Salvini lo smemorato: si dimentica del 50° anniversario della Strage di Piazza Fontana. E quando se ne ricorda, con sole 2 righe su twitter e solo alle 16:00, dimentica che è stata una strage fascista!

 

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Salvini lo smemorato: si dimentica del 50° anniversario della Strage di Piazza Fontana. E quando se ne ricorda, con sole 2 righe su twitter e solo alle 16:00, dimentica che è stata una strage fascista!

Salvini non si è sforzato più di tanto nel 50° anniversario della Strage di Piazza Fontana.

Lui, un re della tastiera, uno stacanovista dei social, un commentatore instancabile, si è completamente dimentico di Piazza Fontana…

Solo alle ore 16,00 del giorno del 50esimo anniversario dell’attentato più importante della storia dell’Italia post-fascismo, quello che ha dato il via ai cosiddetti “anni di piombo”, a Salvini è tornata la memoria.

Ma non del tutto. Scrive un laconico: “Mai più sangue, odio, violenza. Custodire la memoria del passato per costruire un futuro migliore. Onore a tutti i morti innocenti di Piazza Fontana”.

Una frase di prassi, essenziale, solo perchè forse qualcuno gli ha fatto notare che doveva pur scrivere qualcosa.

Ma il nostro “smemorato” dimentica la cosa più importante: che Piazza Fontana è stata UNA STRAGE FASCISTA…!

Ma guai a condannare i fascisti. Non dimentichiamo che il 90% del suo elettorato vieme dalle fogne del fascismo…

Quanta ipocrisia in due sole righe. Non solo si evita accuratamente di condannare i fascisti responsabili di quella strage, ma ci si nasconde dietro la “difesa della memoria”, concetto su cui lui più di tutti dovrebbe tacere, specie dopo il trattamento disgustoso che esponenti della Lega stanno riservando in questi mesi a Liliana Segre.

By Eles

Il sindaco di destra rifiuta la panchina rossa contro la violenza sulle donne: “Stona con le altre” …Ma la verità è semplicemente che la lotta contro la violenza sulle donne stona con la cultura fascista!

 

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Il sindaco di destra rifiuta la panchina rossa contro la violenza sulle donne: “Stona con le altre” …Ma la verità è semplicemente che la lotta contro la violenza sulle donne stona con la cultura fascista!

Il sindaco di destra di Serravalle rifiuta la panchina rossa contro la violenza sulle donne: “Stona con le altre”

L’assurda motivazione dell’Amministrazione di destra di Serravalle pistoiese: per rispettare ‘l’uniformità del colore’ delle altre panchine non ci sarà la panchina rossa.

Il sindaco di destra di Serravalle Pistoiese Piero Lunardi ha rifiutato, secondo quanto denuncia il Pd, di installare una panchina rossa nel giardine ‘Il gatto e la volpe’ di Ponte di Serravalle.

Di seguito il comunicato stampa rilasciato dal Partito democratico:
“Una panchina come monito per tutte quelle donne che hanno subito violenza. Una panchina rossa, che non si può non notare, per ricordare i tanti drammi, i tanti femminicidi, che purtroppo si moltiplicano giorno dopo giorno. Il circolo del Partito Democratico di Serravalle-Masotti aveva fatto al Sindaco questa richiesta. Una panchina rossa da installare, senza simboli, senza appartenenze, ma come contributo a una sensibilizzazione trasversale, nel giardino – intitolato a “Il gatto e la volpe” – del Ponte di Serravalle.

E il sindaco Lunardi ha risposto. Abbiamo dovuto leggere due volte la motivazione, perché il senso del grottesco ci è parso tale che ci è sembrato impossibile da associare a una Istituzione. Ma le vie del… paradosso sono evidentemente infinite…

In questi giorni ne abbiamo viste di tutti i “colori” (in particolare per la vicenda della cittadinanza onoraria a Liliana Segre). Ora il senso di quelle vicende sembra essersi trasferito, andando anche oltre, a Serravalle.
“Questa Amministrazione non intende accogliere la richiesta non certo per l’obiettivo della sensibilizzazione sul tema che condividiamo pienamente, ma semmai per l’aspetto relativo al decoro urbano e quindi per il mantenimento dell’uniformità del colore delle panchine stesse sul territorio”. Questa la giustificazione del rifiuto. Per la “uniformità del colore”, insomma, la Giunta ha messo il veto alla richiesta. Richiesta che, ci teniamo a sottolinearlo, specificava che sulla panchina non sarebbero apparsi simboli partitici.

Siamo stupiti di una tale risposta e soprattutto ci sembra assurdo che un simbolo riconosciuto ovunque non abbia cittadinanza a Serravalle: dove il rosso di una panchina disturba il “decoro urbano” e il colore non si allinea alla tavolozza compatibile del giardino ideale dell’Amministrazione. Al Sindaco chiediamo un immediato ripensamento, o almeno una giustificazione più plausibile, che vada al di là di sfumature e tonalità. Perché se è vero che sui gusti non si comanda, è vero anche che a tutto c’è un limite.

tratto da: https://www.globalist.it/news/2019/11/22/il-sindaco-di-destra-di-serravalle-rifiuta-la-panchina-rossa-contro-la-violenza-sulle-donne-stona-con-le-altre-2049419.html

Cile, la denuncia di Amnesty International: stupri per punire le donne manifestanti. Cari amici, e soprattutto care donne: questo è il fascismo!

 

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Cile, la denuncia di Amnesty International: stupri per punire le donne manifestanti. Cari amici, e soprattutto care donne: questo è il fascismo!

 

In Cile, «stupri per punire le donne manifestanti». Amnesty condanna

Cile. La morte de «La Mimo», Daniela Carrasco, è uno degli ultimi casi Le femministe denunciano le violenze dei carabineros in piazza

«La Mimo», Daniela Carrasco era un’artista di strada. Aveva 36 anni. Una come le altre che in questi mesi hanno invaso le strade e le piazze del Cile. È stata trovata impiccata. Violentata e torturata fino alla morte. Il suo corpo esposto e appeso ad una recinzione alla periferia di Santiago del Cile. Il terrore che passa ancora una volta sul corpo di una donna. Secondo il collettivo femminista ’Ni Una Menos’, pare che il giorno precedente Daniela fosse stata fermata dai militari che l’avrebbero stuprata, torturata e lasciata appesa per ore.

IL SUO VOLTO DA CLOWN ha fatto il giro del mondo e della rete. Si sono subito alzate le voci delle donne e dei coordinamenti femministi che hanno chiesto giustizia e verità sulla morte di Daniela. Alondra Carrillo è una psicologa cilena, la portavoce del coordinamento femminista 8M che chiede la fine dell’impunità che regna nel Paese e le dimissioni del presidente Sebastián Piñera. «Vogliamo che termini questa militarizzazione delle strade – dice Carrillo – Dopo la fine dello stato di emergenza in realtà la repressione continua per mano delle forze speciali dei carabinieri. Più di 220 persone hanno perso un occhio, più di 90 sono state vittime di violenza politica sessuale. Ieri abbiamo registrato un nuovo caso di stupro da parte dei carabinieri. Lo stupro è diventato uno strumento politico e di terrore».

«Le donne sono esposte a due tipi di violenza. La prima è la violenza generale, quella che subiscono tutti in strada, quella degli spari, dei gas lacrimogeni, dei sequestri, delle torture, senza distinzione di genere. L’altra, è la violenza politica di genere che vuole disciplinare il corpo delle donne e delle attiviste, per imporre le norme patriarcali ce ci vogliono fuori dalla strada, fuori dalla politica. Noi diamo un forte contributo all’azione politica in Cile e questa forza l’abbiamo sviluppata nel tempo, siamo uno dei settori più dinamici dei movimenti sociali. Per questo ci vogliono zittire con il terrore. Siamo minacciate, il nostro corpo è diventato un bottino di guerra».

ALONDRA CI RACCONTA che le donne che manifestano subiscono vari genere di violenza anche verbale «i militari quando camminiamo in strada nelle manifestazioni ci mandano i “baci”, si toccano i genitali davanti a noi, ci dicono “vieni signorina, che ci piaci” oppure ci minacciano direttamente di stupro. Lo fanno perché sanno di essere impuniti». Il capo dei carabinieri, il generale Mario Rozas, in una conversazione registrata, assicurava ad un gruppo di carabinieri che nessuno sarebbe stato punito se accusato di commettere violazioni dei diritti umani durante le proteste. «Il governo ha dato pieno appoggio alle promesse di Rozas – dice Alombra – così governa l’impunità totale. Questo Stato criminale dev’essere giudicato a livello internazionale».

«QUI TUTTE LE NOTTI ci sono barricate». A parlare è Victoria Adunalte, femminista, lesbica e attivista. Faceva parte dei giovani studenti in prima linea del ’79 durante la dittatura. È stata arrestata dal regime quando aveva 17 anni. «I giovani anche oggi sono in prima linea, questo mi dà una grande speranza e mi emoziona. Fa parte della storia del nostro Paese. Sono molto grata a questi ragazzi, ma il tema non è solo generazionale ma anche di classe. A protestare sono i poveri del Paese che in Cile sono l’80% della popolazione».

Secondo l’Istituto nazionale dei diritti umani, almeno cinque persone sono morte per mano delle forze di sicurezza e oltre 2300 sono state ferite: di queste, 1400 sono state raggiunte da colpi di arma da fuoco e 220 hanno subito gravi traumi agli occhi. Amnesty International ha condannato le gravi violazioni dei diritti umani: secondo l’associazione, le forze di sicurezza, sotto il comando del presidente Sebastián Piñera – principalmente le forze armate e i carabineros (la polizia nazionale) –, sono responsabili di attacchi generalizzati e dell’uso di una forza non necessaria ed eccessiva con l’obiettivo di colpire e punire i manifestanti.

«Le intenzioni delle forze di sicurezza cilene sono chiare: colpire chi manifesta per disincentivare la partecipazione, ricorrendo all’atto estremo di praticare la tortura e la violenza sessuale contro i manifestanti. Invece di prendere misure per fermare la gravissima crisi dei diritti umani, le autorità appoggiano questa politica della punizione da oltre un mese, col risultato che le vittime di violazioni dei diritti umani aumentano ogni giorno», ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe.

UN RAPPORTO bollato dal governo come «irresponsabile» e contestato dalle Forze Armate cilene: «Nessuna politica di attacchi sistematici contro civili», dichiarano. Nel frattempo i deputati dell’opposizione cilena martedì hanno presentato la richiesta formale di «messa in stato di accusa» del presidente Sebastian Piñera ritenuto politicamente responsabile delle «gravi e ripetute violazioni dei diritti umani occorse nel nostro Paese», ha dichiarato all’emittente Biobio il deputato del Partito Comunista (Pc) firmatario della richiesta, Carmen Hertz. «Pinera deve farsi responsabile di fronte a tutto il Cile per la brutale repressione con la quale ha cercato di zittire il movimento sociale», ha dichiarato da parte sua Camila Vallejo, del Pc. Ad appoggiare la mozione anche esponenti dei partiti di centrosinistra che la settimana scorsa hanno raggiunto un accordo con la coalizione di governo su un referendum per una nuova Costituzione».

IN ITALIA SI ALZANO alcune voci della politica come quella di Gennaro Migliore, capogruppo di Italia Viva in Commissione Esteri alla Camera, che annuncia un’interrogazione al ministro degli Esteri. Nicola Fratoianni invece qualche giorno fa scriveva su twitter: «Il silenzio della comunità internazionale sui fatti cileni è insopportabile. L’Italia per prima faccia la sua parte e interessi l’Ue».

Nel frattempo il coordinamento 8M fa un appello a tutte le donne e alle femministe italiane: «Continuate a sostenerci con azioni di solidarietà femminista, date visibilità alla repressione dello Stato, chiedete al vostro governo italiano e alle istituzioni che non permettano l’impunità, che si ponga fine alle violazioni dei diritti umani che continuano in questo Paese».

Da Il Manifesto

Cile – Daniela Carrasco, l’artista di strada che contestava il regime: violentata, torturata, impiccata ed esposta come un trofeo dalla polizia – No, non è il medioevo, è il FASCISMO…!

 

Daniela Carrasco

 

 

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Cile – Daniela Carrasco, l’artista di strada che contestava il regime: violentata, torturata, impiccata ed esposta come un trofeo dalla polizia – No, non è il medioevo, è il FASCISMO…!

Violentata, torturata e impiccata, il caso di Daniela Carrasco scuote il Cile: “È stata la polizia”

Il rapporto del medico legale dice che Daniela si è suicidata. Ma i canali femministi cileni stanno diffondendo un’altra versione

Cosa è successo a Daniela Carrasco?
Daniela aveva 36 anni ed era un’artista di strada che operava soprattutto nel quartieri periferici di Santiago del Cile. Era conosciuta da tutti come ‘El Mimo’. Era, perché Daniela è stata trovata impiccata.
Nelle scorse settimane, Daniela aveva preso parte alle proteste che da circa un mese infiammano il Cile, con violenti scontri tra i manifestanti contro il caro vita imposto dall’amministrazione del presidente Pinera, e la polizia. Sono tantissime le testimonianze che riportanto estreme violenze da parte delle forze dell’ordine e le denunce contro il governo e i media, accusati di stare nascondendo al resto del mondo la realtà degli scontri.
Sebbene i rapporti del medico legale parlino di morte per soffocamento e l’ipotesi del suicidio è quella ufficialmente portata avanti dalla polizia, il collettivo femminista Ni Una Menos sostiene che Daniela – che è stata vista l’ultima volta lo scorso 19 ottobre, nel giorno in cui è scoppiata la protesta per il rincaro dei prezzi della metropolitana – sia stata rapita dai carabineros, violentata, torturata e in seguito uccisa. Sui social gira questa versione che sta cominciando a prendere piede ma al momento il National Institute of Human Rights (Nhri) non ha ricevuto nessun reclamo formale.
Nei giorni immediatamente successivi alle proteste, molti canali femministi cileni avevano denunciato che la polizia stava effettuando violenze sessuali sulle donne catturate.

Sì ad Almirante, no a Gaber: Verona intitola una via al segretario MSI e non al cantautore… È ufficiale, siamo tanto coglioni da esserci dimenticati le porcherie del fascismo!

 

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Sì ad Almirante, no a Gaber: Verona intitola una via al segretario MSI e non al cantautore… È ufficiale, siamo tanto coglioni da esserci dimenticati le porcherie del fascismo!

Fare due scelte in palese contrapposizione tra loro, provare a dare una spiegazione tecnica che, però, smentisce entrambe le versioni. A Verona è andato in scena un vero e proprio caos sulla toponomastica, tra decisioni ambigue che lasciano trasparire un chiaro valore politico, nonostante i tentativi di motivare diversamente questa decisione presa da parte della giunta di Centrodestra guidata dal sindaco Federico Sboarina. Il sì alla dedica a Giorgio Almirante, e il no a Giorgio Gaber.

Partiamo da Giorgio Gaber. Nelle motivazioni che hanno portato a dire no all’intitolazione di una via (o una piazza) all’eclettico cantautore milanese scomparso nel 2003 c’è scritto: «Mancanza di legame con il territorio». E la maggioranza nella giunta veronese ha detto che questo sia un paletto ineluttabile per l’assegnazione di un riconoscimento toponomastico. Tutto vero? Assolutamente no. Nell’articolo otto del Regolamento comunale per la Toponomastica c’è scritto altro: «I nuovi nomi da assegnare dovranno essere costituendo la dedica testimonianza dello sviluppo materiale e civile, legati a fatti, personaggi ed avvenimenti sociali, culturali e politici della storia cittadina, nazionale o internazionale».

Almirante sì, Gaber no: la scelta toponomastica di Verona

Il nome di Giorgio Gaber, dunque, non poteva essere escluso proprio seguendo questo regolamento. Anche perché, poco prima, era stato dato parere favorevole dalla Commissione veronese all’intitolazione di una via a Giorgio Almirante, storico segretario del Movimento Sociale Italiano (MSI) morto nel 1988. Anche lui, come il cantautore milanese, non ha alcun legame con la città di Verona. Quindi, se fosse vero il principio citato dalla maggioranza, neanche lui potrebbe essere insignito con una dedica toponomastica.

«Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra»

La scelta, dunque, non può che essere politica. La decisione di intitolare una strada a Giorgio Almirante, seppur discutibile, è legittima. Così come lo sarebbe stato nel caso di Giorgio Gaber. Ma, anche in questo caso, gli ideali politici hanno avuto la meglio sulla memoria. Ed era proprio il cantautore a chiedersi «Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra». Ora la risposta è arrivata, proprio nel suo nome.

 

 

fonte: https://www.giornalettismo.com/almirante-gaber-verona/

Eugenia Kouniaki, l’avvocatessa che difende i migranti picchiata a sangue dai fascisti di Alba Dorata… Erano una ventina… Perchè fascista è anche sinonimo di vigliacco!

 

Eugenia Kouniaki

 

 

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Eugenia Kouniaki, l’avvocatessa che difende i migranti picchiata a sangue dai fascisti di Alba Dorata… Erano una ventina… Perchè fascista è anche sinonimo di vigliacco!

In venti contro una donna… Mi viene in mente la scena di Vauro contro il fascista Brasile. Un omino piccolo (Comunista) che si scaglia contro un energumeno di due metri… E questo che fa? Niente… abbassa gli occhi e si allontana… Perchè, oltre tutte le altre porcherie, il vero fascista è solo e solamente un VIGLIACCO!

Pestata a sangue dai fascisti di Alba Dorata l’avvocata dei migranti

Eugenia Kouniaki che difende un pescatore egiziano in un processo che vede imputati per aggressione esponenti dell’estrema destra greca, è stata colpita in pieno volto

Le immagini parlano da sole, purtroppo. Questa donna è un’avvocata greca, si chiama Eugenia Kouniaki ed è stata aggredita fuori dal tribunale di Atene da una ventina di militanti di Alba Dorata, appena terminata l’udienza, che vede come imputati, per passate aggressioni, altri esponenti del partito di estrema destra ellenico.

La legale che si occupa spesso di questioni relative ai migranti, rappresenta nel processo in corso ad Attene, proprio una delle vittime, un pescatore egiziano. Kouniaki stava uscendo dal tribunale con altre due donne quando è incappata nel branco di fascisti. Una decina di loro le hanno inseguite: le tre donne sono riuscite a salire sull’autobus, urlando, perché l’autista richiudesse immediatamente le porte.

Ma un uomo è riuscito comunque a salire e a colpire Eugenia Kouniaki sul viso con un pugno. L’ha ferita al naso come mostrano le foto condivise in Rete e in particolare  sulla pagina Facebook Osservatorio Democratico Sulle Nuove Destre.

Secondo la testimonianza rilasciata dall’avvocata il Tribunale era presidiato dalla polizia, ma monostante le urla delle tre donne nessuno è intervenuto. Di fatto una decina di militanti di Alba Dorato sono stati poi fermati per le proteste, ma subito rilasciati.

…………………..

Da Fanpage

Cara Caterina, figlia mia. Mi rivolgo a te perché sei la più grande, anche se hai solo cinque anni.

La donna in foto si chiama Eugenia Kouniaki ed è un’avvocatessa greca. Difende i migranti. Non è truccata da Halloween.

Eugenia Kouniaki è appena stata picchiata da una ventina di uomini di Alba Dorata, fuori dal tribunale che vede gli esponenti dello stesso partito imputati per altre aggressioni. Firmano i pestaggi, sì.

Cara Caterina, te lo dico al volo con un pezzo breve che mi esce fuori dalle budella che si contorcono dalla rabbia, e so che non è il miglior modo per scrivere, e magari sembrerà una stronzata, ma te lo dico lo stesso: io ti voglio bene.

Di fronte a questa montagna di inumano, mi sento di dire la prima cosa umana che mi viene in mente: sei una bambina meravigliosa. Per questo ti scrivo queste righe, per raccontarti, che è una delle forme più alte per dimostrare a una persona di volerle bene, raccontarle delle storie. Alba Dorata è il partito fascista di cui Casa Pound dice “abbiamo lo stesso programma e un destino comune”.

Quelli di Casa Pound che ad Ostia, nei giorni scorsi, hanno preso tanti tanti voti e dicono “aiutiamo gli italiani” e poi regalano un pacco di pasta in cambio di un voto. Ti ricattano con la fame. Fascisti, appunto.

Cara Caterina, io spero di no ma temo di sì: tu nella vita incontrerai qualcuno che ti dirà “sono fascista”, o più probabilmente “lascia perdere, sono cose del passato, non c’è bisogno dell’Anpi, della memoria
e dei vecchi, pensiamo al futuro”. E magari dicendolo abbozzerà un sorriso. Tu Caterina ricordati sempre che fra il primo uomo e il secondo è più pericoloso il secondo, perché è più difficile da riconoscere, un avversario, quando finge di stare seduto al tuo tavolo.

Cara Caterina, quando sentirai pronunciare quelle frasi guarda bene negli occhi chi le pronuncia, e non scordare la sua espressione, perché è la stessa di quando Caino ingannò Abele, di quando un uomo chiuse il portellone di un treno piombato mentre una bambina di cinque anni piangeva, e la stessa maledetta espressione di quei passanti che si voltavano dall’altra parte quando con i sacchi di sabbia, per non lasciare lividi, le squadracce picchiavano i lavoratori in sciopero che si organizzavano.

Caterina, chiudo questa lettera, questo pezzo, questo articolo, non so neanche come chiamarlo, con una frase di una donna meravigliosa. Tu Caterina tieni sempre questa frase nel taschino, perché fino a che avremo qualcosa di prezioso con noi, non avremo ancora perso: “Dire che il fascismo è un’opinione politica sarebbe come dire che la mafia è un’opinione politica” (Michela Murgia).

Ti voglio bene, Cate.

 

La Meloni telefona alla Segre: “ci siamo astenuti perché noi difendiamo la famiglia”. La risposta: “io difendo così tanto la mia famiglia che sono stata sposata per sessant’anni con lo stesso uomo. Qualcuno mi dovrà spiegare cosa c’entri questo con la commissione contro l’odio.”

 

 

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La Meloni telefona alla Segre: “ci siamo astenuti perché noi difendiamo la famiglia”. La risposta: “io difendo così tanto la mia famiglia che sono stata sposata per sessant’anni con lo stesso uomo. Qualcuno mi dovrà spiegare cosa c’entri questo con la commissione contro l’odio.”

Giorgia Meloni mi ha telefonato l’altra sera: sa, ci siamo astenuti perché noi difendiamo la famiglia. Le ho risposto: cara signora, io difendo così tanto la mia famiglia che sono stata sposata per sessant’anni con lo stesso uomo. Qualcuno mi dovrà spiegare cosa c’entri tutto questo con la commissione contro l’odio.
Liliana Segre

Nulla da aggiungere. Proprio un altro livello.

“Il mio era un appello etico che parlava alle coscienze, alle anime e ai cervelli dell’intero ceto politico italiano, senza distinzione tra destra e sinistra. Davo per scontato che il Senato della Repubblica l’avrebbe accolto come si accoglie un principio fondamentale di civiltà.

Il mio sentimento davanti alle astensioni? Stupore”

Liliana Segre

E forse qui la Segre ha peccato di ingenuità misto ad ottimismo… Cara Sig.ra Segre, purtroppo Lei dovrebbe saperlo più degli altri che cercare coscienza, anima e cervello nei fascisti è solo tempo sprecato…

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Giusto per ricordarVi cosa è il fascismo: “Pagate le bare dei morti di Lampedusa mentre ci sono italiani poveri” …Perché la feccia nera non ha pietà neanche davanti ad una bara ancora calda…!

 

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Giusto per ricordarVi cosa è il fascismo: “Pagate le bare dei morti di Lampedusa mentre ci sono italiani poveri” …Perché la feccia nera non ha pietà neanche davanti ad una bara ancora calda…!

L’attivista di Fdi si lamenta: “Pagate le bare dei morti di Lampedusa mentre ci sono italiani poveri…”

Lei è Francesca Lorenzi è stata candidata consigliera comunale a Firenze con Fratelli d’Italia

Francesca Lorenzi è stata candidata consigliera comunale a Firenze con Fratelli d’Italia. In uno status su Facebook che risale a ieri ha criticato le bare per i morti al largo di Lampedusa nell’ultimo naufragio che ha causato (finora) 13 morti oltre a 17 dispersi:

Sicuramente mi attaccherete in tanti ma lo sapete come sono fatta, ciò che penso dico… Ho visto al tg le immagini di coloro che sono morti al largo di Lampedusa. poi ho visto tutte le bare in fila e mi sono domandata chi avesse pagato quelle bare e quei funerali…
Venale? Cinica? No, realista dal momento che ci sono famiglie italiane che non possono permettersi 4 o 5mila euro, minimo, per accompagnare il proprio caro al cimitero… E adesso attaccatemi pure ma chi ci è passato può capire di cosa parlo…

A differenza di quello che pensa la Lorenzi, che sostiene che ci siano tanti italiani in difficoltà che non possono permettersi di pagare i funerali, i funerali di povertà sono gratuiti:

A tal fine, il Comune stanzia una cifra fissa all’anno con la quale pagare il funerale ai poveri. A differenza dei cosiddetti funerali di povertà, per i funerali sociali il Comune chiede di praticare uno sconto del 50% perché i soggetti sono seguiti dai servizi sociali e si trovano in condizioni di particolare difficoltà. In seguito, la restante somma (circa mille euro) viene pagata dai parenti del defunto, quando sono in grado di farlo, o – come più spesso avviene – dal Comune.

tratto da: https://www.globalist.it/politics/2019/10/10/l-attivista-di-fdi-si-lamenta-pagate-le-bare-dei-morti-di-lampedusa-mentre-ci-sono-italiani-poveri-2047471.html

Nazifascismo, quelle le stragi impunite per preservare le relazioni italo-tedesche – Decine di migliaia di vittime che non avranno mai giustizia, ancora sacrificate, questa volta all’altare della politica…

 

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Nazifascismo, quelle le stragi impunite per preservare le relazioni italo-tedesche – Decine di migliaia di vittime che non avranno mai giustizia, ancora sacrificate, questa volta all’altare della politica…

Molti, tanti, troppi eccidi dei nazifascisti non sono stati oggetto di alcuna indagine. I casi furono archiviati per non danneggiare le relazioni italo-tedesche. E aspettano ancora giustizia.

Parliamo di circa 5.550 episodi solo in Italia (poi vi è una lunga lista di massacri avvenuti fuori confine), compresi nell’arco cronologico che va dal luglio 1943 al maggio 1945, con oltre 23.000 morti, perlopiù civili, con altissime percentuali di anziani, donne e bambini…

La verità sui crimini nazifascisti ha fatto e fa ancora paura. Non si può spiegare altrimenti quello che è successo al tribunale militare di Roma tra la fine degli Novanta e l’inizio del nuovo secolo e che è raccontato in uno studio della storica Isabella Insolvibile .

Stiamo parlando delle decine di migliaia di italiani (civili e militari) trucidati dai tedeschi e dai fascisti in Italia e all’estero e delle centinaia di processi chiusi per decenni nell’archivio segreto scoperto nel 1994 nelle stanze della procura generale militare. Franco Giustolisi, che per primo ne parlò sull’Espresso, lo definì l’ “Armadio della vergogna” e in un libro con questo titolo ne descrisse nel dettaglio il contenuto.

Nell’armadio della vergogna vi erano 695 fascicoli “archiviati provvisoriamente” nel 1960 e dalle intestazioni capaci di evocare, al solo leggerle, terrore, sangue, morte: Cefalonia, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, Fosse Ardeatine… Sono le stragi impunite, nascoste per decenni perché la ricerca dei responsabili non interferisse nella costruzione dei nuovi rapporti italo-tedeschi.

L’armadio venne aperto, molti processi celebrati, decine di condanne all’ergastolo comminate. Sembrava, insomma, che la giustizia avesse fatto qualche passo. Anche se con decenni di ritardo, anche se nessun criminale ha fatto poi un solo giorno di prigione.

Lo scrupoloso lavoro della Insolvibile (Archiviazione “definitiva”, la sorte dei fascicoli esteri dopo il rinvenimento dell’armadio della vergogna, in Giornale di storia contemporanea, XVIII, 1,. 2015) dimostra invece che quell’armadio, in realtà, è rimasto in parte chiuso perché molti fascicoli sono stati aperti solo formalmente per poi essere richiusi frettolosamente, senza reali indagini.

Tra il 1994 e il 1995, dopo la scoperta dell’armadio, le carte vennero mandate alle procure militari competenti ma i processi “sono stati istruiti e si sono svolti perlopiù solo dal 2003 a oggi: su 695 fascicoli rinvenuti, infatti, le più di 300 indagini istruite e portate a compimento sono state effettuate quasi tutte dalla procura militare di La Spezia tra il 2002 e il 2008, da quella di Verona dal 2008 al 2010 e da quella di Roma dal 2010 a oggi. Limitandosi a un computo banale, c’è evidentemente un buco lungo almeno 8 anni, che va dal 1994 al 2002-2003”.

CEFALONIA ARCHIVIATA – La Insolvibile ha concentrato il proprio studio sui cosiddetti “casi esteri”. Sono gli eccidi di militari italiani compiuti dalle truppe tedesche subito dopo l’8 settembre, soprattutto nelle isole greche, nei Balcani, nei campi di prigionia. Il caso più famoso è quello dell’ isola di Cefalonia dove i soldati della divisione Acqui, che si rifiutarono di arrendersi, vennero sterminati. Ed è da Cefalonia, per capire concretamente quello che è successo negli uffici giudiziari militari romani, che parte la Insolvibile. “La documentazione relativa alla strage avvenuta nell’isola ionica”, scrive, “spettava, per competenza, alla procura militare di Roma. A capo di tale procura c’era, fino al 2010, colui che è unanimemente considerato lo “scopritore” dell’archivio segreto, Antonino Intelisano, che rinvenne i fascicoli durante le indagini del 1994 relative al caso Priebke.

L’indagine di Intelisano su Cefalonia partì però solo nel 2007, dopo le sollecitazioni provenienti dalla stampa, da un’assai opinabile decisione della corte di Monaco di Baviera (nel 2006 aveva archiviato l’inchiesta su Cefalonia per prescrizione, ndr) e da un’istanza presentata da alcuni parenti delle vittime”. L’unico indagato, l’allora sottotenente Otmar Mühlhauser, venne rinviato a giudizio nel 2009, ma poco tempo dopo morì e l’indagine condotta dalla procura romana si concluse. “Sarebbe stato solo il successore di Intelisano, Marco De Paolis, a riprendere in mano il caso, includendo sottufficiali e truppa tra i possibili responsabili, e portando finalmente Cefalonia in aula, con la condanna all’ergastolo (in contumacia) del caporale Störk nell’ottobre 2013”.

NOMI SBAGLIATI – Ma Cefalonia, scrive Isabella Insolvibile, non è l’unico caso “a ricevere un’attenzione quanto meno frettolosa e inadeguata”. Ha contato 41 episodi riconducibili ai “casi esteri” e sui quali “era ancora necessaria un’indagine e possibile un processo” in 26 dei quali vi erano “i nomi di alcuni dei presunti responsabili”. Solo per 18 di questi si è tentato un “qualche tipo di indagine” che non ha portato a nulla. Come nel caso delle stragi di Kos (vennero uccisi almeno 89 ufficiali italiani, ndr) e Leros (almeno 12 morti) il cui percorso giudiziario dopo il 1994 è ricostruito dettagliatamente nel saggio. L’allora pubblico ministero militare Intelisano chiede l’archiviazione del fascicolo quasi subito, nel 1995, per prescrizione. Ma il giudice respinge la richiesta ricordando che si tratta di reati imprescrittibili. Dopo otto mesi parte la prima lettera per la Germania con la richiesta, tra l’altro, di individuare un generale, Friedrich Wilhelm Muller , di cui si fornisce un nome errato e di cui era nota l’esecuzione ad Atene nel 1947. Le ricerche, ovviamente, non ebbero esito, e così il 12 ottobre 1999 Intelisano chiede nuovamente l’archiviazione del fascicolo intestato a “Muller Franz Ferdinando” che questa volta venne concessa.

Sorte simile a quella di Kos-Leros anche per gli altri fascicoli sui casi esteri dell’armadio della vergogna di competenza della procura romana e analizzati da Isabella Insolvibile. Le statistiche che si ricavano dalla dettagliata appendice, che analizza i procedimenti uno per uno, dimostrano a sufficienza la “frettolosa e inadeguata attenzione” riservata alle indagini sui massacri dei soldati italiani. I procedimenti per i quali non è stata svolta alcuna attività di indagine (in tutto 22) sono stati archiviati entro il 1996 (ad eccezione di un fascicolo archiviato nel 1999). Gli altri 18, per i quali qualche indagine, del tipo di quelle fatte per Kos e Leros, sono state svolte, sono stati archiviati nel 1999. Ma con una singolare concentrazione dei provvedimenti in pochi giorni. La procura della Repubblica militare chiede l’archiviazione dei 18 procedimenti in 11 giorni: per cinque l’8 ottobre 1999, per otto il 12 e per gli ultimi cinque il 19 ottobre. Il giudice per le indagini preliminari risponde con grande velocità. Archivia 11 procedimenti il 5 novembre, sei il 9 novembre e solo per uno la decisione slitterà al 28 luglio del 2000. Insomma tra l’8 ottobre e il 9 novembre 1999 è come se un’anta dell’armadio della vergogna si fosse richiusa, negando ancora una volta giustizia a migliaia di morti.

AUTORIZZAZIONE NEGATA – Alla procura militare di Roma, dopo l’assegnazione, tra il 1994 e il 1995, dei processi alle procure competenti, non restarono solo i fascicoli sui casi esteri ma anche quelli sulle stragi di centinaia e centinaia di civili massacrati dai nazifascisti nel centro Italia durante il periodo dell’occupazione. Per tentare di capirne la sorte avevo chiesto personalmente e formalmente, al Gip militare di Roma, il permesso di visionare i fascicoli archiviati da anni. La procura militare, guidata adesso da Marco De Paolis, aveva dato parere positivo spiegando che non sussiste “alcun impedimento”. Il gip Isacco Giorgio Giustiniani ha invece rigettato la richiesta perché “generica, relativa alla totalità degli atti, di una serie sostanzialmente indeterminata di procedimenti”. Eppure la richiesta non era per nulla generica, era accompagnata dall’elenco dettagliato dei processi fornito ufficialmente dalla procura. Processi su stragi famose e sanguinose su cui segreti e riservatezza dovrebbero essere spariti da tempo.

Ma cosa è successo alle indagini su queste stragi? Incrociando l’elenco fornito dalla procura e gli atti della commissione parlamentare che indagò sull’occultamento dei fascicoli si capisce facilmente come anche i fascicoli sui “casi italiani” abbiano subito la sorte dei quelli studiati da Isabella Insolvibile. Ricorrono, ad esempio, le stesse date. Il 5 novembre 1999, il giorno in cui il gip firma l’archiviazione di 11 “casi esteri” viene archiviato anche il fascicolo 536 relativo a fatti avvenuti a Capistrello e lo stesso giorno cade il silenzio anche su omicidi commessi a Tagliacozzo, sempre nell’aquilano. Tre anni prima ci fu un altro giorno di grande attività per il gip militare di Roma. Il 18 aprile 1996 archivia senza nessuna attività investigativa, come documenta la Insolvibile, quattro “casi esteri”. Lo stesso giorno, verosimilmente anche in questi casi senza nessuna attività investigativa, torna la pietra tombale sulla strage di Calvi, in Umbria (12 morti), di Tolfa, in provincia di Roma (quattro morti), dell’Aquila (nove morti).

NESSUNA VERITA’ – Tutto questo dimostra che l’archivio segreto scoperto nel 1994, l’armadio della vergogna, alla fine non è mai stato aperto del tutto. In poco più di un lustro quasi un terzo dei fascicoli che vi erano contenuti sono tornati a chiudersi dopo nessuna indagine o dopo indagini come quelle descritte. Proprio come se, davvero, la verità su quei crimini facesse ancora paura e rischiasse di creare tensioni nei rapporti tra Italia e Germania.

Conclude il suo saggio Isabella Insolvibile: “Il lavoro giudiziario che avrebbe dovuto essere fatto sulle stragi riscoperte, avrebbe potuto creare problemi, oltre a rappresentare un onere notevole per uno Stato, il nostro, da sempre a corto di risorse. Si scelse, quindi, di dichiarare la prescrizione e in ogni caso di archiviare, trasformando così una decisione illegale quale quella dell’archiviazione provvisoria in una sentenza storica definitiva, chiusa dal sigillo di una formale legalità”.

tratto da: http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/08/04/news/stragi-nazifasciste-quei-fascicoli-archiviati-dell-armadio-della-vergogna-1.223928

Fascismo, abbiamo perso la memoria? “La memoria vogliono farla perdere a te” – Le parole di Ferruccio Laffi, sopravvissuto alla strage di Marzabotto. Parole dure come pietra, che dovremmo riascoltare tutti i giorni e farle ascoltare ai nostri figli nelle scuole…

 

Ferruccio Laffi

 

 

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Intervista a Ferruccio Laffi sopravvissuto alla strage di Marzabotto dell’aprile 2019.

Ferruccio Laffi ha 91 anni e nessuna voglia di dimenticare. È uno dei pochissimi superstiti, rimasti ancora in vita, della strage di Marzabotto. Una serie di rappresaglie dei nazifascisti che tra il 29 settembre 1944 e i primi di ottobre hanno portato alla morte di 775 persone. Le truppe di Walter Reder hanno fatto terra bruciata di donne, anziani e bambini di una intera zona, quella di Monte Sole, dove era nata la brigata Stella Rossa, diretta dal comandante Musolesi, detto Lupo.

Ferruccio Laffi racconta di come sia avvenuta la strage a Marzabotto e di come lui si sia salvato dai nazifascisti: “Sapevamo che cercavano gli uomini, io a 16 anni mi consideravo un uomo così mi sono nascosto nel bosco”. Quando a sera non ha sentito più nulla è sceso giù, verso casa con i fratelli, “c’erano 18 persone ma non c’era nessuno. Pensavamo li avessero portati via, invece li avevano uccisi tutti. C’era un uomo nudo, ranicchiato, era mio padre. Gli hanno fatto vedere lo spettacolo e hanno ucciso anche lui”.

Ecco cosa è stato il fascismoAbbiamo perso la memoria? “Adesso abbiamo un ministro degli interni – Matteo Salvini – che non riconosce la Liberazione. Queste persone qui non è che hanno perso la memoria. La memoria vogliono farla perdere a te”. “Io lo so cosa vuol dire essere liberati, essere liberi di poter dire quello che pensi, le tue ragioni. Quando c’era il duce potevi dire solo viva il duce altrimenti ti davano l’olio di ricino”, racconta Ferruccio Laffi. 

 

fonte: https://www.michelesantoro.it/2019/04/ferruccio-laffi-fascismo-marzabotto/?fbclid=IwAR2DB8h3AhZjfVrQ2EdWaASf3fmr27lmSBcEo2z79LltmobfFLDXd0rzQjg