Venezia dice addio al suo MOSE, sta affondando – La storia di un fallimento – Ma state sereni, il suo obiettivo primario lo ha raggiunto: far mangiare tutti gli sciacalli che ci giravano intorno!

 

MOSE

 

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Venezia dice addio al suo MOSE, sta affondando – La storia di un fallimento – Ma state sereni, il suo obiettivo primario lo ha raggiunto: far mangiare tutti gli sciacalli che ci giravano intorno!

 

Dopo scandali ed extracosti, il sistema antimarea andrà rottamato? Verifiche e perizie mostrano che molte paratie mobili sono intaccate dalle corrosione e da mitili. E le loro cerniere rischiano di spaccarsi

di ROBERTO GIOVANNINI

I cassoni subacquei sono intaccati dalla corrosione, da muffe, e dall’azione (davvero non si poteva prevedere?) dei peoci, le umili cozze. Le paratoie già posate in mare non si alzano per problemi tecnici. Quelle ancora da montare, lasciate a terra, si stanno arrugginendo per la salsedine nonostante le vernici speciali; chissà che accadrà quando saranno posate sul fondale. La storia del MOSE (la sigla sta per Modulo Sperimentale Elettromeccanico), il sistema di paratoie mobili concepite nel lontano 1981 per proteggere in modo sicuro Venezia e il suo inestimabile patrimonio artistico dalle alte maree che invadono la Laguna provenienti dall’Adriatico, è davvero un’antologia degli orrori. Invece di costare 1,6 miliardi di euro, ne è già costato 5,5; invece di entrare in funzione nel 2011, se tutto va bene partirà all’inizio del 2022.

Tutta l’opera è stata segnata da gravissimi episodi di corruzione, sanzionati in un processo che si è appena concluso e che ha rivelato un turbinoso giro di mazzette per coprire lavori e opere mal progettati e peggio realizzati. Ora poi si scopre ora che per completare l’opera e riparare le strutture già rovinate ci vorranno la bellezza di altri 700 milioni, più almeno altri 105 milioni di euro l’anno per garantirne il funzionamento e la manutenzione, soldi che non si sa chi dovrà sborsare. Ma quel che è più paradossale, nonostante un esborso pazzesco, una volta in funzione il sistema di 78 paratie mobili chiuderà la porta alle maree eccezionalmente alte, da 110 centimetri a tre metri. Ma non potrà fare nulla per limitare i danni quando arrivano le «acque medio-alte», quelle tra gli 80 e i 100 centimetri, sempre più ricorrenti.

In realtà, dicono gli esperti, sin dall’inizio si sapeva che questo «gioiello di ingegneria nazionale» era stato pensato per fronteggiare situazioni estreme, come i 194 centimetri della tremenda alluvione del 4 novembre del 1966. Il sistema di paratoie mobili a scomparsa, poste alle cosiddette «bocche di porto» (i varchi che collegano la laguna con il mare aperto attraverso i quali si attua il flusso e riflusso della marea) di Lido, San Nicolò, Malamocco e Chioggia, potrà isolare temporaneamente la laguna di Venezia dal mare Adriatico, innalzandosi nel giro di cinque ore.

Ma nella zona di Piazza San Marco basta una pioggia un po’ intensa – come l’11 settembre – per allagare tutto. A suo tempo, il Consorzio Venezia Nuova, l’organismo – oggi commissariato – che gestisce la realizzazione del MOSE, aveva proposto una costosissima operazione di isolamento completo di Piazza San Marco e della Basilica, con la posa di un’enorme guaina. Ma a breve la piazza sarà messa al sicuro fino a 110 centimetri di acqua alta con un intervento che costa solo 2 milioni di euro. Tra cui speciali «tappi» di gomma e metallo nella Basilica per bloccare l’entrata della marea dal sottosuolo, e l’innalzamento dei masselli della piazza.

Insomma, non sempre il gigantismo paga. E quel che è peggio è che secondo una perizia commissionata dal Provveditorato alle Opere Pubbliche di Venezia, braccio operativo del Ministero delle Infrastrutture, il MOSE rischia cedimenti strutturali per la corrosione elettrochimica dell’ambiente marino e per l’uso di acciaio diverso da quelli dei test. Le cerniere che collegano le paratoie mobili alla base in cemento – ce ne sono 156, ognuna pesa 36 tonnellate, un appalto da 250 milioni affidato senza gara al gruppo Mantovani – sono ad altissimo rischio (probabilità dal 66 al 99 per cento) di essere già inutilizzabili.

Un controllo ha mostrato che le cerniere del MOSE di Treporti, sott’acqua da tre anni e mezzo, presentano già uno stato avanzato di corrosione. Nelle prove di questi mesi si sono viste paratoie che non si alzano, altre che non rientrano nella sede per i detriti accumulati, Problemi alle tubazioni, un cassone esploso nel fondale di Chioggia. Una nave speciale (costata 52 milioni) per trasportare le paratoie in manutenzione al rimessaggio in Arsenale ha ceduto al primo tentativo di sollevare una delle barriere. Infine, uno studio del Cnr, che ha aggiornato la mappa del fondale della Laguna, oltre a scoprire nei fondali copertoni, elettrodomestici, relitti di barche, persino containers, avverte che le strutture già posate del MOSE hanno generato una preoccupante erosione dei fondali. Le opere pubbliche, specie quelle mirate a difendere il nostro territorio (a maggior ragione dal rischio climatico) sono fondamentali. Ma il MOSE è il simbolo di quel che non si deve fare.

Fonte LaStampa

 

 

 

Addio Mose – Sta affondando sotto la marea burocratica, come sono affondati gli 8 miliardi che ci è costato. Ma non temete, il suo obiettivo primario è stato raggiunto: far mangiare tutti gli sciacalli che ci giravano intorno!

Mose

 

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Addio Mose – Sta affondando sotto la marea burocratica, come sono affondati gli 8 miliardi che ci è costato. Ma non temete, il suo obiettivo primario è stato raggiunto: far mangiare tutti gli sciacalli che ci giravano intorno!

La marea burocratica affonda il Mose. Così 8 miliardi si inabissano in laguna

Ordinanze prefettizie, interventi dell’Autorità nazionale anticorruzione e ora anche verdetti ribaltati. Con il rischio, sempre più alto, che il Mose, il sistema di barriere mobili contro il fenomeno dell’acqua alta a Venezia, finisca per ‘inabissarsi’ insieme agli 8 miliardi finora sborsati per la sua realizzazione.

Il verdetto – L’ultima puntata della storia infinita, è andata in scena ieri. Con la decisione dal Consiglio di Stato che, nel ricorso promosso dall’Anac, Prefettura di Roma e ministero dell’Interno contro contro la sentenza del Tar, favorevole al Consorzio Venezia Nuova, concessionario dell’opera, e a nove consorziate, ha stabilito, capovolgendo il giudizio di primo grado, che l’ordinanza del 22 gennaio 2016, con la quale la Prefettura di Roma ha esteso anche alle imprese consorziate “l’acantonamento degli utili imposto” proprio al Consorzio Venezia Nuova  è da ritenersi legittima e valida. Motivo: secondo i giudici di Palazzo Spada, è “prioritario assicurare la conservazione dei proventi dell’eventuale corruzione, in attesa della definitiva sentenza penale”. Quella relativa alla vicenda che ha interessato gli ex amministratori del Consorzio Venezia Nuova. I giudici, riformando la sentenza del Tar Lazio del 2016, hanno confermato la legittimità del provvedimento adottato dal Prefetto di Roma che – in applicazione della misura della straordinaria e temporanea gestione del contratto – aveva ordinato ai commissari ad acta di accantonare tutti gli utili derivanti dall’esecuzione commissariale del contratto, anche se spettanti alle imprese consorziate che non erano parti del contratto di concessione. “La ratio della norma è quella di consentire il completamento dell’opera nell’esclusivo interesse dell’amministrazione concedente mediante la gestione del contratto in regime di ‘legalità controllata’ – si legge nella sentenza -. Ciò al fine di scongiurare il paradossale effetto di far percepire, proprio attraverso il commissariamento che gestisce l’esecuzione del contratto, il profitto dell’attività criminosa”. La separazione giuridica tra il Consorzio e le imprese che ne fanno parte – conclude il Consiglio di Stato – non è circostanza in grado di paralizzare l’effetto anticorruttivo della disposizione di legge ed il conseguente congelamento degli utili, che deve necessariamente estendersi a tutti coloro che eseguono i lavori per conto del Consorzio Venezia Nuova, in attesa della definitiva sentenza penale.

De profundis – All’Anac non nascondono la soddisfazione per la decisione che ha confermato di fatto la bontà dell’iter di commissariamento predisposto con le misure di straordinaria e temporanea gestione sul Consorzio Venezia Nuova. Ma a questo punto in molti temono per il destino dell’opera. Un’opera che è in gran parte sommersa e avrebbe bisogno urgente di manutenzione, senza la quale rischia seriamente di inabissarsi per sempre nelle acque della laguna. Trasformandosi nell’ennesima cattedrale nel deserto.

 

tratto da: http://www.lanotiziagiornale.it/la-marea-burocratica-affonda-il-mose-cosi-8-miliardi-si-inabissano-in-laguna/