23 maggio – Oggi ricordiamo anche Francesca Morvillo, moglie di Falcone, la prima e unica Magistrata a essere assassinata dalla mafia

 

Morvillo

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

23 maggio – Oggi ricordiamo anche Francesca Morvillo, moglie di Falcone, la prima e unica Magistrata a essere assassinata dalla mafia

 

Ricordiamo Francesca Morvillo, la prima e unica magistrata a essere assassinata dalla mafia

E’ stata una delle prime italiane a vincere il concorso in magistratura nel 1968, ha avuto una carriera brillante molto prima di conoscere Giovanni Falcone.

Bisogna ammettere che di Francesca Morvillo si è sempre detto poco, ma non certo perché lei fosse una “costola”, un accessorio muto del marito, ma perché Giovanni Falcone ieri come oggi è sempre stato considerato un eroe, la sua di luce avrebbe messo all’ombra chiunque, anche una moglie come la Morvillo.
Era una donna mite e discreta ma il suo ruolo nella vita del marito è stato così importante che oggi molti amici della coppia affermano che forse il Falcone che abbiamo conosciuto non avrebbe avuto tale forza e determinazione senza di lei.
Prima di tutto partiamo da una considerazione. Quando il 23 maggio del 1992, alle 17.58, una carica di cinque quintali di tritolo fece saltare in aria un pezzo dell’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, vicino a Palermo, azionata dalla mano Giovanni Brusca, uccidendo il giudice Giovanni Falcone insieme alla sua scorta, e alla moglie Francesca, la morte di lei non fu per caso. Non fu un inciampo. Lei era lì perché lo aveva scelto.
Francesca Morvillo è il primo e unico magistrato donna assassinato nel nostro Paese. E’ stata una delle prime italiane a vincere il concorso in magistratura nel 1968, ha avuto una carriera brillante molto prima di conoscere Giovanni, è stata Sostituto Procuratore al Tribunale dei Minori di Palermo, prima che l’italiano media conoscesse il nome di Falcone. Si conoscono a casa di amici nel 1979. Sono entrambi sposati e lui era appena tornato a Palermo dopo 14 anni di assenza. Succede che si innamorano e lasciamo i loro compagni. Francesca sa molto bene cosa fa. Sa che non sarà facile che lui non è un uomo come tanti. E Giovanni dal canto suo sa che solo una collega che si batte con passione per la giustizia come Francesca può sopportare tutto quello che gli anni insieme riserveranno a entrambi. Da subito una scorta che non li lascerà mai e poi la rinuncia ad avere figli perché come le disse un giorno Giovanni “non si fanno orfani, si fanno figli”. Le foto che abbiamo di lei sono quasi tutte sorridenti, ma possiamo immaginare quanto sia stata dura. Dopo il periodo all’Asinara, torna a lavorare, non lascia mai il suo impiego di magistrato e aiuta Giovanni, per senso di giustizia e amore per la legalità ogni volta che lui le sottoponeva i suoi provvedimenti più delicati. Spesso lei è in disaccordo e glielo dice sicura delle sue posizioni.
Si sposano, e poi arriva il momento in cui dopo il primo attentato sventato mentre sono in vacanza lui vuole divorziare per salvarla, ma lei resta, non solo per amore ma perché quella da donna di Stato come è, è anche la sua guerra alla Mafia.
Altro che ombra… Francesca Morvillo è stata luce, è stata la degna compagna di un uomo non certo comune. Forse è stata più coraggiosa, più caparbia perché sapeva che non sarebbe stata ricordata quanto lui, ma lo ha fatto per amore, amore di lui e amore di giustizia.

fonte: http://www.globalist.it/news/articolo/2018/05/23/ricordiamo-francesca-morvillo-la-prima-e-unica-magistrata-a-essere-assassinata-dalla-mafia-2024782.html

L’ultimo discorso di Borsellino in ricordo di Falcone: tu vivrai per sempre

 

Falcone

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

L’ultimo discorso di Borsellino in ricordo di Falcone: tu vivrai per sempre

Il 23 giugno del 1992 il magistrato ricordò l’amico e compagno massacrato a Capaci con la moglie Francesca e i tre uomini della scorta. Paolo Borsellino fu ucciso dalla mafia poche settimane dopo

Quello che segue è il discorso che Paolo Borsellino pronunciò in memoria dell’amico e compagno di lavoro alla Veglia per Giovanni Falcone, nella chiesa di Sant’Ernesto, a Palermo il 23 giugno 1992. Borsellino fu ucciso poche settimane dopo la mafia, il 19 luglio del 1992.

(Il testo è un estratto da:  “Le ultime parole di Falcone e Borsellino”. Prefazione di Roberto Scarpinato. A cura di Antonella Mascali . Ed. Chiarelettere, Milano 2012).

“Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte.
Non poteva ignorare, e non ignorava, Giovanni Falcone, l’estremo pericolo che egli correva perché troppe vite di suoi compagni di lavoro e di suoi amici sono state stroncate sullo stesso percorso che egli si imponeva. Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato, che tanto non gli piaceva. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli siamo stati accanto in questa meravigliosa avventura, amore verso Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria a cui essa appartiene.
Qui Falcone cominciò a lavorare in modo nuovo. E non solo nelle tecniche di indagine. Ma anche consapevole che il lavoro dei magistrati e degli inquirenti doveva entrare nella stessa lunghezza d’onda del sentire di ognuno. La lotta alla mafia (primo problema morale da risolvere nella nostra terra, bellissima e disgraziata) non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolgesse tutti, che tutti abituasse a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità. Ricordo la felicità di Falcone, quando in un breve periodo di entusiasmo conseguente ai dirompenti successi originati dalle dichiarazioni di Buscetta [il pentito Tommaso Buscetta, ] egli mi disse: «La gente fa il tifo per noi». E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l’appoggio morale della popolazione dà al lavoro del giudice. Significava soprattutto che il nostro lavoro, il suo lavoro stava anche smuovendo le coscienze, rompendo i sentimenti di accettazione della convivenza con la mafia, che costituiscono lavera forza di essa.
Questa stagione del «tifo per noi» sembrò durare poco perché ben presto sopravvennero il fastidio e l’insofferenza al prezzo che alla lotta alla mafia, alla lotta al male, doveva essere pagato dalla cittadinanza. Insofferenza alle scorte, insofferenza alle sirene, insofferenza alle indagini, insofferenza a una lotta d’amore che costava però a ciascuno, non certo i terribili sacrifici di Falcone, ma la rinuncia a tanti piccoli o grossi vantaggi, a tante piccole o grandi comode abitudini, a tante minime o consistenti situazioni fondate sull’indifferenza, sull’omertà o sulla complicità. Insofferenza che finì per invocare e ottenere, purtroppo, provvedimenti legislativi che, fondati su una ubriacatura di garantismo, ostacolarono gravemente la repressione di Cosa nostra e fornirono un alibi a chi, dolosamente o colposamente, di lotta alla mafia non ha mai voluto occuparsene. In questa situazione Falcone andò via da Palermo. Non fuggì. Cercò di ricreare altrove, da più vasta prospettiva, le ottimali condizioni del suo lavoro. Per poter continuare a «dare». Per poter continuare ad «amare». Venne accusato di essersi troppo avvicinato al potere politico. Menzogna!

Qualche mese di lavoro in un ministero non può far dimenticare il suo lavoro di dieci anni. E come lo fece! Lavorò incessantemente per rientrare in magistratura. Per fare il magistrato, indipendente come sempre lo era stato, mentre si parlava male di lui, con vergogna di quelli che hanno malignato sulla sua buona condotta. Muore e tutti si accorgono quali dimensioni ha questa perdita. Anche coloro che per averlo denigrato, ostacolato, talora odiato e perseguitato, hanno perso il diritto di parlare! Nessuno tuttavia ha perso il diritto, anzi il dovere sacrosanto, di continuare questa lotta. Se egli è morto nella carne ma è vivo nello spirito, come la fede ci insegna, le nostre coscienze se non si sono svegliate debbono svegliarsi.

La speranza è stata vivificata dal suo sacrificio. Dal sacrificio della sua donna. Dal sacrificio della sua scorta.
Molti cittadini, ed è la prima volta, collaborano con la giustizia. Il potere politico trova il coraggio di ammettere i suoi sbagli e cerca di correggerli, almeno in parte, restituendo ai magistrati gli strumenti loro tolti con stupide scuse accademiche.
Occorre evitare che si ritorni di nuovo indietro. Occorre dare un senso alla morte di Giovanni, della dolcissima Francesca, dei valorosi uomini della sua scorta. Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera. Facendo il nostro dovere; rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici; rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne (anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro); collaborando con la giustizia; testimoniando i valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, anche dentro le aule di giustizia.
Troncando immediatamente ogni legame di interesse, anche quelli che ci sembrano innocui, con qualsiasi persona portatrice di interessi mafiosi, grossi o piccoli; accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità di spirito; dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo”.

Parole pronunciate alla Veglia per Giovanni Falcone, nella chiesa di Sant’Ernesto, a Palermo il 23 giugno 1992.

Era meglio che non fosse entrata in politica… Incompetente… Danneggia tutti da destra a sinistra… Supponente e inconsistente… Dopo di lei il vuoto assoluto… Nessuno la rimpiangerà… Un errore della Storia e basta… Il lusinghiero giudizio del Giudice Nicoli sulla Serracchiani!

 

Serracchiani

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

 

Era meglio che non fosse entrata in politica… Incompetente… Danneggia tutti da destra a sinistra… Supponente e inconsistente… Dopo di lei il vuoto assoluto… Nessuno la rimpiangerà… Un errore della Storia e basta… Il lusinghiero giudizio del Giudice Nicoli sulla Serracchiani!

 

Trieste, il verdetto del giudice Nicoli: «Serracchiani incompetente»

Il gup di rimborsopoli stronca la governatrice: «Nessuno la rimpiangerà» Lei replica: «Si erode la credibilità di un intero sistema. Me ne rammarico»

TRIESTE. «Credo che era meglio se la Serracchiani non fosse entrata in politica… L’incompetenza non ha colore. Ma se anche lo ha, non cambia niente: danneggia tutti da destra a sinistra. Ma questa presidente supponente e inconsistente lascerà dopo di sé il vuoto assoluto e credo che nessuno la rimpiangerà. Un errore della Storia e basta».

La storia con la esse maiuscola, per intendersi. Giorgio Nicoli, giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trieste, ha emesso questo giudizio senza appello domenica sera attorno alle 23. L’ha fatto su Facebook, dopo avere ascoltato la settima di Mahler diretta da Anton Nanut, rispondendo alla “domanda difficile” postata dall’avvocato Claudio Giacomelli (Fratelli d’Italia) attorno alle 20: «Per voi quale tra le terribili leggi della Serracchiani è la più dannosa? Uti, Sanità o Ater?». L’imbarazzo della scelta per il magistrato triestino, che non vanta simpatie di destra e che da gup ha gestito la vicenda della rimborsopoli regionale. Per lui qui non è una questione di leggi: è la governatrice a essere dannosa. Fine della storia (con la esse minuscola). Nulla di personale nei confronti dell’avvocato Serracchiani. Alle europee del 2009, quando l’esordiente Serracchiani ha surclassato Berlusconi, l’ha persino votata.

Alle regionali del 2013, invece, non è sicuro: «Non mi ricordo se ho votato. Sicuramente non avrei scelto Tondo. In ogni caso ho visto con favore l’elezione della Serracchiani», spiega Nicoli che ieri, quasi pentito, ha provveduto a cancellare il suo commento sotto il post di Giacomelli. Un giudizio uscito di getto, ma non di “senno”. «In ogni caso non parlavo in veste di giudice – spiega Nicoli -. Non faccio politica. È stato uno sfogo». Ad approfondire non è però che il giudizio sulla politica regionale cambi di molto. «Conosco molti medici che danno un giudizio pessimo sulla riforma sanitaria. La mia non è una valutazione sulla Serracchiani come persona, ma sulla politica attuale che permette a persone di essere elette in posizioni apicali senza aver avuto precedenti esperienze amministrative. È il trionfo dell’inesperienza: Riccardo Illy, per esempio, aveva perlomeno fatto il sindaco e si è circondato di persone di livello».

E la supponenza? «Il principale sbaglio della Serracchiani è stato quello di tenere il doppio incarico: nel partito e nell’istituzione. La presidenza della Regione è un incarico totalizzante. Stare un po’ a Roma e a Trieste non ha aiutato ed è all’origine delle pessime politiche. Riforme buttate lì. La supponenza della Serracchiani è stato quello di mantenere il doppio incarico».

Il 20 febbraio scorso, nel momento della scissione del Pd, Nicoli aveva postato una «riflessione personalissima di un politicamente “senza-patria” pensando alla «mia patria», ricordando con nostalgia gli anni giovanili passati nel ventre della Balena Bianca. «Se il Pd nel suo complesso avesse recepito la cultura politica della Democrazia cristiana non sarebbe mai arrivato a questo punto. La Dc è finita ma non è implosa, queste scissioni dimostrano che il vuoto politico non si maschera con la cartapesta ma viene riempito a poco a poco, sempre e fatalmente, da “materiali inerti” collegati ad un timer programmato per la deflagrazione. Mentre sul ponte del Titanic i balli continuano». La politica non lo tenta minimamente. Lo sfogo domenicale sulla Serracchiani non prelude a una discesa in politica di Nicoli, che vanta 18 anni da giudice più altri otto da pm alle spalle. «Non mi passa neppure per la mente, anche se mi proponessero un posto da assessore o da sindaco a parità di stipendio. La politica ha perso il valore di una volta. Non mi piace questo clima di scontro perenne. Inconcludente. Manca quella spinta ideale che c’era persino nella vecchia Dc».

Tranchant pure il commento della governatrice Serracchiani: «Chi ricopre ruoli che danno grande potere sulla vita delle persone non dovrebbe gettare nessuna ombra di parzialità sul suo operato. Quando ciò accade, come in questo caso, si erode la credibilità di un intero sistema, e di ciò mi rammarico prima di tutto». Oltre il rammarico c’è la certezza che la cosa non resterà confinata sui social. E, anche se la Serracchiani sostiene Renzi al congresso del Pd, non si esclude un coinvolgimento dell’altro candidato alla segreteria, Andrea Orlando, ministro della Giustizia.