…E per la Festa della Repubblica in piazza ci vanno i nemici della Repubblica

 

Festa della Repubblica

 

 

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Per la Festa della Repubblica in piazza ci vanno i nemici della Repubblica

Strana Festa della Repubblica questa, con i nemici della Repubblica in piazza (a festeggiare? Protestare? Provare a dimostrare di esistere?) a Roma, mentre il Presidente della Repubblica, dopo il tradizionale omaggio all’Altare della Patria, sarà giustamente, doverosamente, a Codogno nel ricordo delle tante, troppe, vittime della pandemia. E i cittadini beneducati rimasti spontaneamente alla larga da assembramenti e occasioni di contagio come detta una sobria etica repubblicana di rispetto di sé e degli altri. Vedere Salvini e Meloni in Piazza del Popolo è un’immagine distonica, non c’è dubbio. Un po’ come se il 14 luglio in Francia gli unici in piazza fossero i vandeani. O negli Stati Uniti, il 4 luglio, per l’Independence day, si ritrovassero i nostalgici di King George…

Il 2 giugno – è bene ricordarlo – non è una generica “festa della patria”. La data è stata scelta perché in quel giorno, nel 1946, si tenne il cosiddetto “referendum istituzionale”, il più politicamente “divisivo” di tutti i referendum, in cui il popolo italiano si trovò a scegliere tra Monarchia e Repubblica – tra una monarchia responsabile della dittatura fascista e della rovina del paese e una nuova forma di stato finalmente democratica – e lo fece con un risultato di misura: 10.718.502 voti per il Re contro 12.718.641 voti per la nuova Italia. Il 46 per cento degli italiani schierato per la continuità della dinastia responsabile della vergogna delle leggi razziali e della infame alleanza con la Germania nazista, contro il 56 per cento desideroso di una diversa patria. Il 2 giugno, dunque, si celebra quella vittoria, di un’idea di patria (quella che si sostanzia in leggi giuste e principii universalistici, quali quelli scritti nella nostra Costituzione) su un’altra idea di patria (quella della retorica nazionalistica, da “Dio, Patria e Famiglia, del culto della forza e del militarismo, il cui esito è stato, lo si è visto, la “morte della patria”).

La stessa cerimonia all’Altare della Patria, non ha certo il carattere di un “onore alle armi” ma al contrario del pietoso riconoscimento alle tante, troppe vittime, delle “inutili stragi” che costellano il nostro passato “nazionale”. Ai “militi ignoti” disseminati da governanti dissennati su fronti insanguinati, a cominciare da quelli delle ignobili guerre fasciste, mandati a crepare a migliaia di chilometri da casa, male armati, male equipaggiati e peggio comandati, in nome di una patria che alle loro spalle ingrassava gli speculatori. Per questo, quella cerimonia non vuol essere affatto – non deve essere! – un colpo di spugna su una memoria dolorosa. E quel “tutti i morti” delle guerre non può significare una notte della memoria in cui tutte le camicie siano nere, ma al contrario un monito, a che quel sacrificio non debba mai più ripetersi. Mai più giovani mandati a morire in nome di una patria contrapposta in armi ad altre patrie.

Per queste ragioni, non ha alcun senso contrapporre il 2 giugno al 25 aprile. La Festa della Repubblica a quella della Liberazione. Eppure è stato fatto. C’è chi ha detto che mentre la festa d’aprile è “divisiva”, quella di giungo “è di tutti”, ignorando il nesso stretto di sequenzialità tra le due. Che la Festa della Repubblica è, per sua natura, la Festa della Costituzione che sancisce il suo essere “democratica”. E che senza Liberazione niente Costituzione, niente Repubblica. E’ un’idiozia, che tuttavia una radice ce l’ha. Ed è nella coreografia militare che spesso (ma non sempre) il 2 giugno ha messo in scena. L’immagine della “nazione in armi” che ha presentato, con la sfilata nel cuore di Roma, i reparti inquadrati in marcia lungo i Fori imperiali, bombe missili e cannoni, tute mimetiche e truppe speciali. So bene che c’è chi prova un brivido d’eccitazione al brillare di una canna di fucile. Alla vista di un carro armato sferragliante. Al rombo delle frecce tricolori “nei cieli di Roma”. Il “fascismo eterno”, come l’ha chiamato Umberto Eco, che sonnecchia nel bassofondo dell’autobiografia della nazione risponde preciso a quell’appello. E non sono pochi quelli che non resistono all’immagine di potenza offerta dalla Patria come surrogato alle sue assenti virtù.

Ma, bisogna dirlo, la sfilata militare è più un optional della Festa della repubblica che non un elemento costitutivo. Più un pezzo di coreografia ma non certo la sceneggiatura. Anzi, ne è la parte più caduca ancorché costosa. Non sempre vi fu: non vi fu il 2 giugno del 1947, la prima volta che, ancora in modo informale, si celebrò la Festa. E neppure nel 1962, per rispetto dell’agonia di Papa Giovanni XXIII, e nel 1976 per il terremoto del Friuli. Dal 1977, la festa fu spostata alla prima domenica di giugno senza esibizioni militaresche, per risparmiare sui costi. Ritornò nell’84 ma sparì di nuovo nell’89. E anche dopo che nel 2000, per iniziativa del Presidente Carlo Azeglio Ciampi, la festa fu restaurata il 2 giugno con tutti gli onori, l’esibizione militare subì costanti amputazioni (a volte senza mezzi, a volte senza cavalli, con i corazzieri appiedati, a volte in forma solo simbolica) finché nel 2013 il Presidente Napolitano ne ridusse notevolmente il cerimoniale “per motivi di austerità e di solidarietà verso i poveri e i meno abbienti”.

E’ così che si è giunti a oggi, in una Roma dalle strade e piazze svuotate dal Coronavirus, in cui probabilmente l’unico generale schierato sarà un ex carabiniere col fascino del torbido e dell’eversione (ancora un ossimoro!), mentre un’opposizione sgangherata e senza proposte reali proverà a mostrare di esistere nascondendo il proprio vuoto sotto un tricolore di 500 metri quadri. Il resto del Paese, la stragrande maggioranza, la parte migliore, quella che in questi mesi ha resistito e si è regolata secondo il principio della reciprocità nella responsabilità, si unisce nel ricordo delle vittime del virus e nel bisogno di un nuovo inizio. Niente, meglio del concerto dedicato a “chi è morto solo” può sostituire, restituendoci la dignità del momento, sfilate e cerimonie fuori luogo, nello spirito originario del 2 giugno.

Di Marco Revelli per Tpi.it

fonte: https://www.tpi.it/opinioni/festa-repubblica-manifestazione-centrodestra-nemici-commento-20200602613005/?fbclid=IwAR2lfuTarxYWPQ9v_br-vDVcWSoSv0jlStCy1yK7-572FsnkjR7uE6AMeg4

 

La proposta: Liliana Segre prima donna Presidente della Repubblica

 

Liliana Segre

 

 

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La proposta: Liliana Segre prima donna Presidente della Repubblica

 

La proposta è stata lanciata da Lucia Annunziata e condivisa da Carlo Verdelli di Repubblica. Anche Nicola Zingaretti ha approvato.

Liliana Segre Presidentessa della Repubblica? Per Nicola Zingaretti non è una possibilità da scartare: “è una grandissima personalità, che si presenta benissimo per un ruolo come questo” ha detto il segretario del Pd, che ha continuato definendo la senatrice a vita “un faro e un punto di riferimento della democrazia del nostro Paese. Se non fossi qui oggi” ha detto Zingaretti da New York, “probabilmente sarei stato a Milano”, in riferimento alla manifestazione ‘Milano non odia’ in solidarietà con Liliana Segre organizzata davanti al Memoriale della Shoah.
La proposta è stata avanzata da Lucia Annunziata dal palco del convegno “Metamorfosi. Le conseguenze del cambiamento”. La giornalista spiega che sarebbe un gesto “per togliere il Quirinale dalla partigianeria della politica”. Anche Repubblica, per voce del direttore Carlo Verdelli, ha appoggiato la proposta, definendola “alta e nobile”: “Ha scosso il mondo il fatto che in Italia sia stato ritenuto necessario un servizio di sorveglianza per mettere al riparo una donna così anziana e provata, subissata di minacce e insulti sulla rete. Ogni giorno c’è un atto di antisemitismo – ha concluso Verdelli – In Danimarca ieri ottanta tombe sono state profanate nel cimitero ebraico: sottovalutarlo è gravissimo”.

 

tratto da: https://www.globalist.it/politics/2019/11/12/la-proposta-liliana-segre-prima-donna-presidente-della-repubblica-2048898.html

Pd, Calenda, Lorenzin e il loro “house organ” chiamato Repubblica, contro la Raggi. La ribellione di quelli che rimpiangono le nobili gesta politiche di Buzzi e Carminati…!!

 

Pd

 

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Pd, Calenda, Lorenzin e il loro “house organ” chiamato Repubblica, contro la Raggi. La ribellione di quelli che rimpiangono le nobili gesta politiche di Buzzi e Carminati…!!

 

Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, a parte le azioni per cui sono finiti in carcere, dovevano essere delle menti politiche di primaria grandezza, vista la credibilità di cui godevano a destra e a sinistra.

Certo che dovrebbe creare non poco imbarazzo, per chi viene da un partito che ha origine in GramsciDe GasperiBerlinguer, aver avuto di recente come maestri di scienza politica, docenti a tempo pieno con caratteristiche, diciamo, particolari. Ma, avendo tagliato quelle nobili radici, non si rendono più conto della differenza di insegnamento. Anzi proclamano pubblicamente di sentirne la mancanza.

La bella gente dei quartieri bene di Roma, che è andata a manifestare contro Virginia Raggi, lo faceva solo apparentemente, ma di nascosto protestava, piangendo, per la mancanza dei loro maestri di cultura politica. Questa bella gente, soffre da troppo tempo la loro mancanza e non ha più riferimenti alternativi di pari levatura. E questo è un bel problema.

Costoro potrebbero però invitare Buzzi e pure Carminati – è bene sentire due campane e imparare da due angoli di visuale – a scrivere per loro le lezioni dal carcere, anzi potrebbero chiedere l’autorizzazione a trasmettere le loro lezioni con una webcam e ascoltarle in tempo reale.

Oggi ci sono le tecnologie per superare le barriere del carcere per un nobile scopo, facendo così una buona azione di recupero nei confronti di chi ha sbagliato ed è in via di pentimento, ma che è di grande levatura in fatto di cultura politica.

Non mischiamo però, questa bella gente che si sente importante, con chi l’ha invitata ad andare a manifestare – SENZA BANDIERE, PER PUDORE E PER PAURA – e con l’house organ incaricato di creare clamore e risonanza.

Si tratta di ruoli diversi: ad ognuno il suo.

Il Calenda e la Lorenzin, in preda alla sindrome di ‘ansia da mancanza di potere’ – malattia molto pericolosa perché porta a convulsioni – e alla depressione per disoccupazione (anche gli dei e pure i ricchi piangono), sono i capitani – i Cesare, visto che siamo a Roma – . Essi hanno il ruolo di guidare l’esercito destinato alla vittoria, in altre parole si ritengono l’aspirante tandem, a sindaco e vice sindaco, che ha ricevuto la benedizione del ‘mite’ Gentiloni, romano della ‘gens’ patrizia.

Repubblica ricopre il ruolo di house organ dei capitani Calenda e Lorenzin, ruolo pur sempre importante ma che fa venire in mente l’antica nobiltà andata in miseria – afflitta dalla sindrome incurabile della depressione da ‘mancanza di lettori’- .
È il megafono, con problemi tecnici, chiamato a mobilitare e a formare adeguatamente la plebe, gente senza cervello e obbediente, cui indicare cosa dovrà fare al momento opportuno in cabina elettorale.

Il ruolo della bella gente in piazza, che soffre della sindrome da ‘mancanza di prebende’, è quello di andare all’attacco del nemico per conquistare il fortino del potere, sotto la guida dei capitani, per ricevere il dovuto riconoscimento dopo la vittoria.

CalendaLorenzin, l’house organ Repubblica, e la bella gente soffrono tutti di una malattia distonica di cui, per definizione, chi ne soffre non ne è consapevole e perciò pensa di essere in buona salute mentale: la confusione del desiderio con la realtà.

fonte: https://www.silenziefalsita.it/2018/10/28/pd-calenda-lorenzin-e-il-loro-house-organ-repubblica-contro-raggi-forse-che-rimpiangono-le-gesta-politiche-di-buzzi-e-carminati/

Il Pd che fa finta di essere ancora vivo – Piazza del Popolo, dicono 70.000, poi scendono a 50.000. Repubblica ribadisce 70.000, ma si smentisce con i suoi stessi video. Erano da 10 a 20.000… Ricordiamo che Berlinguer 40 anni fa portò in piazza 500.000. Come siamo caduti tanto in basso?

 

Piazza del Popolo

 

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Il Pd che fa finta di essere ancora vivo – Piazza del Popolo, dicono 70.000, poi scendono a 50.000. Repubblica ribadisce 70.000, ma si smentisce con i suoi stessi video. Erano da 10 a 20.000… Ricordiamo che Berlinguer 40 anni fa portò in piazza 500.000. Come siamo caduti tanto in basso?

 

 

Innanzitutto quanti erano a Piazza del Popolo per la manivestazione del Pd?

L’organizzazione prima sbandiera un fin troppo fantasioso 70.000 persone. Siccome questa è grossa pure per loro, si sono poi “ridimensionati” a 50.000 (anche se qualche voce interna balbetta un eretico 25.000).

Tanto per fare numeri, ricordiamo che Piazza del Popolo è 17.100 mq e quindi avrebbe una capienza massima e teorica di 68.400 persone (4 persone a metro quadro), cioè quei 70 mila che il Pd favoleggia.

E infatti Repubblica inneggia con enfasi ai fantomatici 70.000, smentendosi però con i suoi stessi video (GUARDA QUI) dove, nonostante le inquadrature fatte ad arte, è chiaro che la piazza è piena per un quaro, forse un quinto…

Vogliamo essere buoni, hanno portato in piazza da 10 a 20.000 mersone…

Signori, questo è il Pd… Questo partito, quando c’era Lui (e per Lui intendo proprio Lui, Enrico Berlinguer) in piazza ne venivano mezzo milione!

Leggete un po’ questo:

Era il Settembre del 1977 – 40 anni fa – e per Berlinguer che chiudeva Festa dell’Unità 500.000 persone (per capirci, il doppio rispetto al mega-concerto di Vasco) …Ma come cazzo siamo caduti tanto in basso fino a Matteo Renzi?
18 settembre 1977: al parco Ferrari in mezzo milione per Berlinguer, il doppio rispetto a Vasco

Era il 18 settembre del 1977, Enrico Berlinguer, il capo del Partito comunista italiano, chiudeva a Modena – sul palco dell’ex Autodromo (oggi parco Ferrari) la Festa nazionale dell’Unità. ‘Duecentomila metri quadrati del prato non sono bastati ad accogliere i compagni, i simpatizzanti, gli elettori del Pci che da ogni dove sono venuti ad ascoltare il segretario generale del Pci che chiude il Festival. Quanti sono? Ogni calcolo perde qualsiasi senso di fronte all’impressionante spettacolo di questa folla gigantesca che ha invaso e colmato tutti gli enormi spazi dell’autodromo in cui dal nulla era sorta la città-festival‘. Così L’Unità di allora descriveva l’evento. Si stimarono oltre mezzo milione di persone. Il doppio rispetto al mega-concerto di Vasco Rossi.

Nel recuperare quei giornali, nel leggere gli articoli di un’epoca che non c’è più, resta un’amarezza profonda. La consapevolezza di quanto oggi sia stato tradito del Credo di allora. Resta l’invidia per un tempo in cui si poteva dire – citando Gaber – senza timore di essere smentiti che ‘Berlinguer era una brava persona e Andreotti non lo era, una brava persona’.

Come siamo caduti così in basso?

Giusto per farVi capite a che punto siamo arrivati: l’Agenzia Giornalistica Italiana certifica che Repubblica inventa notizie solo e solamente per denigrare i Cinquestelle!

 

Repubblica

 

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Giusto per farVi capite a che punto siamo arrivati: l’Agenzia Giornalistica Italiana certifica che Repubblica inventa notizie solo e solamente per denigrare i Cinquestelle!

 

AGI dà ragione a M5S: “Da Repubblica una non-notizia”

L’Agenzia Giornalistica Italiana certifica la non-notizia del caso OLAF comprovando una montatura (e una violenta forzatura) creata ad arte per denigrare l’immagine del MoVimento. Ora aspettiamo i controlli su tutti i candidati europarlamentari e i loro Entourage. Noi abbiamo la coscienza pulita e saremo lieti di rispondere ad ogni richiesta di chiarimento da parte degli organi di controllo del Parlamento europeo. Nelle prossime ore si procederà per via legale nei confronti di tutti quelli che hanno diffamato e riportato false notizie. Siamo curiosi di osservare le reazioni dei partiti italiani che hanno candidato i parlamentari europei e che da mesi non si rintracciano nei corridoi del parlamento. E poi ci stupiamo se in Europa non contiamo nulla.

Articolo tratto da Agenzia Giornalistica Italiana
Titolo originale: Ma gli europarlamentari possono candidarsi alle elezioni nazionali? Il Caso M5S

Il gruppo del Movimento 5 Stelle all’Europarlamento, lo scorso 8 febbraio, ha scritto in una nota: “L’Olaf è l’organismo anti-frode dell’Unione Europea. Secondo Repubblica avrebbe aperto delle indagini sull’operato del Movimento 5 Stelle in Europa, un’informazione che hanno avuto con grande anteprima e incredibile tempestività. Spieghiamo però ai cittadini e a Repubblica che l’Olaf (fortunatamente) accoglie ogni segnalazione che poi verifica. Questa non è una notizia, ma una semplice procedura”. Il M5S è poi passato all’attacco: “Noi non abbiamo nulla da nascondere, ma invitiamo formalmente l’Olaf, che è un servizio della Commissione Europea, a investigare sull’utilizzo dei fondi da parte degli altri partiti italiani. Partendo da tutti gli europarlamentari italiani che stanno facendo campagna elettorale in Italia per assicurarsi un posto a Roma, mentre sono pagati lautamente per fare gli eurodeputati, sia loro sia i loro staff”. Abbiamo verificato le varie informazioni contenute nella nota. In breve: l’Olaf non ha ancora aperto un’indagine, ma è nella fase preliminare; Repubblica ha documentato un caso di rimborsi contestati all’interno del gruppo di cui fa parte il M5S al Parlamento europeo; gli europarlamentari possono far campagna alle elezioni nazionali, posto che non usino fondi europei per farlo.

La notizia di Repubblica
Lo scorso 6 febbraio il quotidiano Repubblica ha pubblicato un articolo di Alberto D’Argenio in cui si riporta che il gruppo dell’Europarlamento EFDD (quello formato da M5S e Ukip inglese) ha contestato a Cristina Belotti, capo della comunicazione del Movimento in Europa e funzionaria dell’EFDD, una serie di rimborsi spesa. La Belotti, secondo quanto ricostruito da Repubblica – qui i documenti pubblicati sulla versione online del quotidiano il 7 febbraio -, avrebbe chiesto il rimborso di spese sostenute non per le sue mansioni di funzionaria europea, ma per fare campagna elettorale per il M5S in Italia in vista delle prossime elezioni politiche. Il 7 febbraio sempre D’Argenio su Repubblica ha dato la notizia che l’Olaf starebbe per aprire un fascicolo dopo le rivelazioni del quotidiano. Di qui la risposta del gruppo del M5S al Parlamento europeo.

Che cos’è l’Olaf
Vediamo dunque cosa sia l’Olaf e che procedure segua. Nata nel 1999 sulle ceneri del precedente “Anti-Fraud Coordination Unit” (UCLAF), l’Olaf (dal francese “Office de Lutte Anti-Fraude”) è l’Ufficio dell’Unione europea che si occupa di rilevare, indagare e fermare frodi, fenomeni di evasione e corruzione legati ai fondi Ue. La vera e propria indagine, come stabilisce il regolamento che disciplina l’Olaf (art. 5), non è un atto dovuto ma discrezionale: richiede cioè una decisione, autonoma o sollecitata dalle istituzioni europee, del direttore generale dell’Olaf. Prima di arrivare ad essa, l’ufficio anti-frode opera una raccolta di informazioni relative a possibili frodi. Come risulta dal sito stesso dell’Olaf, chiunque può mandare delle segnalazioni – con la garanzia dell’anonimato – per denunciare possibili frodi in danno dei fondi europei. In questo caso, come specificano le linee guida sulle procedure investigative per lo staff dell’Olaf (artt. 2-5), “qualsiasi notizia di possibile interesse investigativo per Olaf ricevuta da un membro dello staff deve essere inoltrata al Registro senza ritardo”. Il Registro è dove vengono annotati e numerati tutti i documenti presi in carico dall’Olaf. Successivamente l’Unità “Selezione e revisione delle indagini” dell’Olaf fa ricerche, approfondimenti, chiede informazioni alle istituzioni europee coinvolte e dà un parere al direttore generale che decide se procedere a un’indagine ufficiale o meno. Il tutto, da regolamento (art. 5 co.4), entro 60 giorni.

Olaf e M5S
Nell’articolo di Repubblica si legge: “la procura europea [Olaf], aprirà nelle prossime ore un fascicolo, una prima verifica dei fatti sulla base degli articoli e dei documenti pubblicati ieri da Repubblica. Entro due mesi, come prevedono le normali procedure dell’Ufficio, gli investigatori dell’antifrode Ue decideranno se procedere a un’inchiesta formale”. Sembrerebbe dunque che abbia ragione il gruppo M5S all’Europarlamento a parlare di una “non-notizia” (limitatamente all’apertura di un fascicolo), in quanto l’Olaf è obbligato a iscrivere nel Registro tutte le segnalazioni – oltretutto anche anonime – che potrebbero avere interesse investigativo, inclusa una che riporti le questioni sollevate da Repubblica relativamente a Cristina Belotti.

Gli altri partiti
Il M5S Europa attacca quindi gli altri partiti, invitando l’Olaf a indagare sull’utilizzo dei fondi europei da parte degli europarlamentari italiani candidati alle prossime elezioni politiche del 4 marzo, e dei loro staff. Agli eurodeputati è consentito candidarsi e fare campagna elettorale nei propri Paesi di origine (così come a un deputato nazionale è consentito candidarsi all’Europarlamento). Se eletto, il candidato dovrà poi scegliere quale carica mantenere. Il punto della questione è che gli eurodeputati che decidono di candidarsi alle elezioni nazionali, e i loro staff, non devono utilizzare fondi europei che l’Europarlamento dà ai gruppi parlamentari per attività politica europea per la loro campagna elettorale nazionale (un comportamento scorretto, questo, che è invece proprio quello contestato alla Belotti). Tra i 73 eurodeputati italiani, quelli che risultano iscritti alle liste elettorali per le prossime elezioni sono Matteo Salvini, Gianni Pittella, Lorenzo Cesa, Sergio Cofferati, Raffaele Fitto, Flavio Zanonato, Nicola Caputo, Elena Gentile, Isabella De Monte e Lorenzo Fontana. In totale, dieci persone. Al momento non risultano – dal sito dell’Olaf e da indiscrezioni di stampa – indagini nei loro confronti. Abbiamo contattato l’Olaf per avere un’ulteriore conferma e siamo in attesa di risposta.

Conclusione
Il M5S Europa ha ragione nel sostenere che l’apertura di un fascicolo (intesa come iscrizione nel Registro) dell’Olaf sia “una semplice procedura”, in quanto atto obbligatorio: non è insomma necessaria una valutazione discrezionale da parte del direttore generale dell’ufficio investigativo dell’Unione. Quella, eventualmente, avviene nei due mesi successivi. È vero poi, come sostiene il M5S Europa, che ci siano dieci eurodeputati italiani che correranno alle prossime elezioni politiche del 4 marzo. Ma questo non è vietato da norme italiane o europee, e al momento non risultano indagini dell’Olaf a loro carico legate alla campagna elettorale in corso.

 

fonte: http://www.efdd-m5seuropa.com/2018/02/agi-da-ragione-a-m5s.html

L’Italia, la Repubblica dei bonus e delle banane… Il Bonus asilo nido? L’ultima crudele, vergognosa presa per i fondelli!

 

Repubblica

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L’Italia, la Repubblica dei bonus e delle banane… Il Bonus asilo nido? L’ultima crudele, vergognosa presa per i fondelli!

 

L’Italia, la Repubblica dei bonus e delle banane…

Questo lunedì ha preso il via una sorta di demenziale corsa all’oro di Pulcinella, denominata “Bonus asilo nido”. Trattasi dell’ennesimo, surreale, provvedimento con il quale, a mio avviso, l’attuale maggioranza di Governo cerca mi mettere una toppa ad una più che evidente perdita di consensi. Ma lo fa continuando ad inseguire il dilagante populismo, che, notoriamente promette miracoli ben più sostanziosi, elargendo manciate di milioni di euro sempre più a casaccio.

Tanto è vero che, come rileva correttamente in un suo post su Facebook la giornalista televisiva Flavia Fratello, lo stesso bonus non prevede alcun criterio selettivo. Non si fa alcuna distinzione di reddito per i nati dopo il 1° gennaio 2016, tanto che non è richiesta alcuna documentazione al riguardo. Tutto si baserà sulla velocità con la quale i richiedenti presenteranno la relativa domanda all’Inps, secondo il principio italiota del “chi tardi arriva, male alloggia”. Nel senso che data l’esiguità del tetto di spesa previsto per questa incredibile operazione Pulcinella, appena 144 milioni, le domande in esubero verranno immediatamente cestinate nel momento in cui si esaurirà la copertura finanziaria.

Ora, a parte il profondo errore politico di continuare a ricercare consenso a buon mercato a colpi di mancette elettorali, in questo caso il pasticcio appare piuttosto grave, generando una sorta di corsa all’oro tra tutti i ceti sociali, con la prospettiva di emulare il famoso “Superciuk”, popolare personaggio di un diffuso fumetto degli anni Settanta che rubava ai poveri per regalare ai ricchi. Tutto questo, unito alla estenuante questione dei costi della politica, non può che alimentare quella crescente invidia sociale su cui soprattutto il Movimento Cinque Stelle conta molto.

Invidia sociale la quale, in verità, nel Paese dei furbi, dei bonus e delle banane ha una più che fondata ragione di esistere.

Questo lunedì ha preso il via una sorta di demenziale corsa all’oro di Pulcinella, denominata “Bonus asilo nido”. Trattasi dell’ennesimo, surreale, provvedimento con il quale, a mio avviso, l’attuale maggioranza di Governo cerca mi mettere una toppa ad una più che evidente perdita di consensi. Ma lo fa continuando ad inseguire il dilagante populismo, che, notoriamente promette miracoli ben più sostanziosi, elargendo manciate di milioni di euro sempre più a casaccio.

Tanto è vero che, come rileva correttamente in un suo post su Facebook la giornalista televisiva Flavia Fratello, lo stesso bonus non prevede alcun criterio selettivo. Non si fa alcuna distinzione di reddito per i nati dopo il 1° gennaio 2016, tanto che non è richiesta alcuna documentazione al riguardo. Tutto si baserà sulla velocità con la quale i richiedenti presenteranno la relativa domanda all’Inps, secondo il principio italiota del “chi tardi arriva, male alloggia”. Nel senso che data l’esiguità del tetto di spesa previsto per questa incredibile operazione Pulcinella, appena 144 milioni, le domande in esubero verranno immediatamente cestinate nel momento in cui si esaurirà la copertura finanziaria.

Ora, a parte il profondo errore politico di continuare a ricercare consenso a buon mercato a colpi di mancette elettorali, in questo caso il pasticcio appare piuttosto grave, generando una sorta di corsa all’oro tra tutti i ceti sociali, con la prospettiva di emulare il famoso “Superciuk”, popolare personaggio di un diffuso fumetto degli anni Settanta che rubava ai poveri per regalare ai ricchi. Tutto questo, unito alla estenuante questione dei costi della politica, non può che alimentare quella crescente invidia sociale su cui soprattutto il Movimento Cinque Stelle conta molto.

Invidia sociale la quale, in verità, nel Paese dei furbi, dei bonus e delle banane ha una più che fondata ragione di esistere.

(di Claudio Romiti – opinione.it)

Repubblica.it: “Arrestato per peculato il sindaco di Pescia” …Dai Repubblica, fallo un piccolo sforzo. Dillo che il sindaco di Pescia è del Pd…

Repubblica

 

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Repubblica.it: “Arrestato per peculato il sindaco di Pescia” …Dai Repubblica, fallo un piccolo sforzo. Dillo che il sindaco di Pescia è del Pd…

Riportiamo l’articolo di Repubblica.it sull’arresto del sindaco di Pescia. Per scoprire che il sindaco di Pescia è del Pd bisogna leggere con attenzione il testo, perchè è detto, una sola volta, in un inciso.

Sarebbe stato diverso se Pescia avesse avuto un sindaco cinquestelle?

………..

Arrestato per peculato il sindaco di Pescia

Con i soldi pubblici comprava iPad e cappotti da 800 euro: arrestato il sindaco di Pescia

Secondo le accuse della procura fiorentina Giurlani quando era presidente di Uncem Toscana si sarebbe “indebitamente appropriato di 570mila euro” dell’Uncem stessa. Tra i beni acquistati con quei soldi anche cappotti da 800 euro e iPad

di MASSIMO MUGNAINI

Cappotti da 800 euro l’uno, iPad di ultima generazione, una sfilza di cellulari e buoni carburante per oltre 500 chilometri al giorno, comprese domeniche e festivi. Non badava a spese Oreste Giurlani, sindaco Pd di Pescia (Pistoia), all’epoca in cui ricopriva la carica di presidente dell’Uncem Toscana. Coi soldi degli altri, però: perché quel denaro usciva tutto dalle casse della stessa Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani (Uncem), sezione regionale, i cui fondi sono stanziati dalla Regione Toscana: casse già di per sé disastrate, visto che a bilancio, nel 2016, compaiono perdite per 2,4 milioni di euro. Almeno, queste sono le accuse per cui il pm fiorentino Tommaso Coletta ha chiesto e ottenuto dal gip Anna Liguori del tribunale di Firenze l’arresto ai domiciliari per Giurlani. Arresto eseguito stamani, giovedì 1 giugno, dai finanzieri del Comando provinciale di Firenze.
Il sindaco è indagato per peculato (cioè l’appropriazione indebita commessa da pubblici ufficiali) perché secondo le indagini dei finanzieri del gruppo tutela spesa pubblica del nucleo di polizia tributaria di Firenze, si sarebbe appunto indebitamente appropriato del denaro dell’Uncem, di cui è stato presidente dal 2005 al 2016, trasferendo dal conto corrente dell’associazione – di cui aveva disponibilità diretta anche tramite home banking – sul proprio conto personale, oltre 570.000 euro. In dettaglio, gli accertamenti di natura economico-finanziaria delle Fiamme Gialle avrebbero messo in luce come Giurlani si sarebbe ‘autoliquidato’ oltre 200.000 euro senza produrre alcun giustificativo di spesa, più altri 233.000 euro “creando ad arte giustificazioni fittizie contabili, ideologicamente false e soprattutto non pertinenti alla funzione pubblica svolta”, spiegano i militari. Il tutto in cinque anni, tra il 2012 e il 2016.

Inoltre, sempre secondo le accuse basate su indagini economiche ma anche su ‘classiche’ intercettazioni telefoniche, Giurlani avrebbe anche ricevuto, sempre nel periodo 2012-2016, compensi per consulenze private effettuate a favore dell’Uncem per oltre 140.000 euro su incarichi auto-conferiti, in relazione ai quali sono vi sono tutt’ora indagini in corso che stanno portando in queste ore a diverse perquisizioni in uffici pubblici e residenze private tra Firenze e Pistoia. Perquisizioni che a loro volta stanno portando al sequestro di numeroso materiale, cartaceo ed elettronico.

L’inchiesta della procura è nata da un esposto del consigliere regionale di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli, che segnalava varie  irregolarità tra cui gli omessi versamenti di contributi previdenziali. Le indagini, peraltro, non sono affatto finite. Giurlani risulta infatti indagato a Firenze anche per corruzione, in merito a vicende ‘collaterali’ ma distinte, scoperte dagli inquirenti con la stessa inchiesta. Tra queste, una potrebbe riguardare il nuovo parco di Collodi, sul quale vi sono alcune intercettazioni che gli investigatori stanno approfondendo. Per questo filone sulla corruzione, Giurlani non è affatto l’unico indagato.

tratto da:

http://firenze.repubblica.it/cronaca/2017/06/01/news/arrestato_per_peculato_il_sindaco_di_pescia-166953931/?ref=twhr&timestamp=1496306802000&utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter