Salvini sostiene di amare De André – Allora noi gli vogliamo ricordare una delle sue più belle canzoni: “La smisurata preghiera” dedicata alle minoranze di ieri, oggi e domani…

 

Fabrizio De André

 

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Salvini sostiene di amare De André – Allora noi gli vogliamo ricordare una delle sue più belle canzoni: “La smisurata preghiera” dedicata alle minoranze di ieri, oggi e domani…

Salvini, Senti questa di Faber… NON TI FOSCHIANO LE ORECCHIE…?

 

Tratto da infofree

“Smisurata Preghiera” – Il fantastico brano di Fabrizio De André dedicato alle minoranze di ieri, oggi e domani… Sentitolo, è tanto bello, toccante, profondo quanto attuale…!
La smisurata preghiera di De André: alle minoranze di ieri, oggi e domani
(di seguito il testo ed il video live)

Era l’anno 1996, Fabrizio De André spiegava in un concerto il senso del brano Smisurata preghiera: elogio delle minoranze con parole che oltre 20 anni dopo sono ancora attuali.

Correva l’anno 1996: 20 anni e passa fa il grandissimo Fabrizio De André pubblicò l’album “Anime Salve”, scritto a quattro mani con l’amico e collega Ivano Fossati. Durante un concerto, Faber decise di spiegare il senso di “Smisurata Preghiera”, brano che, non a caso, è l’ultima traccia del cd.
Un discorso e una canzone che ancora oggi suonano, soprattutto visto la situazione internazionale, attuali… perché oggi più che mai abbiamo bisogno di ritrovare la nostra “umanità” anche attraverso le parole dei poeti/cantastorie del Novecento.
L’ultima canzone dell’album [Anime salve, ndr.] è una specie di riassunto dell’album stesso: è una preghiera, una sorta di invocazione…un’invocazione ad un’entità parentale, come se fosse una mamma, un papà molto più grandi, molto più potenti. Noi di solito identifichiamo queste entità parentali, immaginate così potentissime come una divinità; le chiamiamo Dio, le chiamiamo Signore, la Madonna. In questo caso l’invocazione è perché si accorgano di tutti i torti che hanno subito le minoranze da parte delle maggioranze.
Le maggioranze hanno la cattiva abitudine di guardarsi alle spalle e di contarsi… dire “Siamo 600 milioni, un miliardo e 200 milioni…” e, approfittando del fatto di essere così numerose, pensano di poter essere in grado, di avere il diritto, soprattutto, di vessare, di umiliare le minoranze.
La preghiera, l’invocazione, si chiama “smisurata” proprio perché fuori misura e quindi probabilmente non sarà ascoltata da nessuno, ma noi ci proviamo lo stesso. [Fabrizio De André]

smisurata preghiera

Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono al di sopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità

Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta

Recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie
Coltivando tranquilla
l’orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un’anestesia
come un’abitudine

Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità, di verità

Per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
con improbabili nomi di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità

Ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti

come una svista
come un’anomalia
come una distrazione
come un dovere.

Fabrizio De André

 

La gaffe di Salvini che ricorda De André con “All’ombra dell’ultimo sole si era assopito un pescatore”, dimenticando che quel pescatore “versò il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete e ho fame”

Salvini

 

 

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La gaffe di Salvini che ricorda De André con “All’ombra dell’ultimo sole si era assopito un pescatore”, dimenticando che quel pescatore “versò il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete e ho fame”

E no, mio caro Matteo. Lo hai ricordato proprio con il verso sbagliato…

Il verso che il nostro vicepremier ha twittato è quello de “Il Pescatore”, “All’ombra dell’ultimo sole/S’era assopito un pescatore. Ciao Fabrizio, grazie poeta!”

Mai gaffe fu tanto evidente. Tutti sanno (forse tutti tranne Salvini) che quel pescatore non indugiò: “Non si guardò neppure intorno/Ma versò il vino spezzò il pane/Per chi diceva ho sete ho fame”…

Dai Matteo… dare pane e vino a chi ha fame ed ha sete non è proprio tra le tue abitudini…

E poi… Ma ve lo immaginate quante glie ne avrebbe cantate il “poeta degli ultimi” al cinico razzista di Salvini? Come può Salvini nominare De André, quello che ha dedicato la sua poesia alle minoranze, dai rom ai migranti, ai nativi americani, alle prostitute, ai tossicodipendenti.

“Fabrizio appartiene a tutti, ma sarebbe meglio ascoltarlo”, aveva consigliato la compagna Dori Gezzi in un’intervista HuffPost. Un consiglio che a Salvini forse è sfuggito proprio nel giorno del 20esimo anniversario dalla morte di De André.

By Eles

Testo
All’ombra dell’ultimo sole
S’era assopito un pescatore
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso
Venne alla spiaggia un assassino
Due occhi grandi da bambino
Due occhi enormi di paura
Eran gli specchi di un’avventura
E chiese al vecchio “dammi il pane
Ho poco tempo e troppa fame”
E chiese al vecchio “dammi il vino
Ho sete e sono un assassino”
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
Non si guardò neppure intorno
Ma versò il vino e spezzò il pane
Per chi diceva “ho sete, ho fame”
E fu il calore d’un momento
Poi via di nouvo verso il vento
Davanti agli occhi ancora il sole
Dietro alle spalle un pescatore
Dietro le spalle un pescatore
E la memoria è già dolore
È già il rimpianto d’un aprile
Giocato all’ombra di un cortile
Vennero in sella due gendarmi
Vennero in sella con le armi
Chiesero al vecchio se lì vicino
Fosse passato un assassino
Ma all’ombra dell’ultimo sole
S’era assopito il pescatore
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso

Il pianto dei bambini strappati alle madri da Trump? Di che cazzo Vi meravigliate? Qui parliamo di una nazione nata sul GENOCIDIO degli indigeni… Ecco come De André che ci racconta il massacro di Sand Creek. Quando il glorioso Esercito USA riportò una delle più fulgide vittorie della luminosa storia Americana contro donne e bambini!!

 

Trump

 

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Il pianto dei bambini strappati alle madri da Trump? Di che cazzo Vi meravigliate? Qui parliamo di una nazione nata sul GENOCIDIO degli indigeni… Ecco come De André che ci racconta il massacro di Sand Creek. Quando il glorioso Esercito USA riportò una delle più fulgide vittorie della luminosa storia Americana contro donne e bambini!!

Il pianto della piccola migrante trattata come una terrorista e strappata ai genitori

Le scelte disumane di Trump fanno orrore. Ma adesso lo stato di New York vuole fare causa al miliardario xenofobo: diola i diritti costituzionali

Senza pietà, senza umanità. Lui è il ricco che difende i ricchi. Lui è il ricco che sfrutta i poveri ma non ne ha misericordia. Lui è il ricco che un giorno – speriamo – sarà ricordato sui libri di storia per essere il simbolo dell’egoismo, dello sfruttamento e dell’intolleranza.
Ma qualcuno si oppone: lo stato di New York intende fare causa al governo per la separazione delle famiglie al confine con il Messico. Lo afferma il governatore Andrew Cuomo, sottolineando come a suo avviso il governo stia violando i diritti costituzionali degli immigrati.
La presa di posizione di Cuomo è legata al fatto che oltre 70 bambini separati dalle loro famiglie si trovano in istituti a Long Island, nello stato di New York.
Secondo Cuomo l’amministrazione Trump sta violando anche l’accordo di Flores del 1997 che determina gli ”standard nazionali riguardo la detenzione, il rilascio e il trattamento dei bambini immigrati detenuti in complessi” pubblici ”dando priorità al principio dell’unità familiare”.

Leggi: Per non dimenticare – 29 novembre 1864, il massacro di Sand Creek. Quando il glorioso Esercito degli Stati Uniti d’America riportò una delle più fulgide vittorie della luminosa storia Americana contro donne e bambini indigeni !!

Ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek

Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura Sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura….
 
Chi, come me, ha amato Fabrizio De André conosce molto bene questa canzone.

La musica incalzante accompagna parole che suonano come una poesia, ma che in realtà raccontano una vicenda terribile, vista con gli occhi di un bambino indiano che il 29 novembre 1864 morì per mano dell’esercito americano in quella infame pagina di storia ricordata come il massacro di Sand Creek. Scrivendo queste righe sono molto commossa. Non vi racconterò di una battaglia fra eserciti di uomini adulti e valorosi, che si fronteggiano all’ultimo sangue ad armi pari. Vi racconterò la storia di un esercito di bambini, donne e anziani che furono nel sonno trucidati senza pietà. Partiamo dall’inizio, facciamo un passo indietro per meglio comprendere cosa accadde. Durante la metà del XIX secolo, molti coloni provenienti dall’Europa iniziarono a spostarsi verso California e Oregon dell’ovest, territori conquistati in seguito alla fine della guerra fra Messico e Stati Uniti. Una vera fortuna, vista la scoperta di numerosi giacimenti auriferi, che diede vita alla corsa all’oro Californiana.  I territori delle Grandi Pianure settentrionali, fino ad allora poco colonizzati, erano prevalentemente popolati da tribù nomadi o seminomadi di nativi americani.  Ma cosa si intende per nativi americani? Con l’espressione Nativi americani si intende indicare le popolazioni che abitavano il continente americano prima della colonizzazione europea e i loro odierni discendenti. Le tribù vivevano senza confini sparse sul territorio. Con l’arrivo dei colonizzatori e dei primi scontri, si rese necessario un accordo fra le parti, che non fu certo vantaggioso per i Nativi. Il 17 settembre 1851, commissari del governo statunitense siglarono con i rappresentanti delle principali tribù dei nativi della regione il trattato di Fort Laramie, che prevedeva in cambio del passaggio libero delle carovane dirette a ovest, della costruzione di strade e forti dell’esercito nella regione, il pagamento di un’indennità annuale di 50.000 dollari per quindici anni, poi ridotti a dieci. L’accordo, inoltre, circoscriveva con precisione i territori da assegnare in proprietà esclusiva alle tribù, sui quali avrebbero potuto transitare liberamente, cacciare e pescare.  Qualcosa di fondo secondo me stride: da liberi nelle Grandi Pianure, a liberi in aree con confini delimitati. Ma questa è la storia.  I territori riconosciuti ai Cheyenne e agli Arapaho erano compresi tra le Montagne Rocciose e i fiumi North Platte e Arkansas, zona che oggi ospita l’odierno Colorado. La firma del trattato garantì la pace, almeno apparente, fino al luglio 1858, anno in cui iniziò la “corsa all’oro del Pike’s Peak”, adiacente alle Montagne Rocciose. La scoperta di immensi giacimenti d’oro causò l’arrivo nella regione di quasi 100.000 cercatori, che senza badare agli accordi siglati, invasero indiscriminatamente i territori dei nativi, cominciando a costruire insediamenti stabili, tra cui il primo nucleo della città di Denver.

Coloni e minatori, com’era naturale si unirono in un fronte comune, iniziando a chiedere al governo i territori della valle del fiume Platte, di importanza fondamentale per le tribù native, in quanto zona di pascolo di mandrie di bisonti. Il governo non cedette alla richiesta, ma le autorità locali, spinte dalla pressione crescente della popolazione, decisero di creare nel 1859 il cosiddetto “Territorio di Jefferson”, un’entità amministrativa extralegale e non riconosciuta dal governo statunitense.
Alla fine del 1860 le crescenti richieste dei coloni, spinsero il governo ad iniziare i negoziati per ridefinire i confini dei territori assegnati alle tribù dei Cheyenne meridionali e agli Arapaho.
Il 18 febbraio 1861 venne siglato il trattato di Fort Wise tra il Commissario agli Affari indiani Alfred Greenwood e un gruppo di capi Cheyenne e Arapaho. I nativi rinunciarono a quasi due terzi del territorio a loro assegnato in precedenza, accettando di insediarsi in un’area molto più piccola compresa tra i fiumi Arkansas e Big Sandy Creek. Il nuovo insediamento era scarso di selvaggina e difficilmente coltivabile. I capi tribù accettarono la nuova sistemazione solo a patto che potessero liberamente circolare e cacciare nei territori che avevano lasciato, ne andava della sussistenza della loro gente. Questo punto del trattato però, come era prevedibile rimase in sospeso, senza una definizione precisa. Sarebbe stato solo questione di tempo prima dell’inizio di un aperto conflitto fra le parti, che vedeva contrapposta la sopravvivenza di un popolo agli interessi economici.
Gli stessi capi tribù non furono tutti unanimi sulla firma del trattato. Pentola Nera, Antilope Bianca, Orso Magro, Lupo Piccolo e Orso Alto siglarono l’accordo per i Cheyenne. Per gli Arapaho, Piccola Cornacchia, Bocca Grande, Bufera, Barba-in-Testa e Mano Sinistra.
Il 28 febbraio 1861, il “Territorio di Jefferson” divenne lo stato del Colorado. I coloni avevano vinto.
Le premesse per ciò che successe in seguito erano state poste.
Tra i più oltranzisti vi furono i Hotamétaneo’o, i Soldati Cane, una società guerriera cheyenne divenuta autonoma e ferocemente ostile alla presenza dei coloni che cercavano di insediarsi nelle terre della tribù.
La situazione diventava ogni giorno più difficile, il malcontento fra le tribù era ormai diffuso. Le notizie di una ribellione in Minnesota dei Dakota Santee, che facevano parte del gruppo dei Sioux, sedata nel sangue dall’esercito, degli attacchi alle tribù Navajo ad opera dei coloni che cercavano di farsi largo nei loro territori, crearono un clima di generale malcontento, controllato a fatica dagli anziani.
Il 12 aprile 1861 scoppiò la guerra di secessione. La minaccia di invasione da parte delle truppe confederate dal Texas e dal Nuovo Messico, portarono al pattugliamento del territorio da parte dei soldati dell’unione, che spesso si scontravano con i giovani guerrieri nativi impegnati nella caccia del bisonte.

Quale linea scelsero di seguire i soldati dell’unione? La linea dura. Fautori principali dell’intransigenza furono il nuovo governatore del Territorio John Evans e il colonnello John Chivington, veterano della guerra contro i confederati e comandante del 1st Colorado Volunteer Regiment of Cavalry, il braccio armato in questa vicenda.

Fu un generale di vent’anni Occhi turchini e giacca uguale Fu un generale di vent’anni Figlio d’un temporale …
 

Dopo quasi quattro anni di guerra, di scontri e di reciproci “dispetti”, la situazione precipitò inesorabilmente quando una pattuglia di Chivington attaccò un gruppo di Soldati Cane Cheyenne, accusati di aver rubato dei cavalli e due giorni dopo uccise, per rappresaglia, due donne e due bambini in seguito all’attacco nel campo di Cedar Bluff. Furono incendiante più di settanta tende, almeno 10% dell’intero campo Cheyenne. Soldati contro popolazione inerme.  Chivington si divertiva a seminare scompiglio, a dimostrare con atti di forza la propria superiotà.  Il 16 maggio inviò, senza autorizzazione governativa, una compagnia ad attaccare un grosso campo estivo di Cheyenne nei pressi del torrente Ask.  Capo Orso Magro, uno dei firmatari del trattato di Fort Wise andò incontro ai soldati che imbracciavano fucili carichi, armato solo di una copia del trattato. Un colpo in pieno petto lo lasciò a terra agonizzante. I Cheyenne reagirono, accorrendo anche dai campi vicini, assalendo i soldati.  Pentola Nera, uno degli anziani, fu il solo in grado di fermare i nativi, permettendo ai soldati di rifugiarsi a Fort Larned.

C’è un dollaro d’argento sul fondo del Sand Creek. I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte…
 
La pace era definitivamente compromessa. La morte di Orso Magro minò l’autorità degli altri anziani firmatari del trattato. Diversi gruppi di nativi ribelli Cheyenne e Sioux si riunirono e decisero di attaccare i coloni che erano entrati nei loro territori.  La reazione del governatore Evans non tardò ad arrivare. A fine giugno 1864 intimò ai ribelli di rientrare nella loro riserva e di deporre le armi, in caso contrario sarebbero stati considerati ostili. Ad agosto autorizzò la popolazione ad attaccare i nativi sorpresi fuori dalla riserva. Pentola Nera riuscì, con la mediazione di William Bent, colono spesato a una nativa, a creare un tavolo della trattativa con il maggiore Edward W. Wynkoop, comandante della guarnigione di Fort Lyon. Le buone intenzioni del capo indiano non corrispondevano a quelle del soldato, mostratosi ostile fin dall’inizio. Anche Chivington si mostrò ambiguo, minacciando una guerra totale in un primo momento e poi invitando i nativi ad accamparsi nei pressi di Fort Lyon, per godere della protezione dell’esercito. Fiducia. I nativi si fidavano delle parole degli uomini del governo. Perché avrebbero dovuto mentire? “Cerchiamo la pace”, pensavano gli anziani, il territorio è grande, possiamo vivere tutti insieme. Ma la caccia al bisonte non andava d’accordo con il corso all’oro, con la nascita delle prime città. I nativi non lo sapevano. Con l’arrivo dell’autunno le tribù Cheyenne dei capi Pentola Nera e Antilope Bianca lasciarono gli insediamenti estivi di Smoky Hill per accamparsi in un’ansa del fiume Sand Creek, a circa 64 chilometri a nord-est di Fort Lyon. Erano circa ottocento. Gli Arapaho dei capi Piccola Cornacchia e Mano Sinistra, si accamparono nelle immediate vicinanze del forte, tanto da iniziare rapporti commerciali stabili con gli abitanti del Forte. Il governo dell’unione non gradì l’apertura del maggiore Wynkoop, che permise l’inizio del commercio, tanto da trasferirlo il 5 novembre 1864 a Fort Riley in Kansas. Il suo posto fu occupato da un uomo di fiducia, fautore della linea dura, il maggiore Scott J. Anthony.  Il nuovo maggiore fece sentire subito la sua presenza sospendendo i rifornimenti ai nativi: la condizione era molto chiara, dovevano consegnare tutte le armi. Gli Arapaho obbedirono, ma nonostante questo, il soldato non revocò l’ordine. Pentola nera fece un altro tentativo di mediazione. Alcuni testimoni, chiamati durante le numerose inchieste successive, raccontarono che il maggiore rassicurò l’anziano che se i nativi fossero rimasti nel loro campo di Sand Creek, nulla di male sarebbe loro accaduto. Gli Arapaho si divisero: la tribù di Mano Sinistra raggiunse i Cheyenne sul Sand Creek, mentre quella di Piccola Cornacchia si rifugiò oltre il fiume Arkansas. Subito dopo la loro partenza il maggiore Scott J. Anthony chiese rinforzi ai suoi superiori con un dispaccio perché una banda di nativi ostili era accampata a circa 60 chilometri dal forte. Si riferiva al campo di Sand Creek.
Il 27 novembre arrivarono le truppe di rinforzo in gran segreto, condotte sul posto dal il colonnello Chivington. In totale 600 uomini, fra cui alcuni volontari che si erano offerti per combattere gli indiani ostili.
Un piccolo gruppo di soldati rinchiuse la famiglia di William Bent nel loro ranch, con lo scopo di impedire loro di dare l’allarme.
Non tutti i soldati erano d’accordo di attaccare il campo, sapevano che erano presenti solo donne, vecchi e bambini. Gli uomini erano tutti a caccia.
Alle 20:00 del 28 novembre la colonna di Chivington, ulteriormente rinforzata da altri volontari, lasciò Fort Lyon. Tutto era stato organizzato, avrebbero solo dovuto agire, punire i nativi e la loro sfrontata voglia di circolare liberi sul territorio.
Armati di tutto punto, i soldati si diressero verso il Sand Creek. Trasportavano anche quattro obici da montagna, necessari per meglio offendere l’accampamento.
È l’alba. 29 novembre 1864.
E quella musica distante diventò sempre più forte Chiusi gli occhi per tre volte Mi ritrovai ancora lì Chiesi a mio nonno è solo un sogno Mio nonno disse sì 
A volte I pesci cantano sul fondo del Sand Creek Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso Il lampo in un orecchio nell’altro il paradiso Le lacrime più piccole Le lacrime più grosse…
Ma non era una musica, erano le urla di quasi mille uomini ubriachi, feroci e ben armati, che al galoppo piombarono sul campo Cheyenne e Arapaho. Il fattore sorpresa fu determinante. Gli anziani erano certi che nulla avrebbero dovuto temere, gli accordi erano chiari le parole rassicuranti del maggiore Scott J. Anthony avevano avuto l’effetto desiderato. Sorpresa. I guerrieri erano tutti a caccia. Il campo era composto per due terzi da donne e bambini. La tribù di Pentola Nera era accampata al centro, con a ovest i Cheyenne di Antilope Bianca e Copricapo di Guerra e a est, un poco più distanti, gli Arapaho di Mano Sinistra. Gli eventi che seguirono lasciano poco spazio all’immaginazione. Nel campo erano presenti anche commercianti bianchi con le loro famiglie meticce, che testimoniarono gli orrori vissuti. La bandiera degli Stati Uniti d’America sventolava alta sul tipi di Pentola Nera, dono ricevuto il giorno della firma del trattato di Fort Wise. I soldati entrarono al campo sparando indiscriminatamente. Pentola Nera cercò di radunare la sua gente attorno alla bandiera. Furono un bersaglio ancora più facile. Antilope Bianca, un vecchio di 75 anni, avanzò disarmato e a mani alzate verso le truppe pazze di rabbia. Fu ucciso a fucilate. Il massacro era iniziato, il sangue che scorreva esaltava i soldati festanti. Molti dei corpi dei nativi furono mutilati: donne e bambini scalpati, mani e dita tagliate per prendere miseri gioielli, nasi asportati, orecchie, organi sessuali, usati poi come trofei da esporre sui cappelli o sulle selle dei cavalli, donne incinta sventrate, arti amputati. Nei giorni successivi questi macabri trofei furono esposti senza vergogna nel saloon intorno a Denver. I racconti dei superstiti e dei testimoni furono agghiaccianti. L’orrore strisciava sulle sponde del Sand Creek. Qualcuno riuscì a fuggire, nascondendosi in buche e trincee nella riva sabbiosa del torrente in secca. Tra questi anche Pentola Nera.
Tirai una freccia in cielo Per farlo respirare Tirai una freccia al vento Per farlo sanguinare…
Appagati da tanto orrore, i soldati fecero rientro a Fort Lyon, guidati da Chivington. Il numero esatto delle perdite non fu mai precisato. Ciò che fu chiaro fin dall’inizio fu la volontà di Chivington di far passare questa azione come un atto di difesa contro guerrieri nativi ostili. Ciò che giocò a suo sfavore furono i numerosi testimoni che raccontarono la verità su quell’alba maledetta, compresi alcuni soldati che fin dall’inizio si era dimostrati contrari a questo attacco. Ciò che avvenne dopo fu una naturale conseguenza dei fatti di Sand Creek. Gli anziani persero completamente la loro credibilità verso le tribù. Una volta dato l’allarme, i guerrieri che erano a caccia fecero ritorno, iniziando una serie di rappresaglie sulla popolazione civile. Sangue chiama sangue.  Cacciati dai loro territori, rinchiusi in riserve, massacrati, umiliati.
La terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura Sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura…
Nel tentativo di riportare ordine, nell’ottobre 1865 una delegazione del governo statunitense si recò da Pentola Nera per negoziare un nuovo trattato con gli Cheyenne e gli Arapaho. La questione più complicata era ritenuta quella della proprietà delle terre. Molti coloni rivendicavano appezzamenti che legalmente appartenevano in realtà ai nativi, tra cui la zona dove sorgeva l’intera città di Denver.  Il 14 ottobre 1865 Pentola Nera, Piccola Cornacchia e un’altra decina di capi Cheyenne e Arapaho, siglarono il trattato del Little Arkansas: in cambio di una riserva a sud dell’Arkansas e della promessa di compensazioni monetarie per i sopravvissuti al massacro, le tribù dei nativi rinunciarono per sempre a qualsiasi diritto sulle loro terre originarie nel Colorado. Due anni dopo l’accordo fu abrogato unilateralmente dagli Stati Uniti e rimpiazzato dal trattato del Medicine Lodge del 21 ottobre 1867, che cancellò la riserva a sud dell’Arkansas e obbligò Cheyenne e Arapaho a trasferirsi ancora più a sud, nel poco ospitale “Territorio indiano”, l’odierno Stato dell’Oklahoma. Tutto le inchieste che furono successivamente fatte non riuscirono comunque a dare giustizia alle vittime di Sand Creek. Nessuna punizione fu prevista per Chivington o per gli altri partecipanti al massacro. Chivington lasciò l’esercito nel febbraio 1865, alla scadenza del suo regolare periodo di servizio.
 
Fu un generale di vent’anni Occhi turchini e giacca uguale Fu un generale di vent’anni Figlio d’un temporale…
 
I suoi tentativi di farsi un nome nella politica furono ostacolati dalle accuse a lui rivolte circa i fatti di Sand Creek. Dopo essere rientrato a Denver, lavorò come sceriffo locale fino alla sua morte, avvenuta il 4 ottobre 1894. Il 27 aprile 2007 il luogo del massacro fu proclamato parco nazionale storico degli Stati Uniti come “Sand Creek Massacre National Historic Site”, sotto la protezione del National Park Service. I miei pensieri su questi accadimenti sono molto grevi. Un popolo è stato cacciato da casa sua, derubato delle tradizioni, della terra, della vita.  Il forte ha schiacciato il debole.  L’oro ha scacciato il bisonte.  Le città hanno sostituito gli accampamenti.  Dopo quel giorno il sole non è stato più lo stesso sul Colorado, nell’aria c’era l’odore acre del sangue degli innocenti che si fidavano della parola dell’uomo bianco venuto da lontano.
Ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek
fonti:
http://www.globalist.it/world/2018/06/19/il-pianto-della-piccola-migrante-trattata-come-una-terrorista-e-strappata-ai-genitori-2026518.html
 https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/2017/03/ora-i-bambini-dormono-sul-fondo-del.html

Salvini dice di “adorare le canzoni di De André”, ma non c’è canzone di De André che non sputi su Salvini e sui suoi pensieri!

De André

 

 

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Salvini dice di “adorare le canzoni di De André”, ma non c’è canzone di De André che non sputi su Salvini e sui suoi pensieri!

 

Salvini dice di “adorare le canzoni di De André”, ma non c’è canzone di De André che non sputi su Salvini e sui suoi pensieri!

Salvini ringrazi Iddio che De André è morto… Sai quanti calci in culo gli avrebbe dato volentieri…

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Anarchico, ha cantato le vite degli zingari, dei profughi, dei colonizzati, degli eretici, dei marginali. Ha cantato il disprezzo per le guardie, per manettari e delatori, per la piccola borghesia che ha il culto dei cazzi propri. Ha persino fatto in tempo ad aiutare le famiglie di migranti che occupavano in via Altura. Senza averci capito una parola, Salvini dice di «adorare le canzoni di De André», ma non c’è canzone di De André che non sputi su Salvini.

da: https://www.trendsmap.com/twitter/tweet/951367166733045761

Salvini: «Grande, unico De André». Ma sui social: «Le sue canzoni contro la tua politica»
Dal Corriere della sera:

Il leader della Lega Nord: «Grande Fabrizio, dico grazie alla Rai». Ma in Rete gli rispondono: «Ignorante, tutta l’opera di De André è contro di te»

«Grande, unico Fabrizio. Per una volta dico grazie alla Rai». Un messaggio pubblicato su Facebook per esprimere tutto il suo apprezzamento per la fiction su Fabrizio De André «Principe Libero». Firmato da Matteo Salvini, che rivela di essere grande fan di De André. Peccato che questo scateni la polemica in Rete.

È bastato un messaggio di poche righe su Twitter e Facebook, per dire di aver apprezzato la fiction andata in onda sulla Rai, e subito sono arrivati i commenti polemici. «Ignorante e incoerente, l’intera sua opera è contro di te» gli scrivono. «L’opera di De André è una dichiarazione d’amore per gli ultimi, gli emarginati e le vittime di ingiustizia sociale. Chi ascolta e comprende De André non può che ritenere Salvini un avversario politico». E ancora, c’è chi gli scrive: «Non sei degno neanche di pronunciare quel nome, tu sputi continuamente sopra i valori contenuti nelle sue canzoni». «Se Faber fosse vivo – scrive un altro – le direbbe che lei è un misto di ignoranza e incoerenza». «L’arte è di tutti – si legge ancora fra i commenti – ma se De André fosse vivo si vergognerebbe di averti come suo fan».

Da: http://www.corriere.it/cronache/18_febbraio_14/matteo-salvini-loda-fiction-de-andre-ma-social-scoppia-polemica-db5bf488-1178-11e8-9c04-ff19f6223df1.shtml

Caro Matteo, solo per ricordarti che Vasco al Festival si piazzò ultimo, Tenco si sparò e De André non c’è mai andato…

 

Festival

 

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Caro Matteo, solo per ricordarti che Vasco al Festival si piazzò ultimo, Tenco si sparò e De André non c’è mai andato…

Vorremmo solo ricordare a questo genio che al Festival di Sanremo Vasco Rossi, l’unica volta che ce andato, si è piazzato ultimo, Tenco lì si è sparato e per quanto riguarda Faber… non c’è mai andato…!

Un genio, vero?

by Eles