era in audizione il commissario, che nel frattempo aveva scritto ad Anac e alla Procura della Repubblica segnalando criticità e anomalieVincenzo De Luca era già governatore della Campania dal 18 giugno 2015. Di lì a poco sarebbe andato via anche Dell’Acqua e la gestione dei cinque impianti (più Napoli Est) sarebbe passata alla Sma.

6. IL PASSAGGIO ALLA SMA E I LAVORI MAI PARTITI

La giunta Caldoro aveva ottenuto da Bruxelles l’autorizzazione per investire 230 milioni di euro per sistemare gli impianti. Già, perché normalmente i fanghi da depurazione dovrebbero essere essiccati per ridurre al minimo la loro quantità e per risparmiare sui costi di trasporto e di smaltimento. Quelle risorse dovevano servire anche a costruire essiccatori e digestori. Un investimento che avrebbe ridotto le attuali 36mila tonnellate all’anno in 12mila, che significa un taglio dei costi per lo smaltimento. Tra l’altro negli impianti regionali (allora come oggi) i fanghi non possono essere biostabilizzati e quindi possono essere portati solo in poche discarichespeciali, con un conseguente aumento dei costi di trasporto. C’è allora da domandarsi a chi non convenga che quegli impianti vengano adeguati. Di certo le opere comporterebbero una riduzione di introiti notevole per chi dal trasportodi fanghi (e acqua) in discarica guadagna a tonnellata. Di fatto quelle gare furono gestite dal Provveditorato per le opere pubbliche. “Predisponemmo i cinque progetti preliminari per mettere in sicurezza gli impianti – spiega Romano – e quando andammo via le offerte tecniche da parte delle imprese erano già arrivate e le commissioni si erano già costituite. Ci voleva un mese per portare tutto a termine ma, per una ragione che non conosco, vennero fermate e rifatte”.

L’INCHIESTA SUL REGIME DI EMERGENZA – Ad oggi le imprese che hanno vinto le procedureavviate dalla giunta De Luca non hanno ancora firmato, eccetto quella che doveva occuparsi dell’impianto di Cuma, dove comunque i lavori non sono partiti. “La verità è che si vuole mantenere in piedi il sistema di costante emergenza e per riuscirci si devono rallentare le gare e non fare gli impianti” commenta Romano. Secondo Caldoro “è l’emergenza ad attrarre truffatori, producendo discrezionalità e facendo aumentare i prezzi”. “Ho governato – continua – e so quanto è difficile, non voglio nascondere il problema, ma qui c’è un’incapacità, una colpevole inerzia, che può attrarre chiunque, trafficanti, affaristi e camorristi”. Il sospetto su cui indaga la Procura di Napoli, invece, è che non ci sia solo incapacità, ma la volontà di restare nella logica dell’emergenza e della proroga a oltranza. Questione di affari.

 

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/03/campania-da-caldoro-a-de-luca-ecco-come-raddoppia-il-costo-per-smaltire-i-rifiuti-laffare-e-voler-operare-in-emergenza/4193763/6/

Ancora bufale contro il M5s – A Porta a Porta sotto accusa la gestione dei rifiuti nella Roma della Raggi – Peccato che la monnezza era del Pd di Marino!

 

 

Porta a Porta

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Ancora bufale contro il M5s – A Porta a Porta sotto accusa la gestione dei rifiuti nella Roma della Raggi – Peccato che la monnezza era del Pd di Marino!

 

Nell’era delle bufale per le quali il web viene demonizzato, stiamo osservando un fenomeno altrettanto preoccupante, si tratta infatti di quelle bufale che vengono spacciate per verità, utilizzando i canali d’informazioni tradizionali come televisioni e giornali. Queste sono le bufale più pericolose perché in automatico l’utente che ne viene investito le da per vere con la classica frase: “se lo hanno detto in televisione, vuol dire che è vero”…

Ecco l’ennesima bufala di Stato a firma Mamma Rai. Una bufala istituzionale, perché mandata in onda su un programma conosciuto da tutti gli italiani, si tratta infatti del programma su Rai 1 condotto da Bruno Vespa, Porta a Porta.

Riportiamo il comunicato/denuncia apparso sulla pagina di Vito Crimi che ci informa dell’accaduto:

“Senza parole. “Porta a porta” usa un’immagine con rifiuti in strada risalente a tre anni fa (giunta Marino) per spacciarla come attuale e menarla sull’emergenza rifiuti a Roma. E questo sarebbe “servizio pubblico”? Vergognati, Vespa.”

A questo link è possibile vedere la notizia riportata in data 5 agosto 2014 con quella stessa foto che oggi ci viene detta essere la situazione di Roma, una vera bufala insomma.

Firenze, perquisita la società di raccolta rifiuti: sei indagati. Le magliette gialle di Renzi vanno a Roma, senza accorgersi che la monnezza ce l’hanno a casa loro!

Firenze

 

 

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Firenze, perquisita la società di raccolta rifiuti: sei indagati. Le magliette gialle di Renzi vanno a Roma, senza accorgersi che la monnezza ce l’hanno a casa loro!

 

Firenze, la società di raccolta rifiuti: sei indagati

Le accuse per dirigenti e funzionari sono di abuso d’ufficio e traffico illecito

 

I carabinieri hanno perquisito la sede dell’ex Quadrifoglio ora Alia, la società che gestisce la raccolta dei rifiuti a Firenze. L’inchiesta, coordinata dalla procura di Firenze e condotta dal nucleo di pg dei carabinieri, riguarda la gestione dei rifiuti riciclabili. Secondo quanto si apprende sei sarebbero le persone indagate, a vario titolo, per abuso d’ufficio e traffico illecito di rifiuti. FRa di loro ci sono: l’amministratore delegato Livio Giannotti, l’ingegner Franco Cristo, responsabile degli impianti di trattamento e il responsabile dell’impianto di San Donnino, due capi turno e una dipendente.

Le perquisizioni disposte dalla Procura sono state effettuate anche nell’area di stoccaggio a San Donnino.
I carabinieri starebbero cercando documentazione sul ciclo dei rifiuti. L’ipotesi è che vi sia stata una gestione irregolare di alcuni tipi di rifiuti, primi fra tutti, la carta.

 

tratto da: http://firenze.repubblica.it/cronaca/2017/05/09/news/firenze_perquisita_la_sede_della_societa_di_raccolta_rifiuti-165012825/#gallery-slider=165015079