Il Comandante De Falco: vi spiego il vero business dell’immigrazione

De Falco

 

 

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Il Comandante De Falco: vi spiego il vero business dell’immigrazione

Gregorio De Falco, senatore del M5S noto come l’eroe della Costa Concordia, ha affrontato la questione del business dell’immigrazionein un’intervista rilasciata a Formiche.net.

Il capitano ha detto che “solo dopo i fatti degli ultimi giorni alcuni Paesi non irrilevanti come Francia e Spagna hanno iniziato a dimostrare disponibilità verso una redistribuzione dei migranti che era già stata stabilita dai regolamenti europei, che finora sono stati tranquillamente violati,” sottolineando che però il governo Conte ha comunque avviato un’operazione umanitaria scortando la nave Aquarius con due motovedette a supporto fino al porto di Valencia di fronte all’indisponibilità di Malta ad accogliere i migranti.

Quanto alla chiusura dei porti, De Falco ha affermato che in realtà i porti non sono mai stati chiusi. “La normativa – ha spiegato – dice che un Paese può vietare il passaggio nelle acque territoriali se una nave ha un comportamento ostile,” aggiungendo che “avere a bordo immigrati clandestini può essere inteso come un caso di ostilità”.

“Il ministro – ha proseguito – può vietare alla nave specifica di navigare in acque italiane o di attraccare in un determinato porto”.

“Ma il provvedimento vale sono per quella imbarcazione, non per le altre. Infatti altre sono arrivate,” ha precisato.

L’esponente pentastellato ha poi espresso la sua opinione in merito alla questione dell’immigrazione:

“L’operazione di salvataggio e soccorso in mare di un’imbarcazione in difficoltà non c’entra nulla con la gestione del fenomeno migratorio che inizia dopo, quando le persone arrivano in un porto e vengono sbarcate,” ha detto.

Quanto alla politica dell’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, De Falco ha osservato che questa “ha solo allontanato il problema dai nostri occhi, spostando la questione in Libia”. “Il numero di persone detenute nei lager libici, infatti, è drasticamente aumentato,” ha aggiunto.

“Il vero business dell’immigrazione – ha concluso – inizia a terra, con cooperative e associazioni che prendono molti soldi per fare accoglienza, percepiscono quote-migrante di cui solo una parte esigua viene utilizzata per l’assistenza”.

fonte: https://www.silenziefalsita.it/2018/06/19/gregorio-de-falco-vi-spiego-il-vero-business-dellimmigrazione/

Avete idea di cos’era l’Italia, quando aveva la Montedison? – Ecco come gli sciacalli della politica hanno distrutto un colosso che oggi ci avrebbe dato un milione di posti lavoro in più!

 

Montedison

 

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Avete idea di cos’era l’Italia, quando aveva la Montedison? – Ecco come gli sciacalli della politica hanno distrutto un colosso che oggi ci avrebbe dato un milione di posti lavoro in più!

 

Avete idea di cos’era l’Italia, quando aveva la Montedison?

Probabilmente ci sarebbero un milione di posti lavoro in più in Italia, se non fosse stata “suicidata” la Montedison di Raul Gardini. Era il primo gruppo industriale privato italiano, ricorda Mitt Dolcino: la Fiat, all’epoca, era ben lontana dalle vette dei grandi gruppi di Stato come Eni, Stet (Telecom), Enel e forse la stessa Sme (agroindustriale). «Oggi che si è insediato il primo governo eletto non a seguito di influenze esterne – inclusa l’ingerenza della magistratura (ossia Tangentopoli) – dobbiamo ragionare freddamente su cosa successe veramente con Raul Gardini», scrive Dolcino su “Scenari Economici”. «La situazione oggi è talmente grave che qui ci giochiamo l’italianità». Infatti non è un caso – aggiunge l’analista – che Montedison alla fine fu conquistata e spolpata proprio dai francesi, guardacaso gli stessi che, secondo il giudice Rosario Priore, attentarono alla sovranità italiana durante “l’incidente” di Ustica, e che oggi «sembrano distribuire la Legion d’Onore ad ogni notabile italiano che va contro gli interessi del Belpaese». Caduto il Muro di Berlino, di fatto, l’Italia perse la protezione degli Usa. «E l’Europa, la stessa che oggi ci bastona, organizzò il banchetto dato dalle privatizzazioni italiane a saldo (con Draghi, che casualmente fece una fulgida carriera, ad organizzare il piano sul Britannia)».

Oggi come allora, per impossessarsi dei beni pregiati del paese, secondo Dolcino vengono utilizzati «pochi cooptati locali, foraggiati con carriere e soldi affinché tradiscano gli interessi nazionali». Impressionante l’elenco delle privatizzazioni – record mondiale – realizzate dall’Italia negli anni ‘90, quando tra Bankitalia e Palazzo Chigi si alternarono Draghi, Ciampi, Prodi, Amato e D’Alema. Motta e Alemagna finite a Nestlè, Gs a Carrefour, Telecom alla famiglia Agnelli (poi a Pirelli e Benetton, quindi a Telefonica). Benetton acquisì anche Autogrill e Autostrade per l’Italia, mentre finirono privatizzate al 70% sia Eni che Enel. Quindi la finanza: il Credito Italiano al gruppo Unicredit, Bnl a Bnp Paribas, la Banca Commerciale Italiana a Intesa Sanpaolo, senza contare il Banco di Roma (Unicredit) e l’Imi (Intesa). Idem l’industria: l’Alfa Romeo alla Fiat e Finsider all’Ilva, mentre lo Stato (gruppo Iri) ha ceduto ad aziende private il 70% di Finmeccanica. Sempre per un obietto che Dolcino considera di fatto neo-coloniale, l’Italia è diventata il laboratorio anticipatore di importanti, sinistri trend futuri: «Dalla strategia della tensione (pensate che oggi gli attentati “islamici” e affini nel mondo occidentale vengono riferiti della stampa specializzata utilizzando un nome che in Italia conosciamo bene, Gladio II) all’uso distorto della magistratura per fini politici, che oggi vediamo negli Usa contro Trump».

Di mezzo c’è stato anche il berlusconismo, «con un businessman non-politico diventato capo del governo», nonché la trattativa Stato-mafia, «con la mafia (italoamericana) che avrebbe voluto sostituirsi con George Bush al potere alla rappresentanza ufficiale Usa in un’Italia in via di smantellamento post-caduta del Muro». Ma anche i cosiddetti populismi di oggi sono ormai “made in Italy”, dato che il nostro è il primo paese europeo «dove guardacaso è arrivato al potere un governo in gran parte slegato dagli interessi tradizionali, oltre che davvero vicino alle esigenze di una cittadinanza giunta ormai allo stremo». Per Dolcino, in ogni caso, il discrimine emblematico tra l’Italia prospera e relativamente sovrana della Prima Repubblica e la post-Italia “euroschiava” della Seconda resta la morte di Raul Gardini, frettolosamente archiviata come suicidio. Fu invece omicidio, secondo il magistrato Mario Almerighi, autore del saggio “Suicidi”, edito dall’università La Sapienza. Se il patron della Montedison non fosse stato assassinato, scrive Dolcino, evocando un’altra morte in apparenza accidentale, quella di Enrico Mattei, oggi l’Italia sarebbe un paese molto più forte.

Da capogiro la ricognizione che Dolcino compie sull’allora pianeta Montedison, vera e propria galassia industriale di prima grandezza a livello mondiale. Probabilmente, scrive l’analista, oggi Montedison sarebbe ancora il leader agroindustriale europeo, con Eridania Beghin Say accanto al gruppo Ferruzzi, leader mondiale nella soia. Montedison sarebbe anche un attore primario nel settore cemento grazie a Calcestruzzi, un leader petrolifero verde con il biodiesel Enimont e un protagonista nell’industria della plastica e della chimica: ad esempio con Ausimont, produttrice di fluoro, e con Himont, attuale leader mondiale del polipropilene, “erede” del Premio Nobel Giulio Natta. E non è tutto: la stessa Montedison sarebbe un rilevante produttore di medicinali (Carlo Erba, Farmitalia, Antibioticos), un leader europeo nei fertilizzanti (Agrimont) e un leader mondiale nella bio-plastica (Novamont). Ancora: il gruppo che fu di Gardini sarebbe un primario attore della cantieristica (grazie all’expertise del Moro di Venezia), un grande operatore telefonico (EdisonTel), un protagomnista del settore elettrico e del gas (Edison), un primario operatore assicurativo (La Fondiaria) e dei servizi finanziari (Agos) e infine un leader europeo nelle fibre sintetiche (Montefibre).

«Un colosso in grado di occupare circa un milione di persone con l’indotto». Invece fu svenduto, a partire dalla morte del “Contadino” e al coma pluriannuale che ne seguì: «Uccisero la “testa” e lasciarono un bellissimo aereo senza pilota, affinché si schiantasse e fosse venduto a prezzo di saldo – grazie ad una tangente percepita da un magistrato di Milano – a quelli che facilmente organizzarono la morte di Gardini». Chi ha perso, in tutto questo scempio immane, «sono i lavoratori italiani, oltre allo Stato in termini di tasse», scrive Dolcino. «Le aziende vendute dai “pontieri” italiani cooptati che organizzarono l’acquisto di Montedison», ossia il gruppo Fiat, «furono di norma sfasciate, ad eccezione di Edison che venne conquistata e riempita di manager di Stato francesi, visto che Edf di fatto rappresenta il ministero della difesa d’oltralpe». In sostanza: «Vennero bruciati occupazione e utili in Italia, a favore di valore portato all’estero». Vale anche per Edison, il cui cuore – ossia il trading  – è stato spostato tra Parigi e Londra. Che fare? «La verità è che prima di tutto bisogna mettere in sicurezza il sistema da altri attacchi esterni», sottolinea Dolcino, pensando alla decapitazione di Montedison, pilotata a colpi di tangenti.

Lo stesso Dolcino ricorda che l’azienda «fallì in modo non dovuto – e dunque venne acquisita dai francesi – grazie ad una tangente pagata ad un giudice e a sua moglie, che mai risposero civilmente per i danni civili arrecati». Il giudice era Diego Curtò, marito di Antonia Di Pietro. Una volta in carcere, ammise di aver interferito nella crisi Enimont grazie a montagne di soldi che gli furono versati su conti svizzeri e panamensi. Una tangente «la cui genesi mai è stata ben spiegata», osserva Dolcino: «Forse bisognava solo guardare al lato di coloro che poi hanno acquisito il gruppo». Al momento della “resa” alla Francia, scrive Dolcino, il famoso pm di Mani Pulite e il capo dei legali di Edf «avevano lo stesso cognome ed erano cugini: un caso del destino che fa pensare». Per questo, sempre Dolcino ritiene «impellente» la riforma della magistratura italiana, «non tanto per difendere Berlusconi o i politici in genere, quanto per preservare il paese nella sua interezza». Operazione forse finalmente possibile oggi, visto che «abbiamo l’occasione di poter discutere con il dominus Usa una riallocazione delle sfere di influenza – in forza della sfida mossa a Washington dall’Ue franco-tedesca per sostituirsi al dominus americano nel Vecchio Continente». Uno scontro tellurico tra Usa ed Europa «come non succedeva dai tempi della guerra fredda».

Stop, dice Dolcino, alla magistratura che fa politica, lasciando che si usino le indagini «come macchina del fango per rovinare chi non si riesce a incriminare». Dolcino cita gli auspici di Govanni Falcone e Giuseppe Pignatone, nel dare il benvenuto al giudice Davigo in funzioni di governo: «Sono certo che capirà l’urgenza dei correttivi». Messo in sicurezza il sistema, sarà urgente fare occupazione, con utili e tasse riportate in Italia. «In particolare bisognerà creare un ambiente consono alla crescita delle imprese, abbassando le tasse». Servono anche decise spallate, «ad esempio facendo rientrare le aziende che hanno (forzatamente) delocalizzato in paesi Ue». Pragmatismo: «Meglio prendere solo il 7% di tasse dalle aziende che rientrano dal Lussemburgo, creando indotto locale, che non prendere nulla». Avvertenza: «La speranza del rientro dei cervelli senza il rientro delle aziende è un’utopia che solo la sinistra più becera e corrotta può alimentare». Serve un’alta scuola statale di amministrazione, come quella francese. E serve una diga per proteggere le aziende rimaste dal rischio-acquisizioni. Occorre un fondo statale per le piccole e medie imprese, e un sistema universitario per la promozione dei brevetti, in tandem con le aziende. «A voler fare cose serie – conclude Dolcino – l’Italia non ha paura di nessuno, basta volerlo. Siamo ancora capaci di esprimere grandi competenze», anche se i veri leader dell’italianità – come Gardini – sono stati uccisi. Rinascere è possibile, «ma dobbiamo crederci: oggi forse è l’ultima occasione».

 

tratto da: http://www.libreidee.org/2018/06/avete-idea-di-cosera-litalia-quando-aveva-la-montedison/

La povertà? Un Business creato dai ricchi!

 

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La povertà? Un Business creato dai ricchi!

La pubblicazione dei dati Eurostat sull’aumento della povertà e del rischio-povertà in Europa ha suscitato sui media il solito “dibattito“, viziato in partenza dal rappresentare l’impoverimento come un “problema”, come un effetto indesiderato delle politiche di “rigore“.

In realtà il bombardamento sociale del “rigore finanziario” non è sostanzialmente diverso dai bombardamenti militari, nei quali l’obbiettivo dichiarato è un pretesto non soltanto per il consumismo delle bombe (tanto paga il contribuente), ma anche per fare il maggior numero possibile di “danni collaterali”, cioè di vittime civili. Anche il “rigore” è un business, ed il “danno collaterale” della maggiore povertà apre a sua volta nuove frontiere al business.

In questi anni è risultato sempre più evidente il nesso consequenziale tra l’aumento della povertà e la finanziarizzazione dei rapporti sociali.

 
La povertà diventa un business finanziario, costringendo i poveri all’indebitamento crescente.

I Paesi anglosassoni stanno dimostrando che i poveri costituiscono un target inesauribile per l’offerta di servizi finanziari. Non soltanto la carta di credito viene oggi concessa anche ai disoccupati, ma questi sono anche fatti oggetto di un vero e proprio allettamento per dotarsi di questo “servizio” finanziario.

Il fatto è comprensibile, se si considera che disoccupati e precari possono essere ridotti ad un livello assoluto di dipendenza da questi strumenti finanziari; cosa che non sarebbe possibile nei confronti di chi disponesse di fonti regolari di reddito. Se i prestiti ai poveri fossero ancora in contanti, allora i rischi di insolvenza sarebbero mortali per un business del genere; ma oggi c’è il denaro elettronico e le banche non devono compromettere la propria liquidità per concedere carte di credito.[4]

I poveri tendono ancora a servirsi soprattutto di contanti, ma le banche intendono sollevare le masse da questa condizione primitiva, attraverso quello che chiamano un programma di “inclusione finanziaria“. Il suono nobile e commovente della parola “inclusione” serve a nascondere il fatto che si tratta di un programma a basso rischio d’impresa per lo sfruttamento delle possibilità di indebitamento delle masse più povere.

Il governo britannico ha elaborato nel 2007 un piano di inclusione finanziaria per salvare le masse di “unbanked” dal loro misero destino e per metterle a disposizione dell’amorevole offerta di servizi bancari. Lo stesso governo britannico ha ritenuto di porre una deroga ai limiti della sua “spending review” pur di stanziare dei fondi per questo piano umanitario.

Anche la Banca d’Italia ha impostato un piano analogo, ciò in attuazione delle indicazioni del G-20 a riguardo. A quanto pare il denaro elettronico ha un club di supporter piuttosto nutrito.

Le banche in questo periodo hanno una pessima reputazione e, spesso, persino una pessima stampa. Ma le denunce possono rimanere sul vago, mentre, come si dice, il diavolo si annida nei dettagli. C’è qualche prestigioso commentatore che auspica addirittura un passaggio completo al denaro elettronico, con l’abbandono definitivo del contante; ciò in nome della lotta all’evasione fiscale, come se l’elettronica fosse intrinsecamente onesta, e fosse in grado solo di “tracciare” e non potesse anche sviare.

L’unico risultato certo dell’adozione integrale del denaro elettronico, sarebbe invece quella di rendere definitiva la “financial inclusion“, cioè di non porre più limiti alle possibilità per le banche di impoverire e sfruttare i popoli.


Fonte: https://crepanelmuro.blogspot.it/2017/05/la-poverta-e-il-piu-grosso-business-che.html

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La pubblicazione dei dati Eurostat sull’aumento della povertà e del rischio-povertà in Europa ha suscitato sui media il solito “dibattito“, viziato in partenza dal rappresentare l’impoverimento come un “problema”, come un effetto indesiderato delle politiche di “rigore“.

In realtà il bombardamento sociale del “rigore finanziario” non è sostanzialmente diverso dai bombardamenti militari, nei quali l’obbiettivo dichiarato è un pretesto non soltanto per il consumismo delle bombe (tanto paga il contribuente), ma anche per fare il maggior numero possibile di “danni collaterali”, cioè di vittime civili. Anche il “rigore” è un business, ed il “danno collaterale” della maggiore povertà apre a sua volta nuove frontiere al business.

In questi anni è risultato sempre più evidente il nesso consequenziale tra l’aumento della povertà e la finanziarizzazione dei rapporti sociali.

La povertà diventa un business finanziario, costringendo i poveri all’indebitamento crescente.

I Paesi anglosassoni stanno dimostrando che i poveri costituiscono un target inesauribile per l’offerta di servizi finanziari. Non soltanto la carta di credito viene oggi concessa anche ai disoccupati, ma questi sono anche fatti oggetto di un vero e proprio allettamento per dotarsi di questo “servizio” finanziario.

Il fatto è comprensibile, se si considera che disoccupati e precari possono essere ridotti ad un livello assoluto di dipendenza da questi strumenti finanziari; cosa che non sarebbe possibile nei confronti di chi disponesse di fonti regolari di reddito. Se i prestiti ai poveri fossero ancora in contanti, allora i rischi di insolvenza sarebbero mortali per un business del genere; ma oggi c’è il denaro elettronico e le banche non devono compromettere la propria liquidità per concedere carte di credito.[4]

I poveri tendono ancora a servirsi soprattutto di contanti, ma le banche intendono sollevare le masse da questa condizione primitiva, attraverso quello che chiamano un programma di “inclusione finanziaria“. Il suono nobile e commovente della parola “inclusione” serve a nascondere il fatto che si tratta di un programma a basso rischio d’impresa per lo sfruttamento delle possibilità di indebitamento delle masse più povere.

Il governo britannico ha elaborato nel 2007 un piano di inclusione finanziaria per salvare le masse di “unbanked” dal loro misero destino e per metterle a disposizione dell’amorevole offerta di servizi bancari. Lo stesso governo britannico ha ritenuto di porre una deroga ai limiti della sua “spending review” pur di stanziare dei fondi per questo piano umanitario.

Anche la Banca d’Italia ha impostato un piano analogo, ciò in attuazione delle indicazioni del G-20 a riguardo. A quanto pare il denaro elettronico ha un club di supporter piuttosto nutrito.

Le banche in questo periodo hanno una pessima reputazione e, spesso, persino una pessima stampa. Ma le denunce possono rimanere sul vago, mentre, come si dice, il diavolo si annida nei dettagli. C’è qualche prestigioso commentatore che auspica addirittura un passaggio completo al denaro elettronico, con l’abbandono definitivo del contante; ciò in nome della lotta all’evasione fiscale, come se l’elettronica fosse intrinsecamente onesta, e fosse in grado solo di “tracciare” e non potesse anche sviare.

L’unico risultato certo dell’adozione integrale del denaro elettronico, sarebbe invece quella di rendere definitiva la “financial inclusion“, cioè di non porre più limiti alle possibilità per le banche di impoverire e sfruttare i popoli.


Fonte: https://crepanelmuro.blogspot.it/2017/05/la-poverta-e-il-piu-grosso-business-che.html