Dal 1 luglio Equitalia può pignorare i conti correnti senza autorizzazione al giudice. Ripenso a quando Renzi si faceva beffe della Annunziata e della Gente con il suo “Cucù, Equitalia non c’è più” e mi chiedo quanto si deve essere deficienti per votare uno così?

 

Equitalia

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Dal 1 luglio Equitalia può pignorare i conti correnti senza autorizzazione al giudice. Ripenso a quando Renzi si faceva beffe della Annunziata e della Gente con il suo “Cucù, Equitalia non c’è più” e mi chiedo quanto si deve essere deficienti per votare uno così?

 

Cucù: Equitalia dal 1 luglio può pignorarti il conto corrente senza bisogno del giudice

Ricordate Matteo Renzi “Cucù Equitalia non c’è più“? Era una delle sue prese in giro. Dal 1 luglio in caso di debiti e cartelle la “nuova” Equitalia made in Renzi avrà il potere di procedere al pignoramento dei conti correnti in modo diretto, prendendo i soldi direttamente dalle banche, senza dover richiedere l’apposita autorizzazione al giudice. Com’è umano lei!

da RaiNews

Dall’1 luglio 2017 il pignoramento del conto corrente diventa più facile e veloce nel caso di debiti fiscali e cartelle. La nuova Agenzia delle Entrate-Riscossione (che prenderà il posto della S.p.A. della riscossione, società in liquidazione) potrà procedere al pignoramento dei conti correnti in modo diretto, prendendo i soldi direttamente dalle banche, senza dover richiedere l’apposita autorizzazione al giudice. La novità è che le somme saranno immediatamente bloccate, per gli importi a debito, con la fusione tra l’agenzia di accertamento e la società della riscossione. Tecnicamente la nuova Equitalia si trasforma in un ente pubblico economico e diventa strumentale all’Agenzia delle Entrate, di fatto con un ampliamento notevole dei poteri di riscossione. Tale struttura giuridica consente all’ente il pignoramento dei conti correnti direttamente senza bisogno di attivare la procedura di autorizzazione di un giudice perché la cartella esattoriale di pagamento è in sè già un atto esecutivo. Il nuovo ente avrà accesso all’immensità dei dati dell’Anagrafe Tributaria ed anche dell’Inps ottenendo le informazioni utili, come i rapporti di lavoro, per pignorare lo stipendio, la pensione, le indennità. Per bloccare l’azione e difendersi il contribuente, che riceve la notifica del pignoramento conto corrente, entro 60 giorni deve presentare una richiesta di dilazione e rateizzazione. Solo una volta accettata la richiesta di dilazione della cartella e pagata la prima rata del piano di ammortamento, il cittadino può presentare la richiesta di sblocco del conto corrente. Cambio al vertice Il 12 giugno, dopo tre anni di attività, scade l’incarico di Rossella Orlandi, come Direttore dell’Agenzia delle Entrate. Per lei si parla di un nuovo incarico al Dipartimento delle Finanze. Al suo posto arriverà Ernesto Maria Ruffini, in pole position per la nomina a capo della nuova Agenzia delle Entrate e della Riscossione. La sua nomina sarà proposta dal Ministro Pier Carlo Padoan, con ogni probabilità nel prossimo Consiglio dei Ministri, vista la scadenza del 12 giugno e l’avvio della nuova struttura di accertamento-riscossione il 1° luglio. Il probabile successore Ernesto Maria Ruffini, 48 anni, nominato Ceo di Equitalia S.p.A. nel 2015 dall’ex premier Renzi, è un avvocato molto stimato dal Ministro dell’Economia per i risultati ottenuti nel biennio del suo mandato con 17 miliardi incassati, con un incremento del 18% rispetto al biennio precedente. Ruffini si è distinto anche per una riduzione strutturale delle spese di Equitalia con la chiusura di tre società collegate, il taglio di 60 auto blu, la riduzione degli stipendi dei dirigenti (incluso il proprio) e l’abolizione delle carte di credito aziendali. Il manager ha poi puntato alla modernizzazione dei servizi per i contribuenti tramite la digitalizzazione ed il Web.

tratto da:

http://www.beppegrillo.it/m/2017/06/cucu_equitalia_dal_1_luglio_puo_pignorarti_il_conto_corrente_senza_bisogno_del_giudice.html

Giampaolo Pansa: Renzi? Non è né di destra né di sinistra, è una carogna!

 

Giampaolo Pansa

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Giampaolo Pansa: Renzi? Non è né di destra né di sinistra, è una carogna!

 

Giampalo Pansa: il partito renzista sarà unico e autoritario

di Giampaolo Pansa

È un ingenuo Gianni Cuperlo, uno dei big del Partito democratico. Anche se ha passato la cinquantina, conserva la faccia del ragazzo bello e bravo che farebbe la gioia di tante madri con figlie a carico. Cuperlo è stato una giovane promessa del Pci, poi del Pds, sino ad arrivare al Pd odierno. Nel caos dei democratici, resta una delle voci ascoltate. E nella direzione del 20 ottobre, si è domandato con allarme se Matteo Renzi, partendo dalla convention della Leopolda, non stia meditando di costituire un partito parallelo a quello che oggi guida come segretario e, al tempo stesso, come premier.*

Cuperlo si sbaglia. Renzi non intende affatto dar vita a un bis del Pd. Più semplicemente, e brutalmente, vuole a prendersi tutto il partito attuale. Per trasformarlo dapprima in un partito personale e poi in un partito unico e autoritario. Con un solo uomo al comando: se stesso. E senza veri concorrenti.

Come lo chiamerà non lo sappiamo. I media hanno parlato di Partito della Nazione. Ma l’unica certezza e che sarà una costruzione diversa da tutte le altre che conosciamo, senza opposizioni, in grado di inchiodare la politica italiana a un regime personale. Dove conterà soltanto il verbo del leader.
I politici come Cuperlo dovrebbero dedicare le proprie energie intellettuali a domandarsi se Renzi abbia il carattere adatto, la tenacia giusta e la forza sufficiente per realizzare questo progetto. II Bestiario teme di si. E adesso cercherà di aiutare i Cuperlo d’Italia a scrutarlo molto da vicino. Per capire quante probabilità abbia di diventare Leader Solitario del nostro sfortunato paese.

Prima di tutto, Matteo è un soggetto impossibile da classificare. E’ di sinistra, di destra, di centro? Domande inutili. Renzi è Renzi, un Fregoli della politica, capace di tutti i travestimenti e di qualsiasi parte in commedia. Sempre più spesso, ho il sospetto che, da cattolico, sia convinto di essere un unto del Signore, destinato dal Padreterno a essere il padrone dell’Italia e guidarla verso traguardi luminosi. Per limitarmi ad altre figure della storia europea, la stessa convinzione animava Benito Mussolini, Adolf Hitler e persino Giuseppe Stalin. Anche se quest’ultimo, un marxista integrate, non credeva in Domineddio.

E’ possibile che Renzi sia convinto di aver ricevuto mandato da un’entità superiore. Ed è proprio questo che lo spinge a essere super sicuro di se spesso. Protervo. Sfrontato. Ironico. Sfottente. Persino bullo. Osservatelo alla tivù quando sta in un consesso internazionale. In maniche di camicia e la faccia da ragazzo che la sa lunga, sembra il nipote degli altri leader europei. Persino la cancelliera Angela Merkel mette da parte la sua mutria da walkiria per diventare una zia cautelosa di questo enigmatico bamboccione italico.

Perché Renzi potrebbe riuscire nell’intento di diventare il solo dominus della politica italiana? Prima di tutto perché ha il carattere del leader di animo cattivo, per non dire da carogna. Chi è obbligato a trattare con lui racconta che è vendicativo al massimo, pronto a rappresaglie anche personali. Non ha pietà per nessuno. Pensate alla fine che ha fatto a Matteo Richetti, renzista della prima ora, liquidato in un amen come competitor alla carica di presidente dell’Emilia Romagna: «Vai a fare altro». O al licenziamento di Carlo Cottarelli, il tecnico incaricato da Enrico Letta di indicare i tagli della spesa pubblica.

Politico del Duemila, Renzi sa approfittare come pochi dell’unico media vincente in quest’epoca dove il fumo conta più dell’arrosto: la televisione. Secondo Il Fatto quotidiano, nel solo mese di ottobre è stato in tivù per ben 77 ore. Ha invaso anche i programmi del suo ex avversario naturale, lo spompato Silvio Berlusconi. II suo cicì e ciciò con Barbara D’Urso su Canale 5 resterà nella storia come il primo caso di un cuculo che s’insinua nel nido di un altro pennuto. E lo devasta, con l’aria di fargli un favore.

Renzi sta già nel pieno della propria guerra lampo, il Blitzkrieg di hitleriana memoria. La velocità nell’azione è l’arma decisiva per la conquista totalitaria del potere. Qualcuno deve avergli spiegato che Benito Mussolini sconfisse le sinistre e s’impadroni dell’Italia nel giro di soli due anni, il 1921 e il 1922. Dallo squadrismo al regime passarono appena ventiquattro mesi. Poi ebbe inizio una dittatura destinata a durare un ventennio.

Chi lo affianca in questa corsa non ha dubbi né sulla tattica né sulla strategia del premier. E lavora con entusiasmo alla costruzione di un sisterna a cerchi concentrici. II punto focale è Renzi. Poi viene il primo cerchio magico, tutto di fedelissimi arrivati da Firenze. Il secondo cerchio, più largo, messo insieme alla belle meglio, zeppo di mediocri, e altrettanto pronto a seguirlo. II terzo è ancora in costruzione e lo vedremo affollato da un battaglione di signori che hanno favori da chiedere al premier e sono disposte a dare qualsiasi cosa in cambio.

Il Blitzkrieg renziano, se mai vincerà, trasformerà in peggio il sistema istituzionale italiano. Tutte le democrazie si reggono su un sistema di pesi e contrappesi indispensabili, che trovano nel Parlamento il luogo delle decisioni. Winston Churchill era solito dire: «La democrazia è un pessimo sistema di governo, ma finora non è stato inventato niente di meglio». Renzi, ormai è chiaro, disprezza il Parlamento. Preferisce parlare alla gente, ossia al popolo. Senza distinzioni di ceto, fede politica, condizione sociale.

In realtà è il primo leader populista che appaia sulla scena italiana. Al confronto, Beppe Grillo è un mister nessuno. Per trovare qualcosa di simile al Matteo di oggi bisogna risalire al primissimo dopoguerra, al Guglielmo Giannini nel momento di massima espansione del suo Uomo Qualunque. Una fiammata che si spense molto presto.

Dal momento che Giannini non aveva nessun potere, mentre Renzi ne ha persino troppi. Non credo che Partito Renzista, unico e autoritario, tramonterà presto. Siamo appena alle primissime sequenze di un film che durerà a lungo. Matteo può essere mandato al tappeto soltanto da qualche incidente pesante in Parlamento o nelle piazze. O dall’improvviso aggravarsi di una crisi economica e sociale che nessuno sarebbe in grado di contenere.

Ma se l’Italia proseguirà ad affondare lentamente in un declino senza scosse, Renzi continuerà a vincere. Per l’assenza o l’estrema fragilità degli oppositori. Il centrodestra in coma e un patetico Berlusconi sogna rimonte impossibili. Beppe Grillo rischia il tramonto. II Pd ostile a Matteo verrà risucchiato dalla Cgil che ha un nuovo leader in agguato: Maurizio Landini.

Nel caso di elezioni anticipate, il renzismo autoritario prenderà gran parte dei voti di quel cinquanta per cento di italiani impauriti dalla crisi e ancora disposti ad andare ai seggi. Affidarsi a un uomo solo è una pessima abitudine italiana. Dunque la domanda è una sola: Renzi avrà un’opposizione degna di questo nome? Bisogna sperare di sì. Contrastare un sistema che rischia di diventare oppressivo è una necessità democratica.

Quanti se ne rendono conto nel ceto politico, imprenditoriale, burocratico e nei media? Non ho risposte. Se è vero che il futuro è solo I’inizio, come strilla lo slogan della Leopolda, dobbiamo toccare ferro. E sperare in un soprassalto di orgoglio in quel che resta dell’Italia repubblicana.

http://dai.ly

 

 

Il Pd di Renzi, l’apoteosi della CASTA, cerca di arraffare quanto più possibile prima che i 5stelle vadano al Governo – Nella “Manovrina” ecco l’emendamento per ripristina doppi incarichi per 143mila politici locali, vietati dal 2012…!

CASTA

 

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Il Pd di Renzi, l’apoteosi della CASTA, cerca di arraffare quanto più possibile prima che i 5stelle vadano al Governo – Nella “Manovrina” ecco l’emendamento per ripristina doppi incarichi per 143mila politici locali, vietati dal 2012…!

 

Manovrina, l’emendamento Pd ripristina doppi incarichi per 143mila politici locali

Nel 2012 è stata introdotta l’incompatibilità tra eletti e incarichi professionali retribuiti nelle pubbliche amministrazioni. Ma in Commissione Bilancio si riapre il capitolo delle consulenze. Unico limite: non potranno essere affidate dallo stesso ente in cui si è eletti. Ma basta andare nel comune a fianco o in un’altra regione. Ecco come hanno resuscitato il doppio lavoro degli eletti

Zac e zac, un colpo di forbici e una penna. E 143mila politici locali di tutta Italia hanno riacquistato di colpo il diritto al “doppio incarico”, quello di consigliere per il quale ricevono emolumenti e rimborsi dal proprio ente d’elezione e quello di consulente geometra, avvocato, progettista o ingegnere collaudatore. Unico limite: non farlo nell’amministrazione in cui occupano la poltrona. Ma basta andare in quella a fianco e l’incompatibilità, come d’incanto, non c’è più. E’ una delle sorprese della “manovrina” che in fase emendativa sta funzionando come una macchina del tempo che sposta le lancette della legge secondo i desiderata del momento.

Il Tar ha bocciato le nomine dei nuovi direttori dei musei? L’indomani spunta l’emendamento ad hoc che reinterpreta la legge 16 anni dopo, annullando il divieto. La stessa cosa succede oggi per consiglieri di 6mila comuni e 20 regioni d’Italia cui il governo Monti, cinque anni fa aveva messo un freno. A garanzia del risparmio e del buon andamento delle pubbliche amministrazioni, agli eletti venne vietato per legge di svolgere incarichi professionali remunerati. Al massimo, potevano percepire il rimborso delle spese sostenute e gettoni di presenza non superiori a 30 euro ma limitatamente a quelli obbligatori per legge, come il revisore dei conti. Per il resto, niente incarichi.

Quell’impiccio, evidentemente, dà fastidio a molti. Così nella prima versione della manovrina l’incompatibilità è stata rimossa per i 1.117 consiglieri regionali, purché la pubblica amministrazione conferente operi in ambito territoriale diverso da quello dell’ente presso il quale è rivestita la carica elettiva. Per i soli consiglieri comunali la limitazione era estesa all’area provinciale o metropolitana in cui esercita la carica elettiva. Troppo, deve aver pensato il deputato Pd Giuseppe Sanga. Ed ecco che l’onorevole si fa promotore in Commissione Bilancio di un emendamento ad hoc all’articolo 22 che riduce il divieto al solo comune d’elezione.

Così il consigliere o assessore che volesse svolgere incarichi di progettista per un’amministrazione pubblica potrà farlo semplicemente in quella a fianco. Ad esempio un consigliere regionale del Lazio che svolge la professione d’avvocato potrà essere remunerato nel caso in cui sia chiamato ad assistere legalmente in una causa (o incaricato per una consulenza) un ente locale di qualsiasi livello in Liguria o in una qualunque altra Regione diversa dal Lazio. Idem per il consigliere comunale di Forlimpopoli che potrà esercitare la sua professione al servizio del comune di Ospedaletto con cui la sua amministrazione confina.

Il blitz a favore del doppio lavoro dei consiglieri passa, ma non inosservato. Attaccano, ad esempio, i deputati di Alternativa Libera: “La scelta del Partito Democratico di cancellare il divieto per le pubbliche amministrazioni di dare incarichi professionali retribuiti a quanti sono già titolari di cariche elettive in enti locali è un vero e proprio insulto ai tanti professionisti, soprattutto giovani, che, in un periodo di crisi come quello attuale, si vedono ridurre le opportunità lavorative e di guadagno in favore dei rappresentati dei partiti”.

Va anche detto che dal 2012 ad oggi molti consiglieri avevano fatto ricorso e sollevato eccezioni contro la legge. I ricorsi erano poi andanti però a sbattere sul portone della Corte Costituzionale che giusto l’anno scorso si è espressa in difesa dei vincoli riferiti a tutte le ipotesi di incarico. Perché la ratio della legge, spiegava la Corte, non era la “preclusione dello svolgimento degli incarichi in favore delle pubbliche amministrazioni da parte dei titolari di carica” elettiva bensì “escludere che il titolare di tali cariche potesse percepire ulteriori emolumenti”. In pratica che gli incarichi venissero subordinati a logiche politiche anziché di garanzia della buon andamento dell’amministrazione. Con la manovrina quegli incarichi non saranno più vietati ma facoltativi. Basterà spostarsi di qualche chilometro per uscire dal perimetro dei divieti. Magari coperti con rimborso della benzina. E i consiglieri d’Italia, fin d’ora, ringraziano.

FONTE: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/29/manovrina-lemendamento-pd-ripristina-doppi-incarichi-per-143mila-politici-locali/3618769/?utm_source=feedburner&utm_medium=twitter&utm_campaign=Feed%3A+IlFattoQuotidiano-Feed+%28Il+Fatto+Social+Feed%29

Renzi ed il Pd ormai hanno capito che chi li vota è un branco di subnormali a cui puoi far bere qualunque cazzata. L’ultima? TOTTI SE NE È ANDATO PER COLPA DELLA RAGGI! …Non ridete, per uno che vota Renzi, questa cosa qui è più che attendibile!!

TOTTI

 

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Renzi ed il Pd ormai hanno capito che chi li vota è un branco di subnormali a cui puoi far bere qualunque cazzata. L’ultima? TOTTI SE NE È ANDATO PER COLPA DELLA RAGGI! …Non ridete, per uno che vota Renzi, questa cosa qui è più che attendibile!!

…E sì, chi l’avrebbe mai detto: rimpiangere i bei tempi in cui oltre metà del nostro Parlamento era certo, oltre ogni ragionevole dubbio, che Ruby era la legittima nipote di Mubarak.

Ne è passata di acqua sotto i ponti e noi siamo diventati sempre più coglioni.

Perchè c’è un ebete che mette in giro la voce che Totti ha abbandonato il calcio per colpa della Raggi …e se lo fa c’è qualche demente che gli crede pure.

Questo è Renzi, questa è la sinistra di oggi e, purtroppo, questi sono gli Italiani…

Ci racconta Franco Bechis:

L’ultima di Matteo Renzi: Totti se ne è andato per colpa della Raggi

Sembra una barzelletta, ma è un manifesto che ha messo in rete il Partito democratico. Accusando Virginia Raggi di essere la vera responsabile dell’addio di Francesco Totti alla Roma. Lo avrebbe fatto scappare lei, mentre Luciano Spalletti e James Pallotta si sbracciavano per farlo giocare ancora la prossima stagione. Sarà colpa della visita nello spogliatoio che la Raggi ha fatto prima della partita? Totti l’ha vista e se l’è data a gambe? Il Pd di renzi cita per nobilitare la trovata un articolo del New York Times. Che però non dice proprio quello che è scritto nel manifesto, ma racconta l’addio del campione che mette ko una città che nell’ultimo decennio (non nell’ultimo anno) ha dovuto fare i conti con il lavoro perduto e il dramma dei rifiuti… Via il bianchetto su quel “decennio”, e la trovata Pd è in rete. Ideata dagli stessi che ogni giorno tuonano sulle fake news della rete. (Franco Bechis)

Voucher, ok all’emendamento del Governo con i voti di Forza Italia e Lega. Ricordiamo che solo qualche mese fa li avevano aboliti per evitare che li cancellassimo noi col Referendum! In altre parole: CI STANNO PRENDENDO PER IL CULO – Ricordatevi anche di questo quando andrete a votare!

Voucher

 

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Voucher, ok all’emendamento del Governo con i voti di Forza Italia e Lega. Ricordiamo che solo qualche mese fa li avevano aboliti per evitare che li cancellassimo noi col Referendum! In altre parole: CI STANNO PRENDENDO PER IL CULO – Ricordatevi anche di questo quando andrete a votare!

Da Il Fatto Quotidiano

Voucher, ok all’emendamento del governo. Orlandiani non votano. Mdp contro: “Rapporto con governo a rischio”

Il testo passa con i voti di Forza Italia e Lega. Fuori dall’aula la corrente del Guardasigilli. E gli scissionisti minacciano di togliere la fiducia all’esecutivo

Forza Italia che vota con il Pd. Il Pd che perde altri pezzi. Cuperlo che cita Euripide. Mdp che minaccia di non votare la fiducia al governo. Mentre Gentiloni è impegnato a rappezzare un G7 con molti disaccordi e pochissime intese, il via libera della commissione Bilancio della Camera alle nuove norme sul lavoro accessorio, lacera ulteriormente il Partito democratico e allarga la crepa con gli scissionisti di Mdp, scandendo rumorosamente il conto alla rovescia del suo governo. In commissione il testo del Pd Mauro Guerra che istituisce i nuovi buoni lavoro ottiene 19 sì e 6 no. Ma pesa il voto contrario di Mdp e il non voto degli orlandiani. L’ala vicina al ministro della Giustizia, rappresentata in commissione Bilancio da Susanna Cenni, Carlo Dell’Aringa e Antonio Misiani, ha preferito abbandonare i lavori, non partecipando al voto. Contrario fin dall’inizio Mdp, che si è schierato contro l’emendamento insieme a M5S e Sinistra italiana. A favore invece si sono espressi Ap, Scelta Civica, Lega e Forza Italia.

L’emendamento approvato, una riformulazione di quello presentato da Titti Di Salvo (Pd), prevede l’introduzione di un libretto famiglia per i lavori domestici, contratto di prestazione occasionale per le piccole imprese. Ciascun lavoratore non potrà ricevere compensi superiori a 5mila euro e non più di 2.500 euro dal medesimo datore di lavoro. A sua volta, l’utilizzatore non potrà superare i 5mila euro di compensi. Per quanto riguarda il nuovo contratto di prestazione occasionale, potrà essere utilizzato da micro imprese fino a 5 dipendenti, escluse quelle del settore agricolo, fatto salvo per pensionati, disoccupati e studenti. Escluse anche le imprese edilizie e quelle coinvolte in appalti di opere o servizi. Se si supera il limite dei cinquemila euro o di durata della prestazione pari a 280 ore nell’anno civile, scatta l’assunzione a tempo pieno e indeterminato.

Fin qui la sostanza del testo. Ma è il sottotesto politico ad agitare la già concitata vita della maggioranza di governo. Questo emendamento “incrina in maniera fortissima e forse definitiva il nostro rapporto con maggioranza e forse con il governo”, dice il deputato Mdp Arturo Scotto. In aula prima di uscire inoltre Scotto ha detto che la discussione è stata “influenzata fortemente dai capricci di chi ha messo una gigantesca mina sull’esito della legislatura e delinea scenari politici di larghe intese”. Non è da meno il capogruppo Francesco Laforgia: “Il Pd – commenta – ha scelto di consumare l’ennesimo strappo. In barba a milioni di Italiani che volevano esprimersi in un referendum, ha prima fatto saltare quel passaggio democratico e poi ha reintrodotto, con una forzatura inaccettabile, i voucher anche per le imprese. Non voteremo la fiducia e il Pd dovrà spiegare a milioni di italiani le ragioni di una scelta irresponsabile sul merito e sul piano del funzionamento democratico delle istituzioni. Dovrà anche spiegare perché ha deciso di sabotare questa legislatura”.

Nel rimpallo delle responsabilità si butta anche il Partito democratico. “Maggioranza a rischio? No, prendiamo atto che c’è una situazione di questo tipo, valuteremo quello che succederà nei passaggi successivi e speriamo che al Senato Mdp manterrà fede agli impegni presi con i suoi elettori dicendo che avrebbe sostenuto con lealtà il governo, dopodiché ognuno si assumerà la sua responsabilità”. Così il capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato. Alla domanda se si aprirà alle larghe intese in caso Mdp non cambi la sua posizione a Palazzo Madama, Rosato ha risposto: “Assolutamente no, c’è la Costituzione che prevede cosa succede nel caso non ci siano i numeri”.

E meno male che a elevare i toni rissosi tra gli ex compagni di partito ci sia Gianni Cuperlo. A metà tra Nanni Moretti ed Euripide, l’ex candidato alla segreteria dem commenta: “Così ci si fa del male. Non è ragionevole evitare un referendum chiesto da oltre un milione di cittadini e introdurre due mesi dopo una norma sulla stessa materia senza discuterne per tempo con chi quel referendum aveva promosso. Non sono annebbiato dalla faziosità”. “E’ evidente che affrontare il tema in un modo che divide, con un emendamento alla manovrina e senza aver condiviso nulla di tutto ciò coi lavoratori e chi li rappresenta è uno sgarbo al buon senso. Per questo – spiega – sono contrario. Presentare quell’emendamento nella parte sulle imprese è stato un errore come un errore serio ha compiuto il governo nell’ispirarlo e nel sostenerlo. Quos vult Iupiter perdere, dementat prius“, conclude Cuperlo citando in latino un motto attribuito a Euripide, che letteralmente significa “a quelli che vuole rovinare, Giove toglie prima la ragione”.

 

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/27/voucher-ok-in-commissione-allemendamento-del-governo-orlandiani-non-votano-mdp-contro-rapporto-con-governo-a-rischio/3618571/

Il ritorno di Berlusconi: “Il M5S preleverà la metà dei vostri patrimoni” …Ormai è rincoglionito e bisogna capirlo… ma rendetevi conto che c’è gente che lo vota!!

Berlusconi

 

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Il ritorno di Berlusconi: “Il M5S preleverà la metà dei vostri patrimoni” …Ormai è rincoglionito e bisogna capirlo… ma rendetevi conto che c’è gente che lo vota!!

 

Alla cena per il compleanno di Renata Polverini, ex governatrice del Lazio e deputata di Forza Italia, lo speudo-Cavaliere (non doveva decadere dalla carica? boh…) è tornato alla carica, facendo presagire una entrata in scena clamorosa per le prossime elezioni politiche.

In forma smagliante, secondo gli invitati alla festa (non ci fate caso, i soliti leccaculo), Berlusconi ha tenuto un vero e proprio monologo che ha catalizzato l’interessamento di tutti i partecipanti:

Dove sono quelli del Pd?“, ha esordito “Voglio raccontare un pò di storielle su Renzi. Non vedo l’ora di cominciare la campagna elettorale. Anche se sarà il mese di agosto: in vita mia non ne ho mai sbagliato una”

Ed e a questo punto che Berlusconi spiazza tutti:

La mia campagna elettorale sarà tutta contro i Cinquestelle. Voi volete mantenere i grillini al potere? Sappiate che vi porteranno via il 50 per cento del patrimonio. I vostri figli erediteranno la metà di quello che avete costruito con le vostre fatiche”.

I bene informati sotengono che, dopo la rottura del patto del Nazareno, Renzi e B. sono tornati a sentirsi, conferma delle parole trapelate riguardo il Nazareno bis. Parole che registrano non solo ottimismo ma addirittura entusiasmo.

Da decidere solo la data: Renzi vorrebbe incontrare Berlusconi prima della direzione del 30 maggio, subito all’inizio della settimana prossima.

Berlusconi, dunque, prepara la sfida alle prossime politiche.

Con un solo diktat, vincerle a tutti i costi.

I Voucher significano sfruttamento e lavoro sottopagato, per questo piacciono così tanto al Pd di Renzi: li avevano aboliti per evitare un’altra bastonata al referendum, ma, falsi peggio di Giuda, ecco che ora li tirano fuori di nuovo …e Voi continuate a dare il voto a queste carogne…!

Voucher

 

 

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I Voucher significano sfruttamento e lavoro sottopagato, per questo piacciono così tanto al Pd di Renzi: li avevano aboliti per evitare un’altra bastonata al referendum, ma, falsi peggio di Giuda, ecco che ora li tirano fuori di nuovo …e Voi continuate a dare il voto a queste carogne…!

 

Voucher, dal referendum Cgil all’abolizione e ritorno. Cosa bolle nella pentola dei buoni lavoro

Della questione si sta occupando il viceministro dell’Economia Enrico Morando, d’intesa coi tecnici di Via Veneto. Da lì, di fatto, uscirà la proposta di riferimento, che poi – per motivi di forma – verrà però limata e firmata da un portavoce del Pd, forse dallo stesso relatore Mauro Guerra. Una proposta che comunque non andrà incontro a grandi ritocchi

“All’inizio era fuoco di sbarramento; ormai si è passati al conflitto”. La battuta è di Giorgio Airaudo, deputato di Sinistra Italiana, e riassume bene lo scontro parlamentare di questi giorni sul tema dei voucher. Uno scontro che sembrava figlio della pretattica, e che invece ora mette a rischio la sopravvivenza stessa del governo. La minaccia definitiva all’esecutivo Gentiloni arriva da Francesco Laforgia, capogruppo di Articolo 1 – Mdp alla Camera: “Se si reintroducono i voucher per le imprese, noi usciamo dalla maggioranza”. La replica del Pd è affidata a Ettore Rosato: “Ci eravamo impegnati a normare il lavoro occasionale e lo facciamo. Chi non lo vuole evidentemente preferisce il lavoro in nero”. Queste, dunque, le dichiarazioni incrociate. Ma su cos’è che si litiga, in effetti?

La prima questione è di metodo. “Però il metodo, in casi come questi, è sostanza”, afferma laconica Tania Scacchetti, segretario confederale della Cgil. I voucher erano stati aboliti a metà marzo, con un decreto d’urgenza che aveva come finalità esclusiva quella di scongiurare il rischio del referendum indetto dal sindacato di Susanna Camusso. Ora che la chiamata alle urne è stata sventata, ecco che il governo vuole reintrodurre i buoni lavoro: in forme diverse, soprattutto nel nome, da ciò che c’era prima, ma non abbastanza diverse perché il tutto non appaia una furbata. E lo fa, di nuovo, in grande fretta, rinunciando alla via del confronto.

“Il punto è che il governo, come al solito, comprime il dialogo”, protesta la deputata pentastellata Tiziana Ciprini. Il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, in queste ore prova in realtà a sgravare l’esecutivo da ogni responsabilità: “Se ne sta occupando il parlamento”, spiega. Ma non è proprio così. È vero: in Commissione bilancio, alla Camera, è tuttora in discussione il decreto che riguarda la cosiddetta manovrina da 3,4 miliardi, e in quel contesto si sta discutendo anche delle misure per i nuovi voucher. Ma si discute per modo di dire, con la certezza che questo confronto servirà a ben poco. Tutti, infatti, sono in attesa, da oltre una settimana, che arrivi un emendamento di iniziativa del governo. Della questione si sta occupando il viceministro dell’Economia Enrico Morando, d’intesa coi tecnici di Via Veneto. Da lì, di fatto, uscirà la proposta di riferimento, che poi – per motivi di forma – verrà però limata e firmata da un portavoce del Pd, forse dallo stesso relatore Mauro Guerra. Una proposta che comunque non andrà incontro a grandi ritocchi. Anche perché il tempo stringe: il decreto va convertito da entrambe le Camere entro il 24 di giugno. Possibilità per discutere, dunque, non ce ne sarà.

E qui si arriva all’altra questione: quella del merito. Cosa intende proporre, il governo? Nel dettaglio, nessuno sa dirlo con esattezza. Ma su un punto il fronte dei contrari è d’accordo: “Si vuole far rientrare dalla finestra ciò che è stato fatto uscire dalla porta”. Il nodo cruciale riguarda la reintroduzione dei voucher – o dei loro surrogati – per le imprese. “Quello è l’errore fondamentale”, ha ripetuto in questi giorni l’ex ministro Cesare Damiano, presidente dem della commissione Lavoro alla Camera, che si dice “contrario” alle scelte della componente renziana del suo partito. “A me sembrava che la promessa del governo fosse chiara: i voucher solo per i lavoretti occasionali. E infatti – prosegue Damiano – noi volevamo reintrodurli solo per le famiglie e le ong”. Così non sarà. Le indiscrezioni che circolano, infatti, parlano di un sostanziale accordo tra il Pd e Alleanza Popolare. L’asse, insomma, tra Matteo Renzi e Angelino Alfano, suggellato a inizio aprile anche un incontro ufficiale tra i capigruppo di Camera e Senato di Ap e Paolo Gentiloni. Negli scorsi giorni Maurizio Lupi si mostrava sicuro: “Sono certo che il governo accoglierà la nostra proposta e si troverà un’intesa”. La quadra, per quanto riguarda le aziende, dovrebbe arrivare intorno all’idea avanzata da Maurizio Sacconi: una sostanziale estensione del contratto a chiamata in una versione più semplificata. Un mini-contratto attivabile tramite un’iscrizione online, con tanto di contributo previdenziale al 32% (com’è per le collaborazioni, dunque). Qualche paletto in più, rispetto ai vecchi voucher, s’intravede: forse un minimo di 4 ore di lavoro necessario per poter avviare la procedura telematica, forse un tetto annuo di 5mila euro totali di retribuzione in voucher per ogni singola impresa. Ma si qui si vaga, ancora, nel campo delle ipotesi. E nell’attesa che venga svelato il testo, per ora di certo c’è solo il conflitto.

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/25/voucher-dal-referendum-cgil-allabolizione-e-ritorno-cosa-bolle-nella-pentola-dei-buoni-lavoro/3614791/

Banche, l’inchiesta Parlamentare? Ma tu guarda un po’, per “loro” non è una priorità! Il Pd boccia la proposta di discuterne subito alla Camera…!

Banche

 

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Banche, l’inchiesta Parlamentare? Ma tu guarda un po’, per “loro” non è una priorità! Il Pd boccia la proposta di discuterne subito alla Camera…!

Come al solito Renzi spara la sua menzogna “Non vediamo l’ora che parta” amplificata dai media di regime. Poi a telecamere spente ecco che che fa il contrario. Alla Camera la maggioranza boccia la proposta di discuterne subito…!!

E mi fanno morire quelli del Pd che sul caso De Bortoli dicono tronfi “Ma la Boschi ha dato la sua parola che non è vero”…

La parola della Boschi? Quella di Renzi? Ma se da quando sono in politica non hanno mai detto la verità?

La prova? Siamo qui a parlare di due che la politica, secondo quanto hanno giurato agli Italiani, dovrebbero vederla solo in Tv…!

Ci raccontano quei disgraziati de Il Fatto Quotidiano:

Banche, l’inchiesta parlamentare? Non è una priorità

Renzi: “Non vediamo l’ora che parta”. Poi la maggioranza boccia la proposta di discuterne subito alla Camera: di questo passo partirà solo dopo le ferie e non farà nulla

C’è Renzi 1, l’annunciatore. Quello che ieri pomeriggio ha inviato la consueta enews ai suoi lettori, regalando parole definitive riguardo la Commissione d’inchiesta sulle banche: “Non vediamo l’ora di iniziare per fare chiarezza fino in fondo. Il capogruppo del Pd sarà Matteo Orfini”. Poi c’è Renzi 2, il segretario del Pd. Il partito che alla Camera – a un paio d’ore dall’annuncio di Renzi 1 – ha votato per ritardare l’avvio della stessa commissione parlamentare che il leader non vede l’ora di iniziare.

È successo ieri a Montecitorio: a inizio seduta il Movimento 5 Stelle ha chiesto di invertire l’ordine del giorno per iniziare subito l’esame della legge che istituisce la bicamerale. Una proposta appoggiata anche da Forza Italia. Il Pd però ha votato contro: resta tutto com’è. Si parte dalla riforma dei parchi e delle aree verdi, peraltro osteggiata dalle associazioni ambientaliste. L’approvazione della commissione sulle banche rimane al sesto posto in calendario. Di questo passo, con la pausa estiva dietro l’angolo e la minaccia di elezioni tra fine settembre e inizio ottobre, sarebbe già tanto riuscire ad approvarla, figurarsi a sceglierne i componenti e iniziarne i lavori.

Per capire di cosa parliamo serve un passo indietro. La commissione bicamerale d’inchiesta, scomparsa a lungo dai radar parlamentari, è tornata d’attualità grazie alle rivelazioni del libro di Ferruccio de Bortoli, Poteri forti (o quasi): Maria Elena Boschi, allora ministra, avrebbe chiesto all’ex ad di Unicredit Federico Ghizzoni di valutare l’acquisto dell’ormai decotta Banca Etruria, di cui il papà Pier Luigi Boschi era vicepresidente.

Com’è noto, Maria Elena ha smentito e promesso di portare in tribunale l’ex direttore del Corriere della Sera. Come svelato ieri dal Fatto, invece, della querela dell’ex ministra non c’è ancora traccia.

La commissione potrebbe fugare ogni dubbio: basterebbe convocare Ghizzoni, che peraltro ha già dato la sua disponibilità (“se mi convocheranno parlerò in Parlamento, non sui giornali, risponderò ovviamente a tutte le domande che mi faranno”). A parole, poi, tutti si dicono ansiosi di ascoltare questa benedetta commissione parlamentare. Compreso Renzi, l’unico che ha davvero qualcosa da perdere – oltre alla sottosegretario Boschi – visto l’imbarazzante conflitto d’interessi che potrebbe riguardare la ministra più importante del suo governo.

Il Senato ha approvato la legge che istituisce la bicamerale solo il 4 aprile(dopo anni di melina), ora toccherebbe alla Camera dire sì alla legge istitutiva senza modifiche. Bisognerà però aspettare ancora un po’, visto il voto di ieri pomeriggio. Chissà cosa ne pensa Renzi 1.

I Cinque Stelle intanto hanno gioco facile: “Sarebbero bastati 15 minuti per chiudere l’iter della legge e far partire la Commissione – si legge in una nota dei deputati grillini – ma è evidente il doppio binario: si parla bene e si razzola male. Le chiacchiere stanno a zero e quelle dell’ex premier, in particolare, valgono meno di niente”.

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/banche-linchiesta-parlamentare-non-e-una-priorita/

Renzi e Berlusconi in pieno accordo per il voto il 24 settembre. Però, fateci caso, giusto in tempo: dal 15 settembre scatta il vitalizio per tutti i Parlamentari… E voi credete ancora che non sono solo una massa di farabutti?

 

Renzi e Berlusconi

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Renzi e Berlusconi in pieno accordo per il voto il 24 settembre. Però, fateci caso, giusto in tempo: dal 15 settembre scatta il vitalizio per tutti i Parlamentari… E voi credete ancora che non sono solo una massa di farabutti?

Leggiamo da Il Fatto Quotidiano (notizia, comunque riportata anche da diverse altre fonti):

Il nuovo Nazareno porta dritti al voto già il 24 settembre
Renzi pronto al patto con Berlusconi: se Forza Italia dà l’assenso al voto in autunno, dirà sì al sistema tedesco.
Silvio Berlusconi ci guadagna la quasi certezza di stare in un governo di larghe intese con Forza Italia nella prossima legislatura e Matteo Renzi la possibilità di andare a votare in autunno, possibilmente il 24 settembre, in contemporanea alla Germania.
E così vinco una scommessa fatta con gli amici.
Al voto dopo il 15 settembre (quando tutti i Parlamentari si saranno assicurati il Vitalizio), ma non molto dopo (tra l’altro Vi ricordo che al momento Renzi non ha l’immunità parlamentare, e Dio sa in questo momento quanto gli serve!)…
Per capirci qualcosa, ecco un altro scritto da Il Tempo. Era il Dicembre scorso e qualche sprovveduto pensava ancora al voto in questa primavera (aveva fatto i conti senza la fame di soldi pubblici di queste carogne):

Vitalizi e voto anticipato Così il Parlamento può “rubare” il tesoro di deputati e senatori

Un tesoretto da quasi 20milioni di euro. Sono i soldi che finirebbero a sorpresa nelle casse del Parlamento nel caso le Camere venissero sciolte prima del 15 settembre 2017. Fondi accantonati dai parlamentari al primo mandato, che potrebbero ritrovarsi presto senza poltrona e senza contributi versati.

Andiamo con ordine. Gli ex parlamentari ottengono la pensione a 65 anni dopo aver ricoperto un mandato di almeno 4 anni 6 mesi e un giorno (per ogni anno di mandato ulteriore dopo i cinque previsti, l’età richiesta scende di un anno, con il limite a 60 anni).

Ogni mese deputati e senatori versano un contributo pari all’8,80 per cento dell’indennità parlamentare lorda, più o meno 750 euro. Soldi che vengono messi dal Parlamento in un fondo, in cui ovviamente confluiscono anche i contributi pagati da Camera e Senato (circa 1.400 euro al mese per ogni rappresentante). Ma se l’onorevole non dovesse arrivare ai fatidici 54 mesi e un giorno di mandato non avrebbe diritto a prendere un euro. Del resto funziona così anche per tutti gli altri lavoratori che, però, devono avere un minimo di 20 anni di contributi.

Le norme sono chiare. L’articolo 2 del regolamento per il trattamento previdenziale dei deputati, al comma 5, prevede che «per i contributi versati a decorrere dal 1° gennaio 2012 non è ammessa la restituzione». Dunque o i parlamentari al primo mandato saranno ancora in carica il 15 settembre del prossimo anno, oppure perderanno il diritto alla pensione da onorevoli e tutti i contributi versati.

Facciamo i conti. I deputati e i senatori eletti nel 2013 per la prima volta sono 591 (su 945): 399 deputati e 192 senatori. Dunque una larga maggioranza, che coinvolge tutte le forze politiche, anche se la parte del leone la fanno il Pd e il M5S. Nei giorni scorsi molti ne hanno contati 608, aggiungendo probabilmente ai 591 anche quelli che già avevano alcuni mesi di mandato nelle passate legislature e che quindi matureranno il diritto al vitalizio qualche mese prima del prossimo settembre.

Ognuno dei 591 parlamentari ha versato 33.750 euro (750 euro al mese trattenuti dallo stipendio per 45 mesi di mandato, fino ad oggi). Dunque il fondo ha raccolto in tutto 19.946.250 euro. Un tesoro a disposizione della Camera e del Senato se le consultazioni del presidente della Repubblica Mattarella dovessero avvicinare il voto e, dunque, interrompere la legislatura. O anche se il nuovo governo dovesse esaurire il suo compito rapidamente e, come hanno chiesto alcune forze politiche, ci fossero elezioni subito prima dell’estate.

Molti parlamentari sono in fibrillazione anche perché tra i 591 che rischiano di perdere i contributi versati ce ne sono parecchi che non verranno ricandidati. Dunque perderebbero l’occasione di avere una pensione da ex parlamentare. Non ricca come un tempo, in cui per un mandato si conquistavano tremila euro al mese, ma pur sempre una somma dignitosa (mille euro al mese). Alcuni deputati e senatori stanno ipotizzando, nel caso, di fare ricorso per chiedere la restituzione dei contributi ma sembra che i margini siano piuttosto ristretti.

Attacca Riccardo Fraccaro (M5S), membro dell’ufficio di presidenza di Montecitorio. È stato tra quelli che, negli ulti- mi anni, hanno presentato in Aula i provvedimenti (tutti bocciati) per abolire vitalizi, auto blu e rimborsi vari. Ora tuona: «Chiediamo di restituire la parola ai cittadini subito dopo che la Consulta si sarà pronunciata sull’Italicum, quando si avrà una legge elettorale corretta con il recepimento delle indicazioni della Corte. È inaccettabile che i partiti vogliano continuare a tergiversare, avallando l’ennesimo esecutivo non eletto solo per maturare il vitalizio e non perdere i contributi versati. Tanto più che si tratta degli stessi politici che hanno calpestato i diritti degli italiani e godono già di innumerevoli privilegi». Per i parlamentari che temono di restare senza pensione e senza contributi versati ci sarebbe anche la beffa. Cioè che quei 20 milioni di euro che la Camera e il Senato si ritroverebbero in cassa rimarrebbero nello stesso capitolo di bilancio, quello sul trattamento pre- videnziale. Andrebbero dunque a finanziare i vitalizi che il Parlamento continuerà a pagare ancora per molti anni ai 2.600 ex deputati ed ex senatori che hanno maturato l’assegno prima del 2012 (anno in cui c’è stato il passaggio tra il sistema retributivo e quello contributivo).

Ma niente paura. Per i parlamentari sull’orlo di una crisi di nervi (e di governo) ci sarà comunque una consolazione: la buonuscita. Ognuno, infatti, mette da parte mensilmente, in un apposito fondo, una quota della propria indennità lorda, pari a 784,14 euro. Al termine del mandato parlamentare ogni onorevole riceve l’assegno di fine mandato, che è pari all’80 per cento dell’importo mensile lordo dell’indennità per ogni anno di mandato effettivo (o frazione non inferiore a sei mesi). In tutto 30 mila euro. Certo se la legislatura dovesse proseguire ancora pure la buonuscita sarebbe più pesante. Allora perché non tentare di conquistare il massimo rimanendo in carica fino al termine naturale della legislatura, cioè nel 2018? Ci stanno pensando parecchi parlamentari. Diranno che servirà per dare più stabilità al Paese.

Detto tutto questo, penso che dubbi non ce ne sono: SONO SOLO UNA MASSA DI FARABUTTI!

By Eles

Per rinfrescarVi la memoria: Renzi assolto dall’accusa di danno erariale. Ma la motivazione della sentenza è esilarante: “INCAPACE DI PERCEPIRE L’ILLEGGITTIMITÀ DEL SUO OPERATO”! In altre parole: ha commesso il fatto, ma non è colpa sua perchè è un IDIOTA !!

danno erariale

 

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Per rinfrescarVi la memoria: Renzi assolto dall’accusa di danno erariale. Ma la motivazione della sentenza è esilarante: “INCAPACE DI PERCEPIRE L’ILLEGGITTIMITÀ DEL SUO OPERATO”! In altre parole: ha commesso il fatto, ma non è colpa sua perchè è un IDIOTA !!

Assunzioni irregolari a Firenze, Renzi assolto perché “non addetto ai lavori”
“Dopo due condanne mi hanno assolto. Ristabilita la verità”. Così Matteo Renzi esultava via Twitter dopo la sentenza della Corte dei Conti che lo ha sollevato dall’accusa di danno erariale per i contratti di assunzione nella sua segreteria tra il 2004 e il 2009. Resta l’imbarazzo delle motivazioni: secondo la Corte, infatti, l’allora presidente della Provincia di Firenze non era in grado di percepire le illegittimità del proprio operato.

Quando è stato assolto ha esultato su Twitter: “La Corte mi aveva condannato a pagare 14mila euro per un atto amministrativo della Provincia di Firenze. Oggi condivido una piccola soddisfazione: l’appello ha annullato la condanna e la verità viene finalmente ristabilita”. Per Matteo Renzi sembrava chiusa così la vicenda dei portaborse senza laurea che aveva assunto nella sua segreteria personale con contratti e retribuzione da dirigenti negli anni dal2004 al 2009. Per quella storia aveva subito due condanne da parte della Corte dei Conti della Toscana e tre anni dopo è arrivata l’assoluzione in appello nel Lazio. L’unico ad essere sollevato però, a quanto pare, è il diretto interessato.

Le motivazioni della sentenza emessa dai giudici della I Sezione centrale di appello di Roma il 4 febbraio 2015 tolgono al premier l’imbarazzo della condanna ma non altri. A pagina 11 del dispositivo si legge infatti: “Pur non ricorrendo gli estremi della cosiddetta “esimente politica”, questo Collegio ritiene di poter rilevare l’assenza dell’elemento psicologico sufficiente a incardinare la responsabilità amministrativa, in un procedimento amministrativo assistito da garanzie i cui eventuali vizi appaiono di difficile percezione da parte di un ‘non addetto ai lavori’”. In poche parole, Renzi viene assolto perché non in grado di percepire le illegittimità del proprio operato. E forse, già che oggi è Presidente del Consiglio, non è proprio motivo di festa. Piaccia o non piaccia, è questa la motivazione che ha seppellito le due sentenze della sezione giurisdizionale della Toscana che il 4 agosto 2011 (n. 282) e il 9 maggio 2012 (n. 227) avevano condannato Renzi e altre venti persone, tra colleghi di giunta e funzionari, per danno erariale con colpa grave.

E che cosa aveva mai combinato, l’allora presidente della Provincia e oggi premier d’Italia? Secondo il procuratore contabile aveva inquadrato nel suo staff quattro persone esterne all’amministrazione come funzionari, qualifica che richiede la laurea, pur non possedendola. L’indagine era nata da una denuncia anonima sull’assunzione di Marco Carrai, “uomo-ombra” del renzismo, all’epoca ventinovenne, sistemato nella segreteria del presidente nonostante fosse privo del diploma di laurea. Così per cinque anni, i quattro avrebbero beneficiato di uno stipendio maggiorato e non dovuto. Una violazione delle disposizioni sulla contrattazione collettiva del comparto previste dall’art. 90del Testo Unico degli Enti Locali (TUEL, d.lgs 267/2000) che avrebbe prodotto un danno per l’amministrazione stimato in 2.1 milioni di euro, ridotto dai giudici di primo grado a un risarcimento di 50mila. Di questa somma, circa 14mila euro sono stati posti a carico del rottamatore. La cifra è modesta, il significato politico del giudizio di prima grandezza.

Alla fine resta una sentenza di assoluzione dalle motivazioni sorprendenti, per certi versi preoccupanti. Il direttore di Lex Italia, rivista di diritto pubblico, Giovanni Virga la spiega così: “Il collegio ha ritenuto che l’attuale Presidente del Consiglio, pur essendo in possesso di una laurea in giurisprudenza, è un “non addetto ai lavori” che si fida ciecamente degli apparati burocratici (che quindi sono stati giustamente condannati in primo grado) e che non è in grado nemmeno di rilevare che al personale privo di laurea da lui assunto in via fiduciaria non può essere corrisposto il trattamento economico previsto per i laureati”. Il principio rischia di spalancare le porte a un sistema diffuso di elusione della responsabilità erariale. “Serve anche a mandare assolti nei giudizi di responsabilità i politici di vertice i quali, essendo “non addetti ai lavori” non possono essere ritenuti responsabili degli atti da loro adottati”.

I giudici, a onor del vero, avevano anche un’altra strada per assolvere Renzi. Era ben nascosta nei meandri della riforma della Pa del suo ministro Madia presentata il 13 giugno e convertita l’11 agosto 2014 come legge n. 114. Lì è spuntato un comma 3-bis che modifica il Testo Unico degli Enti Locali proprio nella parte che riguarda l’inquadramento del personale di staff esterno alla PA. Dispone che “resta fermo il divieto di effettuazione di attività gestionale anche nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro il trattamento economico, prescindendo dal possesso del titolo di studio, è parametrato a quello dirigenziale”. Con un lessico un po’ oscuro e bizantino, il comma sembra acclarare la possibilità di parametrare il trattamento economico dei “portaborse” sprovvisti di laurea a quello dei dirigenti; proprio l’inciampo oggetto dell’appello di Renzi nel Lazio. Da qui, il sospetto che non fosse entrato nella riforma per caso ma ad “usum delfini”, perché venisse applicato retroattivamente dalla Corte dei conti in base al principio di retroattività della legge favorevole al reo. Non è stato necessario usufruire della legge ad personam. E’ bastato che la persona ignorasse la legge. Così, l’ignoranza mai ammessa per legge viene sdoganata per sentenza.

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/25/assoluzione-renzi-legge-ad-personam-era-persona-ignora-legge/1451685/

http://siamolagente3.altervista.org/rinfrescarvi-la-memoria-renzi-assolto-dallaccusa-danno-erariale-la-motivazione-della-sentenza-esilarante-incapace-percepire-lilleggittimita-del-suo-operato-parole-c/