Più il popolo muore di fame più loro guadagnano: questa è la finanza!

 

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Più il popolo muore di fame più loro guadagnano: questa è la finanza!

La speculazione sulle materie prime alimentari, da parte delle lobby finanziarie, si scarica su un miliardo di persone a cui sottrae il pane, ma anche sui paesi europei producendo inflazione

Un patto contro l’inflazione che rischia di farci tornare non ai livelli di vent’anni fa, dove già siamo, ma ancora più indietro. Perché Coop lo invoca a gran voce nel campo alimentare? Perché il presidente di Coop Italia, Vincenzo Tassinari, parla di “tempesta perfetta” se sulle famiglie italiane sfiancate dalla crisi dovesse scaricarsi un’altra ondata di rincari, come richiesto dai produttori, tale da far lievitare del 5% i listini nel 2013 e in più ora l’aumento dell’Iva?  Per rispondere a questa domanda occorre risalire la corrente inflazionistica, come fossimo salmoni nelle acque del mercato globale. Arriviamo così, risalendo i perché, un gradino più su, dove troviamo i prezzi dei generi alimentari di prima necessità (commodities agricole) da cui derivano molti dei prodotti che consumiamo a tavola. Mais, frumento, soia, zucchero, ecc. stanno avendo dal 2007 in qua impennate da capogiro (raddoppio dei prezzi in pochi mesi) e successivi tracolli che generano un’estrema turbolenza e volatilità sui mercati (cioè variazioni rapide e molto intense dei prezzi) e sono tra i maggiori responsabili della spinta inflazionistica sul carrello della spesa. Non è una novità, del resto, ma una preoccupazione costante che accompagna la crisi alimentare e finanziaria dell’ultimo lustro e trova conferme nei dati di luglio-agosto della Fao, con un + 40% per i cereali dopo tre mesi di flessione che riporta i listini ai livelli altissimi dello scorso anno. “Questa altalena genera effetti devastanti sugli agricoltori, che avrebbero bisogno invece di stabilità per investire sulle colture, e sul miliardo di persone sottonutrite al mondo che non hanno i soldi per il pane”. L’analisi del professor Riccardo Moro, docente di Politiche dello sviluppo alla Statale di Milano, ci aiuta a capire perché il cibo, come il petrolio, l’oro e altre materie prime, è sempre più caro in un vortice che abbatte i consumi e aumenta le povertà su scala planetaria. La Banca Mondiale ha calcolato che 44 milioni di persone nel 2011 sono cadute in miseria a causa dell’aumento dei prezzi dei beni alimentari. Cosa c’è dietro tutto questo? “Guardi, le cause sono molteplici, ma il nodo più importante sta nella relazione tra mercati finanziari e cibo che genera volatilità”.

Risalendo ancora la corrente, notiamo che dal Dopoguerra e per quarant’anni i prezzi dei generi alimentari sono sistematicamente scesi per effetto dell’aumento della produttività e della qualità dei raccolti sommati ai sostegni pubblici all’agricoltura. È a cavallo del Duemila che la tendenza si inverte. Almeno quattro i fattori che, interagendo tra di loro, la determinano. Il primo sono le grandi superfici sottratte alla produzione per il consumo alimentare per farne dei biocarburanti, tendenza a cui Action Aid e altre ong internazionali si oppongono. Un altro elemento è la crescita dei redditi e quindi della domanda per una migliore dieta alimentare in paesi immensi come Cina, India o Brasile. Terzo fattore incontrollabile è il trend demografico mondiale. Quarto, almeno parzialmente modificabile, il cambiamento climatico che rendendo più frequenti e virulenti allagamenti e periodi di siccità incide a livello di macroaree regionali sulla vulnerabilità del prezzi. “Questi quattro fattori – continua il professor Moro – hanno tutti un ruolo nel far crescere i listini, ma non spiegano le altalene di questi anni. Vi è un quinto fattore che può spingere velocemente verso l’alto come verso il basso, generando la ‘volatilità’ di cui abbiamo parlato: si tratta della speculazione sul cibo che si è scatenata sui mercati finanziari”. Presente e… futures Cosa c’è, infatti, dietro il caro-alimenti che nel prossimo decennio, secondo Fao e Ocse, dovrebbe stabilizzarsi su un 20% in più per i cereali e un 30% in più per la carne e che interessa in varia misura tutti i consumatori? Siamo arrivati a uno dei gradini più alti dove è ancora più difficile, se possibile, intervenire dati gli enormi interessi in gioco. La risposta è la speculazione finanziaria: speculazione sul cibo e sulla vita delle persone che modernamente avviene sulle piazze telematiche, con un clic, tramite i futures. Che cosa sono? “Particolari strumenti finanziari coi quali si stabilisce ‘oggi’ a quale prezzo comprare ‘domani’” un certo bene alimentare. Nascono come strumenti per governare il mercato e rendere più sicuri gli operatori riducendo, appunto, la volatilità. Ma sono diventati strumenti di investimento e speculazione finanziaria. La quasi totalità dei futures oggi è negoziata tra operatori che non hanno interesse diretto in campo agricolo”. Lo scambio reale il più delle volte non avviene neppure (solo il 30% dei contratti futures al mondo si conclude con l’acquisto di un barile di petrolio o di un sacco di mais): i contraenti stracciano i contratti prima della scadenza, scambiandosi la differenza tra prezzo indicato nel future e prezzo corrente. I futures diventano così delle vere e proprie scommesse che gli operatori usano per tentare guadagni finanziari con i capitali messi a disposizione dai risparmiatori. L’effetto è che come nei mercati finanziari salgono e scendono repentinamente i prezzi dei futures, analogamente salgono e scendono i prezzi del prodotto reale penalizzando chi al mercato ci va per davvero, ovvero piccoli contadini e popolazioni povere, dal Corno d’Africa all’America latina. “È impressionante vedere la rapidità con cui le variazioni nelle borse internazionali si riportano nel mercato locale. È insostenibile l’aumento dei prezzi, ma è un danno anche la discesa improvvisa perché scoraggia gli investimenti in agricoltura: nessuno investe se non può prevedere quando guadagnerà”. È utile qui aprire una parentesi per dire che i futures sono la forma principale di derivati utilizzati per le materie prime agricole, e i derivati sono prodotti finanziari il cui prezzo è agganciato ad altre grandezze, come il valore di beni o attività immateriali (azioni, indici finanziari, valute, tassi d’interesse, ecc.) o anche materiali ma non disponibili al momento. L’esempio classico è appunto quello delle materie prime, beni sicuri e sempre più preziosi sul pianeta Terra sovrappopolato e in crisi di risorse, che di tante cose potrà fare a meno, pensano gli investitori, ma non di acqua o frumento per sfamare i suoi abitanti. E così da una parte i governi più forti si accaparrano enormi superfici coltivabili comprate o affittate per un piatto di fagioli (“land grabbing”, vedi Consumatori di aprile), dall’altra le grosse società finanziarie come Goldman Sachs, Morgan Stanley o Barclays Capitals, scommettono sulle commodities passando sopra ai diritti più elementari dell’umanità. E questo lo possono fare perché operano in una situazione di totale deregulation. “Negli ultimi quindici anni il Congresso americano ha completamente liberalizzato il mercato dei derivati che oggi supera di dieci volte il prodotto interno lordo mondiale”. È scritto nel dossier “Sulla fame non si specula”, base dell’omonima campagna di sensibilizzazione promossa da esponenti della società civile in collaborazione con importanti sigle del no profit quali Vita, Action Aid International, Pime, Acli. Insieme hanno stilato una carta d’intenti per le amministrative del Comune di Milano del 2011 e in vista di Milano Expo 2015 (il cui slogan è “Nutrire il pianeta, energie per la vita”) nella quale chiedono nuove regole che evitino la speculazione finanziaria e un codice etico che impegni le amministrazioni pubbliche a non detenere titoli derivati legati a beni alimentari. Tra le più recenti adesioni c’è quella della Regione Lombardia, dopo i Comuni di Milano e di Treviso, e numerosi firmatari tra cui Giacomo Poretti e Giovanni Storti, del noto trio comico Aldo Giovanni e Giacomo.

Da: QUI

via ItalianoSveglia

Crescita del Pil – L’Italia costantemente al penultimo posto al mondo negli ultimi 17 anni. 17 anni in cui siamo stati governati da Berlusconi e dal Pd (tranne la parentesi Monti, appoggiato da Berlusconi e Pd) – Però gli incompetenti sono quelli del M5s…!

 

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Crescita del Pil – L’Italia costantemente al penultimo posto al mondo negli ultimi 17 anni. 17 anni in cui siamo stati governati da Berlusconi e dal Pd (tranne la parentesi Monti, appoggiato da Berlusconi e Pd) – Però gli incompetenti sono quelli del M5s…!

A marzo mi raccomanda scegliete chi votare tra Berlusconi e Renzi – Gli artefici della nostra grande crescita – Dal 2000 a oggi Italia costantemente penultima al mondo per crescita del Pil. Peggio solo Haiti prima e Grecia poi…!

 

Da il Fatto Quotidiano:

Crescita, Ocse: “Dal 2010 a oggi Italia penultima tra i Paesi sviluppati per progresso del pil. Peggio solo la Grecia”

Fatto 100 il prodotto interno lordo del 2010, alla fine del secondo trimestre la Penisola resta a quota 99,1. La Germania segna 112, 6 punti, la Francia 107,6, il Regno Unito 114 punti, la Spagna 104,8 e gli Stati Uniti 115,2

Sette anni da fanalino di coda, o quasi. A fare i conti è l’Ocse, nel rapporto mensile relativo ai primi due trimestri del 2017. Il pil della Penisola, fatto 100 quello del 2010, resta a quota 99,1 punti. E l’andamento degli ultimi sette anni risulta il peggiore tra i paesi sviluppati dopo la Grecia e a parimerito con il Portogallo.

Qui l’articolo completo

Questo negli ultimi 7 anni, ma prima?

Allora leggete questo:

A marzo mi raccomando votate Berlusconi -L’artefice della nostra grande crescita – Dal 2000 Italia penultima nel mondo per crescita del Pil. Peggio di noi solo Haiti, ma perché devasta da un terremoto distruttivo!

Ma ricordate, gli incompetenti sono quelli del M5s!

by Eles